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La Chiesa detta di Santa Maria ‘De Plano
La costruzione di tutto il complesso è quella tipica delle Abbazie
benedettine: massiccia e robusta, sicura nella difesa.
La chiesa è di stile romanico a tre navate, divise da robusti
pilastri in pietra viva a vista, snella e armonica, severa e devota. Le
colonne e gli archi si elevano in uno slancio come di preghiera che invita
i visitatori ad inginocchiarsi; gli fa sentire vicina la divinità, e gli
infonde tranquillità e pace. Nel suo complesso è un organismo solido,
proporzionato, finito, di aspetto semplice e rude, ma solenne e grandioso. La sagoma esterna non è più quella dei benedettini, ideatori
e costruttori. Dell'antica struttura sono rimasti, miracolosamente
intatti, i due portali: quello centrale più ricco, e il laterale. Hanno
capitelli di stile corinzio, finemente lavorati e fantasiosamente ornati
con motivi vegetali a casco di foglie di acanto, certamente tra i più
pregiati del corinzio lucano. Si sono anche salvati parte della facciata e
la navata centrale, recentemente liberate dall'intonaco.
Nei pressi dell'Abbazia, a pochi metri, sorgeva la chiesetta di Santa
Caterina, che la furia innovatrice spazzava via verso il 1931. I frati
l'edificarono, forse per farne una succursale di Santa Maria. Essa è
ricordata in un manoscritto del 1189 in cui si afferma che Normanno, Conte
di Marsico, donò a Rado, abbate di Santo Stefano, due chiese: una
intitolata ‘S. Nicola’, quae fondata est versus castellum Calveli’, e
l'altra ‘S. Catharinae’, qua est iusta fluvium,
prope ‘Calvellum’ (1).
Nel sacro tempio è conservata una statua della Vergine di grande
interesse. Raffigura la Madre di Dio, seduta col Putto in grembo: S. Maria
‘de Plano’. È un ceppo scolpito in purissimo stile bizantino. L'aspetto e
il portamento del simulacro sono severi, maestosi, regali ed insieme
dolcissimi. Ha un sorriso appena abbozzato, ma suadente. La figura è
calda, lo sguardo rassicurante. Con le tre dita della mano destra regge un
piccolo globo, mentre la sinistra accoglie con amore il Figlio che è in
atto di benedire. I lineamenti sono anatomicamente perfetti: le dita
affusolate, il viso leggermente allungato, la testa china verso il Putto,
la chioma raccolta al modo delle donne regali del tempo. Sul petto le
brillava una gemma; il manto le scende lieve dalle spalle, avvolgendola
soavemente; il collo, ben tornito è del tutto libero da monili o collane.
Il Figlio che le siede in grembo è della apparente età di 5-6 anni,
straordinariamente somigliante alla Genitrice. L'atteggiamento è soave, lo
sguardo innocente; mentre con la destra benedice, con la sinistra invita
ad andare a Lui, con fiducia e sicurezza.
Lo splendore del Cenobio e della chiesa durò fino verso la fine del 1300,
quando, estintasi la congregazione con la morte dell'ultimo abbate, anche
l'abbazia femminile di Santa Maria ‘de Plano’ ne seguì le sorti.
I fabbricati caddero nell'abbandono e nel disfacimento.
Alle rovine materiali si aggiunse il danno inferto ai valori culturali e
artistici. I manoscritti, i
codici, le tele, le sculture e quanto del sapere era stato con pazienza,
tenacia e studio raccolto dai religiosi andarono dispersi e dilapidati. I
vari titolari che ebbero in commenda o in amministrazione le due Abbazie,
si preoccuparono solamente di esigere e sfruttare le vistose rendite.
Nulla fu fatto, per circa due secoli, per salvare un sì ricco patrimonio
d'arte, specie se situato in contrade lontane dai centri. E ove e quando
ciò saltuariamente accadeva, il ‘Barocco’ non sopportando le strutture del
‘Romanico’, severe nella maestà delle linee e spoglie di fantasia, le
opprimeva infarcendole di sovrapposizioni contrastanti, creando ibridi
scomposti.
Mentre l'Abbazia di San Pietro ‘A Cellaria’, venne assegnata alla Cappella
Sistina e trasformata dai fittuari a ricetto di armenti e deposito di
cereali, per essere poi venduta a pezzi nel 1931 ai contadini, sorte
migliore ebbe Santa Maria ‘de plano’. Dopo essere stata aggregata alla
Cappella del Santo Presepio di Santa Maria Maggiore in Roma nel 1503, e
ancora precedentemente data all'Abbate di Santo Stefano di Marsico, Papa
Sisto V nell'agosto del 1587, con la bolla ‘Piis fidelium votis’, essendo
Abbate titolare Orazio Celso, chierico romano, soppresse il priorato e
affidò chiesa e convento, ormai quasi del tutto diroccati, ai Minori
Osservanti di San Francesco.
Nella ricostruzione, alla quale i francescani diedero subito mano, non fu
rispettato lo stile originario. I frati affogarono il ‘Romanico’ nel
‘Barocco’, non risparmiando neppure la statua che ebbe la testa ricoperta
da una parrucca con boccoli, e il rivestimento alterato da
sovrapposizioni.
Nell'interno della chiesa scomparvero l'abside e le capriate, riducendo la
copertura ad un sol tetto con un soffitto in legno, e rabberciando l'ex
abside con una cantoria. Le monofore non diedero più luce, e i pilastri e
gli archi vennero ricoperti d'intonaco.
Calvello contava allora circa 10.000 abitanti; era animata da intenso
fervore religioso, che si esprimeva nella costruzione di numerose chiese e
cappelle, nell'abitato e fuori, alcune tuttora esistenti, ricche di
affreschi, stucchi e tele di notevole pregio.
I frati francescani impressero al ricostruito Cenobio e alla chiesa
un nuovo slancio di vita molto attiva. Attualmente si possono ammirare
bellissimi altari lignei, dorati, di puro stile barocco, tele e simulacri
scolpiti in legno, vivaci e mossi, opere di artigiani lucani.
La permanenza dei francescani a Calvello durò fino al 1866, quando,
per le note leggi soppressive dell'asse ecclesiastico, la chiesa cadde in
abbandono, pur restando aperta al culto, affidata al Clero Secolare;
mentre il convento veniva adibito dal Comune, divenutone proprietario, ad
uffici e scuole. Si ‘inaugurava’ così un nuovo periodo di decadenza.
Il passaggio dei francescani nel ‘Romanico’ dei benedettini, ha lasciato
segni apprezzabili del ‘Barocco’ del '600 e delle espressioni, anche se
povere di arte creativa, del '700. Il chiostro, affrescato per intero con
notevole gusto per cantare le glorie francescane, lasciato alla mercé dei
monelli e della plebaglia, ha subìto gravissimi insulti: le figure sono
state lapidate e imbiancate senza che alcuno dei responsabili, insensibili
e chiusi al richiamo del bello, alzasse un dito in difesa di tanta arte.
L'incuria degli uomini e l'insulto del tempo hanno inflitto al sacro
tempio, certamente tra i migliori e più pregiati del ‘Romanico lucano’,
ingenti danni. (Attualmente il tetto è pericolante, l'umido lo corrode, e
le strutture portanti sono malferme).
Nel 1946 i pilastri e gli archi, nonché la facciata, quanto cioè è
arrivata fino a noi delle strutture originarie, furono liberate
dall'intonaco ad opera dello scrivente.
Si apriva così all'occhio attento del visitatore, uno spiraglio di luce
attraverso il quale si poteva immaginare la bellezza di un tempo, in
contrasto con le pareti laterali coperte d'intonaco, attraverso il quale
occhieggiano figure di Santi, affrescati dai francescani e ricoperti di
calce dopo il 1866.
Attualmente fervono i lavori di
rifacimento delle strutture e di recupero degli altari barocchi. Le pareti
laterali, con molta cura scrostate dagli spessi strati di calce, ci
immettono in un periodo storico ed artistico di alto interesse per questa
Chiesa dalle tante alterne vicende.” Testi tratti da
"Calvello: storia- arte- tradizioni |
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