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La Chiesa di S. Giuseppe
La costruzione della chiesetta di
San Giuseppe, sita alla periferia dell'abitato di Calvello, è da porsi
all'inizio del 1600.
Il Sacro edificio era un punto di
riferimento e di appoggio dei numerosi dipendenti della Certosa di Padula,
che dalla primavera all'autunno, menavano i numerosi greggi e mandrie, di
proprietà dei Monaci, ai pascoli opimi e alle sorgenti copiose e fresche
del comprensorio montano e silvano di Calvello, spargendosi per le balze
degradanti del Volturino, per ‘Timpa la Posta’ e il ‘Cugno del Salice’.
I monaci della Certosa,
preoccupandosi dell'assistenza religiosa dei pastori e dei vaccari,
eressero la chiesetta, dedicandola a San Giuseppe che emigra, fuggendo
nell'Egitto, per salvare la Vergine e il Figlio di Dio.
È posta su una altura amena, ed è
visibile da ogni parte: dalla valle sottostante, bagnata dalle acque del
fiume ‘La Terra’ e dalle radure e dai boschi che incorniciano l'intero
paesaggio.
Il panorama spazia a perdita
d'occhio fino a Coperino, in uno scenario incantevole.
Nell'interno del tempio vi è un
altare scolpito in legno pregiato. È un'opera di altissimo valore
artistico. Le colonne, la cimasa e la pala dell'altare sono di un barocco
purissimo e ricco, solenne e grandioso, armonicamente perfetti.
L'artista, che con mano
espertissima, ha intagliato il legno, ha prodotto un ricamo finissimo che
lascia lo spettatore incantato per la precisione e il tema svolto. È
datato 1657.
Al centro dell'altare, campeggia,
incorniciata dalla fantasiosa esuberanza barocca, una tela attribuita a
Federico Fiore, detto ‘il Baroccio’. È un quadro stupendo dai colori vivi,
ma non violenti, caldi e luminosi.
I movimenti sono contenuti nella
naturalezza, e lo scenario agreste è bene ambientato. Gli atteggiamenti e
le espressioni dei personaggi: Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù, sono
dolcissimi, distesi, sereni. Non accusano paura o preoccupazione per la
precipitosa fuga cui sono stati costretti, né si sentono inseguiti. Sembra
un viaggio normale.
L'artista li ha fermati mentre si
riposano per ristorarsi, accanto ad un corso d'acqua chiara, fresca e
chiacchierina, sotto un albero di ciliegio.
Giuseppe stacca da un ramo un grappolo del roseo frutto, e lo
porge, paterno, al Bambino; mentre la Vergine Maria, con una coppa,
attinge acqua dal ruscello. Dall'insieme:
sfondi profondi, contorni precisi e sfumati, dettagli accurati, si avverte
di vivere in un giorno che volge al tramonto, in un sereno tranquillo, di
un fine maggio o di un giugno appena iniziato.
Il vecchio asino, con sul groppone un duro basto, stanco per il
deserto che attraversa, e per il peso della Madre e del Figlio che porta
in groppa, cessa di brucare e alza il testone orecchiuto, a contemplare la
scena della Sacra Famiglia, di cui, in tono tanto minore, fa parte, e
inconscio di cooperare alla realizzazione dei disegni divini di salvezza.
Gesù, dalla apparente età di circa
tre anni, è in atto di prendere il ciuffetto di ciliege, che Giuseppe,
chino verso di Lui, gli porge.
Il viso paffuto, le membra grassocce, gli occhi luminosi, spirano
calda tenerezza in una luce di divinità, racchiusa nella umanità, amabile
e rassicurante.
Al di sotto del dipinto, scolpita
nel legno, una iscrizione latina descrive l'opera e segna la data: 1657.
Su l'unico altare laterale, a
destra di chi varca il tempio, una tela raffigura il Crocifisso. È
attribuita a Guido Reni. Infatti i colori luminosi, l'anatomia perfetta
del corpo, con i muscoli tesi nello sforzo di resistere allo strazio, lo
sfondo, e specialmente la dolcezza espressiva del volto insanguinato,
degli occhi lacrimanti, delle guance tumefatte, rivelano la mano
dell'artista nel suo inconfondibile stile.
Purtroppo la Maddalena, che
piangente abbraccia la croce, è un rozzo rabbercio operato da mano
inesperta, nella intenzione di rimediare al danno provocato alla tela o da
un inizio d'incendio, o, come più probabile, da voraci roditori.
L'aggiunta raffigura una donna
affatto avvenente, dai trascorsi facili, avvizzita e stanca, sfiorita e
consumata dal vizio, in netto contrasto con quanto ci riferisce il
Vangelo.
Nella sacrestia retrostante
l'altare, giace abbandonata una grossa balaustra in legno intagliato,
alta, arabescata, pomposa; delimitava un tempo l'aula dei fedeli dal
presbiterio, quasi occultando l'altare, e rendendo così difficile la
visione degli atti di culto. È un
lavoro di un notevole interesse, ma posteriore al barocco.
Evidenzia segni chiari del tardo
'700. Purtroppo è stato inconsultamente pennellata, con colori violenti,
contrastanti e sgraziati; in netta disarmonia con il bellissimo barocco
dell'altare. Il tempio si anima una volta l'anno, il 19 marzo, quando vien
condotta in processione la statua lignea di San Giuseppe, abitualmente
custodita nella chiesa parrocchiale.
È una buona scultura del pieno '700. Raffigura il Santo a mezzo busto. Con il braccio sinistro regge delicatamente il Bambino Gesù, dalla espressione dolcissima e tenera, mentre la mano destra impugna il bastone fiorito. “ Testi tratti da
"Calvello: storia-arte-tradizioni |
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