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Sant'Arcangelo

Palazzo Baronale della Cavallerizza

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Palazzo della Cavallerizza

Eligio fu celebre, ai suoi tempi, per ricchezze e magnificenza, ma all'inizio sembra che abbia dovuto molto lottare per venire in possesso dei suoi beni. «Il conte Eligio che visse sotto Re Ferrante il Vecchio e i susseguenti Re (15) in sino all'anno 1517 nel quale morì, hebbe per alcun tempo travaglio nel possessio del suo stato occupatogli dal re, perciò che non s'havea voluto lasciar egli condurre à prendere una donna per moglie di nobilissimo sangue, con cui s'havea opinione, che il re havesse havuto non molto onesta pratica, prese per moglie Ciancia Caraciola». (16) Eligio non ebbe figli. Secondo l'Ammirato, dunque, fu per questo atto ammirevole di rispetto verso se stesso che Eligio ebbe contrasto con il Re, non per aver negato il suo contributo di vassallo ad Alfonso il Magnanimo in tempo di guerra (17).

Eligio fu grande e magnifico signore, e molto ricco e potente. Solo in Basilicata possedeva Aliano, Accettura, Stigliano, Gorgoglione, Alianello, Guardia, Sant'Arcangelo, Roccanova e feudi minori, per i quali pagava ogni anno contributi abbastanza elevati (18). Con tanti feudi e con le proprietà che aveva ereditato in Napoli dalla madre Polissena Sanseverino, Eligio poteva vivere da vero principe e spostarsi a piacere nei vari palazzi dei suoi feudi e dei suoi possedimenti fra la Basilicata e Napoli, la capitale del Regno, ove tutti i nobili avevano palazzi sontuosi. Abitò, certamente, anche a Sant'Arcangelo, ma non tanto, forse, nel centro abitato (anche se qui pure dovette esserci un castello, com'è testimoniato dal fatto che, ancora oggi, la contrada più alta del paese è chiamata, appunto, "Castello") quanto in un suo palazzo che, a differenza dei castelli e, in genere, delle dimore nobiliari di quel tempo, non sorgeva sopra un'altura, bensì in basso, nella verde pianura dell'Agri, fra orti, uliveti e vigneti e vastissimi boschi di querce. Di questo palazzo, fondato, probabilmente, nel sec. XIV dai primi signori della Marra, restano ancora suggestive e imponenti rovine dette, dal popolo, «Mura dei giardini» . Doveva essere enorme: un'antica tradizione" lo diceva fornito di tante stanze quanti sono i giorni dell'anno. Qui, con ogni probabilità, doveva trovarsi la grande «Cavallerizza» che diverrà celebre in tutto il Regno e oltre, soprattutto con i successori di Eligio: Antonio e Luigi Carafa della Marra (20). Forse a questo amore di Eligio per i cavalli si riferisce il bel dipinto di Orsoleo sulla lunetta volta a occidente in un locale a piano terra nel corpo avanzato a sinistra della facciata della chiesa: l'unico, con il corrispettivo sulla lunetta di fronte, di soggetto non sacro. In questo affresco si vedono due grandi cavalli monocromi che dominano il bel paesaggio con fiume, a destra del quale si vedono vari edifici fra cui si può, forse, individuare il convento stesso ancora in costruzione. Del resto si narra che Egidio, morendo, «...lasciò allo stato una ricca e ampia facoltà di bestiame...», fra cui, certamente, avevano il primo posto i cavalli. La leggenda stessa del principe che, a cavallo, combatte e uccide il drago, non potrebbe essere nata anche da questa passione per i cavalli di cui sempre i della Marra e i Carafa avevano fatto mostra nei loro feudi e altrove?

Il palazzo della «Cavallerizza», oltre che molto grande, dovette essere anche molto importante e molto noto, infatti si trova segnato, con il nome «Il Palazzo», in varie carte geografiche delineate dalla fine del '500 a tutto il `700: si trova nell'atlante disegnato da G. A. Magini alla fine del '500 e stampato, postumo, a Bologna dal figlio Fabio nel 1620; in una carta secentesca di Terra di Bari e Basilicata tratta dall'Hondius; in un altra del Blaeu, stampata ad Amsterdam nel 1635; e, finalmente, in una carta della provincia di Basilicata e Terra di Bari di Domenico De Rossi stampata a Roma nel 1714. In tutte queste carte «il Palazzo» viene indicato sempre con molta chiarezza e precisione (22), non solo presso l'Agri ma tutto circondato dalle acque del fiume, deviato, in quel punto, in modo da formare una vera isoletta di una certa estensione; il che ci fa pensare alla bellezza e alla suggestione dell'edificio lambito dalla corrente, in mezzo ad orti e giardini di inusitata ricchezza, in una terra ancora pura e intatta, tutta verde di querce e di canneti e ricchissima di animali di ogni tipo e dei più svariati uccelli.

Testo selezionato da "Memorie di S. Maria di Orsoleo" di Luigi Branco
Pubblicazione autorizzata dall'autore

 

 

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