Abriola
paese di innamorati
dove San Valentino
è il patrono celebrato
Abriola
paese di panorami
dove le stradine strette
si aprono su costoni scoscesi
Abriola
paese di tradizioni
dove la festa del santo
è un'occasione di emozioni
Abriola
Adagiato a circa 957 m di altitudine su tre creste rocciose,
Abriola si offre alla vista di chi giunge dalla Sellata percorrendo la S.P.
n. 5 come un caratteristico paese di montagna, la cui struttura urbana a
fuso, tipica degli insediamenti sviluppatisi in epoca medievale, rimane
ancor oggi perfettamente leggibile nonostante le compromissioni rappresentate
dalle recenti espansioni urbane.
Il centro abitato appare incastonato in un paesaggio suggestivo,
caratterizzato da costoni rocciosi scoscesi, i cosiddetti Faraglioni,
affioramenti di natura calcarea che connotano il versante sud-est affacciato
sulla vallata del torrente Fiumicello.
Abriola è posto al centro di un ampio distretto visivo a forte connotazione
naturalistica che spazia a 360 gradi dalla cima del Monte Pierfaone (m 1444)
con i suoi acclivi versanti ricoperti di fustaie di cerri e faggi, alla
Groppa di Anzi, alle cime delle Dolomiti Lucane, alle ultime propaggini del
Massiccio del Volturino, offrendo al visitatore che percorre le stradine del
centro storico ampie prospettive sul tipico paesaggio della media e alta
collina appenninica.
Le origini
Le origini e la storia di Abriola sono simili a quelle di molti centri
abitati della Basilicata interna. Non rimangono tracce attendibili della
probabile origine sannitica (VI-V sec. a.C.) dell'insediamento, né della sua
storia in epoca romana; ma è possibile affermare che con le invasioni
barbariche esso appartenne al regio demanio fino al IX secolo quando i
Saraceni, occupata Conza, nel 872 si spinsero fino ad Abriola e lì fondarono
una munita oppida a presidio della vallata della Fiumara di Anzi.
Proprietario di Abriola divenne il saraceno Bomar, signore di Pietrapertosa,
che nel 907 la cedette al longobardo Sirifo.
E' a quest'epoca che si fa risalire il toponimo Abriola, probabilmente
derivato, secondo il Racioppi, da Briola, 'luogo di caccia di un conte
longobardo'. Infatti il termine 'brolia', secondo il Ducange indica 'parco
di caccia' e brolium significa tanto selva quanto giardino o orto chiuso da
muro. Questa interpretazione etimologica 'confermata dall'arma',
rappresentata d'azzurro ad una quercia munita sulla vetta di mezzo di un
monte di tre cime, attraversata da un cinghiale, laddove si considera che
dal termine aper = cinghiale può derivare il toponimo Abriola (Aper-iola)
Divenuto dunque feudo facente parte del Principato di Taranto, nel XII sec.
Abriola appartenne a Gaimaro di Capaccio; al contrario il vicino feudo
dell'Arioso, allora denominato Castel Glorioso o Castellarioso dal
feudatario Glorioso de Gloriosa, dipendeva direttamente dalla curia
imperiale.
Infeudata ad Americo di Avezzano al tempo di Federico II, con Carlo D'Angiò Abriola passò ad Alderino Filangieri, che ottenne anche Gloriosa. Nel
Cedolario del 1277 contava 78 fuochi e 400 abitanti; quello di Gloriosa 55
fuochi e 300 abitanti; E' l'epoca in cui acquistano particolare importanza la
chiesa Madre di Abriola e la chiesa di Gloriosa, dipendenti dalla diocesi
potentina.
Nel corso dei secoli successivi il feudo appartenne a molti casati, tra cui
quello dei D'Orange, dei Di Sangro, dei Caracciolo ed infine dei Federici,
così come accadde a tanti piccoli centri lucani; ma nel 1809 questo piccolo
borgo divenne scenario di uno dei più efferati episodi di brigantaggio che
la storia ricordi: lo sterminio della intera famiglia del barone Federici,
per opera di una delle più temute bande di briganti dell'epoca, capitanata
da Rocco Buonomo detto Scozzettino. L'orografia dei luoghi e la presenza di
folti boschi rendevano il territorio di Abriola, Calvello, Anzi e
generalmente della montagna interna lucana luogo ideale per le scorrerie di
queste orde di briganti che, sotto la spinta di presunte forze
antinapoleoniche, si davano a saccheggi spesso sanguinosi, come nel caso
dell'assedio al castello di Abriola, conclusosi con l'eccidio della famiglia Federici e con il pubblico scempio dei cadaveri. Una attenta descrizione di
quanto avvenuto è contenuta nel singolare testo di Vittorio Di Cicco 'Il
brigantaggio del 1809' 'Potenza 1911' nel quale sono riportati gli
interrogatori svoltisi nel corso dell'istruttoria dei processi a carico dei
più noti briganti protagonisti di quei tristi avvenimenti.
da: Sellata
- Volturino (A.P.T. Basilicata)
testi di: Adriana Bianchini - Caterina Coppola