Craco, città fantasma sul colle solitario dove il tempo si è fermato e il
silenzio è sovrano
Craco, antico borgo che ha visto la storia passare dalle guerre ai terremoti
dalle frane all’abbandono
Craco, luogo magico che incanta i visitatori con le sue case vuote e i suoi
calanchi intorno
Craco, sogno irrealizzato di chi vorrebbe tornare a vivere nel passato e a
riempire di vita il paese
CRACO
Il dovere per la cronaca ed il rispetto verso gli organi periferici
dello Stato mi esortano a scrivere che Craco è un piccolo centro della
Provincia di Matera sorto negli anni 1963/64 in Contrada Peschiera-falsopiano che fa da spartiacque tra la valle del fiume Agri e
quella del Salandrella-Cavone.Qui tra tanti piccoli edifici di stile
"riforma fondiaria" v'è anche quello che ospita l'Amministrazione Comunale
di Craco Nuovo e qui la vita continua...
Io però che ho l'ingrato compito di scrivere ho anche il dovere di
rispettare la storia e
Craco Antico, o se volete, Craco Vero, ne ha tanta che l'idea di
doverla solo sintetizzare mi lascia un tal senso di colpa si da farmi
sentire improbo verso i sui figli e becero verso me stesso.
Craco è un fiore reciso allo stelo che china lentamente la sua corolla.
Nato agli arbori del medioevo la sua architettura spontanea - frutto della
fantasia di uomini che seppero tagliare la pietra ed i mattoni come fette di
pane - è ancor oggi un inconfutabile esempio del gusto del bello che va
oltre l'artigianato per assurgere ad arte, si ad arte pura intrisa di
stratificazioni storiche. Case in pietra aggrappate alla roccia sembrano
tendere le braccia al Castello che dalle rupe sovrasta l'antico borgo nel
quale le strade ciottolate si snodano con una flessuosità armoniosa per
raggiungere ora questa ora quella piazzetta. Qui ogni piazzetta è un
salotto...e gli uomini che giungono a sera per togliere il carico dalle
groppe degli asini, bisbigliano tra loro parole sommesse tra lo schiamazzo
dei bimbi e le voci delle madri.
Qui le case si tengono per mano, hanno paura di cadere una sull'altra. Qui
la voce di Leonardo Sinisgalli si fa d'obbligo e non posso esimermi dal
citare solo alcuni versi della poesia:
"Paese"
...Qualcuno
ci disse buona notte seduto davanti alla porta.
Le strade sono così strette e gli arredi
stanno così addossati alle soglie che noi
sentimmo friggere al nascere della luna,
i peperoni calati nell'olio...
E...le finestre, gli archetti, le bifore sono occhi... si
occhi increduli e spalancati che guardano incantati le tegole che dormono sotto
le stelle da mille anni e odorano ancora di muschio e di viole. E poi gradini
in pietra che si inerpicano in vicoletti angusti dove le ringhiere in ferro
battuto sembrano ricami inamidati posti lì a sfidare il tempo e l'incuria degli
uomini. Solo i libri non ho visto di tanto che ho visto dell'antica Graculum,
eppure questi preziosi oggetti sono passati di mano in mano e per diversi
secoli hanno attraversato le viuzze di questo antico e splendido borgo lucano
che nel lontano 1276 assurse alla gloria ed agli onori di Sede Universitaria.
Poi vennero i feudatari...Craco soffrì e restò in piedi - poi la rivoluzione
partenopea del 1799... Craco versò sangue e rimase in piedi - poi nel 1963
venne un'ultima frana la più dura ...Craco non se ne avvide e ...morì. Si Craco
è veramente morto - per un millennio ha vissuto dall'alto della sua roccia
nello splendore e nella cultura poi tardivamente s'avvide di avere i piedi di
argilla e quelle voci che Vi ho rievocato come un sogno, tacquero per sempre.
Ricordo quei lunghi giorni di lenta agonia, ma soprattutto rammento la dignità
del suo popolo che gradualmente ed in silenzio abbandonava per sempre l'antico
borgo in frana per la vicina e nuova area d'insediamento. Gli organi
d'informazione certamente non lesinarono notizie afferenti il lungo ma
inesorabile exodus di tutti i cittadini che innanzi alle telecamere altro non
mostrarono se non la forza di non soccombere ed il coraggio di vivere non di
sopravvivere.
In quella triste circostanza, quel popolo che è il nostro popolo diede un segno
tangibile ed inequivocabile della sua grande ricchezza: la dignità.
Si è vero - le ingiustizie, le iniquità la natura stessa fece povera la gente
di Lucania, ma fiera e dignitosa come nessun'altra. Il nostro è un popolo che
accetta la solidarietà perchè per cultura e per istinto ne conosce il
significato ma ha sempre rifiutato e rifiuta l'umiliazione del pietismo e
dell'elemosina. Le calamità i terremoti, le guerre, le carestie, le frane si
le frane non hanno mai piegato le nostre gambe avvezzi come siamo a
genufletterci solo davanti a Dio, e quando il dolore si è presentato innanzi ai
nostri occhi per misurare la forza del nostro sacrificio, abbiamo piegato la
testa per guardare meglio la nostra terra, e per nascondere agli altri le
nostre lacrime.
La nostra è una umanità che sa piangere da sola.
Son trascorsi molti anni da quando vidi Craco l'ultima volta, in quella
circostanza mi fermai sul ciglio della strada che porta all'antico borgo per
abbozzare un disegno, quando una voce alle mie spalle mi sussurrò: Lei disegna
molto bene - ebbi un attimo di esitazione ma subito mi resi conto che era
l'attore Gian Maria Volontè che girava sotto la guida del regista Francesco
Rosi, il film Cristo si è fermato ad Eboli. Avemmo un breve scambio di parole,
gli feci omaggio del mio disegno e ci salutammo con molta cordialità.
D'improvviso fui avvicinato da una Signora anziana che con gioia mista a
timidezza, mi disse: "Volete venire a vedere dove sono nata?" - Si risposi e la
seguii tra gradini, vicoletti e dirupi rimasti spaventosamente silenziosi.
Ecco, aggiunse subito dopo: qui stavano i miei nonni, sotto c'erano i muli, qui
mio padre e mia madre dove io sono nata e questa è la porta da dove sono uscita
quando mi sono sposata con l'abito bianco, poi aggiunse con un dialetto
comprensibile: Ma Voi siete uno di quelli che fanno il cinema? - No Signora,
risposi, io sono uno di Voi, sono un lucano e sono qui solo per dipingere.
Poggiò la mano destra sulla mia spalla sinistra ed additandomi un luogo più
lontano, mi sussurrò: i miei figli che stanno lontano non sanno che io resterò
qui per sempre, accanto a mio marito che non è più con la punta del piede spostò lentamente un sasso che a suo avviso mi poteva essere d'intralcio, esitò
un istante ed aggiunse: Questo lo sai solo tu, Figlio mio.
A quell'ora il sole viveva gli ultimi palpiti del giorno e Craco silenzioso e
spoglio di tutti i suoi beni, mi sembrò d'oro! Gli voltai le spalle per non
vederlo nel buio della sera e mi apprestai al ritorno verso casa ove mi accorsi
di avere un disegno in meno ed una madre in più. Da quel giorno non sono
tornato più a Craco, non voglio tornarci più - ho paura di ascoltare
l'impietosa voce del silenzio, ho paura di ascoltare l'amabile voce di una
donna che mi dice: Figlio mio...
Michele Ascoli