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Luigi Branco
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Ricordi Bizantini in un dialetto di Basilicata - Sant'Arcangelo


CIVILTA' BIZANTINA IN BASILICATA 

III. MONACHESIMO E VITA RELIGIOSA

Più che i sacerdoti diocesani, quasi tutti, come si è già notato, sposati e con famiglia, ebbero autorità, sulle popolazioni dell'Italia meridionale, i tanti monaci che, prima in Sicilia e poi in Calabria, in Lucania e nel Cilento, trovarono come una nuova Tebaide che ricoprirono di un'infinità di cappelle, di chiese e di monasteri (1). I monaci bizantini sono abitualmente chiamati "Monaci basiliani", ma la denominazione è inesatta e,- certamente, di origine occidentale. Anche più inesatta è l'espressione di "Ordine basiliano", in quanto S. Basilio non pensò mai a fondare un ordine religioso, nel senso moderno del termine, e nemmeno una congregazione, nel senso di raggruppamento di vari monasteri (2). In origine ogni monastero era indipendente, retto dal suo igumeno e governato dalla regola che il suo fondatore aveva dato al monastero stesso. Solo più tardi si ebbero delle "Congregazioni" cioè dei raggruppamenti di molti monasteri intorno ad uno più celebre ed importante retto da un archimandrita. 
Il monachesimo bizantino passa attraverso tre stadi di sviluppo: è, in origine, eremitico; il monaco è veramente tale, vive, cioè, nella più completa solitudine. Diventa, quindi, lauritico: il monaco vive solo, per lo più in una grotta, ma in altre grotte vicine vivono altri monaci, e in alcune occasioni particolari, come feste, uffici e preghiere speciali, tutti si riuniscono insieme. Il terzo stadio consiste nel cenobitismo: si ha, cioè, come dice il nome stesso, una vita in comune in un cenobio propriamente detto; nel cenobio si ha un superiore, e tutto vi è in comune, persino gli indumenti. 
Questi tre stadi del monachesimo si incontrano in ogni regione. In una regione si può avere un tipo di monachesimo meglio organizzato in senso moderno e in un'altra uno più primitivo. 
Il monachesimo non nasce a Bisanzio, bensì in Egitto ove, già nel IV secolo, si ha, con S. Pacomio, un'organizzazione perfetta di tipo cenobitico. Ma, certamente, in Egitto, anche dopo S. Pacomio, continuano a vivere monaci che cercano la perfezione nella vita eremitica e lauritica. 
I monaci dell'Italia meridionale furono, all'inizio, eremiti. Giunsero in Calabria già nel secolo VII (3). Provenivano dalla Siria, dalla Libia, dall'Egitto: lasciavano i loro paesi devastati dalle prime invasioni arabe (636-638). Questi monaci attraversavano il mare con mezzi di fortuna e giungevano in Sicilia donde, poi, molti passavano in Calabria. L'emigrazione continuò nel secolo VIII, anche in seguito alla persecuzione iconoclasta scatenata, nel 726, dall'imperatore Leone III Isaurico. E, a questo proposito, bisogna notare che i monaci che venivano in Italia per sfuggire all'ira iconoclasta (e non furono in numero stragrande, come si era pensato da alcuni (4)) dovettero dirigersi verso le zone dell'Italia meridionale longobarda (Calabria settentrionale, Lucania, Campania) essendo le regioni italiane direttamente dominate dai Bizantini tenute all'osservanza delle stesse leggi vigenti nelle zone orientali dell'Impero: se in Oriente era proibito il culto delle immagini, questo era proibito ugualmente nelle regioni bizantine italiane. Si ha, del resto, qualche prova di persecuzione iconoclasta anche nell'Italia meridionale (5). Nacquero allora, certamente, i primi stanziamenti monastici del monte Bulgheria, a sud di Salerno, e del Mercurion, al confine calabro-lucano. L'importanza di queste sedi monastiche, poste sui monti ai confini calabro-lucano-campani, crebbe in seguito all'invasione araba della Sicilia, regione che nel 902 (caduta di Taormina) era già totalmente sotto il dominio musulmano. Quasi tutti i monaci che vivevano in Sicilia passarono, allora, lo stretto, ma, naturalmente, non si fermarono né all'estrema punta meridionale della penisola calabrese, né sulle coste, ove tanto frequenti erano le scorrerie saracene; andarono, invece, più a nord e cercavano luoghi montani che, sebbene, anch'essi, soggetti a qualche assalto dei Musulmani, erano, pur sempre, luoghi abbastanza riparati.
Nel secolo IX, quando la Sicilia cadde sotto il dominio degli Arabi, il monachesimo greco dell'Italia meridionale è ancora di tipo eremitico e lauritico. Solo nel secolo seguente sorgeranno i primi veri monasteri, anche se molti asceti continueranno, anche in seguito, a cercare la perfezione in una vita di perfetta solitudine.
I santi monaci italo-greci, fondatori dei più antichi e più celebri monasteri dell'Italia meridionale e maestri di santità per tanti uomini desiderosi di perfezione, ci sono noti attraverso le "Vite" giunte fino a noi. Queste narrazioni, sebbene seguano uno schema comune e, per così dire, ufficiale, sono del massimo interesse, sia perché ci fanno conoscere la spiritualità degli eroi di cui trattano, sia per le tante notizie storiche che ci forniscono.
Il più antico bios (vita) a noi giunto è quello di S. Elia, detto "il Giovane", di Castrogiovanni (Enna) (6). S. Elia il Giovane, dopo molte peregrinazioni, si fermò in Calabria ove fondò il celebre monastero di Saline (7).
In relazione di amicizia con questo Elia di Castrogiovanni fu Elia di Reggio, detto "Lo Speleota" il quale prima visse nella solitudine, ma, alla morte di Elia il Giovane, ebbe, da questo, il monastero di Saline, per ritornare, poi, alla vita eremitica (8). Nella Calabria meridionale vissero anche S. Filareto (9), nato nella Siria nel 1020, e S. Nicodemo (10) che, nato a Saline, non se ne allontanò mai molto, cosa veramente rara per quei monaci che avevano come principale caratteristica quella di passare, per quasi tutta la vita, da un luogo all'altro.
Molti monaci, provenienti dalla Sicilia e dalla Calabria, salirono verso le zone settentrionali, fino a oltrepassare i confini dell'Impero, fermandosi in territori longobardi. Ai confini calabro-lucani sorsero, così, alcuni dei principali centri monastici bizantini. Il centro forse più famoso del monachesimo bizantino nell'Italia meridionale, il territorio che fu detto "Nuova Tebaide", paragonato, per il numero dei monaci che vi abitarono e per la quantità di eremi, laure e cenobi, all'Olimpo e al monte Athos, fu quello detto Mercurion. Questa celebre regione monastica è stata variamente ubicata dagli storici (11); ma sembra ormai sicura la sua identificazione con la media valle del fiume Lao detto, in questa zona, Mercure, fra Laino, il castello di Mercurio e Avena. Qualche anno fa, il Saletta (12) ha ripreso l'antica ipotesi già sostenuta da Lenormant (13), Schlumberger (14), Amari (15), Rocchi (16) e altri, secondo i quali la regione mercuriana sarebbe da ricercare nella Calabria meridionale fra Tauriana, Palmi e Seminara; l'ipotesi, però, sembra che, ormai, non si possa più sostenere in alcun modo (17). Un attento esame delle notizie contenute nelle "Vite" dei Santi vissuti al Mercurion, della toponomastica e di tanti altri piccoli dati ci dice che il Mercurion è da collocarsi ai confini calabro-lucani. Questa opinione, seguita, oggi, dal Cappelli, da P. Giovanelli e da altri, era già stata sostenuta dal Gay (18) e dall'Orsi (19).
Il Mercurion non era una regione monastica isolata. Vicino e in relazione con essa vi erano altre zone popolate da monaci, fra cui, più importante di tutte, il Latiniano, da identificarsi, con ogni probabilità, con la regione bagnata dal medio corso del fiume Sinni e con la zona del lagonegrese (20). In questa regione si fermarono, per qualche tempo, i santi Cristoforo, Saba e Macario di Collesano, i quali, provenienti dalla Sicilia, prima passarono al Mercurion e poi nella zona del Latiniano ove si fermarono presso un castello cui aggiunsero un cenobio con una chiesa dedicata a S. Lorenzo (21). Di questi santi appartenenti a una stessa famiglia (Saba e Macario sono figli di Cristoforo) il più celebre è Saba che, fra l'altro, fondò un monastero a Lagonegro (22). La sua "Vita" è interessante anche perché ci rivela l'organizzazione dei monaci nell'Italia meridionale.
Della stessa generazione di S. Saba è un altro grande santo di origine siciliana: S. Luca di Demenna (23), che, dopo un primo periodo passato nel monastero di S. Filippo di Argiro, sull'Etna, andò in Calabria ove s'incontrò con S. Elia di Reggio, lo Speleota, che viveva in una grotta presso Melicuccà; di qui, poi, in seguito all'invasione della Calabria dell'emiro Hasan, Luca risalì tutta la Calabria e si fermò presso Noia (l'attuale Noepoli) in Basilicata. Fondò, poi, il monastero di S. Giuliano, nell'alta Val d'Agri, e, quindi, quello dedicato alla Madre di Dio e a S. Pietro, presso Armento ove morì, assistito da S. Saba, nel 984.
Probabilmente a causa dell'omonimia, si è confuso questo santo, di origine siciliana e morto in Basilicata, con l'altro S. Luca, nato ad Armento e fondatore, in seguito, del celeberrimo monastero dei Santi Elia e Anastasio presso Carbone. Pare che questo santo di Armento, che ricevette l'abito monastico dallo stesso S. Saba, fosse, dopo la morte di S. Macario, a capo dei numerosi monasteri che fiorivano sui confini calabro-lucani e che erano, in certo modo, uniti fra loro (24).
Altri santi monaci, in questo periodo, fondarono monasteri più o meno celebri. Così S. Vitale, detto di Castronuovo (25), che, anche lui proveniente dalla Sicilia, dopo essersi fermato prima a S. Severina, in Calabria, e poi a Petra Roseti (forse l'attuale Roseto Capo Spulico), passa il Pollino e giunge in Lucania dirigendosi verso S. Chirico Raparo. Alle falde di questo monte vive per qualche tempo in una grotta solitaria che poi abbandona per fermarsi nelle vicinanze di Missanello. Dopo essere passato, nuovamente, presso il Raparo, ove costruisce un monastero, Vitale, allorché anche in Lucania irruppero le bande saracene, riparò più a nord arrivando fino al Vulture. Si i fermò, infine, a Rapolla ove fondò un altro monastero.
S. Leoluca di Corleone (26) si fermò, invece, nella regione mercuriense. Qui vissero anche molti altri santi di origine calabrese, fra i quali S. Fantino (27) e, il più noto di tutti, S. Nilo di Rossano (28).
Con i monaci, già per se stessi molto numerosi, si muovevano molte altre persone. "Cristoforo e la sua famiglia trascinano con sé in Calabria numerosi compagni, frati o laici... I frati originari della stessa città, sono abbastanza numerosi per formare una comunità distinta: Saba, percorrendo i monasteri del Mercurion, visita un giorno quello dei Siracusani, un'altra volta quello delle genti di Taormina. È molto probabile che, dopo il 920 o 930 vi sia stata una corrente d'emigrazione quasi continua dalla Sicilia alla Calabria e in Lucania... Molti fuggiaschi, che non abbracciano la vita monastica, seguono i frati e contribuiscono come essi a fortificare l'elemento bizantino... I villaggi sorgono a lato dei monasteri..." (29). Questi villaggi chorìa, sorti presso i monasteri, ebbero un'importanza enorme nello sviluppo della vita civile, economica e religiosa dell'Italia meridionale, e soprattutto della Basilicata, in questo periodo. Quando i santi Cristoforo, Saba e Macario, provenienti dalla Sicilia, si fermarono sulle verdi rive del fiume Sinni, nei pressi dell'attuale cittadina di Episcopia ove fondarono il già ricordato monastero di S. Lorenzo, si riunì, intorno a loro, un gran numero di contadini, i quali coltivavano le terre nei dintorni della chiesa (30). È facile, quindi, immaginare i monaci come maestri di agricoltura per i rozzi contadini delle zone in cui si fermavano, e come cointeressati con loro nella coltivazione e nell'amministrazione di quelle terre non ancora ridotte sotto il regime feudale, che nel Meridione si avrà solo con l'arrivo dei Normanni. Ed è facile capire perché, ancora oggi, tanti nomi di luoghi, nelle campagne lucane, ricordino i Santi bizantini (S. Elia, S. Teodoro, S. Nicola, S. Nilo ecc.) e perché tante parole, riguardanti l'agricoltura, siano di chiara origine greca. Tutto questo ci aiuta a capire la grande importanza che i monaci greci ebbero in mezzo alle popolazioni presso cui vivevano, soprattutto se si tiene conto dello stato di arretratezza degli uomini, in quei tempi, e, al contrario, della cultura, per quell'epoca certamente notevole, che fioriva nei monasteri basiliani.
Anche se non tutti i monaci si dedicavano allo studio, per 
lo meno il canto sacro era conosciuto da tutti: e per questo era già necessaria una certa preparazione culturale. Alcuni, poi, furono uomini veramente dotti, come S. Nilo, che prima di darsi alla vita religiosa aveva frequentato le scuole a Rossano (31) e, dopo, divenne esperto calligrafo ancora oggi ammirato per i preziosissimi manoscritti conservati nella Badia greca di Grottaferrata; come il Beato Proclo di Bisignano (32) che fu detto "vivum scientiae emporium" (33), e come il venerato S. Fantino che, prevedendo un'invasione saracena, andava piangendo nei boschi del Mercurion sulla rovina dei monasteri e sulla perdita dei libri che vi erano conservati (34). 
Sebbene asceti, i monaci greci, come si è già notato, restavano a contatto diretto con le popolazioni, sia perché intervenivano negli affari civili, quando il loro senso di carità li spingeva a ciò (35), sia perché, dato anche l'alto numero dei monasteri e dei monaci, questi non potevano non esercitare sui villaggi, che sorgevano, spesso, intorno ai monasteri stessi, un'efficace opera di incivilimento e di propaganda religiosa. L'influenza di questi monasteri sulle popolazioni in mezzo a cui sorgevano, fu dovuta anche alla riforma operata, nell'ambiente monastico bizantino, da S. Teodoro Studita (36), il quale non solo organizzò i monasteri in cenobi dipendenti da un monastero principale, ma volle che i monasteri stessi sorgessero vicino ai paesi, anzi negli stessi centri abitati. Ecco perché, ad esempio, il già più volte ricordato monastero di S. Lorenzo, nella media valle del Sinni, sorgeva presso l'abitato di Episcopia, ed ecco perché, durante la sua permanenza in questo monastero, S. Saba divenne quasi il capo di molti cenobi in qualche modo confederati fra loro. Il Santo, infatti, apprendiamo dalla "Vita" (37), si allontanava spesso dalle rive del Sinni per visitare e consigliare gli igumeni dei vari monasteri sparsi nelle varie zone monastiche del Latinianon, di Lagonegro e del Mercurion. Tale funzione, alla morte di S. Saba, passò al fratello Macario e, dopo, a S. Luca di Armento che l'esercitò sino alla fine della sua vita.
Ovviamente l'azione dei monaci bizantini non poteva rispecchiare se non la mentalità, il gusto, la civiltà, la lingua, la liturgia dei Greci. Così quando, nel 1054, si operò nella Chiesa quello che fu detto lo "Scisma d'Oriente", i paesi dell'Italia meridionale, che seguivano il rito greco, vennero a trovarsi, automaticamente e, si può dire, senza che se ne accorgessero, staccati dall'ubbidienza del Papa e uniti al Patriarca di Costantinopoli. Un documento molto interessante, in proposito, anche se riguardante direttamente solo la Calabria, è la "Vita" di S. Luca vescovo di Isola Capo Rizzuto, presso Crotone (38). Luca, nato verso il 1035-1040 (39), divenne vescovo di Isola quando lo scisma era già avvenuto da alcuni anni; per lui, però, come per i suoi fedeli, non esistevano problemi a questo riguardo: essi continuarono a comportarsi come i loro padri si erano comportati. Separarsi dall'antica liturgia sarebbe stato, per loro, lasciare le tradizioni dei padri e indebolirsi nella fede stessa tramandata dagli antichi concili e dai tanti maestri di vita spirituale, illustri per dottrina e per santità di costumi. Per S. Luca, quindi, doveva essere una cosa naturale la sua adesione a Bisanzio (40). L'autore della "Vita", però, scritta, ovviamente, qualche anno dopo la morte di Luca, doveva avere un astio particolare contro i Latini. Parlando dei Greci, infatti, li dice, semplicemente, pistoi (fedeli), parlando, invece, dei Latini, li chiama cacódoxoi (empi) e persino átheoi echtrói (atei stranieri).
Il solco si andava sempre più approfondendo con il passare del tempo; ecco perché i Normanni cercarono, in ogni modo, di mortificare l'elemento greco, sostituendo, man mano che si rendeva possibile, i vescovi greci, e indebolendo la forza dei monasteri basiliani che, a poco a poco, morivano o venivano sottoposti alla giurisdizione dei monasteri benedettini, primo fra tutti quello di Cava. Tuttavia l'atteggiamento dei Normanni verso il monachesimo greco fu molto prudente. Lo stesso Roberto, che più degli altri desiderava una rapida rilatinizzazione dell'Italia meridionale, non assunse "atteggiamenti odiosi verso un ordine che costellava la Calabria con i suoi cenobi e godeva di tanto prestigio presso le popolazioni soprattutto greche" (41). Cercò, tuttavia, di togliere importanza all'Ordine, sia, come già si è detto, affiliando i monasteri greci, soprattutto quelli meno importanti, a monasteri latini, sia fondando nuovi monasteri che colmava di beni e di privilegi.
Del Gran Conte Ruggero si è detto, invece, che fu il protettore dei monasteri bizantini; ma se questo può essere vero per i monasteri di Sicilia, regione ove il Conte aveva interesse a ridimensionare l'autorità degli Arabi musulmani, e a questo scopo poteva servire l'autorità che sulle popolazioni avevano i numerosissimi monaci greci, non è vero per i monasteri della Calabria. Di una certa simpatia verso i monasteri di rito greco si può parlare, invece per quanto riguarda la vedova del Gran Conte, Adelasia, e suo figlio Ruggero Il. Anzi è proprio in questo periodo che si diffonde nell'Italia meridionale, per opera di S. Bartolomeo di Simeri, la riforma studitana di cui è frutto insigne il "SS. Salvatore" di Messina al quale furono sottoposti ben quarantanove monasteri in Sicilia e in Calabria e al cui igumeno fu dato il titolo di "archimandrita". Nel 1160 Margherita di Navarra, reggente per il figlio Guglielmo II il Buono, fondò un altro archimandritato, dando questo titolo al vecchio monastero di Carbone, nel territorio della diocesi di Tursi, in Basilicata, retto, allora, dall'igumeno Bartolomeo (42). Questo nuovo centro monastico ebbe trentasei monasteri dipendenti.
Nonostante tutto questo, però, l'opera dei Normanni fu, come già si è detto, opera di rilatinizzazione del Meridione d'Italia, anche se non attuata tutta in una volta, ma a poco a poco, gradualmente. Finiva, così, giorno per giorno, quella "secolare grecità" in cui alcuni "colgono gli unici momenti positivi della storia sociale e religiosa in Lucania" (43). Ma l'azione di tanti religiosi non poteva finire con l'abolizione delle diocesi di rito greco e con la chiusura dei monasteri bizantini. E la religiosità stessa del popolo lucano ha conservato sempre, almeno sotto certi aspetti particolari, l'impronta della spiritualità orientale. La concezione stessa della santità, legata, nel popolo, all'idea di una vita severa ed eremitica, all'attesa del miracolo e, in genere, del soprannaturale, all'eroismo della carità, sono di tipica impronta bizantina. Come della spiritualità bizantina (severa e povera, in questa zona, non ricca d'oro e fulgida di pietre, come a Bisanzio e a Ravenna) resta il ricordo nelle tante piccole chiese, spesso rupestri (come nel Materano, nella Calabria (44) e nella Puglia (45)) sopravvissute nella Regione: dal Vulture al Raparo, alla valle dell'Agri. E resta il ricordo nelle immagini sacre che in queste chiese si conservano, immagini severe e del tutto spirituali, con il corpo quasi annullato fra le pieghe delle lunghissime vesti, il volto scarno per i lunghi digiuni, e i grandi occhi, troppo grandi, perché specchi della grandezza dell'anima tesa continuamente, nella meditazione, verso l'infinita grandezza di Dio.

NOTE:

1 Secondo il Rodotà, nell'Italia meridionale ci sarebbero stati circa 1500 monasteri di rito greco! 

2 C. KOROLEWSKIY,, Basiliens italo-grecs et espagnols, in "Dictionnaire d'histoire et géographie écclesiastiques", vol. VI, col. 1180 sg. 

3 Forse qualche monaco dovette venire già con le armate di Belisario e di Narsete. Cfr., a questo proposito, B. CAPPELLI, Il monachesimo basiliano e la grecità medievale, nel volume "Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani", Napoli, 1963, pg. 15. 

4 P. P. RODOTÀ, op. cit., vol. II, pp. 60 seg.; F. LENORMANT, La Grande Grèce, Paris, 1881, vol. II, pp. 391 sg. 

5 B. CAPPELLI, Il monachesimo basiliano..., cit., pg. 16. 

6 La "Vita di S. Elia il Giovane" fu pubblicata la prima volta, in traduzione latina, da O. GAETANI nella sua opera "Vitae Sanctorum siculorum", edita a Palermo nel 1657. La vita in questione si trova nel tomo II alle pp. 63-79. In traduzione latina fu pure pubblicata negli "Acta Sanctorum" dei Bollandisti, Aug. III, pp. 489-509. Finalmente, nel 1962 è stata pubblicata nel testo greco originale: Vita di S. Elia il Giovane, ed. e trad. da G. Rossi-Taibbi, Palermo (Istituto siciliano di Studi bizantini e neoellenici).

7 Circa l ubicazione di Saline cfr. G. Rossi-Taibbi, op. cit., pg. 155 e pp. 187 sg.; D. MINUTO, Ricordi basiliani tra Reggio e Locri, Reggio C., 1964, pp. 29-41.

8 La "Vita" di Elia lo Speleota fu pubblicata in "Acta Sanctorum" dei Bollandisti, Sept. III, pp. 848-877. Su Elia lo Speleota scrisse G. MINASI "Lo Speleota ovvero S. Elia di Reggio Calabria, monaco basiliano del IX-X secolo con annotazioni storiche", Napoli, 1893. 

9 La "Vita" di S. Filareto fu edita, in trad. latina, in "Acta Sanctorum", cit. Apr. I, pp. 606 618. Il testo greco è ancora inedito, eccettuati alcuni brani pubblicati dal Rossi-Taibbi in un excursus alla "Vita di S. Elia il Giovane", cit., pp. 189-194.

10 La "Vita" di S. Nicodemo è ancora inedita, eccettuati alcuni brani pubblicati dal Rossi-Taibbi in appendice all'op. cit., pp. 191-193, e altri pubblicati da S. BORSARI nel suo libro "Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nell'Italia meridionale prenormanne", Napoli, 1963, pp. 127-131.

11 Discute le varie opinioni, circa l'ubicazione del Mercurion e circa l'origine del nome, B. CAPPELLI, op. cit., pp. 230-231.

12 V. SALETTA, Il Mercurio e il Mercuriano, in "Bollettino della Badia greca di Grottaferrata" XIV (1960), pp. 109-144, e XV (1961), pp. 31-63.

13 F. LENORMANT, La Magna Grecia (trad. italiana di A. LUCIFERO), Crotone 1931, vol. 1, pg. 519.

14 G. SCHLUMRERGER, L'Epopée byzantine à la fine di dixième siecle, Paris, 1925, pp. 411-412.

15 M. AMARI, Storia dei Musulmani di Sicilia, II ed., Catania, 1933-1939, pg. 322.

16 A. ROCCHI, Vita di S. Nilo abate, Roma, 1904, pg. 6, n. 2

17 G. GIOVANELLI, L'Eparchia monastica del Mercurion, in "Bollettino della Badia greca di Grottaferrata" XV (1961), pp. 121-143. 

18 G. GAY, op. cit., pp. 246-248.

19 P ORSI, Le Chiese basiliane della Calabria, Firenze, 1929, pg. 262.

20 B. CAPPELLI, Alla,ricerca di Latinianon, in "Il monachesimo...", cit., pp. 255-274.

21 Il monastero di S. Lorenzo è da situare, secondo il CAPPELLI (op. cit., PP. 264.sg.) presso l'attuale cittadina di Episcopia, in Basilicata. Cfr. anche, nella stessa opera, pg. 237 e pp. 285-286.
Le "Vite" dei santi Saba e Macario furono scritte da Oreste, patriarca di Gerusalemme, "Historia et laudes SS. Sabae et Macarii, auctore Oreste patriarca Hierosolimitani (...edidit et adnotationibus illustravit I. Cozza-Luzi)", Romae, MDCCCXCIII.

22 G. GAY, op. cit., pg. 248.

23 La "Vita" di S. Luca di Demenna (confuso, però, con S. Luca di Armento) è, in latino, nelle "Vitae Sanctorum siculorum" già cit. del GAETANI, tomo II, pp. 96-99. 

24 B. CAPPELLI, I Basiliani del Mercurion e di Latinianon, in "Il monachesimo basiliano...", cit., pp. 288-291.

25 La "Vita" di S. Vitale è in "Acta Sanctorum" dei Bollandisti, Mart. II, pp. 26-34, e in "Vitae Sanctorum siculorum" del GAETANI già cit., pp. 86-93.

26 La "Vita" di S. Leoluca (il suo nome di battesimo era Leone, mutato in Luca nella vestizione monastica) è in "Acta Sanctorum" cit., Mart. I, pp. 98-102.

27 B. CAPPELLI, S. Fantino, S. Nilo, S. Nicodemo, in "Il monachesimo basiliano...", cit., pp. 186-188.

28 La "Vita" di S. Nilo fu edita dal MIGNE, P. G., 120, coll. 16-165. E' stata, in seguito, volgarizzata dal P. Rocchi "Vita di S. Nilo abbate" cit. e, nel 1966, da G. GIOVANELLI "Vita di S. Nilo, fondatore e patrono di Grottaferrata. Versione e note a cura dello jeromonaco GERMANO GIOVANELLI", Badia di Grottaferrata, 1966. Nel 1972, lo stesso P. GIOVANELLI ha pubblicato, con un lungo studio introduttivo, il testo originale greco , Badia di Grottaferrata, 1972.
La "Vita" di S. Nilo (con ogni probabilità scritta dal suo stesso discepolo S. Bartolomeo) è considerata da tutti il capolavoro delle "vite" dei Santi italo-greci dell'Italia meridionale. È del massimo interesse non solo per conoscere la spiritualità del grande santo rossanese, ma anche per le tante notizie che ci dà circa l'ambiente sociale in cui vivevano i monaci, circa il loro tenore di vita e circa l'organizzazione dei monasteri.

29 G GAY, op. cit., pp. 250-251.

30 I. COZZA-LUZI, op. cit., PP. 17-18 

31 Vita di S. Nilo (trad. GIOVANELLI), cit., pp. 14-15. 

32 Su questo grande discepolo e compagno di S. Nilo è uscito, qualche anno fa un accurato lavoro di R. D'ALESSANDRO: Il B. Proclo e Bisignano durante la dominazione bizantina, Grottaferrata, 1970. 

33 A. ROCCHI, De coenobio cryptoferratensi eiusque bibliotheca et codicibus, Tusculi, MDCCCXCIII, pg. 11. 

34 MIGNE, P. G., vol. CXX, coll. 21 sg.; e B. CAPPELLI, op. cit., pg. 187. 

35 S. Nilo intervenne direttamente per salvare i suoi concittadini di Rossano dall'ira del "magistro" Niceforo. Cfr. G. GIOVANELLI, op. cit., pp. 75-76. Vedi anche, per quanto riguarda la carità del Santo verso i sofferenti, pp. 79 sg. 

36 Il MIGNE, P. G., ci dà due recensioni della "Vita" di S. Teodoro: la A, nel vol. 99, coll. 113-232, e la B, nello stesso volume, coll. 233-328. 

37 L Cozza-Luzl, Historia et laudes..., cit., pg. 42. 

38 G SCHIRÒ, Vita di S. Luca vescovo di Isola Capo Rizzuto, testo e traduzione a cura di G. SCHIRÒ, Palermo, 1954.

39 G. SCHIRÒ, op. cit., pg. 13.

40 G SCHIRÒ, op. cit., pg. 13.

41 E. PONTIERI, op. cit., pg. 188.

42 Il documento è stato edito da G. ROBINSON, History and cartulary of the greek monastery of St. Elias and St. Anastasius of Carbone, Roma, 1930, t. II, II parte, Cartulary, doc. 46. (Orientalia christiana, t. XXIX, 1, pp. 71-72). Il diploma fu confermato dalla regina Costanza nel 1196, l. cit., doc. 66, pp. 142-143.

43 N. CILENTO, op. cit., pg. 566 

44 P. ORSI, op. cit.; D. MINUTO, Ricordi basiliani tra Reggio e Locri, Reggio C., 1964.

45 C. D. FONSECA, Civiltà rupestre in terra jonica, Milano-Roma, 1970.

 

 

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