CIVILTA' BIZANTINA IN BASILICATA
IV. I GRECISMI DEI DIALETTI MERIDIONALI
La lingua greca era conosciuta, nell'Italia meridionale, ancora nel secolo
XIII e oltre. Per quanto riguarda, in particolare, la Basilicata,
l'ultimo documento greco riportato nel "Syllabus" del Trinchera è del 26
luglio 1232 (1). C'è da dire, tuttavia, che non c'è in Basilicata (né
pare che ci sia mai stato) nessun paese ove si parli un dialetto greco.
Si deve pensare, perciò, che i documenti in lingua greca che riguardano
la Regione o si riferiscono a gente che, in quei tempi, ancora parlava
il greco o sono dovuti al fatto che in quel periodo la lingua greca era
conosciuta da molti ed era, in certe zone, la lingua ufficiale dei
documenti e degli atti notarili.
I dialetti lucani, come, del resto, tutti gli altri dell'Italia
meridionale (eccettuate le "isole" greche della Calabria e del Salento e
gli idiomi particolari delle comunità di origine albanese) poggiano,
essenzialmente, su una stratificazione latina. In essi, però, oltre alle
tante parole greche, ci sono termini oschi, gallici, arabi, germanici,
spagnuoli, francesi e, ancora, antichissime parole di origine
mediterranea; termini tutti che indicano o la lontana origine dei vari
gruppi da cui discendono gli attuali Lucani o i diversi popoli che, nel
corso dei secoli, hanno, più o meno a lungo, abitato nel territorio
della Regione (2).
Circa l'origine delle parlate greche della Calabria e del Salento, e dei
vocaboli greci dei dialetti meridionali, c'è ancora, fra gli studiosi,
una vivace polemica. Alcuni, infatti, come il Rohlfs (3), ritengono che
non vi sia stata interruzione nella grecità del Meridione d'Italia
iniziata con l'antica colonizzazione ellenica. Altri, invece, come il
Gay (4), il Battisti (5), l'Alessio (6), il Parlangeli (7), sostengono
che, con la conquista romana, a poco a poco il Meridione si latinizzò
integralmente e che le parlate greche del medioevo sono tutte da
ascriversi alla bizantinizzazione che cominciò a imporsi fin dal secolo
VII.
Questa seconda opinione è, senz'altro, oltre che la più seguita dagli
studiosi, la più probabile. Non si può pensare, infatti, che il greco,
dimenticato lungo le coste (8) ove solo si parlava nei tempi antichi
(mentre nell'interno, si sa, si parlavano dialetti locali per lo più di
origine indoeuropea, come l'osco) si fosse diffuso e si conservasse in
poveri villaggi sperduti fra i monti: Si deve pensare, dunque, che
queste zone, latinizzate nel periodo romano, ritornassero greche nel
periodo bizantino. Nei luoghi ove si fermarono gruppi consistenti di
immigrati (sia soldati che civili e monaci) si ebbero centri abitati, da
gente che parlava il greco, ove, invece, la bizantinizzazione fu
piuttosto marginale, come ai confini calabro-lucano-campani e in qualche
zona interna della Basilicata (alta val d'Agri) si ebbe solo una ricca
immissione di vocaboli greci nelle parlate locali di prevalente origine
latina. In queste zone i ricordi greci (che, ovviamente, vanno man mano
riducendosi con il passare dei secoli) sono, in prevalenza, di sicura
origine monastica o, in genere, religiosa e liturgica. Anche molte
parole della toponomastica (nomi di aziende agricole e di contrade di
campagna) fanno pensare, in queste zone, agli antichi religiosi
orientali e, spesso, riecheggiano i nomi di santi molto venerati dai
monaci greci, o di fondatori di alcuni celebri monasteri: S. Nicola, S.
Elia, S. Sofia, S. Caterina (d'Alessandria), S. Nilo, S. Teodoro, S.
Jorio ecc. Anche alcuni nomi di luoghi che non ricordano, di per sé,
cose liturgiche o figure di santi, si deve pensare (riferendosi a zone
interne della Regione o a centri di sicura origine medioevale) che siano
nati nel periodo bizantino. Così, ad esempio, il nome di Senise che,
certamente, deriva dal termine greco sínesis (confluenza (9), e indica,
evidentemente, il luogo di confluenza del Sinni con il Serrapotamo
(10)). Il nome stesso di questo affluente, Xeròs potamòs (fiume secco,
riferito al regime torrentizio del Serrapotamo che nella stagione calda
è quasi asciutto), non può essere nato se non nel periodo bizantino, per
il motivo, accennato poco fa, che questo nome è usato in zone lontane
dalle coste, e viene ripetuto in un territorio ancora più interno della
Basilicata, a Laurenzana, ove molto fiorente fu la colonizzazione
monastica basiliana.
In particolare è stato anche notato (11) che mentre la grecità della
Calabria e della Terra d'Otranto si può attribuire soprattutto
all'influsso dei soldati e delle persone che li seguivano durante le
campagne militari; la grecità ai confini calabro-lucano-campani è
certamente dovuta ai monaci, perché alcune di queste zone non sono mai
state sotto il diretto dominio bizantino. C'è, però, da ricordare,
ancora una volta, che con i monaci si movevano "dei nuclei di
popolazioni greche, che, per opera degli stessi monaci, vennero immessi
nei territori longobardi... Questi nuclei, mentre propagavano
direttamente la razza greca con le loro famiglie originarie e con quelle
nuove sorte nello stesso ambito delle immigrate o, indirettamente, per
mezzo dei matrimoni misti con la gente del luogo, servirono come veicolo
e vivente mezzo di diffusione di nuove idee e lingua, di nuovi e diversi
costumi..." (12).
Ciò che contribuì a conservare più a lungo la civiltà bizantina
nell'Italia meridionale fu la liturgia. Non solo nei monasteri basiliani
ove, ovviamente, si officiava e si pregava in lingua greca, ma anche in
alcune diocesi del meridione si conservò a lungo la liturgia bizantina
e, quindi, almeno in chiesa, la lingua greca. A questo proposito è
interessante notare come, ancora nel 1572, Ferdinando Spinelli, vescovo
di Policastro, si preoccupasse della rilatinizzazione della sua diocesi
(13), e, cosa ancora più importante e significativa, il Vescovo di
Capaccio, secondo quanto riferisce l'Antonini (14), recatosi
nell'abitato , di Cuccaro Vetere, "credendosi di far qualche gran
servizio alla Chiesa di Dio, tolse (alla parrocchia di S. Nicola che era
"assolutamente greca") tutti i Menologi, ed i sacri libri di quel rito,
e pubblicamente, quasi fossero tante bestemmie, brugiar li fece con un
sacco di greche scritture, che forse a qualche cosa eran buone per uno,
che avesse saputo l'Abici, e non avesse tali monumenti aborrito".
Naturalmente, in queste chiese, oltre a officiarsi in lingua greca, si
doveva predicare nella medesima lingua o, anche a voler usare i
linguaggi delle varie zone, doveva essere comune, fra i predicatori,
l'uso di vocaboli greci, come a loro più naturali e più consoni con i
riti che, nelle stesse chiese, ogni giorno si svolgevano. Cose tutte che
contribuirono, in maniera decisiva, a immettere, nei linguaggi locali,
vocaboli greci di ogni tipo.
Il greco, dunque, che ancora si parla in qualche zona della Calabria e del
Salento e i tanti vocaboli greci che sussistono in tutti i dialetti del
Meridione d'Italia non derivano dal greco illustre dei classici antichi,
ma da quello parlato nel periodo della dominazione bizantina nell'Italia
meridionale; perciò, considerando le parole di origine greca dei
dialetti meridionali, solo relativamente si può guardare al così detto
greco classico; bisogna guardare, invece, al greco medioevale, quello,
appunto, del periodo bizantino (molto diverso, anche nella pronuncia,
dal greco classico) e alla parlata viva del popolo, la quale non sempre
coincideva non solo con la lingua greca antica, ma nemmeno con la lingua
scritta del periodo in questione. C'è anche da notare che nel periodo
bizantino, oltre che nell'Italia meridionale, molte parole greche si
diffondono anche in altre zone dell'Italia, sia per motivi politici che
per motivi economici e commerciali; così si è, da alcuni, parlato di
"bizantinismi di arrivo" alle città marinare dell'Italia, come Genova e
Venezia (15). Riferendo, perciò, le parole greche sopravvissute nei
nostri linguaggi alle corrispondenti parole della lingua greca del
periodo classico, bisogna tener presenti tutti i fenomeni che
normalmente si notano nell'evoluzione di una lingua.
I fenomeni linguistici più frequenti che si possono osservare
nell'evoluzione dei vocaboli greci presenti nei dialetti meridionali si
notano, abitualmente, nell'evoluzione di tutte le lingue indoeuropee.
Quando, perciò, si considera un qualsiasi termine dialettale e si dice
che deriva da un dato vocabolo greco, non bisogna pretendere di trovare
sempre, fra le due parole, identità di suono, perché nell'evoluzione
della lingua e nel suo uso vivo e quotidiano si sono, spesso, avuti dei
mutamenti linguistici che hanno potuto portare, nella parola? importanti
trasformazioni di suoni. Forse, fra questi fenomeni linguistici, il più
comune nei dialetti meridionali, e non solo in essi, è la "metatesi"
cioè lo scambio di due suoni nel corpo di una stessa parola. Così, per
dare un esempio, dal greco bátrachos (rana) si ha, a Sant'Arcangelo, la
parola "vrótaka" in cui il suono "r" viene spostato dalla penultima alla
terz'ultima sillaba (16). In questa stessa parola si può osservare anche
un altro fenomeno, comune in tutte le parlate indoeuropee: il mutamento
della labiale "b" nella labiodentale "v". Altri fenomeni, abbastanza
comuni nei dialetti meridionali, sono: la "protesi", cioè l'aggiunta di
un suono all'inizio della parola ("naspro" da aspros = bianco),
l'"epentesi", cioè l'aggiunta di un suono nel corpo della parola
(salavrón$
da sáura = lucertola) (17) e l'"epitesi" o "paragoge", cioè l'aggiunta
di un suono alla fine della parola (pipirite da péperi = pepe).
Ci sono anche altri fenomeni linguistici che, essendo meno frequenti,
saranno notati, volta per volta, quando ne capiterà l'occasione.
C'è da notare ancora un'ultima cosa: nei dialetti meridionali, in cui,
come già si è detto, non si deve pretendere di trovare intatti i
vocaboli del greco classico, le parole hanno conservato, a volte, una
forma più arcaica rispetto ai vocaboli che si usano nel greco moderno:
fenomeno, questo, comune a tutte le zone periferiche.
Ancora un'ultima osservazione: ovviamente i vocaboli greci dei dialetti
meridionali hanno forma diversa da zona a zona.
NOTE:
1 F. TRINCHERA, op. cit., pp. 394-395
2 R BIGALKE, op. cit., introduzione.
3 G. ROHLFS, Scavi linguistici della Magna Grecia, Halle-Roma, 1933. - "Le
due Calabrie" in "Almanacco calabrese", 1962, pp. 53 sg.
4 G. GAY, Op. cit., pg. 10.
5 C. BATTISTI, Nuove osservazioni sulla grecità in provincia di Reggio
Calabria, in "L'Italia dialettale", 1930, pp. 57 sg. e "Ancora sulla
genesi della grecità in Calabria", in "Archivio storico per la Calabria
e la Lucania", 1933, pp. 67-95.
6 G. ALESSIO, Saggio di toponomastica calabrese, Firenze, 1939. - La
stratificazione linguistica del Bruzio Tivoli, 1956. - La Calabria
preistorica e storica alla luce dei suoi aspetti linguistici, Napoli,
1956.
7 O. PARLANGELI, Storia linguistica e storia politica nell'Italia
meridionale, Firenze, 1960, pp. 59 sg.
Anche il RACIOPPI (op. cit., II, pp. 91 sg.) sostiene, con molto vigore,
la stessa opinione, notando, fra l'altro, che non si potrebbe spiegare,
se si riferisse il greco dell'Italia meridionale al greco dell'antica
Magna Grecia, perché mai solo in poche zone di montagna, ben delimitate
e minuscole, si sarebbe conservato quell'antico idioma che sarebbe,
invece, morto in tutte le altre zone circostanti.
8 Strabone (63 a.C. - 19 d.C.) ci fa sapere (Geographica, VI, 253) che al
suo tempo il greco era parlato, ancora, solo a Taranto, a Reggio e a
Napoli, mentre le altre antiche colonie elleniche erano, ormai, tutte
"barbarizzate".
9 Il termine è usato già da Omero, Od., 10, 515: petre te xinesis te duo
potamòn eridúpon ... (roccia, confluenza di due fiumi sonanti).
10 È strano che nessuno abbia pensato a questa etimologia che pure è così
semplice e congrua. Il RACIOPPI (op. cit., II, pg. 73, n. 111) fa
derivare il nome di Senise "dal basso latino "sentia" che fu luogo di
spine, sentibus refertus. Da sentia o sensia è sen-i-sia"!
P. DE GRAZIA (cit. da F. BASTANZIO, Senise nella luce della storia, Palo
del Colle, Bari, 1950, pg. 4) fa derivare il nome dal Sinni. Questa è
l'opinione più comune; anche ISABELLA MORRA (A. ULIANO, Rime di 1. Morra
e di Diego Sandoval de Castro, Francavilla, 1982, pg. 65) la pensava
allo stesso modo; parlando, infatti, di Senise e rivolgendosi al Sinni,
dice: "...la terra che da te deriva il nome...".
Sulle origini di Senise cfr. ciò che dice F. BASTANZIO, op. cit., pp. 2-3.
11 B. CAPPELLI, op. cit., pp. 14-15.
12 B. CAPPELLI, op. cit., pg. 24.
13 Paleocastren Dioceseos historico-cronologica synopsis... N. M.
Laudisii... iussu confecta, Napoli, 1831, pg. 42. cit. da B. CAPPELLI,
OP. cit., pg. 14.
14 G. ANTONINI, op. cit., vol. I, pp. 339-340.
15 G. DEVOTO, Il linguaggio d'Italia, Milano (BUR), 1977, pp. 215-216.
16 Qualche volta lo scambio avviene anche fra due parole; così, ad
esempio, nel dialetto di Senise, c'è l'espressione "...ar'Amélica" per
"...all'America" ove la "l" della prima parola ha cambiato posto con la
"r" della seconda, e viceversa.
17 Nota, in questa parola, un altro fenomeno linguistico molto frequente:
il mutamento fra i suoni "u" e "v".
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