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LUIGI BRANCO - Memorie di S. Maria di Orsoleo
 

II°   LA CHIESA DI S. MARIA

Circa l'origine di Orsoleo e, in genere, sulla storia del Convento, si hanno, purtroppo, pochissimi documenti: ed è cosa strana, se si pensa all'importanza che il Convento ebbe nella storia dei Francescani di Basilicata. Siccome è lecito pensare che nel Convento, che, fra l'altro, fu sede provinciale dell'Ordine e importante centro di studi, doveva trovarsi una grande biblioteca e un molto ricco archivio, fa meraviglia che, di tutto questo, non sia rimasto assolutamente nulla, se si eccettua qualche rarissima carta dell'ultimo periodo di vita, a metà del sec. XIX. Gli unici documenti antichi giunti fino a noi sono conservati nell'archivio della badia della SS. Trinità di Cava, forse portati colà per esservi custoditi (come suppone P. Mattei-Cerasoli, che per primo lesse e pubblicò i documenti) (1) o, si potrebbe pensare, perché, riferendosi, detti documenti, ad un luogo prossimo a una chiesa che fu di sicura dipendenza cavense, non potevano non finire nel suo archivio. Presso Orsoleo, infatti, o nell'ambito stesso del suo territorio, sorgeva la già ricordata chiesa (o piccolo monastero) di S. Pancrazio, che nel 1144 fu ceduta alla badia di S. Maria di Cersosimo, che, a sua volta, era già passata sotto la giurisdizione del monastero di Cava (2).
Dal primo di questi documenti, che è del marzo 1192, si ricava che "in civitate Sancti Archangeli" vivevano due fratelli: Daniele "miles" (cioè soldato, da intendersi probabilmente, come cavaliere) e Zaccaria, prete, proprietari di alcune terre nella valle detta "Ursolei". Confinante con queste terre ve n'era un'altra (appartenente a un certo Algio, pure di Sant'Arcangelo) ove c'era, fra l'altro, una "cripta sculpta", cioè una grotta scavata artificialmente, che serviva per la cura del fondo stesso (3), o (ed è più probabile in questo caso specifico) era una di quelle grotte che, ornate di immagini sacre, erano servite; o servivano ancora, come luoghi di culto per eremiti e monaci bizantini. I due fratelli, Daniele e Zaccaria, volendo costruire, in onore della Madonna, una chiesa presso questa grotta (ove, come già accennato, si può pensare che già si venerasse qualche immagine sacra) chiesero ad Algio che vendesse loro la sua proprietà; ed Algio la vendette al prezzo di duecento ducati (4). L'atto di vendita (di non sicura interpretazione, perché il documento è rovinato dall'umidità) fu redatto dal notaio Giovanni di Sant'Arcangelo, alla presenza di due giudici, Ruggiero e Giovanni, e di due testimoni: Giovanni, figlio del giudice Goffredo (5), e Michele di Teodoro, tutti di Sant'Arcangelo.
Il P. Mattei-Cerasoli, primo editore dei documenti che qui, seguendo le sue indicazioni, vengono esaminati, nota a questo punto: "Va a onore di S. Arcangelo che i due giudici fossero letterati e poeti, giacché ambedue firmano in versi: Hoc iudex verus firmat ratione Rogerius; Bonicio genitus iudex hec firmat Johannes" (6).
Sei anni dopo (7), la nuova fondazione già ampliava il suo territorio: con un atto del notaio Virgilio, di Sant'Arcangelo, Cura Maria, figlia di Nicola Bulcina, vende al fratello prete, Zaccaria, una terra nella valle di Orsoleo, confinante con la vigna dello stesso Zaccaria (8). L'atto viene sottoscritto dal già ricordato giudice Giovanni alla presenza di tre testimoni: Michele milite, Simeone de Salvia, Pellegrino figlio di Roberto Blanco.
La chiesa dovette ben presto attrarre fedeli e devoti, che, come si usava, l'arricchirono di doni, di terre, di case. E, di conseguenza, cominciarono, per i rettori della cappella, le preoccupazioni inerenti all'amministrazione della proprietà. Nel 1272 si trova come rettore della chiesa un prete di Sant'Arcangelo: Daniele Vulturino, il quale è costretto a difendere i diritti della fondazione sacra contro gli eredi di un vecchio benefattore, un certo Giovanni di Palombara. Costui, per testamento, aveva lasciato alla cappella di Orsoleo una casa, col patto che vi abitassero, vita durante, la vedova Marotta e i figli: Giovanni, Nurrisia e Margherita. Giovanni, però, aveva impugnato il testamento, e il prete Daniele gli aveva intentato contro una causa, che riuscì a vincere. Frattanto moriva Giovanni lasciando sua erede la sorella Nurrisia, che aveva sposato un Pintacio di Sellitto, domiciliato a Pietrapertosa. Il prete Daniele, sebbene avesse vinto la causa, non riusciva ad entrare nell'effettivo possesso dei beni in questione, per l'opposizione di Marotta e delle figlie; perciò, nel marzo 1272, si rivolse al giudice di Pietrapertosa citando Marotta e Nurrisia. Alla causa si presentò il Sellitto, al quale il giudice impose di restituire a Daniele la casa con la condizione che in essa potesse continuare a vivere l'altra figlia di Marotta, Margherita, e che il priore pagasse al Sellitto mezzo augustaIe (2).
La chiesa doveva essere di diritto privato: il prete, cioè, che l'amministrava non era soltanto patrono, ma anche padrone, proprietario della cappella e dei beni ad essa legati. Questo si può arguire dal testamento che fece il già ricordato prete Daniele "...sabato 18 novembre, indizione ottava (10) (1279), nel territorio di Sant'Arcangelo, presso la chiesa di S. Maria di Orsoleo. Presenti Ruggiero di Ordeolo, pubblico giudice della stessa terra, il notaio Giacomo di Sire Goffredo, Filippo del signore Leopetro, Nicola di Archicino, Giovanni del maestro Giacomo, Roberto di sire Alessio, e molti altri per questo esplicitamente chiamati e pregati", il prete Daniele Vulturino "della stessa terra di Sant'Arcangelo, patrono e rettore della suddetta chiesa di S. Maria di Orsoleo, gravemente ammalato, dubitando che per questa malattia possa giungere al termine della vita, sano tuttavia di mente, e perfettamente sano di memoria e di parola e pienamente consapevole", assistito dal suo avvocato, Guglielmo Mainardo di Sant'Arcangelo, diede al prete Bonicio, assistito da Raone di Orengia "suo consanguineo e avvocato... ogni diritto e ogni patronato" che aveva sulla stessa chiesa "con i suoi beni immobili e mobili, così che possa disporne a sua volontà come patrono e legittimo successore" imponendogli alcuni obblighi specifici circa i beni mobili: di questi l'erede poteva tenere una terza parte per il servizio della chiesa, una terza parte doveva darla ad Alessandra, serva di Daniele; "la restante terza parte, continuava il testatore, tolta prima una giumenta che assegno al mio nipote Filippo, e una giumenta e una capra che aggiudico a Muncifuscolo diacono e mio nipote, lo stesso prete Bonicio la distribuisca e spenda a suo piacere a luoghi sacri e ai poveri" (11). Stabiliva anche che la predetta serva Alessandra, se ne avesse avuto piacere, continuasse a servire, per tutta la sua vita, la chiesa di Orsoleo, ricevendone il vitto necessario, senza nessun ostacolo da parte dell'erede. Questo importante documento, che rivela, almeno in parte, l'ordinamento amministrativo e la ricchezza dell'antica chiesa di S. Maria, fu steso, come già è stato notato, da Giacomo di sire Goffredo e sottoscritto, oltre che dal giudice di Sant'Arcangelo, Ruggiero di Ordeolo, da ben sette testimoni.
Il prete Bonicio fu, certamente, uomo stimato e buon amministratore: sotto il suo rettorato i possedimenti della chiesa crebbero di molto, o per donazioni o per acquisti. Nel luglio del 1281 (indizione IX) lo stesso notaio Giacomo di sire Goffredo, che aveva scritto il testamento del prete Daniele, stendeva (alla presenza dei giudici Guglielmo di sire Lorenzo e Giacomo di sire Raone, e dei testimoni notaio Pietro, figlio del giudice Giovanni, e Giovanni di Secondolito) un atto di donazione con cui Filippo di Uca, abitante a Sant'Arcangelo, offriva "alla chiesa della Beata Maria di Orsoleo, nelle mani del prete Bonicio, patrono e rettore della stessa chiesa, presente il suo avvocato Conte di Scala, due vigneti: il primo nel luogo detto Bossino (12), presso la vigna di Roberto di Pullo, l'altro sotto la stessa chiesa".
Nello stesso mese di luglio, lo stesso notaio Giacomo, alla presenza degli stessi testimoni, stese un altro atto, con cui un prete di Sant'Arcangelo, "Paolo figlio del fu Amerisio da Selcubino (donava) alla chiesa di S. Maria di Orsoleo ... due vigneti fra loro confinanti nel luogo detto Bossino, presso la terra di donna Bianca figlia del fu maestro Pietro medico; dei quali vigneti i confini sono i seguenti: la via pubblica che va a Roccanova, la terra della stessa chiesa della Beata Maria di Orsoleo, la terra della predetta donna Bianca, che è in possesso di Guglielmo di Maiore, come dote da parte della moglie, e la terra di Giovanni Pillicello ..." .
Due anni dopo, nel novembre del 1283 (indizione XI) il prete Bonicio, forse per non avere estranei a ridosso della chiesa e per ampliare in modo uniforme le terre che amministrava, compra da Giovanni di donna Emma, abitante a Sant'Arcangelo, delle terre situate nel luogo detto Cariati (13). Il documento (arca LVIII, n. 34 dell'archivio di Cava) (14) steso dal notaio Ruggiero di Ordeolo e sottoscritto da quattro testimoni, presenta un certo interesse soprattutto per la descrizione dei confini (anche se non del tutto identificabili) delle terre comprate. Vi si parla, infatti, di una lunga scala "detta di Subica", che sembra fosse vicinissima alla chiesa e che, toccando terre di diversi proprietari, poteva essere causa di fastidi per l'amministrazione e per il culto della chiesa stessa. Giovanni di donna Emma, nell'atto di vendita, dice esplicitamente che cede le sue terre per un prezzo inferiore al loro valore: per tre tareni d'oro e quindici grani "per rimedio della (sua) anima". Queste terre, vendute, dunque, ad un prezzo di favore, per devozione, confinavano con quelle del notaio Guglielmo Greco, il quale, con un atto scritto dal notaio Pietro, figlio del notaio Giovanni, e sottoscritto dal giudice Giacomo di sire Goffredo, dal medico Corrado e da altri quattro testimoni, nel gennaio del 1286 le donava alla Madonna di Orsoleo, la quale, dice esplicitamente il donatore, "visibiliter annuit et hostendit, meipsumque liberans subplicio carceris, ubi hostiliter detinebar" (15): lo protesse, cioè, visibilmente, liberandolo dal carcere ove era tenuto "hostiliter", cioè dai nemici, più che, in modo quanto mai vago, "ostilmente". Possiamo, dunque, pensare che Guglielmo Greco forse era stato fatto prigioniero in una delle tante battaglie della guerra del Vespro (1282-1302). Raccomandatosi alla Madonna di Orsoleo e liberato, volle donare al Santuario le terre che possedeva nella contrada Cariati, confinanti con i possedimenti della chiesa stessa.
Si può pensare, dunque, che con l'amministrazione di Bonicio il territorio di Orsoleo assumesse, più o meno, le dimensioni e l'esposizione che ha, poi, sempre mantenuto.

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NOTE DEL CAPITOLO 2

1) P.L. Mattei-Cerasoli - S. Maria di Orsoleo presso S. Arcangelo di Potenza - in ASCL, 1947, già cit., pp. 93-111. Nell'introduzione, p. 93, l'autore si chiede come mai i documenti si trovino a Cava.

2) P. Mattei-Cerasoli - La badia di Cava e i monasteri greci della Calabria superiore... cit.

3) Le grotte erano elementi integranti dei fondi coltivati: potevano servire a vari usi, soprattutto a contenere trappeti e palmenti. La suppellettile delle grotte era costituita da mangiatoie, archi per conservare il foraggio, vasche, panche, piccole nicchie per le lampade a olio, scale per accedere a luoghi particolari, camini, ecc. Cfr. in proposito, R. Torio, - Olive e olio in Terra di Bari in età normanno-sveva - in "Quaderni medievali", dic. 1985, pp. 67-102, per le "criptae", in particolare, le pagine da 91 a 99.

4) E' impossibile dire a quale somma oggi potrebbe corrispondere; ma se si tien conto che all'epoca normanna, in cui si svolgono i fatti di cui si parla (e anche dopo, fino al sec. XIX) sei ducati formavano un'oncia d'oro, che equivaleva a sua volta a trenta tarì, e che un tari equivaleva a grammi 0,888 di metallo aureo, e che, dunque, un'oncia d'oro raggiungeva il peso di grammi 26,64 di oro, la somma di duecento ducati, se si calcola un'oncia al valore di 500-520.000 lire, equivarrebbe a più di 17 milioni di oggi; ma sono valori quanto mai approssimativi, e, soprattutto, bisogna tener conto che il valore di acquisto, in quei tempi di scarsa circolazione di denaro, era molto più grande di quello odierno.

5) Questo giudice Goffredo compare in un atto di vendita redatto a Colobraro nello stesso anno 1192; cfr. F. Trinchera, - Syllabus grecarum membranarum - Napoli, 1865, p. 312. Al secondo segno di croce dei testimoni si trova scritto: o tov kalBrarou krithz tou agiou agcaggelou martur upegraya dia tou staurou  (o tu calubraru critès iosfrès tu aghiu archanghelu martir ipergrapsa dia tu stauru = io Goffredo di Sant'Arcangelo giudice di Colobraro testimone ho sottoscritto con la croce).

6) "Ruggiero vero giudice, firma secondo ragione, questo documento - Giovanni, figlio di Bonicio, giudice, firma queste cose". Cfr. L. Mattei-Cerasoli, - S. Maria di Orsoleo... cit., p. 94.

7) Il secondo documento di Cava porta la data 8 sett. 1198. Si vuol ricordare che l'otto settembre, natività della Madonna, è da sempre il giorno della festa di Orsoleo.

8) Questo prete Zaccaria è lo stesso prete che nel primo documento è detto fratello di Daniele, il quale, però, nota Mattei-Cerasoli (ib. p. 94) doveva essere, propriamente, fratellastro di Zaccaria, che aveva, dunque, questa sorella Cura Maria, sposata a un "ser" Bonicio, con il consenso del quale vende al fratello la sua proprietà al prezzo di due soldi pugliesi.

9) L'augustale era una moneta d'oro equivalente a un fiorino e un quarto, fatto coniare da Federico II (perciò "augustale" cioé moneta di Augusto, dell'imperatore) nel 1231.

10) Si chiamava "indizione" un computo cronologico basato su un ciclo di 15 anni. L'indizione era sempre relativa ai diversi luoghi e ad altre date di partenza (anni di regno di un sovrano, anni di pontificato, era cristiana, ecc.). Dopo la quindicesima indizione si ricominciava a contare da 1.

11) I brani riportati tra virgolette sono una fedele traduzione del testo originale latino pubblicato da L. Mattei-Cerasoli nel lavoro su Orsoleo già cit., pp. 102-103.

12) Non si sa a quale contrada corrisponda. Il nome potrebbe derivare da bosid (bosis) che signifca "pascolo".

13) Il nome potrebbe significare " luogo piacevole" (da cairw) che deriva, a sua volta, da car - iw : chairo-chario) e riferirsi (anche perché nel documento si parla, tra l'altro, di una "lunga scala") alla zona alta di Orsoleo, quella a ridosso del lato orientale, presso la cupola della chiesa; la collinetta, coperta di lentischi, ancora oggi è detta "Belvedere".

14) L. Mattei-Cerasoli, op. cit., pp. 107-109.

15) L. Mattei-Cerasoli, op. cit., pg. 110.

 

 

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