VII° CHIUSURA DEL CONVENTO
La fine di Orsoleo, come, del resto, di tanti altri luoghi pii e di tante
chiese, cominciò nel 1861 con i decreti della Luogotenenza di Napoli del 17
febbraio (n. 251) e del 13 ottobre (n. 318) (1) con i quali si sopprimevano,
nelle Province Napoletane e in Sicilia, gli ordini monastici di ambo i
sessi, ed i Capitoli della Chiesa Collegiate non aventi cura d'anime. Questi
decreti non erano altro che l'applicazione, nelle province meridionali del
nuovo Regno d'Italia, della legge approvata dal Parlamento Subalpino il 29
maggio del 1855. Il Governo, però, si accorse che questa legge non aboliva,
di fatto, tutte le istituzioni ecclesiastiche che si volevano colpire,
perché nell'Italia meridionale quasi tutte le chiese praticavano il
ministero della "cura d'anime"; per questo cercò di colpirle indirettamente
stabilendo, con una nuova legge del 21 aprile 1862, una tassa su tutti i
beni delle corporazioni religiose, la così detta "tassa di manomorta",
rinviando a tempi più tranquilli (quando nel Meridione, ora sconvolto dal
brigantaggio e da tanta insofferenza reazionaria, fosse tornata la calma)
una legge più precisa e più dettagliata. Molti monasteri, infatti, anche se
con molti sforzi e intelligenti cavilli riuscirono, anche se solo per
qualche anno, a sopravvivere anche a queste nuove leggi.
Nel 1860 c'erano, nella diocesi di Anglona-Tursi, tredici conventi; di
questi quello di Orsoleo, l'unico a non dipendere direttamente dalla
giurisdizione vescovile, era, certamente, il più ricco e il più importante.
Di questi tredici conventi riuscirono a restare aperti, dopo le leggi del
1861-62, solo cinque: quello dei Cappuccini di Castelsaraceno, quello dei
Lazzaristi di Tursi e quelli dei Minori Osservanti di Carbone, di Colobraro
e di Orsoleo (2).
Con una nuova legge, del 7 luglio 1866, si sopprimevano anche le Chiese
Collegiate (3) con cura d'anime, e veniva tolto agli Ordini e alle
Congregazioni religiose ogni riconoscimento giuridico. Finalmente, con la
legge del 15 agosto 1867 (allora i deputati lavoravano anche a ferragosto!)
venivano soppresse anche le chiese ricettizie (4) e ridimensionati i
Capitoli delle Chiese cattedrali, assegnando ad ognuna di esse dodici
canonici e otto cappellani. Tutti i beni che erano stati delle chiese e dei
monasteri venivano devoluti al demanio, con l'obbligo di trasferire al Fondo
per il culto, che sostituiva la vecchia Cassa ecclesiastica, il cinque per
cento della rendita dei beni incamerati. Si decise, inoltre, che i vecchi
conventi passassero ai Comuni e alle Province e che fossero adibiti a
scuole, asili e, in genere, a opere di pubblica utilità. Ecco perché in
quasi tutti i paesi del Meridione, fino a qualche anno fa, molte scuole,
asili, e gli stessi municipi si trovavano in vecchi conventi.
La vendita all'asta dei beni incamerati durò molti anni (5), e non giovò
alle classi meno agiate, perché tutto il ricco patrimonio che era stato
della Chiesa fu acquistato, in massima parte, da pochi ricchi possidenti, i
quali comprarono subito, anche con pratiche non sempre oneste e, spesso, a
prezzi veramente di favore, i migliori terreni (6). I contadini solo
raramente riuscirono ad avere qualche lotto fra i più scarti, e non sempre
riuscirono a pagarlo. Sfruttati con particolare accanimento dai nuovi
padroni, molti non trovarono altra soluzione che l'espatrio verso l'America.
Per effetto, dunque, della legge n. 3036 del 7 luglio 1866 e della circolare
ministeriale n. 11214 del 30 giugno 1866, anche il convento di Orsoleo, dopo
tanti secoli di vita e di benefica attività in campo religioso, culturale e
civile, dovette chiudere i battenti. In quel periodo Orsoleo era il più
grande fra tutti i conventi maschili della Regione: poteva ospitare quaranta
frati, e ne aveva, in quel momento, ventisette. Risulta ancora aperto alla
data 31 dicembre 1866, come appare dall'ultimo documento superstite, molto
mutilo, del Convento stesso, il "Libro d'introito ed esito di questo
venerabile Monastero di S. Maria Orsoleo, principiando oggi primo aprile
1851" (7).
E' stato già notato come, data l'importanza di Orsoleo, non poteva mancare,
nel convento, una grande biblioteca e un corrispondente vasto archivio;
perciò la perdita di ogni libro e di ogni carta, in un luogo che era stato
un centro importante di studi e di attività varie e benefiche nella Regione,
mentre è, certamente, la cosa più triste nella storia del Convento, resta
anche come un fatto quasi inspiegabile. E, insieme con i libri e le carte
d'archivio, sono spariti, dalla chiesa, tutti i paramenti sacri, tutte le
suppellettili, i calici, le pissidi, gli ostensori, gli incensieri, i
crocifissi degli altari, i candelieri, le reliquie: non è rimasto
assolutamente niente! Anche se, poi, a pensarci bene, la cosa non dovrebbe
sembrare tanto strana, perché, oltre al fatto che, certamente, non tutto è
scomparso in un solo giorno ma in tempi diversi, anche a pensare solo al
periodo dell'eversione dei beni ecclesiastici, grande veramente dovette
essere, allora, la confusione e il disordine, e lo scoraggiamento dei buoni
e le prevaricazioni e le ruberie dei malvagi, perché in un momento si
annullavano istituzioni secolari e si cambiava il modo di vivere di tante
persone che avevano sinceramente creduto nella bontà della loro causa e
nell'utilità di una vita spesa per la gloria di Dio e per il bene dei
fratelli più umili. Non è difficile, perciò, immaginare la confusione che
dovette esserci non solo, ovviamente, a Orsoleo, ma in ogni luogo ove si
ebbero mutamenti tanto improvvisi tanto profondi tanto radicali nella vita
di antichissime comunità. E non si ebbe, perciò, nè il tempo nè il modo di
salvare qualcosa. "Con questa soppressione di monasteri gli ori e gli
argenti, sacri alla pietà e alla venerazione dei fedeli, furono per lo più
venduti a pubblico incanto, e le librerie e gli altri documenti chiesastici
furono malmenati, dispersi o barattati " (8).
E', dunque, con una certa emozione che si leggono le poche righe dell'unico
documento superstite dell'ultima storia di Orsoleo: è uno squarcio di luce
al tramonto della vita del glorioso Convento.
Nel 1851 era guardiano P. Vincenzo da Castronuovo; "Sindaco apostolico" (da
intendersi, probabilmente, come un amministratore laico) era Don Alessandro
Scardaccione. Il documento è frammentario, perciò è possibile trarne solo
poche notizie riferite agli ultimi anni del Convento. Fra gli "introiti" del
1860 si nota la vendita di quattro rotoli (9) di lardo. Nello stesso anno
era guardiano del Convento P. Pasquale di Aliano (10); ma, in verità, l'anno
non è del tutto sicuro, perché nel registro fra la notizia della vendita del
lardo e il nome di P. Pasquale vi sono dieci pagine in bianco. Si conosce
anche il nome del "Curatore di casa" (economo) per gli anni 1863-1864: P.
Luigi di Sant'Arcangelo.
Fra le "uscite" del 1864, viene segnata la spesa di ducati 006:00, pro
capite, per il vestiario dei singoli frati, che, in elenco, sono i seguenti:
P. Giustiniano di Castronuovo.
P. Giuseppe di Sant'Arcangelo (superiore)
P. Berardino di Sant'Arcangelo
P. Pasquale di Aliano
P. Bonaventura di Sant'arcangelo (11)
P. Alessandro di Sant'Arcangelo
P. Giuseppe di Stigliano
P. Giocondo di Sant'Arcangelo
P. Luigi di Sant'Arcangelo
P. Angelico di Sant'Arcangelo
Fratello Fortunato di Sant'Arcangelo
Fr. Pietro Luigi di Aliano
Fr. Vincenzo di Sant'Arcangelo
Fr. Saverio di Sant'Arcangelo
Fr. Giambattista di Sant'Arcangelo
Fr. Raimondo di Sant'Arcangelo
Fr. Ferdinando di S. Arcangelo
Fr. Vincenzo di Armento
Fr. Antonio di Fardella
Fr. Francesco di San Mauro
Fr. Francescantonio di Tito
Fr. Michele di Sant'Angelo
Fr. Giuseppe di Sant'Arcangelo
Fr. Giuseppe di Chiaromonte
Alla fine del 1866, come è stato già osservato, il Convento era ancora
aperto, infatti, con la data dell'ultimo giorno dell'anno, si trova questa
nota: "Oggi li 31 dicembre abbiamo letti i conti d'introito ed esito che si
sono dati in questo Convento abbiamo rinvenuti che l'esito ascende a ducati
cento trentasei e l'introito a ducati ottantanove... Sicché supera l'esito
all'introito in ducati quarantasette... salvo errori...".
Seguono le firme:
P. Giuseppe da Sant'Arcangelo, Superiore
Fra Bonaventura da Sant'Arcangelo
Fra Salvatore da Sant'Arcangelo
Fra Luigi da Sant'Arcangelo
Fra Giocondo da Arcangelo
Fra Gabriele da Aliano
Fra Alessandro da Sant'Arcangelo
Fra Giustiniano da Sant'Arcangelo (12)
Fra Pasquale da Aliano
Fra Prospero da Gallicchio
Fra Berardino da Sant'Arcangelo.
Evidentemente firmano il documento solo i Padri, non i fratelli laici. E
sono i nomi degli ultimi francescani che passarono la loro vita fra le
antichissime mura del convento di Orsoleo.
Dopo la soppressione, i frati andarono chi in un luogo, chi in un altro:
possiamo pensare che i fratelli laici ritornassero ai lavori che
esercitavano nei loro paesi prima che entrassero nell'Ordine. Qualcuno potè
anche restare, con qualche incarico specifico, nei vecchi conventi
abbandonati: così, nel convento degli Osservanti di Tursi rimase P.
Francesco da Sant'Arcangelo come custode del camposanto, perché nel paese
non c'era ancora il cimitero pubblico. (13)
Alcuni Padri ritornarono, certamente, nei loro paesi di origine, ed
entrarono a far parte del clero locale. Ma altri rimasero nell'Ordine
(perché erano stati incamerati i beni dei monasteri, non soppressi gli
ordini religiosi) e cercarono, per quanto possibile, di riorganizzarsi in
qualche modo, riuscendo anche, a volte, a ritornare nei vecchi conventi,
anche se non più di loro proprietà. Del resto, non tutti i conventi furono
adibiti a scuole e ad asili, anche perché alcuni, come Orsoleo, erano molto
distanti dai centri abitati e di difficile accesso sia per l'ubicazione che
per la mancanza di strade. Nè, d'altra parte, tutti i beni dei conventi
furono subito venduti; perciò si permetteva, in casi particolari, che i
frati potessero ritornarvi.
Nel 1884 furono riaperti, nella Provincia, vari conventi dopo che ad
Orsoleo, nel maggio dello stesso anno, si era tenuto un capitolo di frati
sotto la presidenza del P. Alfonso Aragiusto di Tricarico, visitatore
inviato in Basilicata da Roma. Nel 1888 fu eletto Provinciale lo stesso P.
Aragiusto, e, nel 1891, il 23 ottobre, P. Giuseppe da Sant'Arcangelo, che
negli anni 1864-1866 era stato superiore ad Orsoleo (14). Ma ormai i frati
di Basilicata erano ridotti a niente, tanto che nel 1898 la Provincia
religiosa fu unita alla Calabria.
Orsoleo rimase, dunque, vuoto e abbandonato, nella solitudine della verde
collina, che, racchiusa, verso nord-ovest, nel fittissimo bosco dell'antica
"foresta", cominciò a inselvatichirsi ricoprendosi di rovi e di sterpaglia,
anche nelle zone fertili e ricche una volta coltivate, con tanto amore,
dall'assidua cura dei frati. E cominciò una decadenza che, pur con qualche
breve parentesi di apparente ripresa, fu inarrestabile e rovinosa non solo
per le opere d'arte contenute nel Convento, ma per gli edifici stessi e per
lo stesso paesaggio (15). Tutto il complesso di Orsoleo, non venduto a
privati, fu amministrato dalla Cassa Provinciale di Credito agrario fino al
1927 quando passò al Banco di Napoli.
lll
NOTE DEL
CAPITOLO 7
1) Per quanto riguarda la Basilicata, cfr. in argomento, A. Lerra, La
liquidazione dell'asse ecclesiastico in Basilicata, in Società e Religione
in Basilicata..., cit., vol. II, pp. 535-577; e, dello stesso, - La
liquidazione dell'asse ecclesiastico nella diocesi di Anglona-Tursi, - in
Studi di storia sociale e religiosa, Napoli, 1980, pp. 1119-1146.
2) A. Lerra, La liquidazione dell'asse ecclesiastico nella diocesi di
Anglona-Tursi, cit. pp. 1120-1121.
3) Erano quelle chiese che, pur non essendo cattedrali, erano officiate da
un "collegio" di Canonici:
4) Le chiese "ricettizie" formavano la quasi totalità di quelle che sono le
attuali parrocchie. La "ricettizia" era quella che ancora oggi, nei paesi
del Meridione, è chiamata la "Chiesa madre". I beni della "ricettizia"
gestiti come "massa comune" dai sacerdoti "partecipanti", che dovevano
essere sempre del luogo, erano di natura privata.
Le "Ricettizie" sono state studiate in particolare da G. De Rosa, in Chiesa
e Religione popolare nel Mezzogiorno, - Roma-Bari, 1978, pp. 21-46. Cfr.
anche - Pertinenze ecclesiastiche e santità nella storia sociale e religiosa
della Basilicata dal XVIII al XIX secolo, in Società e Religione in
Basilicata, cit., pp. 25-48.
5) Cfr. A. Lerra, - La liquidazione nella diocesi di Anglona-Tursi, cit.,
pp. 1125-112?
6) A. Sant'Arcangelo, Francesco D'Amore comprò per 3788 lire 31,20 ettari di
terreni seminativi. - Idem, pg. 1128.
7) A.S.N., Vol. 5809 - Monasteri soppressi.
8) R. Riviello, Cronaca Potentina dal 1799 al 1883, Potenza, 1888, cit. da
G. D'Andrea, La Basilicata nel Risorgimento, Potenza, 1981, pp. 273.
9) Il "rotolo" era un'antica misura di peso che a Napoli equivaleva a circa
900 grammi.
10) Religioso molto stimato, di cui parla G. Giocoli op. cit., pg. 37, il
quale riferisce che il suddetto P. Pasquale assicurava che dal tronco di
quercia sul quale era posta, nella nicchia, l'antichissima immagine della
Madonna ripullulavano sempre nuovi germogli che egli stesso provvedeva a
tagliare, perché non ne fosse ingombrata la statua.
11) Intorno agli anni '30, ancora lo si ricordava, a Sant'Arcangelo, come un
buon predicatore, come un frate piuttosto libero nell'atteggiamento e nel
linguaggio, e come pratico di medicina popolare, soprattutto nell'estrazione
dei denti.
12) Nell'elenco precedente risultava (se si tratta della stessa persona) di
Castronuovo.
13) A. Lerra - La liquidazione..., cit. in Società e Religione in
Basilicata..., cit., vol. II, p. 558.
14) P. A.. Primaldo Coco, op. cit., p. 17, riportato da G. N. Molfese, op.
cit., pp. 80-81.
15) G. Giocoli, op. cit., p. 41, ricorda "un'azione vandalica che si commise
l'anno scorso (1901) col fare recidere un gigantesco pino, il quale dritto
si elevava alla cima del campanile, attestante la rigogliosa vegetazione del
luogo, che trascurato trascina ogni cosa bella e buona nel totale turbinio
del nulla". |