VIII°
TENTATIVI DI RINNOVAMENTO
La lontananza del Convento dai centri abitati, la
mancanza di strade, l'asperità del luogo, pur nella bellezza suggestiva del
paesaggio selvoso, la stessa ampiezza dei fabbricati e la vastità del
territorio resero Orsoleo poco appetibile, quando, nei primi anni dopo
l'incameramento dei beni ecclesiastici, ci fu un certo fervore nell'acquisto
dei vari lotti che, in tanta abbondanza, venivano messi sul mercato; perciò
il vecchio Convento rimase invenduto e, per vari anni, fu amministrato dalla
Cassa Provinciale di Credito agrario. Data la fertilità del suolo e la
vicinanza di terreni particolarmente adatti a coltivazioni intensive (i
frutteti della valle dell'Agri nei famosi "giardini" di Sant'Arcangelo erano
celebrati in tutta la Regione) si pensò, alla fine dell'Ottocento, di
trasformare il vecchio complesso in un centro di studi, impiantandovi una
"Scuola agraria". L'idea piacque molto e fu accolta con entusiasmo e
speranza nella zona; ma subito si cominciò a temere che si trattasse solo di
buoni propositi, perché il tempo passava e di nuovo non si vedeva niente, se
non i primi, inesorabili segni del deperimento e della rovina. C'erano,
infatti, alcuni che non vedevano di buon occhio una scuola agraria a
Orsoleo, perché, dicevano, nelle vicinanze (a Eboli, a Cerignola, a
Cosenza!) c'erano già delle buone scuole agrarie, e se un'altra se ne voleva
far nascere in Basilicata avrebbe dovuto avere qualità tali da far
concorrenza a quelle già esistenti; e Orsoleo non sembrava adatto a tanto,
sia per le spese enormi necessarie alla ristrutturazione dei vecchi
fabbricati, sia per le spese di bonifica necessarie per adattare le terre a
campi sperimentali di tecnica agraria, sia, soprattutto, per la posizione
del monastero, che sorgeva in luogo periferico, privo di strada carrozzabile
e lontano due ore di cammino dal più vicino centro abitato.
Qualcuno suggerì di impiantarvi non un vero istituto agrario, ma una
semplice scuola pratica di coltivazione agricola, ove avrebbero potuto avere
una preparazione specializzata i contadini dei dintorni. Qualche altro
propose di impiantarvi una stazione sperimentale di zootecnia. I pareri,
come si vede, erano diversi e la discussione assunse, a volte, toni
abbastanza vivaci: vi partecipò anche, con tre articoli firmati da un
"Rusticus", un settimanale del tempo "La giovine Lucania". Si parlò molto,
ma non si fece niente; e il Convento, vivacizzato solo dall'affluenza della
gente per l'antichissima fiera dell'otto settembre, e lasciato, per il resto
dell'anno, completamente vuoto, deperiva sempre più. Ecco cosa scriveva, in
proposito, nel 1902, il vecchio memorialista di Sant'Arcangelo, G. Giocoli
(1): "Ed ora mi corre l'obbligo di dire che quel maestoso edificio di
Orsoleo di giorno in giorno va rovinando, ed a me, come a quasi tutti della
nostra Provincia, precise ai più vicini, duole l'animo come la promessa da
tanti anni fattaci di impiantarvi una scuola pratica agraria vada svanita,
attesa la leggerezza del nostro Consiglio Provinciale, che, all'uopo aveva
stanziato in bilancio la somma di £ 40.000 e poi l'ha soppressa".
Si continuò a discutere per molti anni; finalmente, nel 1916, in piena
guerra europea, si pensò, con più serietà, all'istituzione, in Orsoleo, di
una colonia agricola. Nella relazione sull'esercizio del 1916, il Direttore
della Cassa Provinciale di credito agrario riferiva: "Nella seduta del 2
luglio 1916 il Consiglio accolse e fece sua la proposta del Consigliere Cav.
Campanelli per la istituzione di una Colonia agricola nel fondo Orsoleo agro
di Sant'Arcangelo di proprietà della Cassa, col fine di educare e addestrare
i figli dei contadini e agricoltori - dando la preferenza ai figli dei
militari morti in guerra o dalla guerra resi inabili - nella lavorazione
pratica dei campi e nell'allevamento del bestiame; e fece pure sua la mia
proposta di finanziare la nuova istituzione non solo con la tenuta ma con
tutto il fondo sussidi e premi di cui all'art. 63 dello statuto" (2).
Subito dopo la guerra, si pensò, dunque, al restauro necessario per
riadattare il vecchio edificio, e per questo si spese una somma abbastanza
rilevante per quei tempi: un milione di lire.
La colonia si potè aprire solo nel 1924, e fu affidata all'"Opera Nazionale
del Mezzogiorno d'Italia per gli orfani di guerra dell'Italia Meridionale",
la benemerita istituzione fondata da P. Semeria (4) e da P. Minozzi (5). La
Cassa Provinciale di credito agrario dava, oltre ai locali e ai terreni, un
sussidio annuo di 25.000 lire (6). Direttore fu P. Gualtiero Gentilini "un
abile e provetto agricoltore... iscritto nell'albo d'oro dei martiri del
Trentino" (7). Ma questa scuola, che poteva essere molto utile per
l'educazione dei giovani della zona, soprattutto in quei tempi di molta
povertà e di molta ignoranza, non ebbe lo sviluppo che tanti speravano e si
aspettavano. All'inizio ebbe venti alunni, poi pare che abbia superato i
trenta (8). Quando sembrava che le cose, superate le prime ovvie difficoltà,
cominciassero ad andar bene, la Colonia fu chiusa "per ragioni di cui è
meglio tacere", dice il Giocoli (9), il quale, conoscendo queste "ragioni"
certamente molto bene, perché i fatti si svolgevano, per così dire, sotto i
suoi occhi, e dovevano, sicuramente, essere oggetto di facili discussioni
soprattutto in particolari ambienti del paese, avrebbe, in verità, fatto
molto meglio a dirle queste "ragioni", che oggi, a distanza di tanti anni,
è, ovviamente, molto difficile scoprire. Per capirci qualcosa sarà molto
utile leggere con attenzione due documenti, ancora inediti (10), che ci
fanno comprendere come alla chiusura della Colonia, aperta da così poco
tempo, abbiano contribuito vari motivi: probabili inadempienze della Cassa
di Credito Agrario, motivi politici più o meno nascosti (non si dimentichi
che in quegli anni veniva affermandosi il potere fascista) e, inoltre,
forse, interessi personali di privati e, in parte, anche il carattere
stesso, vivace e sincero, del direttore, sacerdote Gentilini. Il primo
documento è una lettera inviata dal Prefetto di Potenza alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, il 17 febbraio 1926; il secondo è un "memorandum"
allegato alla lettera stessa. Ecco i due documenti:
R. Prefettura di Potenza - Gabinetto - N. 371- Potenza 17 Febbraio 1926
On. Presidenza del Consiglio dei Ministri - Roma. In risposta al telegramma
7 corrente N. 2899 informo che non appena vidi pubblicata sul giornale "Il
Mezzogiorno" la lettera del Prof. Sac. Gentilini, credetti opportuno inviare
alla Colonia Agricola di Orsoleo, un mio funzionario il dottor Brienza,
perché accertasse la sussistenza o meno dei fatti denunciati e indagasse
sulla condotta del Don Gentilini, condotta che da informazioni pervenutemi
in precedenza non mi risultava troppo regolare.
Ciò ritenni necessario perché l'intervento di Don Gentilini nella campagna,
di natura politica, contro la Cassa Agraria, aperta da oltre un mese sul
giornale "Il Mezzogiorno" ad opera dell'On. Vito Catalani (11) e dal figlio
avv. Francesco e fomentata dalla Massoneria locale, aveva destato a Potenza
grande impressione e non certo favorevole.
Prima di riferire i risultati di tali indagini è bene che codesto On.
Ufficio sappia che da circa un anno furono inviati ad Orsoleo, in una tenuta
di circa duecento ettari, dotata di un vasto fabbricato, in origine
convento, opportunamente riattato a spese della Cassa Provinciale di Credito
Agrario di Potenza, venti orfani (12) di contadini morti in guerra.
Tale invio fu fatto per accordi intervenuti fra il Comitato Provinciale
Orfani di guerra, l'Opera Nazionale e l'Istituto di Credito anzidetto.
Alla Direzione di tale Colonia fu preposto il Sac. Gentilini prescelto
dall'Opera Nazionale.
Scopo della Colonia è di dare istruzione pratica, razionale agraria agli
orfani stessi.
Per questo primo anno il Sacerdote Gentilini ebbe in certo modo anche
l'amministrazione dell'azienda. Ma se egli dimostrò di avere delle
cognizioni in materia agraria, come amministratore non fece buona prova. In
proposito ritengo opportuno allegare copia di un Memorandum circa gli
accordi di massima presi tra i rappresentanti delle istituzioni predette,
col mio intervento, per la sistemazione definitiva della Colonia. Allego
altresì copia della relazione fattami dal dottor Brienza sugli accertamenti
da lui stesso eseguiti ad Orsoleo, dalla quale in sostanza si evince che non
sussiste affatto l'accusa fatta sulla base della lettera del Prof.
Gentilini, pubblicata sul "Mezzogiorno" col titolo "la Cassa Prov. scaccia
gli orfani di guerra dai terreni di Orsoleo e li concede a noti amici senza
contratto" poiché gli orfani sono tuttora ad Orsoleo e nei loro riguardi
nulla vi è di mutato, e la gestione relativa al loro mantenimento è tuttora
affidata a Don Gentilini. Solo l'amministrazione della intera colonia fu
tolta per la ragione contenuta nel Memorandum al Sac. Gentilini, fatto
questo che per motivi esclusivamente personali ha formato oggetto della
lettera pubblicata sul "Mezzogiorno" e che poi è stata ad arte esagerato dal
giornale ai fini della campagna di carattere politico contro la Cassa
Agraria.
Il Sac. Gentilini avrebbe dovuto rivolgere le sue lagnanze all'Opera
Nazionale ed al Prefetto, ma doveva nel modo assoluto astenersi
dall'intervenire nella polemica sopra ricordata.
Concludendo: occorrerà provvedere all'allontanamento del Sac. Gentilini per
essersi dimostrato moralmente e soprattutto tecnicamente inadatto alla
Direzione della Colonia.
E in questo senso io farò proposte all'Opera Nazionale.
Il Prefetto
f.to. Reale
A questa lettera del Prefetto Reale è allegato, come già è stato detto, un
"Memorandum", che si riferisce ai fatti del 1925, quando, cioè, la Colonia
era aperta da solo un anno.
Memorandum - Il giorno otto settembre millenovecentoventicinque, quasi ad un
anno dall'iniziato esercizio della Colonia di Orsoleo per gli orfani dei
contadini morti in guerra, ad iniziativa della Cassa Agraria di Potenza,
creatrice della benefica opera, si riunirono in Orsoleo il Prefetto della
Provincia di Potenza Grand. Uff. Reale, il Direttore Generale dell'Opera
Nazionale degli orfani dei contadini morti in guerra Prof. Casalini, il
Rappresentante dell'Opera Nazionale del Mezzogiorno Rev. Prof. Minozzi, il
Rappresentante del Consiglio di amministrazione della Cassa di Credito
Agrario Comm. Michele Padula fu Pasquale, il Direttore della Cassa di
Credito Agrario Comm. Pasquale Prof. Indrio, il Sig. Segretario Capo della
Cassa di Credito Agrario, e gli esperti in agricoltura Comm. Prof. Eugenio
Azumonti, Comm. Avv. Michele Padula fu Francesco Presidente del Consiglio
Provinciale, il Direttore della Cattedra Agraria di Potenza Prof. Gaetano
Baudin e il Prof. D'Amelio della Cattedra Agraria di Chiaromonte. Da una
visita accurata fatta alla Colonia, risultò palese a tutti che la parte
agricola della colonia stessa non era stata in alcun modo curata, era stata
anzi completamente nulla, poiché l'incaricato di dirigere l'Ospizio, Rev.
Padre Gentilini, prescelto dall'Opera Nazionale del Mezzogiorno, si era
dimostrato poco pratico di cognizioni agrarie (14).
In seguito a ciò, tutti i predetti Signori intervenuti, per sollecitamente
riordinare la parte agricola della colonia, addivennero al concetto di
togliere l'amministrazione a Padre Gentilini, sia per quanto sopra si è
detto e sia perché inadatto per temperamento a trattare con le persone del
luogo (15). Dopo di ciò si pensò che una conduzione del fondo, affidata a
persona disinteressata e pratica dell'agricoltura meridionale sotto la forma
di una mezzadria tra la Cassa di Credito Agraria, in rappresentanza della
colonia sua pupilla, e un agricoltore locale sarebbe stata molto utile.
Allorché si dovette scegliere l'agricoltore locale da assumere come
mezzadro, tutti i convenuti vollero che il Comm. Avv. Padula della ditta
Francesco Padula e Soci, che coltiva nella vicina Senise una grande azienda
propria, avesse avuto l'incarico come la persona più indicata e
disinteressata, e non certo capace di sfruttare gli orfani, che sarebbero
stati affidati a lui per l'educazione agricola pratica.
L'Avv. Padula riluttante ad assumere un incarico simile, solo in seguito
alle premure che gli venivano fatte a pro di un'opera di bene dalle predette
personalità in Orsoleo convenute, accettava l'incarico stesso per quanto non
desiderabile per una ditta qual è la Ditta Padula e Soci che coltiva in
Basilicata per oltre undicimila ettari di terreno.
I convenuti addivennero altresì al concetto di creare per la colonia di
Orsoleo un Ente Autonomo finanziato dalla Cassa Agraria coi contributi del
Comitato Provinciale Orfani di guerra dell'Opera Nazionale con statuto e
regolamento proprio, per la redazione del quale fu dato incarico all'Ufficio
degli Orfani di guerra della Prefettura.
Inoltre incaricarono il Sig. Gaetano Baudin di redigere il contratto di
mezzadria dell'azienda di Orsoleo che ha una estensione di poco inferiore ai
duecento ettari di terreno.
Tanto il progetto dello statuto come lo schema di detto contratto saranno
pronti prossimamente, ed essi dovranno essere sottoposti all'approvazione
del Comitato Provinciale degli Orfani dell'Opera Nazionale del Consiglio di
Amministrazione della Cassa Agraria. Ma di quanto proposto, bene o male che
fosse, non si fece niente, se la colonia agricola, aperta nel 1924, moriva
già nel 1926, dopo soli due anni di attività.
Nel 1927 cessava anche l'amministrazione della Cassa Provinciale di Credito
Agrario, e tutto il complesso di Orsoleo (fabbricati e terreni) passava al
Banco di Napoli. Delle tante fatiche sopportate, da parte di tanti uomini
generosi, per fondare nel vecchio convento una nobile istituzione educativa,
non restava se non il ricordo nei ragazzi che lì si erano fermati per due
anni, e il rimpianto negli abitanti dei paesi vicini, che avevano sperato,
per il vecchio edificio, una vita nuova, anche se diversa da quella cui era
stato destinato tanti secoli prima.
La suppellettile dell'orfanatrofio fu venduta, o svenduta, a chi, come
sempre capita in quei casi, seppe approfittarne; e tutto ritornò nel
silenzio. Ma, forse, non tutto era stato inutile: per adattare il vecchio
edificio alla nuova funzione, era stato necessario rinforzarlo con molti
lavori di muratura, e per questo, forse, l'antico convento (anche se,
soprattutto nell'interno, danneggiato nelle linee originarie) s'è potuto
salvare, almeno nelle strutture portanti, e ha potuto resistere ai venti e
alle bufere, alle tempeste, ai fulmini, alle nevi, alle torride estati, agli
anni, ai terremoti. Zittite le voci dei ragazzi e degli insegnanti (dopo che
da tanto s'erano perduti, ormai, i canti e le preghiere dei frati) l'immenso
edificio, intorno al quale già tante leggende erano nate nel corso dei
secoli, divenne più grande e più oscuro, più cupo, più misterioso e arcano
nei chiostri deserti con i pozzi abbandonati, nelle celle fredde, nei lunghi
corridoi senza luce, nella chiesa senza messe e senza rosari. Solo una volta
all'anno, nei giorni della festa, a settembre, tutto si risvegliava; poi il
silenzio più profondo riprendeva ogni cosa.
Per lunghi anni un solo guardiano, pagato dal Banco di Napoli, custodì
l'edificio immenso, il bosco, i terreni, i tesori d'arte. Ma non ci saliva
nessuno: solo i cacciatori frequentavano le selve ricche di cinghiali, di
tassi, di istrici, di ogni tipo di selvaggina e di uccelli; e molti poveri
del paese andavano a far legna per l'inverno, cercando di non farsi vedere
dal guardiano (che sapeva, però, chiudere un occhio) nell'antica "foresta"
dei frati. E c'era una figura strana, che spesso saliva al Convento per un
suo genio personale, senza interessi immediati, senza motivi pratici
particolari: era un pover'uomo, lo chiamavano Rocco di Roccanova, dal paese
ov'era nato e dove abitualmente viveva, anche se non aveva una sede fissa,
nè famiglia, nè qualcuno che si curasse di lui. Lo consideravano sciocco e
balordo, e forse era un santo. Girava per i paesi vestito di un suo lungo
pastrano con sopra certe conchiglie, come usavano gli antichi pellegrini;
non chiedeva mai niente, mangiava ciò che gli davano; non faceva male a
nessuno e sopportava pazientemente i dileggi dei ragazzi e gli scherzi, a
volte pesanti, di cui spesso era capace la gente piuttosto rozza dei paesi
di campagna. Girava sempre a piedi, scalzo; e quando andava a Roccanova,
anziché fare la strada larga della Fiumarella, saliva per i sentieri stretti
del bosco, perché potesse passare per l'antico santuario; e se qualcuno gli
chiedeva dove andasse: - Da Mamma Maria -, rispondeva; e si fermava dinanzi
alla porta serrata della chiesa, e metteva la bocca alla chiusura dei
battenti, e parlava a lungo, solo; e se il custode o qualche pastore di
passaggio gli chiedeva una spiegazione, - Parlo con Mamma Maria -, diceva, e
continuava la strada.
Così rimase il Convento per lunghi anni, affidato a quell'unico custode; ma,
per allora, niente fu rubato dei grandi tesori d'arte; si perse solo ciò
che, inesorabilmente, il tempo per se stesso consuma.
Fino a una cinquantina di anni fa, c'erano ancora, nel convento, tutti i
quadri, tutte le sculture, persino alcune delle antiche suppellettili
liturgiche usate dai frati nelle funzioni della Chiesa.
Una sola novità ci fu, in quegli anni, degna di memoria: per volere
dell'arciprete Don Antonio Cesareo, che aveva fatto l'ingresso in paese nel
settembre del 1937, l'antichissima immagine della Madonna, la statua lignea
del sec. XIII, per la prima volta fu rimossa dalla sua nicchia profonda e
portata processionalmente a Sant'Arcangelo. Si voleva imitare, in qualche
modo, la tradizione di Viggiano, ove la statua della Madonna si conserva in
paese da settembre a maggio, e sulla cima del monte dalla prima domenica di
maggio alla prima domenica di settembre. A Sant'Arcangelo si decise di fare
qualcosa di simile, anche se invertendo il periodo di permanenza della
statua fra il paese e l'antico santuario: l'immagine della Madonna sarebbe
stata conservata nella chiesa madre del paese dal sette di maggio, vigilia
della festa patronale di S. Michele, fino al sette di settembre, vigilia
dell'antichissima festa di Orsoleo.
La decisione suscitò, e non poteva essere diversamente, un sentimento di
entusiasmo in alcuni e di avversione in altri: la statua non era stata mai
toccata, a memoria d'uomo, e la forma stessa della nicchia (che non era a
visuale intera, frontale, ma scavata nello spesso muro della parete, come un
pozzetto che lasciava vedere solo il volto della Madonna e il Gesù Bambino
posato sul braccio) aveva fatto nascere varie credenze, come quella che la
struttura lignea fosse incastrata nel tronco di una quercia ancora ferma al
suolo con le sue radici (la quercia stessa sulla quale la Madonna sarebbe
apparsa al Principe in lotta con il drago) tanto che si credeva che dal
vecchio cespo spuntassero ancora dei polloni che bisognava, ogni anno,
tagliare, perché non coprissero l'immagine stessa della Madonna; perciò non
sembrava opportuno, anzi sembrava quasi irrispettoso e temerario toccare la
vecchia immagine. Ma la decisione era stata presa e, con entusiasmo
giovanile, fu messa in pratica: si estrasse la statua dalla sua antica
nicchia profonda e solennemente fu portata in paese. E quella prima
processione, nella luminosità del mattino di maggio, fu una festa lieta e
gioiosa: c'era la banda che accompagnava gli antichi canti mariani intonati
da uomini e donne, c'erano due fochisti che portavano dei mortaletti
maneggevoli e, ogni tanto, facevano scoppiare dei piccoli petardi, e c'erano
tanti ragazzi, che correndo, cantando e gridando, davano un senso di
giovanile letizia alla nuova festa paesana. Il bosco era ancora intatto e
chiuso nell'intrico di rami e di fronde; perciò dei giovani contadini,
muniti di scure, andavano avanti a tutti per gli stretti sentieri, per
tagliare i rami più bassi che potessero dar fastidio al passaggio della
processione. E la Madonna fu portata in paese. A settembre, il giorno sette,
la statua fu riportata nel vecchio monastero; e il giorno seguente, festa
liturgica della Natività di Maria, si cominciò una nuova usanza: la
processione intorno al santuario. Così all'antica fiera, che, per secoli,
era stata l'unica manifestazione esterna nel giorno della festa di Orsoleo,
si aggiunse l'uso della processione e la gioia fragorosa della banda
musicale e il rumore degli spettacoli pirotecnici.
Ma il Convento, ormai vuoto, deperiva sempre più; e il 19 dicembre 1940 fu
venduto a privati.
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NOTE DEL
CAPITOLO 8
1) G. Giocoli, op. cit., p. 41
2) Il documento (p. 75 della relazione) è riportato da U. Zanotti-Bianco in
La Basilicata, Roma, 1926, p. 403.
3) A. Giocoli, op. cit., pg. 28.
4) Giovanni Semeria (1867-1931) celebre oratore e pubblicista, grande
apostolo di carità; benemerito fondatore di scuole e asili soprattutto
nell'Italia meridionale.
5) Giovanni Minozzi (1884-1959) fu prima collaboratore di P. Semeria, poi
instancabile continuatore della sua opera, che sviluppò un modo originale
mediante la "Pia Società dei discepoli" da lui fondata.
6) U. Zanotti-Bianco, op. cit., p. 403.
7) A. Giocoli, op. cit., pp. 28.
8) Ibidem.
9) Ibidem.
10) I documenti sono stati letti in una "copia" della Prefettura di Potenza,
conservata presso l'Archivio dell'Opera Nazionale per il Mezzogiorno
d'Italia, Roma.
11) Fu deputato democratico, per il collegio di Potenza nella XXVI e XXVII
legislatura.
12) U. Zanotti-Bianco, parlando della Colonia agricola di Orsoleo (op. cit.,
p. 403) dice: "... il suo funzionamento lascia ancora a desiderare. In
questa primavera gli orfani erano 18 e neppur ben guidati!".
13) Questa copia allegata non si trova nell'AONMI.
14) Si noti che nella lettera precedentemente riportata, il Prefetto Reale
diceva esplicitamente che "il Sacerdote Gentilini... se dimostrò di avere
delle cognizioni in materia agraria, come amministratore non fece buona
prova", e A. Giocoli lo aveva detto "abile e provetto agricoltore".
15) Questo, forse, è il vero motivo della rimozione, ma non è possibile
sapere a cosa, propriamente, si alluda e di quali "persone del luogo" si
tratti; ecco perché sarebbe stato utile che il Giocoli, che queste persone,
certamente, conosceva bene, avesse detto qualcosa. |