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LUIGI BRANCO - Memorie di S. Maria di Orsoleo
 

VIII°  TENTATIVI DI RINNOVAMENTO

La lontananza del Convento dai centri abitati, la mancanza di strade, l'asperità del luogo, pur nella bellezza suggestiva del paesaggio selvoso, la stessa ampiezza dei fabbricati e la vastità del territorio resero Orsoleo poco appetibile, quando, nei primi anni dopo l'incameramento dei beni ecclesiastici, ci fu un certo fervore nell'acquisto dei vari lotti che, in tanta abbondanza, venivano messi sul mercato; perciò il vecchio Convento rimase invenduto e, per vari anni, fu amministrato dalla Cassa Provinciale di Credito agrario. Data la fertilità del suolo e la vicinanza di terreni particolarmente adatti a coltivazioni intensive (i frutteti della valle dell'Agri nei famosi "giardini" di Sant'Arcangelo erano celebrati in tutta la Regione) si pensò, alla fine dell'Ottocento, di trasformare il vecchio complesso in un centro di studi, impiantandovi una "Scuola agraria". L'idea piacque molto e fu accolta con entusiasmo e speranza nella zona; ma subito si cominciò a temere che si trattasse solo di buoni propositi, perché il tempo passava e di nuovo non si vedeva niente, se non i primi, inesorabili segni del deperimento e della rovina. C'erano, infatti, alcuni che non vedevano di buon occhio una scuola agraria a Orsoleo, perché, dicevano, nelle vicinanze (a Eboli, a Cerignola, a Cosenza!) c'erano già delle buone scuole agrarie, e se un'altra se ne voleva far nascere in Basilicata avrebbe dovuto avere qualità tali da far concorrenza a quelle già esistenti; e Orsoleo non sembrava adatto a tanto, sia per le spese enormi necessarie alla ristrutturazione dei vecchi fabbricati, sia per le spese di bonifica necessarie per adattare le terre a campi sperimentali di tecnica agraria, sia, soprattutto, per la posizione del monastero, che sorgeva in luogo periferico, privo di strada carrozzabile e lontano due ore di cammino dal più vicino centro abitato.
Qualcuno suggerì di impiantarvi non un vero istituto agrario, ma una semplice scuola pratica di coltivazione agricola, ove avrebbero potuto avere una preparazione specializzata i contadini dei dintorni. Qualche altro propose di impiantarvi una stazione sperimentale di zootecnia. I pareri, come si vede, erano diversi e la discussione assunse, a volte, toni abbastanza vivaci: vi partecipò anche, con tre articoli firmati da un "Rusticus", un settimanale del tempo "La giovine Lucania". Si parlò molto, ma non si fece niente; e il Convento, vivacizzato solo dall'affluenza della gente per l'antichissima fiera dell'otto settembre, e lasciato, per il resto dell'anno, completamente vuoto, deperiva sempre più. Ecco cosa scriveva, in proposito, nel 1902, il vecchio memorialista di Sant'Arcangelo, G. Giocoli (1): "Ed ora mi corre l'obbligo di dire che quel maestoso edificio di Orsoleo di giorno in giorno va rovinando, ed a me, come a quasi tutti della nostra Provincia, precise ai più vicini, duole l'animo come la promessa da tanti anni fattaci di impiantarvi una scuola pratica agraria vada svanita, attesa la leggerezza del nostro Consiglio Provinciale, che, all'uopo aveva stanziato in bilancio la somma di £ 40.000 e poi l'ha soppressa".
Si continuò a discutere per molti anni; finalmente, nel 1916, in piena guerra europea, si pensò, con più serietà, all'istituzione, in Orsoleo, di una colonia agricola. Nella relazione sull'esercizio del 1916, il Direttore della Cassa Provinciale di credito agrario riferiva: "Nella seduta del 2 luglio 1916 il Consiglio accolse e fece sua la proposta del Consigliere Cav. Campanelli per la istituzione di una Colonia agricola nel fondo Orsoleo agro di Sant'Arcangelo di proprietà della Cassa, col fine di educare e addestrare i figli dei contadini e agricoltori - dando la preferenza ai figli dei militari morti in guerra o dalla guerra resi inabili - nella lavorazione pratica dei campi e nell'allevamento del bestiame; e fece pure sua la mia proposta di finanziare la nuova istituzione non solo con la tenuta ma con tutto il fondo sussidi e premi di cui all'art. 63 dello statuto" (2).
Subito dopo la guerra, si pensò, dunque, al restauro necessario per riadattare il vecchio edificio, e per questo si spese una somma abbastanza rilevante per quei tempi: un milione di lire.
La colonia si potè aprire solo nel 1924, e fu affidata all'"Opera Nazionale del Mezzogiorno d'Italia per gli orfani di guerra dell'Italia Meridionale", la benemerita istituzione fondata da P. Semeria (4) e da P. Minozzi (5). La Cassa Provinciale di credito agrario dava, oltre ai locali e ai terreni, un sussidio annuo di 25.000 lire (6). Direttore fu P. Gualtiero Gentilini "un abile e provetto agricoltore... iscritto nell'albo d'oro dei martiri del Trentino" (7). Ma questa scuola, che poteva essere molto utile per l'educazione dei giovani della zona, soprattutto in quei tempi di molta povertà e di molta ignoranza, non ebbe lo sviluppo che tanti speravano e si aspettavano. All'inizio ebbe venti alunni, poi pare che abbia superato i trenta (8). Quando sembrava che le cose, superate le prime ovvie difficoltà, cominciassero ad andar bene, la Colonia fu chiusa "per ragioni di cui è meglio tacere", dice il Giocoli (9), il quale, conoscendo queste "ragioni" certamente molto bene, perché i fatti si svolgevano, per così dire, sotto i suoi occhi, e dovevano, sicuramente, essere oggetto di facili discussioni soprattutto in particolari ambienti del paese, avrebbe, in verità, fatto molto meglio a dirle queste "ragioni", che oggi, a distanza di tanti anni, è, ovviamente, molto difficile scoprire. Per capirci qualcosa sarà molto utile leggere con attenzione due documenti, ancora inediti (10), che ci fanno comprendere come alla chiusura della Colonia, aperta da così poco tempo, abbiano contribuito vari motivi: probabili inadempienze della Cassa di Credito Agrario, motivi politici più o meno nascosti (non si dimentichi che in quegli anni veniva affermandosi il potere fascista) e, inoltre, forse, interessi personali di privati e, in parte, anche il carattere stesso, vivace e sincero, del direttore, sacerdote Gentilini. Il primo documento è una lettera inviata dal Prefetto di Potenza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il 17 febbraio 1926; il secondo è un "memorandum" allegato alla lettera stessa. Ecco i due documenti:
R. Prefettura di Potenza - Gabinetto - N. 371- Potenza 17 Febbraio 1926
On. Presidenza del Consiglio dei Ministri - Roma. In risposta al telegramma 7 corrente N. 2899 informo che non appena vidi pubblicata sul giornale "Il Mezzogiorno" la lettera del Prof. Sac. Gentilini, credetti opportuno inviare alla Colonia Agricola di Orsoleo, un mio funzionario il dottor Brienza, perché accertasse la sussistenza o meno dei fatti denunciati e indagasse sulla condotta del Don Gentilini, condotta che da informazioni pervenutemi in precedenza non mi risultava troppo regolare.
Ciò ritenni necessario perché l'intervento di Don Gentilini nella campagna, di natura politica, contro la Cassa Agraria, aperta da oltre un mese sul giornale "Il Mezzogiorno" ad opera dell'On. Vito Catalani (11) e dal figlio avv. Francesco e fomentata dalla Massoneria locale, aveva destato a Potenza grande impressione e non certo favorevole.
Prima di riferire i risultati di tali indagini è bene che codesto On. Ufficio sappia che da circa un anno furono inviati ad Orsoleo, in una tenuta di circa duecento ettari, dotata di un vasto fabbricato, in origine convento, opportunamente riattato a spese della Cassa Provinciale di Credito Agrario di Potenza, venti orfani (12) di contadini morti in guerra.
Tale invio fu fatto per accordi intervenuti fra il Comitato Provinciale Orfani di guerra, l'Opera Nazionale e l'Istituto di Credito anzidetto.
Alla Direzione di tale Colonia fu preposto il Sac. Gentilini prescelto dall'Opera Nazionale.
Scopo della Colonia è di dare istruzione pratica, razionale agraria agli orfani stessi.
Per questo primo anno il Sacerdote Gentilini ebbe in certo modo anche l'amministrazione dell'azienda. Ma se egli dimostrò di avere delle cognizioni in materia agraria, come amministratore non fece buona prova. In proposito ritengo opportuno allegare copia di un Memorandum circa gli accordi di massima presi tra i rappresentanti delle istituzioni predette, col mio intervento, per la sistemazione definitiva della Colonia. Allego altresì copia della relazione fattami dal dottor Brienza sugli accertamenti da lui stesso eseguiti ad Orsoleo, dalla quale in sostanza si evince che non sussiste affatto l'accusa fatta sulla base della lettera del Prof. Gentilini, pubblicata sul "Mezzogiorno" col titolo "la Cassa Prov. scaccia gli orfani di guerra dai terreni di Orsoleo e li concede a noti amici senza contratto" poiché gli orfani sono tuttora ad Orsoleo e nei loro riguardi nulla vi è di mutato, e la gestione relativa al loro mantenimento è tuttora affidata a Don Gentilini. Solo l'amministrazione della intera colonia fu tolta per la ragione contenuta nel Memorandum al Sac. Gentilini, fatto questo che per motivi esclusivamente personali ha formato oggetto della lettera pubblicata sul "Mezzogiorno" e che poi è stata ad arte esagerato dal giornale ai fini della campagna di carattere politico contro la Cassa Agraria.
Il Sac. Gentilini avrebbe dovuto rivolgere le sue lagnanze all'Opera Nazionale ed al Prefetto, ma doveva nel modo assoluto astenersi dall'intervenire nella polemica sopra ricordata.
Concludendo: occorrerà provvedere all'allontanamento del Sac. Gentilini per essersi dimostrato moralmente e soprattutto tecnicamente inadatto alla Direzione della Colonia.
E in questo senso io farò proposte all'Opera Nazionale.
Il Prefetto
f.to. Reale

A questa lettera del Prefetto Reale è allegato, come già è stato detto, un "Memorandum", che si riferisce ai fatti del 1925, quando, cioè, la Colonia era aperta da solo un anno.
Memorandum - Il giorno otto settembre millenovecentoventicinque, quasi ad un anno dall'iniziato esercizio della Colonia di Orsoleo per gli orfani dei contadini morti in guerra, ad iniziativa della Cassa Agraria di Potenza, creatrice della benefica opera, si riunirono in Orsoleo il Prefetto della Provincia di Potenza Grand. Uff. Reale, il Direttore Generale dell'Opera Nazionale degli orfani dei contadini morti in guerra Prof. Casalini, il Rappresentante dell'Opera Nazionale del Mezzogiorno Rev. Prof. Minozzi, il Rappresentante del Consiglio di amministrazione della Cassa di Credito Agrario Comm. Michele Padula fu Pasquale, il Direttore della Cassa di Credito Agrario Comm. Pasquale Prof. Indrio, il Sig. Segretario Capo della Cassa di Credito Agrario, e gli esperti in agricoltura Comm. Prof. Eugenio Azumonti, Comm. Avv. Michele Padula fu Francesco Presidente del Consiglio Provinciale, il Direttore della Cattedra Agraria di Potenza Prof. Gaetano Baudin e il Prof. D'Amelio della Cattedra Agraria di Chiaromonte. Da una visita accurata fatta alla Colonia, risultò palese a tutti che la parte agricola della colonia stessa non era stata in alcun modo curata, era stata anzi completamente nulla, poiché l'incaricato di dirigere l'Ospizio, Rev. Padre Gentilini, prescelto dall'Opera Nazionale del Mezzogiorno, si era dimostrato poco pratico di cognizioni agrarie (14).
In seguito a ciò, tutti i predetti Signori intervenuti, per sollecitamente riordinare la parte agricola della colonia, addivennero al concetto di togliere l'amministrazione a Padre Gentilini, sia per quanto sopra si è detto e sia perché inadatto per temperamento a trattare con le persone del luogo (15). Dopo di ciò si pensò che una conduzione del fondo, affidata a persona disinteressata e pratica dell'agricoltura meridionale sotto la forma di una mezzadria tra la Cassa di Credito Agraria, in rappresentanza della colonia sua pupilla, e un agricoltore locale sarebbe stata molto utile.
Allorché si dovette scegliere l'agricoltore locale da assumere come mezzadro, tutti i convenuti vollero che il Comm. Avv. Padula della ditta Francesco Padula e Soci, che coltiva nella vicina Senise una grande azienda propria, avesse avuto l'incarico come la persona più indicata e disinteressata, e non certo capace di sfruttare gli orfani, che sarebbero stati affidati a lui per l'educazione agricola pratica.
L'Avv. Padula riluttante ad assumere un incarico simile, solo in seguito alle premure che gli venivano fatte a pro di un'opera di bene dalle predette personalità in Orsoleo convenute, accettava l'incarico stesso per quanto non desiderabile per una ditta qual è la Ditta Padula e Soci che coltiva in Basilicata per oltre undicimila ettari di terreno.
I convenuti addivennero altresì al concetto di creare per la colonia di Orsoleo un Ente Autonomo finanziato dalla Cassa Agraria coi contributi del Comitato Provinciale Orfani di guerra dell'Opera Nazionale con statuto e regolamento proprio, per la redazione del quale fu dato incarico all'Ufficio degli Orfani di guerra della Prefettura.
Inoltre incaricarono il Sig. Gaetano Baudin di redigere il contratto di mezzadria dell'azienda di Orsoleo che ha una estensione di poco inferiore ai duecento ettari di terreno.
Tanto il progetto dello statuto come lo schema di detto contratto saranno pronti prossimamente, ed essi dovranno essere sottoposti all'approvazione del Comitato Provinciale degli Orfani dell'Opera Nazionale del Consiglio di Amministrazione della Cassa Agraria. Ma di quanto proposto, bene o male che fosse, non si fece niente, se la colonia agricola, aperta nel 1924, moriva già nel 1926, dopo soli due anni di attività.
Nel 1927 cessava anche l'amministrazione della Cassa Provinciale di Credito Agrario, e tutto il complesso di Orsoleo (fabbricati e terreni) passava al Banco di Napoli. Delle tante fatiche sopportate, da parte di tanti uomini generosi, per fondare nel vecchio convento una nobile istituzione educativa, non restava se non il ricordo nei ragazzi che lì si erano fermati per due anni, e il rimpianto negli abitanti dei paesi vicini, che avevano sperato, per il vecchio edificio, una vita nuova, anche se diversa da quella cui era stato destinato tanti secoli prima.
La suppellettile dell'orfanatrofio fu venduta, o svenduta, a chi, come sempre capita in quei casi, seppe approfittarne; e tutto ritornò nel silenzio. Ma, forse, non tutto era stato inutile: per adattare il vecchio edificio alla nuova funzione, era stato necessario rinforzarlo con molti lavori di muratura, e per questo, forse, l'antico convento (anche se, soprattutto nell'interno, danneggiato nelle linee originarie) s'è potuto salvare, almeno nelle strutture portanti, e ha potuto resistere ai venti e alle bufere, alle tempeste, ai fulmini, alle nevi, alle torride estati, agli anni, ai terremoti. Zittite le voci dei ragazzi e degli insegnanti (dopo che da tanto s'erano perduti, ormai, i canti e le preghiere dei frati) l'immenso edificio, intorno al quale già tante leggende erano nate nel corso dei secoli, divenne più grande e più oscuro, più cupo, più misterioso e arcano nei chiostri deserti con i pozzi abbandonati, nelle celle fredde, nei lunghi corridoi senza luce, nella chiesa senza messe e senza rosari. Solo una volta all'anno, nei giorni della festa, a settembre, tutto si risvegliava; poi il silenzio più profondo riprendeva ogni cosa.
Per lunghi anni un solo guardiano, pagato dal Banco di Napoli, custodì l'edificio immenso, il bosco, i terreni, i tesori d'arte. Ma non ci saliva nessuno: solo i cacciatori frequentavano le selve ricche di cinghiali, di tassi, di istrici, di ogni tipo di selvaggina e di uccelli; e molti poveri del paese andavano a far legna per l'inverno, cercando di non farsi vedere dal guardiano (che sapeva, però, chiudere un occhio) nell'antica "foresta" dei frati. E c'era una figura strana, che spesso saliva al Convento per un suo genio personale, senza interessi immediati, senza motivi pratici particolari: era un pover'uomo, lo chiamavano Rocco di Roccanova, dal paese ov'era nato e dove abitualmente viveva, anche se non aveva una sede fissa, nè famiglia, nè qualcuno che si curasse di lui. Lo consideravano sciocco e balordo, e forse era un santo. Girava per i paesi vestito di un suo lungo pastrano con sopra certe conchiglie, come usavano gli antichi pellegrini; non chiedeva mai niente, mangiava ciò che gli davano; non faceva male a nessuno e sopportava pazientemente i dileggi dei ragazzi e gli scherzi, a volte pesanti, di cui spesso era capace la gente piuttosto rozza dei paesi di campagna. Girava sempre a piedi, scalzo; e quando andava a Roccanova, anziché fare la strada larga della Fiumarella, saliva per i sentieri stretti del bosco, perché potesse passare per l'antico santuario; e se qualcuno gli chiedeva dove andasse: - Da Mamma Maria -, rispondeva; e si fermava dinanzi alla porta serrata della chiesa, e metteva la bocca alla chiusura dei battenti, e parlava a lungo, solo; e se il custode o qualche pastore di passaggio gli chiedeva una spiegazione, - Parlo con Mamma Maria -, diceva, e continuava la strada.

Così rimase il Convento per lunghi anni, affidato a quell'unico custode; ma, per allora, niente fu rubato dei grandi tesori d'arte; si perse solo ciò che, inesorabilmente, il tempo per se stesso consuma.
Fino a una cinquantina di anni fa, c'erano ancora, nel convento, tutti i quadri, tutte le sculture, persino alcune delle antiche suppellettili liturgiche usate dai frati nelle funzioni della Chiesa.
Una sola novità ci fu, in quegli anni, degna di memoria: per volere dell'arciprete Don Antonio Cesareo, che aveva fatto l'ingresso in paese nel settembre del 1937, l'antichissima immagine della Madonna, la statua lignea del sec. XIII, per la prima volta fu rimossa dalla sua nicchia profonda e portata processionalmente a Sant'Arcangelo. Si voleva imitare, in qualche modo, la tradizione di Viggiano, ove la statua della Madonna si conserva in paese da settembre a maggio, e sulla cima del monte dalla prima domenica di maggio alla prima domenica di settembre. A Sant'Arcangelo si decise di fare qualcosa di simile, anche se invertendo il periodo di permanenza della statua fra il paese e l'antico santuario: l'immagine della Madonna sarebbe stata conservata nella chiesa madre del paese dal sette di maggio, vigilia della festa patronale di S. Michele, fino al sette di settembre, vigilia dell'antichissima festa di Orsoleo.
La decisione suscitò, e non poteva essere diversamente, un sentimento di entusiasmo in alcuni e di avversione in altri: la statua non era stata mai toccata, a memoria d'uomo, e la forma stessa della nicchia (che non era a visuale intera, frontale, ma scavata nello spesso muro della parete, come un pozzetto che lasciava vedere solo il volto della Madonna e il Gesù Bambino posato sul braccio) aveva fatto nascere varie credenze, come quella che la struttura lignea fosse incastrata nel tronco di una quercia ancora ferma al suolo con le sue radici (la quercia stessa sulla quale la Madonna sarebbe apparsa al Principe in lotta con il drago) tanto che si credeva che dal vecchio cespo spuntassero ancora dei polloni che bisognava, ogni anno, tagliare, perché non coprissero l'immagine stessa della Madonna; perciò non sembrava opportuno, anzi sembrava quasi irrispettoso e temerario toccare la vecchia immagine. Ma la decisione era stata presa e, con entusiasmo giovanile, fu messa in pratica: si estrasse la statua dalla sua antica nicchia profonda e solennemente fu portata in paese. E quella prima processione, nella luminosità del mattino di maggio, fu una festa lieta e gioiosa: c'era la banda che accompagnava gli antichi canti mariani intonati da uomini e donne, c'erano due fochisti che portavano dei mortaletti maneggevoli e, ogni tanto, facevano scoppiare dei piccoli petardi, e c'erano tanti ragazzi, che correndo, cantando e gridando, davano un senso di giovanile letizia alla nuova festa paesana. Il bosco era ancora intatto e chiuso nell'intrico di rami e di fronde; perciò dei giovani contadini, muniti di scure, andavano avanti a tutti per gli stretti sentieri, per tagliare i rami più bassi che potessero dar fastidio al passaggio della processione. E la Madonna fu portata in paese. A settembre, il giorno sette, la statua fu riportata nel vecchio monastero; e il giorno seguente, festa liturgica della Natività di Maria, si cominciò una nuova usanza: la processione intorno al santuario. Così all'antica fiera, che, per secoli, era stata l'unica manifestazione esterna nel giorno della festa di Orsoleo, si aggiunse l'uso della processione e la gioia fragorosa della banda musicale e il rumore degli spettacoli pirotecnici.
Ma il Convento, ormai vuoto, deperiva sempre più; e il 19 dicembre 1940 fu venduto a privati.

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NOTE DEL CAPITOLO 8

1) G. Giocoli, op. cit., p. 41
2) Il documento (p. 75 della relazione) è riportato da U. Zanotti-Bianco in La Basilicata, Roma, 1926, p. 403.
3) A. Giocoli, op. cit., pg. 28.
4) Giovanni Semeria (1867-1931) celebre oratore e pubblicista, grande apostolo di carità; benemerito fondatore di scuole e asili soprattutto nell'Italia meridionale.
5) Giovanni Minozzi (1884-1959) fu prima collaboratore di P. Semeria, poi instancabile continuatore della sua opera, che sviluppò un modo originale mediante la "Pia Società dei discepoli" da lui fondata.
6) U. Zanotti-Bianco, op. cit., p. 403.
7) A. Giocoli, op. cit., pp. 28.
8) Ibidem.
9) Ibidem.
10) I documenti sono stati letti in una "copia" della Prefettura di Potenza, conservata presso l'Archivio dell'Opera Nazionale per il Mezzogiorno d'Italia, Roma.
11) Fu deputato democratico, per il collegio di Potenza nella XXVI e XXVII legislatura.
12) U. Zanotti-Bianco, parlando della Colonia agricola di Orsoleo (op. cit., p. 403) dice: "... il suo funzionamento lascia ancora a desiderare. In questa primavera gli orfani erano 18 e neppur ben guidati!".
13) Questa copia allegata non si trova nell'AONMI.
14) Si noti che nella lettera precedentemente riportata, il Prefetto Reale diceva esplicitamente che "il Sacerdote Gentilini... se dimostrò di avere delle cognizioni in materia agraria, come amministratore non fece buona prova", e A. Giocoli lo aveva detto "abile e provetto agricoltore".
15) Questo, forse, è il vero motivo della rimozione, ma non è possibile sapere a cosa, propriamente, si alluda e di quali "persone del luogo" si tratti; ecco perché sarebbe stato utile che il Giocoli, che queste persone, certamente, conosceva bene, avesse detto qualcosa.

 

 

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