<< precedente

INDICE

successivo >>


LUIGI BRANCO - Memorie di S. Maria di Orsoleo
 

XI°  IL SANTUARIO

Orsoleo fu, prima di tutto e soprattutto, un luogo sacro. Se a ciò che si è detto circa l'origine del culto mariano nella zona, si aggiunge qualche nuova osservazione e qualche attenta considerazione circa i culti più antichi praticati in queste terre, e circa l'attività dei Santi bizantini in queste contrade, nei secoli X-XI, si potranno ricavare ipotesi molto interessanti sulla sacralità antichissima della collina ove poi sorse il convento francescano.
Sul punto più elevato del territorio di Orsoleo si possono ancora vedere i poverissimi resti di un vecchio edificio che il popolo da sempre ha chiamato "Cappella di S. Michele", evidentemente in relazione al culto dell'Arcangelo cui la cappella (che doveva essere già in rovina da secoli non essendo ricordata in funzione da nessuna carta relativa al convento) era dedicata.
Dalla cima ove si trovano questi ruderi si può godere un panorama vastissimo e bello: a oriente si vede, vicinissimo, il vecchio centro di Sant'Arcangelo, che si allunga tortuoso sugli scoscendimenti profondi delle vecchie frane di argilla; verso nord si notano, al di là del fiume, sotto il monte di Stagliano, le bianche case di Aliano e di Alianello; girando lo sguardo verso occidente, ecco Missanello e Gallicchio, così accostati che sembrano non due, ma un solo paese sulla cima del colle; a sud ovest, molto più vicino, il biancore di Roccanova con la caratteristica sagoma del vecchio campanile della Chiesa Madre; e, intorno, la cerchia dei monti vicini e lontani, che danno all'osservatore l'impressione di essere al centro di un paesaggio stupendo, fatto apposta per racchiudere il grande complesso dell'antico convento, che si impone, appena sotto, in primissimo piano, variato nei diversi corpi di fabbrica e dominato dal magnifico, severo campanile settecentesco. Ma molto più forte doveva essere, certamente, la suggestione per chi avesse osservato il panorama nei tempi passati, quando tutta la collina, giù giù fino alla Fiumarella di Roccanova, era ricoperta da fittissimi boschi di querce, di cerri, di elci, di lentischi, di olmi, di piante di ogni tipo.
Orbene, fin dai tempi più antichi del paganesimo, le radure prive di alberi, sulle colline per il resto boscose, erano consacrate alla divinità. Quando, poi, si diffuse la nuova religione, si cercò di cristianizzare i vecchi santuari pagani, consacrandoli al nuovo culto; e, in particolare, si sa che le cime dei colli, soprattutto se con anfratti tra le rocce o con grotte, erano consacrate all'Arcangelo Michele (1). Non potrebbe, dunque, la radura che si apriva sul punto più alto di Orsoleo, sulla cima di un colle boscoso, in mezzo a un vasto scenario di valli e di monti lontani, essere stata già sacra fin dai tempi più antichi, ed essere stata, poi, consacrata al culto di S. Michele con i tempi nuovi della nuova religione? Perchè si sa ormai con certezza, dopo i recenti scavi effettuati nella valle sottostante, lungo la riva dell'Agri, che giù, ove ora sorge il nuovo centro di S. Brancato, fiorì una vita abbastanza attiva, ricca di commerci e di civiltà, attestata non solo dalle tante tombe venute alla luce, ma anche, e soprattutto, da vari reperti attinenti alla vita quotidiana, che testimoniano, nella zona, una sicura attività agricola e artigianale (2).
Anche se non c'è nessun documento che dica esplicitamente qualcosa circa l'antica sacralità della collina che delimita, verso sud, la Valle dell'Agri, è lecito pensare che una grande suggestione doveva essa esercitare sulle povere e semplici genti della Valle, che naturalmente ad essa dovevano volgere gli occhi soprattutto nei momenti di paura: nelle guerre, nei terremoti, nei temporali.
Ma, tralasciando queste ipotesi, anche se non illogiche e, senza dubbio, suggestive, si può pensare, con relativa sicurezza, che, già prima dell'anno mille, la collina fosse consacrata alla venerazione della Madre di Dio e al ricordo dell'Arcangelo Michele. Molto spesso i due culti erano accomunati dai fedeli, e qualche chiesa era dedicata, insieme, all'Archistrategos (così abitualmente era chiamato S. Michele, quale capo delle milizie celesti) e alla Theotokos, cioè a Maria Madre di Dio. A Orsoleo c'è il ricordo sicuro di una cappella dedicata alla Madonna e di un'altra, sulla cima del colle, dedicata a S. Michele.
Come già si è detto, tra la fine del sec. X e i primi anni del secolo successivo, i monasteri greci si moltiplicarono, in tutto il Meridione, in modo quasi incredibile, anche se, per alcuni, più che di veri monasteri si dovrebbe parlare di eremi o di minuscole chiese o semplicemente di grotte adattate a cappelle (3). La maggior parte di queste chiese erano dedicate alla Madonna Madre di Dio (Theotokos), alcune a S. Michele (Archistrategos). Di un monastero dedicato all'Archistrategos e di un altro, dedicato alla Theotokos, si parla nell'enumerazione dei beni che Biagio di Armento (detto anche Basilio) aveva o come beni propri (e che lasciava in eredità al fratello Sergio) o come possedimenti del monastero di Carbone, di cui egli stesso era stato igumeno (4). Intorno a questi stessi anni (il testamento di Biagio Basilio è del 1041) S. Luca (II), anch'egli igumeno di Carbone, è costretto a lasciare il suo monastero; accolto dagli abitanti di Battifarano e di Kastron Nobon, edifica una chiesa che dedica all'Arcangelo Michele: se, come vuole qualcuno, Kastron Nobon non corrisponde (come farebbe pensare il nome) a Castronuovo, bensì a Roccanova (del resto, etimologicamente, le parole Castronuovo e Roccanova hanno lo stesso significato) non si potrebbe pensare che questa cappella consacrata a S. Michele corrisponda alla chiesa che all'Arcangelo era dedicata sulla collina di Orsoleo?
Nelle carte di Carbone (6) si dice anche che lo stesso igumeno Luca ebbe altri due pezzi di terra con una chiesa dedicata alla "Panaghia Theotokos" (cioè alla "Tutta Santa Madre di Dio) detta di Kassanites, che egli restaurò, perchè molto malandata, e un'altra, anch'essa restaurata, perchè in rovina, dedicata a S. Pancrazio e appartenente a un prete anch'egli di nome Pancrazio. Non ci sono altri documenti che ci dicano con precisione ove queste chiese si trovassero; ma, anche a non volerlo, viene subito in mente che da tempo esisteva, ad Orsoleo, una chiesetta dedicata alla Madonna, e che nelle vicinanze, come già si è notato, c'era una chiesa dedicata a S. Pancrazio. Anche se, forse, si tratta solo di coincidenza di nomi, il fatto è, in sé, già abbastanza importante, perché ci fa capire come nella zona fossero, già da tempo, diffuse e affermate le devozioni più comuni e più tipiche dell'ambiente religioso e monastico dell'Oriente bizantino.
Poi, come si sa, vennero i preti Zaccaria e Daniele e Bonicio, e la piccola cappella originaria divenne una chiesa ricca di beni, e il culto della Madonna di Orsoleo non fu riservato a pochi monaci o eremiti, ma divenne culto di popolo e devozione comune per tutti i paesi della Valle, che, in tempi quanto mai tristi e calamitosi, guardavano alla collina di Orsoleo come a una verde oasi di conforto e di speranza nel deserto arido e soffocante dei mali della vita. E in seguito, in tempi migliori, il Santuario crebbe, per la generosità e la pietà del Conte Eligio e per lo zelo e la devozione dei Padri Francescani, fino a divenire di fama regionale e centro di cultura e luogo di educazione e di studio per tanti giovani speranze dell'Ordine di S. Francesco.
Ormai era conosciuto dovunque, tanto che, mentre nel primo periodo della sua storia era segnato solo in qualche carta particolare, come quella allegata alle "Rationes decimarum", dalla fine del `500 è segnato, con il nome "S. Maria Orsoleo", in quasi tutte le carte geografiche dell'Italia meridionale; così, per fare qualche esempio, si trova nell'importantissimo atlante che, disegnato tra il 1596 e il 1617, dal grande geografo padovano Giov. A. Magini, fu stampato a Bologna nel 1620 dal figlio Fabio; si trova nella carta di Basilicata e terra di Bari acclusa all'Atlas Novus del Jansonium, del 1647, e, con il nome "S. Maria Orsolea", nell'Atlante del Rizzi Zannoni del 1792 (7).

lll
 

L'immagine della Madonna di Orsoleo (caratteristica per i lineamenti primitivi e per il fatto che nessuno mai l'aveva vista tutta intera, infossata com'era nella caratteristica nicchia profonda) divenne la più venerata nella zona, e anche fuori, affiancandosi, nella devozione popolare, ad altre immagini famose della Madonna: quella di Anglona e quella di Viggiano. Per questo è facile immaginare la vivacità e la solennità della festa dell'otto settembre, festa ufficiale del Santuario, quando il Convento era ancora intatto e vivo per l'attività e l'operosità dei frati francescani; ed è facile anche immaginare la suggestione profonda che il Convento stesso doveva suscitare, nei tempi antichi, quando all'improvviso si mostrava, immenso e stupefacente di bellezza e grandiosità, ai contadini e ai pastori, che, abituati alle loro povere case e alle loro povere cose, vi arrivavano, a piedi o cavalcando asini e muli, stanchi dopo la faticosa salita su per il sentiero che tagliava il fittissimo bosco, o per la lunga strada, che, dopo la salita di Mederico, si snodava pianeggiante sotto l'antica torre, che dava il nome a quella contrada, famosa, allora, per vigne e uliveti.
La festa continuò anche dopo la chiusura del Convento: era troppo antica e troppo popolare perchè potesse essere abolita. Ma perse, ovviamente, l'antica solennità e l'antica bellezza: con l'assenza dei frati, la chiesa fu, praticamente, abbandonata a se stessa, e il culto della Madonna rimase affidato alla pietà spontanea dei fedeli, che, ai primi di settembre, continuarono a salire, come sempre avevano fatto i loro padri, sulla collina consacrata, anche quando il complesso monumentale, con tutto il territorio circostante, divenne proprietà di privati.
Ancora oggi, continuando la tradizione millenaria, l'otto settembre, da Sant'Arcangelo e dai paesi vicini, salgono sul colle comitive di gitanti e pellegrini devoti della Vergine; ma le tante automobili e motociclette e vetture di ogni tipo, che, nella fresca mattina di fine estate, si dirigono verso l'antico santuario, anche se, forse, vi portano più persone di quante non ve ne andassero nei tempi passati, sono solo una pallida immagine della festosa processione di centinaia e centinaia di uomini, di donne, di bambini, che, a piedi e sui muli e sugli asini, salivano la verde collina fino a pochi decenni or sono.
I ragazzi aspettavano per tutta l'estate il giorno della festa più bella e più sognata, e vi si preparavano raccontandosi a vicenda i tanti fatti straordinari, le antiche leggende, le molte apparizioni, i miracoli operati dalla Vergine. E facevano, con le loro mani, delle tipiche cordicelle con grossi fili di cotone dai colori più svariati: sarebbero servite per calare dei minuscoli secchi nelle fredde acque dei pozzi del convento.
Alcuni uomini andavano al Santuario qualche giorno prima della festa, per preparare le caratteristiche baracche di legno, coperte di rami di quercia, per l'esposizione della fiera.
Pare che la fiera, nei secoli passati, durasse più giorni, forse una settimana; poi fu ridotta a soli due giorni: il sette e l'otto settembre. Era una fiera importante anche perchè in questa, e nell'altra del 25 marzo, festa dell'Annunziata, a Sant'Arcangelo, per antichissima tradizione, si pagavano le rate dei fitti delle case (8). Alcuni uomini, dunque, andavano a Orsoleo qualche giorno prima della festa, e pernottavano, alla meglio, nelle baracche di legno o sotto le arcate del chiostro, quando ancora l'antico convento era completamente isolato, senza strade e senza illuminazione, con il solo chiarore, nelle tenebre, di qualche fuoco acceso qua e là, e di qualche rara candela. Ed era molto suggestivo, nella notte profonda, sentire il suono degli organetti dei contadini, e, spesso, dalla chiesa, ove sempre qualcuno vegliava presso l'altare della Madonna, i cori non sempre intonati, ma commossi e sinceri, degli uomini che dicevano le lodi della Vergine.
La mattina dell'otto, il giorno proprio della festa, si partiva prestissimo: erano adulti e bambini, uomini robusti e allegri, e donne dalle fresche camicette colorate; pastori e mandriani con gli animali da vendere alla fiera, e artigiani che speravano di trovare, a prezzo conveniente, il maiale da uccidere nell'inverno ormai prossimo. E tutti, pastori, contadini e artigiani, subito, dopo la faticosa salita, entravano nella chiesa, per venerare la Madonna e per vedere, con sempre rinnovata meraviglia, i quadri antichi, gli altari preziosi, le sculture di legno e di marmo che ornavano il santuario, e le tante stanze e i lunghi corridoi dell'antico convento, ora vuoto e misterioso. Poi ognuno andava per i propri affari: a comprare o a vendere animali, a osservare le tante cose esposte per la vendita nelle varie baracche, a comprare finocchio, sedano e meloni dai Senisesi (che si fermavano sempre lungo il muro del convento volto a ovest), a trovare qualche giocattolo da regalare ai bambini in attesa: - E' fiera. II valido giovenco orpellasi - Di nastri candidi, turchini, rosei; - La pecora bela ed intanto - Muta padrone! - Voci alte, stridule di rivenduglioli - Incrocian l'acre ?.
Dopo mezzogiorno la fiera era, praticamente, finita: era l'ora del pranzo, e le varie famiglie e i diversi gruppi di amici si radunavano sotto le querce o nei vasti locali del monastero per il pasto di rito. Due erano i piatti tradizionali: il pollo e i peperoni ripieni. Si mangiava in allegria e si beveva il famoso vino di S. Brancato: - E al tocco candidi lini distendonsi - Al rezzo e sturansi fiaschetti e cucumi, Gorgoglia alle labbra frizzante - Il San Brancato .... - Poi ci si riposava all'ombra delle querce o si ballava al suono degli organetti.
Prima che facesse sera si ritornava in paese: quelli di Roccanova scendevano verso la Fiumarella, e di qui risalivano alle loro case; quelli di Sant'Arcangelo ritornavano per varie strade: chi per la via della Madonna del pozzo (e i bambini guardavano intimoriti quando si passava sopra gli argini del più profondo burrone del paese: quello detto di "Pitriciello", dal nome di un bambino che v'era precipitato ed era morto); chi per la via della Fiumarella, la strada più comoda, ma anche la più lunga per tornare a casa; chi per la via della Torre: e qui ci si poteva dissetare alla fresca acqua leggera della sorgente di Mederico. E si sentivano morire, nell'aria della sera, le canzoni dei contadini sazi e felici, le trombette e le piccole armoniche a bocca dei fanciulli, i ragli degli asini e i belati delle pecore che venivano riportate agli ovili. E, da lontano, ancora gli ultimi rintocchi delle campane di Orsoleo, che invitavano all'ultima preghiera alla Madonna nel suo giorno di festa. - Tutto dileguasi, solo le tinnule - Campane cantano nel dì che spegnesi - L'ultima voce di luce... - Poi... piano tacciono. - L'ultima voce è un saluto; O Santissima - Turris Eburnea, foederis arca - Patrona del popolo nostro - Santa Maria.
Ora la festa è cambiata; come tutto, del resto, è cambiato. L'ambiente stesso è diverso: il bosco bellissimo, che circondava di fascino arcano il vecchio convento, è, ormai, solo un ricordo sbiadito nei racconti dei vecchi; la chiesa è, da molti anni, inaccessibile al pubblico, e le funzioni religiose si svolgono, ormai da tanti anni, sulla spianata antistante al convento. La statua stessa della Madonna, l'antica immagine di legno del sec. XIII, non è conservata a Orsoleo, ma giù, nella chiesa di S. Brancato. La folla che partecipa alla festa (forse più di curiosi e di gitanti che di fedeli e pellegrini) e le tante macchine rumorose, e le luci stesse, che rischiarano la notte e illuminano il palco e il pendio ad anfiteatro naturale ove da qualche anno si svolgono le varie manifestazioni, se hanno dato più spettacolarità e più sfarzo all'annuale ricorrenza, le hanno tolto la suggestione del mistero religioso e l'intima dolcezza dell'antica semplicità contadina. Ma non si poteva pretendere che le cose restassero come prima: è naturale che mutino; e, forse, è anche un bene. Solo si vuole sperare che quando tutto il complesso monumentale sarà restaurato (e sarebbe anche bene che la Regione acquistasse un po' del terreno antistante all'edificio, per piantarvi qualche albero, che fosse almeno un simbolo, più che un ricordo, dell'antica foresta); quando, soprattutto, la chiesa, ritornata, per quanto possibile, all'antico splendore, sarà riaperta al culto e alla pietà dei fedeli e dei pellegrini, quelli che dovranno decidere definitivamente a quale uso destinare il monumento, non dimentichino che Orsoleo è stato sempre e soprattutto un luogo sacro, e che nei tempi passati, i popoli della zona non lo indicavano mai con il suo nome ufficiale "Orsoleo", ma, quasi a testimoniare la fiducia filiale nella protezione della Madonna su tutti i paesi della Valle, lo chiamavano, più semplicemente e più affettuosamente, "Santa Maria".

lll
 

NOTE DEL CAPITOLO 11

1) Cattabiani, - Le leggende di S. Michele Arcangelo, - in "Abstracta", sett. 1988, pp. 10-21.
2) Se una città ci fu, ove ora sorge S. Brancato, di quale città si tratta? Il Pennetti (op. cit., p. 120) aveva pensato alla mai trovata città di Lagaria, che Plinio il Vecchio dice (Naturalis historia, - XIV, 69) "non procul Grumento" non lontanto da Grumento, e cita per i celeberrimi vini che avevano ridato la salute al proconsole M. Valerio Messalla Potito. E proprio per questa nota di Plinio, il Pennetti propone di collocare l'antica Lagaria nella zona di S. Brancato, "non produce forse il territorio di S. Arcangelo i migliori vini della regione?". Per le varie ipotesi circa il sito di Lagaria, cfr. Racioppi op. cit., I, p. 837, n. 2, J. Berard, La Magna Grecia, Torino, 1963, pp. 330-332; P. De Grazia, Contributo all'ubicazione di Lagaria, in ASCL, 1936, VI, pp: 327-335.
II De Grazia, mentre propone per l'identificazione di Lagaria l'odierna Lauria, dice che a S. Brancato si potrebbe supporre il sito dell'antica città di Thuriosto, che la Tavola Peutingeriana segna 24 miglia a sud di Grumento e 25 miglia prima di Eraclea, distanza che, in realtà, corrisponde, più o meno a quella che separa S. Brancato da Grumento e dall'attuale Policoro, che sorge nella zona ove fiorì l'antica Eraclea.
3) Secondo il Rodotà (P. P. Rodotà, Dell'origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia, 3 volumi, Roma, 1760) nell'Italia meridionale ci sarebbero stati circa 1500 monasteri di rito greco.
4) Cfr. S. Borsari, op. cit., p. 69 e B. Cappelli, op. cit., p. 266, i quali si rifanno ai documenti pubblicati dalla Robinson, op. cit.
5) S. Borsari, op. cit., p. 68.
6) In Robinson, cit. da S. Borsari, ibidem.
7) Cfr. Cartografia storica di Calabria e di Basilicata, - Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania, Vibo Valentia, 1989, pp. 261-285.
8) Orazio Spani, il poeta popolare di S. Arcangelo, in una poesia scherzosa, ma non tanto, indirizzata al Sindaco, facendo l'elenco dei suoi guai e delle sue preoccupazioni, si esprime così: "dimenticavo il fitto, che altro affanno! / Che si paga, mi par, due volte l'anno; - All'Annunziata ed a Santa Maria / Che dolore mi vien, Madonna mia!...". Cfr. L. Branco, Sant'Arcangelo e un suo poeta popolare, - cit. pp. 135-136.
9) I versi, come tutti quelli riportati in questa pagina, sono tolti da una poesia di Carlo da Sant'Arcangelo ossia Carlo Mastrosimone, pubblicata nel volume, Nostalgie di Lucania, Napoli, 1934, pp. 19-21.

 

 

  [ Home ]    [ Scrivici ]