Capitolo II
ORIGINI DI PICERNO
In antico questo paese fu chiamato Picierno. Il radicale di questa
parola pare ricollegarsi a "pece", mentre il suffisso "erno", che
ricorre in molti toponimi di antico conio, esprimerebbe una relazione di
lavoro e di luogo. Dagli abeti un tempo abbondanti sui monti
circostanti, infatti, si estraeva la pece (16).
Le origini del paese sono molto antiche. Angelo Bozza suppone che Picerno
sia succeduto alla antica città di Acerrona (17). Anche se impossibile
una datazione sicura, si può asserire con sufficiente certezza che le
sue origini risalgono al II secolo avanti Cristo, così come attestano
sia l'esistenza di ruderi e di tombe attribuibili, a quella età,
ritrovate di recente nei pressi di Serralta, già Campoluongo e di tre
stele esistenti lungo il corso Vittorio Emmanuele.
Questa altura, a notevole distanza dal centro abitato di Picerno, al quale
sta di fronte, oggi raggiungibile per mezzo di una strada rotabile, ha
dato un tenue contributo alla conoscenza archeologica della zona
Nella proprietà di Antonio Caggiano, detto Panesse, anni or sono; in
occasione di lavori di scasso, fu rinvenuta " una edicola funeraria di
pietra calcarea (m. 0,50 di altezza e m. 0,38 di larghezza) con
modanatura in alto a cuspide triangolare con al centro scolpito un busto
muliebre ammantato. Il volto della figura presenta un profondo solco
causato dal passaggio del trattore.
Nonostante le gravi mutilazioni, grazie alla forma particolare del manto
che dalla sommità del capo scende ad avvolgere il busto, è possibile
affermare che la scultura rientra in tipiche rappresentazioni funerarie
di età romana, probabilmente del II secolo avanti "Cristo".
Oltre la stele "altri frammenti di terracotta appartenenti a vasi di media
grandezza (olle e pithei) sono stati riportati alla luce in tempi
precedenti e custoditi nel Museo Archeologico".
Da un attento esame dei reperti è risultato che "il materiale usato
consiste in un impasto grigio scuro all'interno compattissimo e commisto
con impurità naturali, mentre le pareti esterne, con ispessimento verso
la base, sono appena lisciate ed hanno subito una cottura uniforme che
ha conferito un colore rossiccio chiaro. Le decorazioni di alcuni
frammenti al di sotto dell'orlo sono costituite da stretti nastri,
tirati a cordoni con impressioni ad intacchi verticali, lineari e
circolari".
Di tanto ci si avvale per ritenere "che i reperti in parola appartengono a
"manufatti indigeni, comuni nelle nostre zone, dell'età del ferro""
(18). In tempi posteriori ma abbastanza lontani dal nostro (secondo le
voci correnti si tratterebbe di anni poco posteriori al 1000), i
picernesi iniziarono le prime costruzioni del proprio paese alla
contrada ora detta Piazza Statuto o Porta S. Lorenzo, che allora era
coperta da bosco; ma dovettero abbandonare l'idea perché le case furono
invase da serpenti, le altre edificate poi nella parte alta del Pianello
furono invase dalle formiche. Considerarono ciò come una calamità o un
segno celeste e passarono a costruire le proprie abitazioni nella
contrada ora detta Pianello: anche in questa zona si verificò lo stesso
fenomeno e, perciò, anche di qua emigrarono, passando a costruire le
case nei dintorni della chiesa della Pietà.
Solo successivamente e in tempi più recenti sono state costruite le case
anche nei rioni Pianello e Piazza San Lorenzo.
All'inizio del XVIII secolo Picerno, feudo del principe di Marsiconuovo,
contava circa 2700 abitanti. Dalle notizie fornite nel giugno del 1735
dal notaio Stefano di Meo (19), cancelliere dell'Università,
all'avvocato fiscale della R. Udienza di Matera, Rodrigo Maria Gaudioso,
incaricato da Carlo di Borbone di redigere una relazione sulle
condizioni economiche della regione, risulta che "la Terra di Picerno
situata in luogo montuoso e circondata di fiumi" è un paese molto
povero: "non vi è stabilità ma pochissime persone civili. Molti pochi
sono inclinati alle lettere e l'altri tutti inclinati a coltivare il
terreno che non produce altro frutto se non grano e vino". Il resto
della popolazione era "una grossa plebe miserabilissima e campano tutti
alla giornata".
Nel 1735 l'Università aveva "d'entrada annui docati 2700". Sindaco
dell'Università era in quell'anno Diego di Meo. Eletti erano Francesco
Caivano, Niccolò Capece, Francesco Faraone, Francesco Salvia e Virgilio
Tummiello. Ad eccezione del Sindaco, tutti gli amministratori della
Università di Picerno erano analfabeti.
Vi era una sola chiesa parrocchiale dedicata a San Nicola, un convento dei
Padri Cappuccini e quattro "abbadie", quella di Santa Croce, quella di
San Giacomo, quella del Carmine e quella retta dall'abate Giovanni
Aniello Sergio (20).
Notevole fu l'incremento demografico di Picerno nel corso del XVIII
secolo. Nel 1803 contava 4000 abitanti 21. Oggi la popolazione, che nel
1860 era di 4820 abitanti, è di 4966 unità.
lll
16 G. GATTINI: "Delle Armi dei Comuni della provincia di Basilicata"
1910.
17 ANGELO BOZZA: " La Lucania ". Rionero in Vulture, 1890.
18 Cfr. Relazione Ranaldi, Direttore del Museo Archeologico Provinciale di
Potenza. 1964.
19 Il notaio di Meo rogò in Picerno dal 1714 al 1768. I suoi protocolli si
trovano nell'Archivio di Stato di Potenza. Su questo notaio che fu anche
cancelliere dell'Università di Picerno cfr. T. PEDIO, "I Notai di
Basilicata e i loro protocolli", Bari, Archivio Storico Pugliese, 1964,
p. 156.
20 Cfr. T. PEDIO, "La relazione Gaudioso sulla Basilicata (1736)", Bari,
Edizioni centro librario, 1964, p. 67.
21 Mi piace riportare i dati della popolazione di Picerno: a. 1803, ab.
4000; a. 1808, ab. 4163; a. 1810, ab. 4149; a. 1822, ab. 3783; a. 1828,
ab. 3647, a. 1831 ab. 4453; a. 1843, ab. 4689; a. 1853, ab. 4957; a.
1860, ab. 4820. Nel 1810, su 4149 ab. 27 erano sacerdoti, 1 galantuomo,
4 dottori in utroque jure, 4 medici, 4 notai, 1 farmacista, 1
agrimensore, 7 civili, 7 orefici, 7 negozianti e 29 artigiani. Questi
dati sono in T. PEDIO, "La Basilicata durante la dominazione borbonica",
Matera, Montemurro, 1961, pp. 114, 128.
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