Home Page

Artisti Lucani

Guest Book

Collaborazione

Home Libro

Foto del Libro

Picerno

 

<< precedente

INDICE

successivo >>


Giuseppina Caivano Bianchini
- PICERNO
 

Capitolo III
CONTRASTI SOCIALI E BRIGANTAGGIO NEL DECENNIO FRANCESE

Dopo l'asperrima resistenza contro le bande armate di Sciarpa agli ordini del cardinale Ruffo, Picerno ebbe parte attiva nelle lotte e nelle vicende del brigantaggio, che il contemporaneo Tommaso Cappiello nel suo manoscritto, narra a tinte vivaci. 
L'eversione della feudalità non modificò le vecchie strutture economico-sociali delle province meridionali. I beni feudali incamerati dallo Stato vennero venduti ad elementi della nuova borghesia i quali assunsero una posizione preminente nella vita economica del loro paese. Scomparsi i baroni, ad essi subentrarono questi nuovi elementi ancora più avidi ed egoisti dei primi e, interessati ad accrescere le proprie ricchezze e, con esse, il loro potere, finirono poi con usurpare nuove terre negando su queste ai contadini gli usi civici di cui le popolazioni avevano sempre usufruito sulle terre baronali (124). La situazione, specie dopo la parentesi costituzionale del 1820-21, divenne sempre più grave. 
Picerno non esitò, al dire di Tommaso Cappiello, a cogliere questo momento storico per iniziare coraggiosamente una azione di liberazione dai baroni e dai feudatari rappresentati questi ultimi spesso da amministratori senza scrupoli e non meno prepotenti dei feudatari stessi (125). 
Troppo accentuata era la differenza di classe: ricchi potenti e prepotenti, baroni e feudatari da una parte opprimevano e danneggiavano i poveri inermi e oltremodo miseri moralmente, economicamente e socialmente dall'altra, per restarne insensibili, poveri a tal punto che avevano a loro vantaggio solo la possibilità magra di mandare: avanti una modesta industria domestica. A sostenere la causa popolare ritenuta giusta, Picerno trovò pronti i signori Nicola Salvio, Gennaro Caivano e Tommaso Cappiello. 
Essi che, presa coscienza del momento storico, avevano in precedenza, per raggiungere lo scopo, consolidata la loro amicizia si resero invisi ai baroni ed ai feudatari in genere e a Saverio Carelli e Benedetto Capece (126) in particolare, due galantuomini impegnati, per fini propri, a difendere i privilegi feudali e Baronali. Ne nacquero odi, contese inenarrabili che divennero più aspre quando, su designazione della popolare assemblea (127), fu nominato capo eletto Tommaso Cappiello (128), sindaco Nicola Salvio e deputato ad lites Gennaro Caivano (129). Delitti seguirono ai delitti e le discordie tra famiglie e famiglie, turbavano la quiete del paese (130). Dei malviventi infine cominciarono ad infestare le strade: dappertutto e, in modo speciale sullo Scorzo, si rubava, si uccideva senza scrupoli. 
Erano queste le prime manifestazioni di ribellioni e le prime azioni brigantesche di una classe socialmente, politicamente ed economicamente inferiore che si contrapponeva, nell'anelito di realizzare forme nuove di vita, alla classe dominante, nel momento in cui erano evidenti i segni del dissolvimento reale e sostanziale della nobiltà feudale e del feudalesimo congiunti a quelli della debolezza dello Stato deficitario di una organizzazione militare regolare (131). 
Ma i fatti più gravi avvennero durante il decennio. 
La lettura di alcune pagine del manoscritto ci consentirà di conoscere più da vicino e meglio lo svolgersi della vita picernese in cui spesso era coinvolto in prima persona lo stesso autore Tommaso Cappiello. "Nel principio del 1806 vennero altra volta nel Regno i Francesi avendo alla testa Giuseppe Bonaparte fratello di Napoleone, già Imperatore, e il Maresciallo Massena (132). 
Il Principe D. Francesco Pignatelli Strongoli Generale fu incaricato di venire ad organizzare le Guardie Nazionali nella Provincia di Matera. A Muro cadde da cavallo e fortemente contuso spedì a me perché accorressi a medicarlo, frattanto colà si tratteneva chiamò a sè i principali de circonvicini Comuni pel disimpegno, e da Picerno vennero D. Saverio Carelli e parecchi galantuomini che nominò uffiziali Civici, compreso me benanche. Ristabilitosi il Generale, volle lo accompagnassi nel giro della Provincia, locchè mi valse la conoscenza di molti galantuomini e dell'Intendente Susanna in Matera. Ricusai una regalia che tendeva farmi, e sempre si è favorevolmente ricordato di me come in seguito. Dopo la dimora di pochi giorni in Matera, volli ritornare in Casa, ed egli pensando a far traversare la Provincia da colonne Civiche, per imporre, persuadere e fermare li spiriti perplessi, ordinò a me di riunire a Picerno buona compagnia alla meglio armata e diriggerla verso Matera". 
T. Cappiello della vita paesana narra ancora: "I Galantuomini, il popolo sottratti alle angarie Baronali, lusingati dalle novità Francesi, liberi a costruirsi mulini, forni, lusingati dalle larghe promesse e futuri miglioramenti su i render conti de Baroni, le divisioni o mutilazioni de feudi, parvero a miglior vita richiamati, ed in Picerno, coll'opporturnità del teatro fisso (133) gli uomini, sbandita la servitù, poste da banda le rispettive acrimonie concorrevano a festeggiare. 
Con lussuoso vestiario de particolari dilettanti si rappresentarono a diverse riprese l'Achille in Sciro, l'Alessandro nell'Indie, il Demofoonte, la Nitteti, la Didone abbandonata e parecchi altri drammi del Metastasio, e commedie di ogni sorta di altri autori. La prima volta rappresentossi il "Re pastore" perché meno complicata. 
Da vicini Comuni venivano Galantuomini al nostro Teatro; dal Tito molte Signore benanche, e da Potenza li primari impiegati coll'amicizia di Carelli ben spesso venivano a gustare le nostre rappresentazioni non essendovi colà nè teatro, nè divertimenti. Le maschere del Carnevale erano nobili e chiassose sul gusto Teatrale: il viaggio della Mecca, la guerra degli americani, i Cosacchi, ed altre ed altre assai lietamente ci occupavano, e il popolo tenevano in allegria. 
Nella Riforma delle guardie civiche erano restati soli D. Benedetto Capece Capo ed io Tenente. Egli per timore di soffrire danni sui suoi animali per parte de malviventi in campagna, per natura sua fatto a favorire i più tristi, indifferentissimo sui pericoli ed i mali del non curato buon'ordine, faceva andare il mondo senza curarsene. In società col negozio di vacche e pecore con Carelli Consigliere dell'Intendenza di Basilicata, veniva tollerato, protetto, ed anzi valutato. Nulla voleva fare, e nulla lasciava fare maledettamente. 
Gigantiello intanto, ogni giorno (134) più accanito coi sbirri degli affittatori feudatarii, cioè di Carelli principale, si rendeva con omicidi e riunioni di uomini egualmente cattivi e disperati... pericolosissimo ed assai temibile. 
In tale stato di timori e pericoli, i timidi Carelli co' quali i rispettivi mali umori si raddolcivano, e s'inasprivano secondo le circostanze, con me, escogitarono l'espediente politico così. D. S. ad infondermi amicizia e fiducia più che altre volte che aveva io medicato e servito la famiglia, ad ispirarmi sincera confidenza, e far svanire qualche sinistra idea per avventura svolgessesi nella mia testa, ed impedire qualche maligno disegno del Gigantiello contro loro, che sempre credevasi in intelligenza e dipendenza, o almeno in buoni riguardi con me". 
Le buone occasioni che si presentavano fecero sì che D. S. e il Cappiello divenissero veramente amici e confidenti. 
Intanto "forti sollevazioni, tumulti e reazioni politiche agitavano il Regno, ma intraprese e dirette da uomini ignoranti, e di delitti finirono colla loro distruzione. 
Nella nostra Provincia (1809) Scarola, Scozzettini, il Prete Patierno, Felice Stigliano di Pignola (fratello del Tenente Vincenzo) rumoreggiavano fortemente vicino a noi riunendo mano mano gli oziosi, i vagabondi, i truffajoli, i ladroncelli, i più spregevoli e diffamati. Presto si giunse a loro il nostro Gigantiello, e divenne per Picerno assai temibile. 
L'Intendente Flac, partendo dalle prevenzioni e suggerimenti falsi mi richiese a pratticare qualche espediente per richiamare Gigantiello. Osservai che questi non dipendeva, non sentiva; che vendicativo, gran guasti avrebbe a Picerno recati, dove eranvi i suoi nemici, se seriamente non provvedevasi. 
L'Intendente fidando su D. Saverio, facile promettitore, sul rinomato Tenente degli antichi Fucilieri D. Benedetto il quale amava più accarezzare i malvaggi, che darsi cura de buoni; lusingato dalla forza promessale da Napoli, non valutò le mie osservazioni giustissime e sincere. Ingrossatasi la masnada de briganti tra non molti giorni entrò in Baragiano,e mandò avviso a Picerno di approntarsi 350 razioni pel dì seguente. Il Comandante non si scosse a provvedimenti, non riuscì all'uopo, e con aria di disprezzo e noncuranza lasciava correre, per tutto scrivendo a Potenza di accorrere. 
Venuto il nuovo giorno, il Comandante senza preparativi alla difesa, armatosi di fucile in tuono a niente temere, in attenzione di soccorso che Potenza non aveva a dare, passavasela quasi in indifferenza. Ad evitare mille conseguenze mi agitai alquanto, e feci prudentemente arrestare la madre e le sorelle di Gigantiello per averle in ostaggio a servire di rappresaglia in caso di minacce o guasti per parte dello stesso. I pochi civici riuniti erano senza provisioni ed indifferenti per lo meno, D. Nicola Salvia in qualità di supplente, sempre stravagante scrisse a Potenza "i briganti sono a vista, la vittoria sarà per noi ! ! !" 
In tal modo gli agenti del nuovo Governo erano zelanti. 
Già la massa inorganica di Scarola, e Gigantiello era lungo la nostra Fiumara, e D. Benedetto che dormiva dopo pranzo venne da me svegliato. Invano proposi la riunione de pochi armati, fuori l'abitato, sul monte del Salvatore per intimorire la massa minacciante, per attaccare i briganti ubriachi, e dispersi per le Case, in secondo luogo, per loro resistere in caso di attacco avendo le macchie adiacenti a ripari, ed il bosco alle spalle per ritirata. La miserabilissima cavalleria brigantesca sarebbe finita in quelle macchiose coste... invano proposi altra strategia più audace, ma certo rovinosa per que' sciagurati; nulla potè concretarsi, e tutti fuggirono in varie direzioni. D. Gaetano stesso, mio fratello, le donne, senza attendermi fuggirono alla via di Ruoti. Io a non uscire dal paese tanto scioperatamente, spiegaii cura a scortare, e custodire la vecchia Madre di D. Saverio Carelli, e la sorella le quali sole rimanevano in Picerno, e con due o tre altri, traversato stentatamente il bosco de Li Foj giunsimo in Potenza a quattro ore di notte, dove tutto era in allarme. 
L' Intend., irritato dalle segrete prevenzioni di Carelli e Capece, li quali non sapendo, e non volendo comandare, e volevano nascondere la loro irrisoluzione, e timori pe' loro animali in campagna; sulla sognata corrispondenza del Gigantiello con me, ed i molti parenti a Picerno, irritato, e più sbigottito, voleva quasi imputare a me i fatti di Picerno, a me che l'aveva prevenito drittamente, e ponderatamente, a me che aveva cercato di animare, preparare, e sostenere una difesa, a me che non aveva l'anima brutta di mischiarmi con i ladri, ed i mascalzoni i più spreggevoli per falsi interessi.
Se effettivamente in quell'epoca la mia condotta non fosse stata inattaccabile, leale, sincera, sarebbero riusciti a distruggermi. 
L'intendente era in furie per ciò che accadeva, le maligne giustifiche del Comandante Capece fecero credere che non si era fatto resistenza per i rapporti dello Gigantiello a Picerno, e con me distintamente, e mancò poco non venissi arrestato. 
I Briganti in Picerno contenti del trionfo non commisero eccessi. 
Due giorni dopo l'entrata de briganti, mentre io (Tommaso Cappiello) stava a Potenza accorse Artigoni con poca Truppa e Schipani con poche civiche (135) e sanguinosa scaramuccia fuvvi e disordini non pochi ebbero luogo... li quali presero così male disposizioni separandosi, non sentendosi, o facendosi mal guidare, che restarono vinti, e la turba indisciplinata credettesi qualche cosa di più. Nella scaramuccia, la Casa di Calenda restata salva dalla massa di Sciarpa nel 1799, fu incendiata in quel giorno per male inteso della gente di Schipani; Gigantiello il quale volle dare pruove di sè restò ferito nella gamba, e parecchi Gentarmi restati prigionieri furono fucilati sul monte del Salvatore. 
Le nuove dei fatti di Picerno giungevano secondo chi le recava in Potenza, e venivano sentite secondo le disposizioni degli animi. L' Intendente agitatissimo promise denaro per correre in soccorso di Picerno, ma non si offrì persona. Di accordo con gli impiegati aviglianesi scrissero, e fecero venire da Avigliano cento uomini bene armati per tenerli a disposizione secondo gli eventi, e fuggire all'uopo. I Briganti da Picerno passarono a Pignola e da Pignola ingrossati, ardirono attaccare Potenza". 
Fu in questa occasione che il Cappiello cercò con impegno di riconquistarsi la fiducia dell'Intendente. Così egli scrive in proposito: "Io malguardato, non bene certo dall'Intendente, in quel giorno di attacco, giudicai convenirmi fare de sforzi, e dimostrarmi". 
Si unì il Cappiello ai difensori di Potenza combattè fuori Porta Salsa, accanto al Capitano degli Aviglianesi, Corbo che rimase ferito mortalmente (136). 
Per la di lui partecipazione alla difesa di Potenza il Cappiello tornò nelle grazie dell'Intendente che, nell'accogliere i vittoriosi con allegria e forte entusiasmo, gli manifestò la propria soddisfazione per il valore dimostrato nell'impresa e, riconosciuti i suoi meriti, lo nominò "Capitano Comandante la forza di Picerno" (137). L'autore del manoscritto continua: "Restato pochi giorni in Potenza seppesi che il Reggimento d'Incorreggibili Latour D'Auvergne diretto da Napoli per Potenza erasi alloggiato una notte in Picerno, vi aveva fucilato un indicato per brigante nell'entrare, ed aveva saccheggiato alcune case, la Chiesa e precisamente la bella statua di argento del Protettore S. Nicola. La statua di S. Nicola non fu presa nella Chiesa, dove forsi non sarebbe stata toccata, ma nella vicina Casa di De Canio, dove alloggiava una partita di soldati peggiori de più cattivi briganti, sfuggendo la vigilanza de loro uffiziali, e profittando della noncuranza e timore de padroni di Casa, nella notte ebbero la fatale occasione di vederla, spezzarla, e dividerla tra loro.
La piccola piramide (138) anche con alcune lamine d'argento fu lasciata. La 
Mitra, la Sfera grande della Chiesa furono riacquistate poi in Potenza mediante qualche spesa. 
Non erano più a temersi i briganti li quali dispersi, eransi in parte ritirati ne rispettivi Paesi, altri latitanti, ed altri seguivano i loro Capi in diverse direzioni, ma si temeva Latour D'Auvergne. Tornatovi Comandante, continua il Cappiello, spiegai tutta la mia naturale attività; i criminosi furono perseguitati, arrestati, giustiziati, le comitive fugate dal Circondario il buon ordine ristabilito, e la sicurezza assicurata ai buoni proprietari. Intanto Scarola, il Prete di Salvia, Patierno e Gigantiello disgiunti, ciascuno con la sua partita, raggiravansi nelli nostri contorni. Parecchi incauti contadini Picernesi che avevano troppo secondati i briganti nel giorno del loro attacco in Picerno eransi dati fuori. 
Gli ordini erano rigorosissimi, e la Commissione Militare in Potenza condannava a morte con poche formalità. 
Spiegai un'attività tutta militare. Per persuadere i fuorusciti a presentarsi, e richiamarli all'ordine specialmente Gigantiello tutti i modi pratticai. Ai Galantuomini e proprietari atti alle armi non lasciai un minuto di riposo. Il Magazzino sottocorte elessi per Quartiere permanente; vi portai il mio paglione ed oltre una guardia fissa, ogni sera facevasi colà appello di tutti i Picernesi armati dove restavano poi a dormire. Alcuna volta fu sonata la campana a falso allarme, alcuna volta furono fatte venire false notizie da Tito, da Baragiano, dal bosco ecc. per fare esperimento dello spirito pubblico, e della esecuzione degli ordini dati. In ogni notte spedivansi pattuglie per varii punti secondo le notizie pervenivano; quasi ogni giorno io era ne nostri boschi usando e rigori e strategiche per raccogliere nuove e dare disposizioni. D. Antonio De Meo Sacerdote fu arrestato qual Sindaco di Scarola, i parenti di Gigantiello furono arrestati; i contadini che non rivelavano erano maltrattati e bastonati, i fuorusciti presi e condannati dalla Commissione Militare; la coscrizione eseguita scrupolosamente, ma certo senza estorsioni. Niuna calunnia, niuna denunzia, niuna macchinazione a profittare, a vendetta personale e sodisfazione ebbe luogo. 
I paesani, furono presi, e que' de contorni fuggirono dal nostro territorio, e non riuscii neppure una volta incontrare, o venire ad azione con una banda di loro. Gigantiello abbandonato con un solo compagno, latitante ne vicini boschi, fu dopo un anno circa ucciso in un pagliaio del Marmo traditorescamente da un suo parente, e confidente senza venirmene merito. 
Il mio zelo, la mia attività, il servizio, venivano compensati dalla taglia imposta per ogni brigante dichiarato dalle liste pubbliche de Regimentarii Comunali che veniva preso, dal numero maggiore che effettivo degli uomini posti a soldo nelle spedizioni fuori il nostro tenimento, e dalle gratificazioni che l'Intendente mi accordava non di rado secondo le occasioni. 
I civici quante volte uscivano dal tenimento per servizio urgente interessante, e per ordine superiore ricevevano la paga di carlini tre al giorno. Per l'arresto e uccisione di un brigante dichiarato dalle liste erano accordati ducati venti che dividevansi tra il Capo e gli esecutori. Per ogni Capo brigante notorio, e dichiarato davansi ducati trecento. 
Commissione assai più importante mi venne affidata, cioè di percorrere i due Circondari di Bella e S. Fele per riscuotervi la fondiaria, e far eseguire la leva de debiti, e coscritti. 
Quelle Comuni erano malamente, certo non bene intenzionati ad ubbidire alle leggi, e Scarola compariva spesso sulla montagna di Picerno, e vicinanze a furacchiare. In Muro tenevasi una piccola partita di Francesi, ma l'incarico era spinoso. Pronto all'esecuzione con sessanta i migliori Picernesi bene armati, e meglio pagati andiedi in Bella "(139).
Indi "passai a S. Fede. In S. Fede l'operazione non fu facile (140). Nelle altre Comuni non furonvi ostacoli, erano percorse le notizie di rigore. Tra dieci o dodici giorni si raccolsero ne due circondarii circa seimila ducati di contribuzioni attrassate, quindici coscritti, due fuorusciti, e l'omicidiario di Bella. 
Gli ordini del Governo erano in quelle Comuni niente e stentatamente eseguiti, per mancanza di forza, per le oscillazioni delle novità, per la lontananza, per l'indifferenza, e gli abusi degli incaricati. 
Ritornando da Napoli suo figlio, l'Intend. incaricommi d'andarlo ad incontrare ad Auletta. Nel ritorno che facevamo ad un'ora circa di notte sul ponte delle Salvitelle, dall'alto delle vicine colline fu tirata su di noi una batteria di archibugiate, senza offenderci perché lontane: una più forte fu restituita alla direzione. Fu una bizzarria de briganti li quali interruttavano il commercio e riempivano di timori e d'interpretazioni gli animi di quel tempo sotto colori, a vero fine di rubacchiare. Durante l'inverno per quaranta giorni e più fui postato nel piano di S. Aloja con trenta civici ben pagati ad assicurare i viandanti, ed accorrere ove ne contorni comparivano i briganti. Dormivasi spesso nel Casino di Lancieri del Tito. 
Ho notato tali fatti - dice il Cappiello - che ho ricordati per far fare idea di qual tranquillità allora godevasi, e come quel Governo reggeva e reggevasi 
Fra il 1810 e il 1811 non tranquillo il Governo per le incertezze politiche, per li torbidi rinascenti nelle Provincie, senza truppe, o poche nel Regno, inviava con poteri certi uomini da terribilmente farsi temere come un Dentice in Puglia, un Manhes in Basilicata. 
Dalle Calabrie venne questi colla divisa del terrore. Ordinò di restringersi gli animali vicino l'abitato, di doversi ogni mandria custodire da dieci uomini armati, di non poter portare i contadini pane in campagna, e di uscire in campagna armati tutti gli individui atti alle armi alla caccia de briganti. Promulgati rapidamente tali ordini venni da lui chiamato in Potenza. Nel piano di S. Aloja incontrai una partita di Gentarmi che menava tre o quattro Titesi uomini e femine ad essere fucilati nella Piazza di Tito quali ricettatori di fuorusciti. Giunto in Potenza crebbe il mio affanno, non avendo trovati il mio Colonnello Sponsa, il mio amico De Franchis Capo squadrone di Gentarmeria inviati dal Generale, siccome dicevasi, ad esecuzione di ordini di morte, contro il Giudice di Tolve, il Capitano di Pietrafesa, ecc. ed immagini il lettore in qual timore erano tutti immersi e muti, in qual agitazione io mi trovava. 
Manhes non aveva che pochi Polacchi a cavallo. Il Governo che l'inviava, e li Generali incaricati forsi in quelli infrangenti avevano più timore di coloro a' quali lo diffondevano con tali terribili misure; e tutti senza pensiero alla comun salvezza piegavano il collo, e strumenti facevansi gli uni contro gli altri per servire Sultani di tal fatta. Dopo quattro giorni, rientrati i miei amici senza aver fatto morire alcuno venni destinato Comandante di una colonna mobile di quaranta legionarii da percorrere incessantemente, senza entrare nell'abitato, i boschi di Ruoti, Baragiano e Picerno per l'esecuzione degli ordini emanati contro i briganti e tendenti alla loro distruzione. 
Tale battuta durò circa quaranta giorni.
In Basilicata il Manhes non altro atto duro o di sangue fece eseguire che quello contro i Titesi. Era il suo sistema di spaventare, avrebbe cominciato forsi dal far uccidere anche meno rei e innocenti ". Le truppe del Generale Manhes, incaricate da Murat di distruggere il brigantaggio che nella Basilicata aveva a capo Taccone (141) e Quagliarello (142) catturarono Taccone e lo impiccarono nella città di Potenza. Il popolo picernese, libero in un certo senso dall'azione dei briganti, si diede a cercare tesori tra i boschi". 
Ma con Taccone e Quagliarello non si spensero i focolai dei briganti i quali continuarono indisturbati a terrorizzare la pacifica e laboriosa popolazione della Basilicata. Il brigantaggio che, in vita già al tempo di Roma, aveva infestato anche l'Europa e in particolare le regioni italiane, continuò a manifestarsi con furti, dileggi, sevizie, uccisioni anche dopo l'azione di Artigoni e di Manhes. Tale fenomeno durò a lungo nelle terre di Basilicata lasciandoci in eredità l'arretratezza ed il carattere diffidente propri della gente del Mezzogiorno d'Italia. 
Testimonianze dei più clamorosi episodi del brigantaggio in Picerno sono custodite nell'archivio di Stato di Potenza da cui si riporta un breve saggio. 
"Cinque persone armate perpetrarono un furto ai danni di Lancieri e Griscio (143) i quali concordemente deposero che, " nella mattinata del 20 aprile del 1828, mentre da Tito erano diretti per Napoli, appena giunti nei confini di Picerno, e propriamente nella masseria denominata di Panesse, furono aggrediti da cinque persone armate di fucile, che dopo averli fatti mettere di faccia a terra, derubavano loro la somma di ducati 20 in diversa moneta, dei commestibili, dei pannamenti, con averli rimasti quasi del tutto nudi ". Entrambi nella deposizione fatta al giudice Salvio dissero inoltre che: " due delle quali (cinque persone armate), se li approssimarono e tre in qualche distanza colla faccia a terra non fu consentito ai due Lancieri e Criscio esaminare alla minuta le di loro persone; ma riuscì loro di vedere che uno di questi aggressori era un giovane dell'età dai 20 ai 30 anni, vestite alla contadina, di color naturale e con Stivali di panno ordito. L'altro poi era mascherato con pelle di capra bucata nelle parti corrispondenti agli occhi ed alla bocca, avvolto in un cappotto - nero ed ordito, con cappello da contadino, con stivali anche di panno nero e grossolano, e calzari con pezzi di cuoio naturale detti comunemente scarponi. Degli altri due che rimasero in distanza non riuscì loro di discernere chè uno di essi vestiva alquanto civile e con pantaloni anzi che con calzoni corti come andavano gli altri ". 
I malcapitati non vennero altre maltrattati, la persona col volto coperto, in cambio della refurtiva, regalò al Criscio 55 grani perché si comprassero il pane. Vennero anche derubati del denaro di diversa moneta, di una sporta piena di caciocavalli, butirri, soppressate e tali altri commestibili, nonché una salvietta di tela con entro delle soppressate e salsicce. 
"Nicola Iura la sera del 4 luglio (1849) tornava da Ricigliano... giunto verso un'ora di notte alla china del Marmo in tenimento di Picerno e propriamente sotto la Crocivia, intese un rumore nella messe del grano toccante la strada e subito venne aggredito da due persone una armata di fucile e l'altra munita di scure che gli intimarono di mettersi bocconi a terra. Erano i malfattori alla distanza di circa quattro passi dal detto Iura quando questi, armato di coraggio e riparandosi dietro la sua vettura, impugnò il fucile ed impose all'aggressore di fermarsi: fu scoccato un colpo di arma da fuoco da un terzo malfattore che stava alle spalle di Iura". Con sei colpi di archibugia, infine i malfattori vennero messi in fuga. 
L'Intendente di Basilicata, con una lettera del 19 luglio 1849 elogiava il Giudice Regio di Picerno "per lo zelo spiegato al fine di scoprire i malviventi in occasione dell'aggressione ai danni del possidente Nicola Iura di Baragiano alla Contrada Acqua Fetente, avvenuta il 4 luglio del 1849. Nella stessa lettera l'Intendente esortava a continuare "con intensità e senza tregua la perlustrazione nel territorio di Picerno" soggetto in seguito ad altre ed altre aggressioni che videro-impegnato in modo veramente encomiabile, il predetto giudice regio di Picerno.
 

lll

124 Sulle conseguenze che l'avidità dei nuovi proprietari terrieri ebbe nella vita economico-sociale del Mezzogiorno d'Italia ed in particolare dei paesi della Basilicata cfr. T. PEDIO, "Aspetti a problemi della vita politica Italiana dall'Unità alla prima guerra mondiale", Matera, Montemurro, 1971. 

125 Tracce dell'epoca feudale e baronale a Picerno non mancano: esse sono sia nei numerosi sontuosi palazzi nel centro abitato e sia nelle abitazioni altrettanto appariscenti e ben costruite delle zone rurali e sia nella mentalità della popolazione ancora legata a vecchi schemi. 

126 Entrambi con Rauziis di Traumutola affittatori di feudi del nostro Barone. 

127 Tenuta in pubblica piazza. Abitualmente "il parlamento e l'adunanza popolare tenevasi in pubblica piazza". T. CAPPIELLO: "Storia di Picerno" cit. .

128 Al Capo eletto era affidato il compito di fare giustizia; contro di lui era spesso pertanto diretto ogni atto d'ira e di sdegno. 

129 "Contro il Barone". T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. . 

130 Dice il Cappiello: "Qual Giustizia avevano attendersi coloro, che non erano in simpatia col Padrone?!! .; giacchè "il Governatore de maledetti tempi Baronali era uno salariato, patentato, a tutta disposizione, e volontà de Baroni, e loro agenti". T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. .

131 Da Atti e Processi di valore Storico. 

132 Intanto a Picerno "i delitti erano frequenti tra i birri degli affittatari feudali e Gigantiello; le passioni ognor rinascenti per le acrimonie naturali ed abituali de piccoli paesi aizzavansi ogni giorno per giusti e ingiusti motivi". Da: T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. .

133 Il Teatro fisso fondato dall'Arciprete D. Antonio Passavanti "malridotto dal tempo e dall'abbandono, fu restaurato nel Sindacato di Nicola Salvio a pubblica spesa... durante l'occupazione Militare diverse compagnie di Commedianti sono venute a divertirci a mesate. Con dolore debbo non tacere che sotto il Sindacato pestiale di D.G.C. Iacovello, prolungato per la forza di altri tempi, per molti anni, il teatro è stato spogliato, divorato da sorci, e fino cosporcato dall'introduzione di animali, ora (1833) poco meno che annientato". Da T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. .

134 Nicola Gigantiello era di famiglia picernese e "speziale di dolci" ed uomo pericolosissimo d'armi, era sempre in compagnia ed amicizia di galantuomini, e precisamente di me - dice il Cappiello -, che andava con lui a caccia, cantando di notte. Questi, entrato in stizza con i sbirri di Rionero, ed altri, ricevette delle fucilate, e ne tirò dal suo canto, gli uccisero il fratello ed un parente, e da parte sua uccisero parecchi; perseguitato profittò delle circostanze e si unì a Scarola". Il giorno che la sua truppa massa volle venire a Picerno fuggirono una quarantina di soldati venuti da Potenza, e D. Bened. Capece che comandava per francesi non volle fare resistenza per motivi d'interessi e tutti quindi fuggimmo in varie direzioni, ed io prescelsi di scortare a Potenza la sorella, e la madre di D. Saverio Carelli il quale aveva colà impiego di Segret. Generale". Da T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. .

135 Sia la partita della Gentarmeria a cavallo che quella dei civici al comando di Artigoni l'una e di Schipani l'altra, provenivano dalla provincia di Salerno. 

136 E' bene che il lettore venga a conoscenza dell'azione brigantesca in Potenza. Così il Cappiello: "Alle ore 23 circa il Capitano Corabelli, fratello del Segretario Generale, conoscendo il disordine, e la niuna arditezza della Truppa massa, e le conseguenze della lenta resistenza; postosi alla testa di pochi Gentarmi, e pochi altri pronti a seguirlo, marciò impetuosamente fuori contro i pignoni di spighe situati sul monte, da dietro i quali i nemici facevano fuoco. Io, dice il Cappiello, lo seguii assai da vicino. Mano mano venimmo seguiti da altri, precisamente dagli Aviglianesi che colà trovavansi, mentre la maggiore parte tenevasi nella Piazza per fuggire coll'lntend. ma al nostro arrivo sul monte i briganti al n. di più centinaia già precipitavano in basso verso la fiumara e tosto alla direzione di Pignola. Si dispersero in un baleno lasciando i loro meschini bagagli su i stanchi muli e cavalli rubati al numero di centocinquanta e più. Gli Aviglianesi ne presero cento e nove siccome si disse. Io m'impadronii di un mediocre cavallo saticalesco con bisaccia e caponotto sopra; di una giumenta, e raggiunto da un Picernese che veniva a prendere notizie e riportarle ai Carelli, infine di un terzo cavallotto. Ecco i briganti quali avevano ripiena la Provincia di allarme, e di timori, e che avevano ardito attaccare la Capitale !!! Tal fu il gran combattimento di Potenza, nel quale le truppe di Scarola furono vinte, e disperse e fugate, non essendo stato ucciso che il solo Corbo di Avigliano di nostra parte, ed un meschino contadino a notte dall'altra!!! 

137 Anche perchè il Cappiello si era mostrato molto premuroso nel curare il Capitano dei Civici Corbo, che, purtroppo in seguito alle ferite riportate morì il giorno dell'attacco.
138 Piramide che tutt'ora esiste.

139 Qui si incontra con un omicidiario armato che pochi giorni prima aveva ucciso un proprietario, viene il Cappiello a trattative e si fa pagare la fondiaria. Con il Sindaco poi si accorda per quanto riguarda i coscritti.

140 Appena spediti i biglietti di piantoni cominciò mormorio ed attruppamento anche con armi; ai miei civici chiudevansi le case. Riunita prestamente tutta la mia gente nella casa del mio alloggio, e ritenuti gentilmente il Sindaco ed alcuni decurioni trovavansi meco, feci chiamare subito il Giudice, il Comandante e gli altri decurioni li quali accorsero a fare la parte così e così affettando inscienza ed indifferenza per quanto avveniva. Fatta chiudere la porta, ordinata di ben caricare i fucili, parlai dolcemente e ragionevolmente a tutti que' Galantuomini esser loro forte interesse di far sciogliere gli ammutinamenti, richiamare la popolazione all'esecuzione delle leggi, e senza perder tempo ad addurre pretesti, far valere la loro influenza pel mantenimento dell'ordine e pel pubblico bene. Fate chiamare alcuni nostri agenti e confidenti e se fra un quarto d'ora la popolazione ammutinata non si è sciolta la vedo riunirsi intorno la mia casa e si tira un colpo di fucile, farò gettare per le finestre le vostre teste ed i vostri cadaveri; siate Galantuomini, è del vostro interesse e responsabilità l'ordine e l'ubbidienza alle leggi, vi prego. Convennero, si diedero moto, si tornò alla calma: l'esattore rilasciò certificato di tenere in cassa buona somma dell'arretrato e il Sindaco assicurò di procedere all'arresto de' coscritti tra pochi giorni di mia lontananza e dimora in altri Comuni".

141 Taccone brigante che imperversava nel mezzogiorno della Basilicata.

142 Quagliarello, brigante che infestava il nord della Basilicata, fu ucciso da alcuni contadini di Ricigliano.

143 Cfr. "Atti e Processi di valore storico", in Archivio di Stato di Potenza.

 

 

 

 

 [ Home ]    [ Scrivici ]

 

agg. al 30/08/2004

 


.

.


.

.