Capitolo V
MOTI COSTITUZIONALI DEL 1820 - 21
Anche in Campania ed in Lucania si ebbero, nel 1820, moti
costituzionali, ai quali Picerno non rimase insensibile, anzi essa mise
a servizio della causa nazionale le proprie esigue forze già riunite in
sette, che raccoglievano galantuomini, sacerdoti e uomini di cultura.
Seguiamo lo svilupparsi e l'estendersi di questi moti in Picerno
attraverso il racconto del contemporaneo Tommaso Cappiello.
"Corse voce di essersi trovati affissi alle porte di Potenza cartelli
rivoluzionari, ed il colonnello Del Carretto (155) con pochissima gente
a piedi ed a cavallo da Napoli corse in Potenza. Nell'istesso tempo
Mantenga di Balvano, con alquanti Carbonari, i più disperati, e
screditati soggetti, cacciossi fuori sulle alture del Marmo con un certo
mascalzone romagnolo sedicentesi General Piemontese. Il Signor Del
Carretto mosse alla direzione del Marmo in compagnia del Maggior Corbo,
un Uffiziale di Gentarmeria, e la poca sua gente: una quarantina a
piedi, e venti forse a cavallo.
Io (Tommaso Cappiello) passando per la strada sotto Picerno, mandommi
avviso di raggiungerlo solo sulla direzione detta. Lo trovai sopra
un'altura avendo spediti il Corbo, ed altro ad esplorare nelle vicinanze
di Balvano, e prendere espediente, prattica qualunque collo stesso
Mantenga.
Ritiraronsi i messaggeri o esploratori senza risultato di sorte, ed il
Colonnello occultamente controdisposto ordinò di ritirarci.
Alla prima Taverna, cioè di Florio volle riposare. Il Maggiore Corbo,
accusando forte dolore di testa, ritirossi a Picerno in Casa mia.
Il Colonnello solo co' suoi pensieri, ricusando di venire in Picerno, e le
offerte che io le feci, limitossi ad ordinarmi che nella notte fossi
rivenuto a lui con trenta o quaranta Militi bene armati per marciare
contro Mantenga. In mia casa trovai il Maggiore Corbo a letto. Il mio
stato d'animo era terribile. Come poter ubbidire con la maggior parte
dei militi antichi Carbonari, e nemici? Mancare al mio dovere erami una
ferita mortale. Risolsi di far chiamare il Giudice, il Sind., i Capi
Carbonari in nome del Maggiore e tutti vennero, anzi presto la mia casa
fu piena de più ardenti, perché non ignoravasi l'interesse della
circostanza, ed i più facinorosi, non però tra i Capi e Galantuomini,
cominciavano a proporre di non volere sentire, ma di correre a disarmare
il distaccamento della Taverna di Florio. Riuniti i Capi in una stanza
segreta con la mia solita franchezza dissi loro: "Che si vuol fare,
Signori, poichè io non posso agire nella circostanza per mio solo
consiglio, nè il devo? " Se si vuole andare a tare la causa Carbonaria
con Mantenga, niuno eccettuato, niuno assolutamente, andate a prendere
le armi ed i vostri sacchi, e mettiamoci in marcia voi Sig. Maggiore
alla Testa, Sig. Giudice, Signori Gaimari, Capece, Caivano, De Canio,
Dignitarii Carbonari in primo. Se volete non esporvi, non
compromettervi, di prudenza, lasciatemi fare il mio dovere, imponete ai
Militi Carbonari di ubbidirmi con fiducia, di seguirmi soli e che
avvenghi ciò che è destinato, e di necessità"".
La turba impaziente di sapere, di voler dire, affollavasi, e gridavasi:
"Alla Taverna di Florio". Se l'Impiegati non avessero voluto tener la
macchia salva e voler ingrassare la capra, se i Capi dell'Astrea
Picernese non fossero stati vili quanto brigantissimi lo erano, alla
testa di quella furente masnada gravissimi disordini avrebbero avuto
luogo nella Taverna di Florio. Spaventati da pericoli sovrastavano,
amarono lasciarmi libero nell'esecuzione degli ordini ricevuti
riservandosi essi di avvisarne conseguentemente il Mantenga.
A mezzanotte m'inviai verso la Taverna, e sulla grande strada parlai ai
militi di onore, e di dovere. Giurarono di non tradirmi, di eseguire
tutti i miei ordini. Il Signor Del Carretto passeggiava, e siccome io
avevo meco condotto anche il Sindaco Iacovello (156), così piacquemi di
esprimerli impegno, e zelo. Mi ritirò in disparte interrogandomi suI
morale dei militi, di Mantenga e sullo stato delle cose. I militi
faranno il loro dovere, e circa la risoluzione del momento esposi forsi
conveniva meglio attendere due giorni; "Se Mantenga ha, fatto tal mossa
isolatamente, egli sarà perduto certamente; noi lo batteremo, lo
annienteremo, ma se ha corrispondenza, concerto esteso, il nostro
movimento sarà senza risultato, e potrà esserci anche fatale e senza
ritirata". Raggionava di temporeggiare, a non precipitare la mia
compromissione così violentemente. Trattavasi di un passo temerario
senza probabilità a lusingare da uno all'altro momento.
Io (Tommaso Cappiello) ignorava la corrispondenza di Mantenga, ma non era
egli un uomo ordinario, da disprezzarsi. Il Colonnello aveva fisso in
mente di attaccare; non fece osservazioni, ma ordinò alla truppa di
approntarsi a marciare. Volle attaccare discorso col Sind. il quale
disgustollo maledettamente con le sue risposte di gelo, slegate, e
congedollo assai bruscamente.
Sul Marmo richiesi al Colonnello (Del Carretto) i cappotti dei soldati che
feci indossare ai militi per riconoscerli, e non mostrarli paesani da
lontano.
Cominciava a biancheggiare l'aria, e m'immaginava di avere a vedere
l'esercito di Mantenga col Generale Piemontese, quando pochi uomini si
viddero uscire dal Casinotto di Mantenga, e fuggire alla volta del
bosco. Si caricò su quella direzione, si fece fuoco da Gentarmi avanti
per conoscere la resistenza. Mantenga era coraggioso, intraprendente,
non senza talenti, cacciavasi fuori a ribellare così malconcio con
quattro meschini forse senza armi? Il giorno avanti la tromba fallace
aveva divulgato l'esercito Carbonario crescente di centinaia sotto gli
ordini di Mantenga... per dire la verità, scrivo tutte le follie e le
menzogne di que' tempi di peste morale, e sempre così in circostanze
simili.
Nel suo Casino trovossi la giumenta, una bisaccia con poche carte
spreggevoli, ed un paio di vecchie scarpe che componevano l'equipaggio
di campagna. Fatta qualche ricerca ne dintorni, e nelle masserie vicine,
il Colonnello ordinò di marciarsi a Balvano. A Balvano presentaronsi
supplichevoli pochi galantuomini, e preti a quali ordinato di subito
consegnare le loro armi, e far partire una deputazione per supplicare
perdono, ricevuti pochi cattivi fucili fecimo colazione nel Convento.
Il Colonello manifestò ai militi la sua soddisfazione. Raccolte le poche
armi presentate, e caricatele su due muli, presimo la strada di Vietri
per quelle ripide montagne. Non potendosi andare a cavallo mentre
arrampicavamo per la pessima viottola, il Colonnello indifferentemente
cominciò discorso su i partiti di Basilicata Carbonari, e Calderari.
Francamente osservai che non era a contarsi sopra un partito di
opposizione, perché pochi esclusi per riguardi personali, ed acrimonie
de piccoli Paesi, non facevano parte del gran partito C. Giunti a Vietri
dove tutto era tranquillissimo, presto io ricevei un Corriere
coll'avviso di ritornare in Paese. Il Colonnello senza mia sollecitudine
permise di ritirarmi. Altre lettere ricevei per strada con l'avviso che
la Rivoluzione sviluppavasi in Potenza, in Pietrafesa, Tito ecc. e
lettera dell'Assemblea C. di Potenza di arrestare il Commissario del
Carretto.
I Carbonari di Picerno non potevansi contenere nell'esaltazione. La mossa
costituzionale propagossi da Monteforte con rapidità. Un distaccamento
di truppa di linea del Reggimento stava in Potenza, non so perché, e
come trovossi in Picerno; prese parte alle feste del momento, ma
acquartierato, era minacciato dal disarmamento, perché tutti volevano
armi, ed al solito degli antecedenti sbandamenti militari che i soldati
erano stati sulle strade privati di armi, i Carbonari avevano
segretamente postati altri sulle strade di uscita, ed ingresso del Paese
per spogliarli nella notte se fossero usciti dispersi come da tutti si
pensava. In tale considerazione giudicai meglio far deporre le armi al
distaccamento, di che informai subito il Colonnello Masciotetti che
comandava in Potenza. La truppa si disperse al solito, e parte forse
rientrò in Potenza.
L'altro dì vegnente i Carbonari furono invitati ad andare a far mostra ed
apparato in Potenza, ed in gran numero a quella volta diretti,
incontrammo il Sig. De! Carretto il quale ritornato da Vietri in
Potenza, e testimonio dell'accaduto, ritornavasi in Napoli accompagnato
dal Capitano dei Militi Cavallo di Pietrafesa ed altri per tutta
sicurezza.
Da cavallo mi disse, che io non lo avevo informato di tutto sulle alture
di Balvano, e che spiacquéli avere io disarmato il distaccamento. Alla
sfuggita risposi che il distaccamento era stato disarmato pel meglio, e
che il giorno della spedizione a Balvano io aveva a conciliare dati
assai strani e difficili.
Presentemente egli è il Ministro della Polizia, e Generale della
Gentarmeria; potentissimo non mi si permetterebbe una parola sulle due
sue proposizioni del piano di S. Aloja, ma io non ho alterata nettampoco
una idea di tutto il fatto perché possasi giudicare imparzialmente.
Sulla strada di Balvano a Vietri, non mi fece alcuna inchiesta nè in
qualità di Superiore, nè di amico. Conveniva cacciarmi graziosamente col
Commissario del Re in confidenze settarie? Sapeva io forsi quello che
avveniva in Monteforte, ed in altri luoghi del Regno? Dio sa i miei
affanni, i miei timori di quei giorni!
In Potenza presto svilupparonsi forti pretenzioni per impieghi. I
Carbonari avversi all'Intendente ed alle autorità tutte volevano
usurpare ed invadere, e profittare. Il Tenente Generale Principe di
Strongoli fu incaricato di venire in Potenza (a richiesta dell'Intend.
forsi) a riordinare a conoscere gli affari di Potenza li quali in primo
impedivano la spedizione delle contribuzioni al Governo. Saputosi il di
lui arrivo in Vietri, ricevei dal Colonnello Sponsa confidenziale
incarico di andarle all'incontro, ed esplorarne i sentimenti, e
volgerli, se possibile, in opposizione all'Intendente. Il Principe
Strongoli giunto in Vietri spedì un Gentarme con lettera di andarle
all'incontro, e seguirlo in Potenza. Lo incontrai sulle alture del
Marmo, e ristorati alla Taverna di Florio, come io aveva disposto,
incamminammo per Potenza. Camino facendo non riuscii a persuaderlo di
andare nell'alloggio di Sponsa allora Comand. la Provincia; era egli
amico dell'Intend. Petroni, e veniva a sue mire.
Il Generale non venne bene accolto, come era da intendersi perché in quei
tempi di disordine di sedizioni, la ragione, la giustizia, e la prudenza
stavansi in modesto apparto.
Invano, invano io mi adoperai giorno e notte per conciliare le pretensioni
dei Capi faziosi con gli obblighi di dovere di onore, e della carica del
Generale. Offerte, promesse furono rigettate... il fanatismo e
l'ambizione sviluppati ne Carbonari si credevano padroni oltre la legge,
e potenti perché le autorità senza forza non comandavano. L'Intend. e 'l
Generale tendevano a sciogliere la Lega Carbonaria di Potenza e questa
tendeva ad impadronirsi del Potere. Non si concluse cosa.
Il Generale scontento delle prattiche di Potenza volle partire presto, e
compiacquesi di venire la sera in mia Casa. Fu ricevuto in Picerno
trionfalmente con campane, spari, illuminazioni ad un'ora di notte. Il
Principe di Moliterno uscì all'incontro, l'Astrea festeggiò moltissimo
(157) e tutti i galantuomini furono a farle corte, ed a tavola col
Generale, il quale partinne tanto soddisfatto e contento di Picerno,
quanto pel contrario da Potenza. Dopo pochi giorni ricevei per la posta
sua lettera di Uffizio con lettera acchiusa del Capitano Generale Pepe
il quale in nome di Sua Altezza il Principe Ereditario Vicario Generale
in assenza di Sua Maestà Ferdinando esprimeva la Real sodisfazione per
la cooperazione prestata da me al Tenente Generale Strongoli nel
ristabilire il buon'ordine, e consolidare il sistema Costituzionale in
Basilicata (158).
Da Napoli rivenutosene in tal tempo Saverio Carelli, incaricato di
Commissione Costituzionale in Potenza fece tanto più traboccare la
bilancia contro di me col suo personale intervento ai lavori settari
dell'Astrea, che nella nomina degli amministratori Comunali, nell'altra
de' compromissari per la nomina de membri al Parlamento Nazionale, nè
io, nè i miei amici ebbero voti a maggioranza includenti scritti, od
espressati a norma della legge. Venuto in Picerno il Maggiore Corbo ad
organizzare la Compagnia dei Legionari, io proposi di far nominare
Capitano Felice Capece o Gennaro per contentarli e distrarli dalla lega.
Il Maggiore trovava le mie idee bene basate, ma preferì Gennaro. Lo fece
chiamare, e riempirlo di piacere, e di vanità facendolo restare con noi
a tavola. Ritornato ai suoi amici, fu rampognato, minacciato, deriso ed
obbligato a partirsene da Picerno, sotto pretesti per non accettare
l'onore ad altri più avidi tolto, ed accordatole per mezzo mio, ed in
casa mia.
Il Colonnello Bellelli troppo di fiducia del nuovo Reggime, fu incaricato
di venire in Potenza ad osservare e conoscere lo spirito pubblico, e
provvedere al meglio possibile agli apparrecchi della guerra imminente
coll'Astrea. Gli furono presentati ricorsi in nome di alcuni Militi, in
nome e firma del Sindaco, in nome di zelanti Carbonari contro di me
Capitano non patriota, non di fiducia a comandare nelli pericoli della
Patria. Bellelli sentito il mio Colonnello, il Maggiore, il Giudice
Criminale Mattia presso il quale alloggiava, sentito posatamente me a
pranzo, riconosciuto il furore anarchico dei settari il quale spiegavasi
da per tutto, e segnatamente in Picerno minacciando la certa rovina
della Causa, affrettossi a ritornare al Governo latore di male speranze.
Minacciò il Sind. di farlo chiamare dal Ministro della Polizia, ed i
Militi che volevano il Capitano dalla Setta di fargli passare nelle
linee di Sicilia. Tanti urti, tante molestie, tante agitazioni, e
pericoli mi determinarono alla risoluzione di allontanarmi da Picerno,
mi spinsero ad essere zelante per la causa liberale. Così passai
all'altra sponda scacciatone da quella nella quale avrei voluto
riposare. La crisi si approssimava... la mia presenza in Picerno
facevasi difficoltosa, pericolosa. Tra gli uffiziali a partire col primo
Battaglione venni prescelto e confesso che più il volli anzi chè no. Si
giunse ad Auletta a più di un'ora di notte. Il mattino seguente
all'appello della Compagnia mancarono otto o dieci Militi Picernesi i
più fervorosi Carbonari. Ad Eboli disertarono altri venti circa della
mia compagnia solamente".
Dopo una sosta di due o tre giorni a Napoli il Cappiello con la sua
compagnia partì per Capua.
"Il mattino della partenza per Capua - si legge nella citata "Storia di
Picerno" del Cappiello - trovai solo quattro o cinque dei Militi di
Picerno, i meno amici, ed i meno sui quali contava: tutti gli altri
avevano disertato la notte. In Capua non eravi guarnigione, ed il nostro
Battaglione ridotto al terzo o meno fu destinato ad un qualche servizio.
Dopo pochi giorni le nuove della Rotta di Rieti senza battaglia, il
disordinato ritorno dell'esercito, la fuga del Generalissimo Pepe, e il
disarmamento dei fuggitivi ordinato dal General Carascosa alle porte di
Capua, dimostrarono troppo la nostra meschina posizione, il nostro
destino, la nostra nullità e spreggevolezza. Malauguratamente in quel
trambusto, e nel momento di dover uscire da Capua si presenta a me
Antonio Scalfato, il quale da Picerno a Napoli, e da Napoli a Capua era
venuto a sapere da suoi parenti, mille voci corse. Con ordine di
marciare ad Arienzo: dove restati tre o quattro giorni senza
corrispondenza, agitati dalle male notizie della sciagurata circostanza,
licenziati dal Colonnello Bellelli gli avanzi delle Compagnie sotto il
suo comando, presimo la via a ritorno. Tutti i Militi di Basilicata,
eccetto gli uffiziali, e Militi Potentini i quali vollero andare a
Napoli a ripigliare i loro equipaggi, elessero me a loro Capo. In Sarno
entrammo dopo un'ora di notte. Forte guardia di sicurezza era sulle
armi; fatti pregare que' Capi a provvederci di viveri, ben pagati, e
dopo breve riposo partimmo in pieno silenzio. A Salerno, fatta restare
la gente (centocinquanta circa) sulla strada, presentatomi al Tenente
General Caracciolo, dopo breve riposo partimmo. Alle Taverne di Eboli
correvasi rischio di disordini".
Entrato in amicizia con gli ebolitani, il Cappiello ne diventò il
confidente. Ecco quanto egli scrive in proposito: "Presto così avuta la
loro confidenza, vollero dirmi il dettaglio del come, pochi giorni
dietro, avevano essi ucciso il membro del Parlamento Macchiarola il
quale erasi portato in Eboli a ribellare per la causa costituzionale, e
vollero farmi vedere ancora il sangue rappreso dove era quel misero
caduto. Fino a cinque o sei ore convennemi sttare nella loro
conversazione bevendo, ballando e discorrendo in gergo loro.
Stanchi si addormentarono parecchi, ed altri si ritirarono in Città, ed io
ordinai di metterci in viaggio in silenzio, e con tutte le precauzioni
necessarie, ed esplorazioni possibili. Nell'entrare nella nostra
Provincia ciascuna partita prese la sua direzione ed io con quei pochi
restati a me compagni nella spedizione ridicola narrata feci ritorno in
Picerno. Presto nella Capitale giunsero i Tedeschi senza tirare un colpo
di fucile, e colla sola presenza estinsero tutti i fornelli della gran
Carboneria, e finì in tal modo una macchinazione ideata e spinta da
genio malefico alla Nazione Napolitana, e praticata dagli intriganti
collo screditamento generale dei bbuoni Napolitani puranche. Le nazioni
beffarono la nostra rivoluzione.
I Francesi riempirono le loro gazzette di derisioni e satire circa la
rivoluzione costituzionale di Napoli. Napoleone a S. Elena informatone
da fogli d'Europa ne rise, e meravigliossi del come i Napolitani
avessero potuto impazzirsi in tal guisa colla Germania sul dorso. Con
tutti i suoi sublimissimi talenti non indovinò la cagione di tale
stranezza politica !
I fondatori della Setta in Picerno avevano a scopo le mire politiche del
paese, il contentamento delle proprie passioni, la soddisfazione di
personali vendette, e vergognandosi di annunziarsi al pubblico da
privata lussuria mossi; sotto il fallace divisamento di pubblico bene ed
essi, ed altri lusingati od ingannati avevano strepitato pel comune
vantaggio. Lo sviluppo di tanto malarchitettato macchinamento nulla
corrispose ai desiderati successi; i capi non pervennero all'ideati
posti, non toccarono i sognati poteri, non la guerra civile distrusse
gli emuli, gli avversarii, non le passioni scatenate furono contestate;
svanito il mistico coraggio, appalesossi la brutta loro natura, e rotti
così i falsi ligami della giurata fratellanza, la Setta sciolsesi come
la nebbia al sole.
L'epoca costituzionale chiarì tutti. I membri del Parlamento lasciarono
andare gli affari come andavano, i Generali non diedero prova alcuna di
loro mestiere, la truppa, al solito, fu negativa, l'impiegati adottarono
tutte le guise per conservarsi i posti, cioè il soldo; i buoni cittadini
furono intimoriti dalle discordie svelate, dalle reazioni della licenza,
e dai pericoli della guerra. I Settari si affannarono a partitare, a
pretendere, a minacciare: alla voce di guerra divennero ammalati,
moderati, e prudenti, e poche migliaia di Tedeschi, senza far guerra,
valsero a far sparire i Reggimenti, i Militi, i Legionarii, le compagnie
franche, le terribili vendite Carbonarie, il Parlamento, i Gazzettieri e
la sognata Costituzione. Restò il nazionale screditamento, un debito
nazionale di qualche milione gittato per la rappresentazione della
farsa; il rossore a ciascuno della palesata debolezza, la manifestazione
della spreggevolezza Settaria, ed un incamminamento popolare allo
sviluppo della civilizzazione, cioè a spergiurare, a diffidare, non
rispettare, e pretendere una certa uguaglianza e libertà, che non sono
state, non sono, e non saranno al Mondo perché non possono esservi
(159).
I primi ordini di rigore bastarono a sciogliere i Militi, le vendite, a
far consegnare armi, a far bruciare gli emblemi, le cartocciole, e
dimenticarne, ed aborrirne le usate parole, e segni della svanita Setta.
Una buona porzione di Truppa Tedesca fu mandata in Basilicata, e nel
passaggio toccommi alloggiare un Colonnello Croato, tre Uffiziali, ed un
distaccamento di Croati".
Nicola Salvio, che fu nominato Sindaco contro il parere del Decurionato
Picernese, si circondò di Decurioni, per la maggior parte di poca buona
fama e ottenne per il Cappiello la nomina provvisoria a nuovo Comandante
Civico. Il Cappiello rifiutò l'incarico per non essere strumento di
reazione contro i suoi nemici, in mano di Salvio.
lll
155 "Il signor Del Carretto pochi anni addietro Comandante della
Basilicata" Da T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit..
156 "Aveva invitato anche il Giudice ad accompagnarli fino alla Taverna
per fare un complimento al Colonnello, ma seppe sfuggire".
157 "I Carbonari di Picerno a far rilevare l'arroganza dei Capi S. di
Potenza li quali erano miei amici personali, e mal comportavansi
coll'Intend. loro antico tacito protettore vollero dimostrare al
Generale amico dell'Intend. i sentimenti di verace, moderato
patriottismo .. Da T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. .
158 "Questa lettera, i miei brevetti, le mille lettere delle autorità
superiori di tutti i tempi lusinghieri al mio amor proprio, dimostranti
una certa mia entità non ordinaria sono state bruciate dopo gli anni
posteriori dei quali al mio solito sono stato sempre esecutore". Da T.
CAPPIELLO: Storia di Picerno cit..
159 "Il buonissimo Re Ferdinando prima di partire pel Congresso di Lubiana
offrì di volontà alcuni statuti liberali". Cfr. T. CAPPIELLO: Storia di
Picerno Cit..
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