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Giuseppina Caivano Bianchini
- PICERNO
 

Capitolo VI
PICERNO E L'UNITA' D'ITALIA
 

Molto vivi furono i contrasti tra i sostenitori del Governo borbonico e quelli dell'Unificazione al Regno d'Italia. Le famiglie benestanti erano radicalmente borboniche e difficilmente avrebbero accettato un mutamento che potesse in qualche modo danneggiare la loro condizione di privilegiati: per difendere i propri interessi fomentavano il proliferare dei briganti, fornendo loro munizioni e viveri. 
I briganti avevano già da tempo creato gravi condizioni di disagio tra la popolazione agricola che svolgeva il proprio lavoro in un clima di terrore ed era costretta a recarsi ai campi, armata di "mazza e piroccola". La zona del Marmo ne era considerata il covo essendovi stati avvistati, ripetutamente numerosi gruppi di gente armata, sicchè già nel 1817 era stato proposto di disboscarne buona parte. Ci vollero però alcuni anni prima che tale proposta avesse attuazione, poichè si temeva che il disboscamento causasse "penuria di combustibile ai Comuni circonvicini" (160) e solo nel 1822 si provvide ad un parziale disboscamento della zona. 
Tale provvedimento non aveva estirpato il male; anzi nel periodo che precedette l'Unità d'Italia, e precisamente tra il 1848 e il 1860, i benestanti, per proteggersi contro le trasformazioni che il cammino verso l'Unità stava portando, avevano rafforzato il brigantaggio. Nè i contadini picernesi si azzardavano a fare vendette dei danni arrecati dalle bande brigantesche, temendo il peggio, e precisamente che venissero bruciate le messi quando queste erano pronte per il raccolto. 
Sopratutto il commercio di grano e vino con Ruoti era gravemente danneggiato; e si giunse ad un grado di paura tale che, qualunque forestiero, che attraversava il territorio picernese, era guardato con sospetto. Le condizioni di vita in cui versava la popolazione erano dolorosissime: uomini, donne, bambini erano costretti a vivere e a dormire in un unico ambiente, insieme alle bestie, compagne delle loro fatiche, mentre sotto il lurido giaciglio, spesso unico per tutti, trovavano posto legna, fascine, damigiane e provviste indispensabili alla vita quotidiana. Il cibo era scarso, e perfino il pane, confezionato prevalentemente con farina di granoturco, di vecce, di orzo, di legumi e biade varie, scarseggiava. Molto diffuse erano le focacce di granoni, dette "furcuat'"; la polenta della stessa farina costituiva il piatto principale del pranzo quotidiano (161). 
Numerosi erano i pezzenti che andavano di casa in casa a pitoccare un tozzo di pane che dividevano poi con la numerosa prole, vittima puranche delle più diffuse malattie dell'infanzia. A tal proposito si riporta lo stralcio della lettera del 21 settembre 1846 dell'Intendente di Basilicata diretta al Sindaco ed ai Capi Urbani di Picerno (162). 
"Signori. Nella fausta ricorrenza della venuta di S. Maestà il Re, nostro Signore, che tra breve onorerà la sua Real presenza, la nostra Provincia in occasione dei soliti esercizi istruttori delle Reali Truppe, io reputo conveniente di doversi impedire, che cenciosi, accattoni e pitoccanti si affollassero in questo capoluogo, dove non solo non vi sarebbe luogo da poterli dare ricetto, ma non farebbero altro che cagionare confusione Non intendo affatto di evitare a chicchessia il venire ad umiliare delle suppliche all'Augusto Sovrano, ma desidero vivamente di evitare unione di gente pitoccante che potrebbe cagionare disgusto tra la pubblica gioia in sì lieta ricorrenza. Elleno quindi dovrebbero far opera che siffatta classe fosse occupata in qualche pubblico lavoro. Non può mancare qualche accomodo di strada interna o esterna oppure di qualche altra opera pubblica dove tenerla impiegata e in ultimo per i storpi, vecchi, ed invalidi; ecc. ecc. anche qualche discreto soccorso pei fondi di beneficanza, ed in mancanza di questi sulle imprevedute del Comune. In questo modo si provvederebbe utilmente alla loro assistenza, e si può conseguire di non farli qui accedere senz'ombra di impedimento qualunque. "Son sicuro che si impegneranno ad assecondare le mie premure". La povera gente portava ai piedi "zambitti", o scarponi fatti con un sol pezzo di cuoio ordinario o cotica del proprio maiale allacciato ai piedi per mezzo di funicelle, "curgiol'", confezionate dagli stessi pastori con peli di capra, mentre le donne facevano grande uso di zoccoli di legno; le calze erano sostituite da "pezze" che avvolgevano le gambe ed erano tenute strette dagli stessi lacci che fermavano "li zambitti o scarponi". "Porzoni" confezionati dagli stessi pastori con pelli di pecore o di capre, con o senza maniche erano riparo al pastore e al contadino in genere durante il giorno, e guanciale e materasso durante la notte, mentre il capo veniva ricoperto da un cappuccio o da un turbante, raramente da un cappello, che era riservato per i giorni di festa solenne e per il giorno delle nozze. Gli uomini usavano portare mantelli a ruota di panno casareccio generalmente del colore naturale della lana delle proprie pecore. A rendere più dura la vita contribuivano i raccolti scarsi e le imposizioni di tasse molto gravose. Per la riscossione spesso il Governo si serviva di messi, detti comunemente "piantoni". Questi rimanevano in casa del contribuente dal quale pretendevano vitto ed alloggio fino a quando non avessero riscosso il tributo secondo i termini di legge. Diffusi erano i "censi" che gravavano su vari appezzamenti di terreni e che il lavoratore dei campi doveva pagare alla chiesa, allo Stato, ai feudatari, ai quali spesso venivano anche concessi beni in natura e prestazioni di manodopera gratuita. Per affrancarsi dal censo il contadino era costretto a sottoporsi a sacrifici inauditi. La mancanza di acqua potabile nelle misere e sconnesse catapecchie causava una larga diffusione delle malattie e l'inesistenza di servizi igienici, pubblici e privati, ne aggravava la situazione. 
L'analfabetismo non rendeva possibile un risveglio della popolazione ed un'apertura consapevole verso nuovi ideali politici e nazionali. 
Se i benestanti sostenevano il governo borbonico per conservare una condizione di privilegio, i contadini e la parte lavorativa del paese si mostravano incerti di fronte alle trasformazioni che stavano avvenendo, poichè, abituati alle sofferenze ed alle privazioni, temevano, nel mutamento del governo, un ulteriore aggravarsi della loro triste situazione. I giovani erano i più aperti certamente alle speranze, che sopratutto la spedizione garibaldina aveva fatto nascere in tutta l'Italia Meridionale e, quando giunse notizia che Potenza stava per essere liberata dal governo borbonico, le indecisioni e i timori lasciarono il posto all'entusiasmo ed al coraggio. Una notizia che è entrata nella storia di Picerno, ma che non ha conferma in alcun documento scritto che io sia riuscito a reperire, riguarda un breve soggiorno in questo paese di Garibaldi. Egli giunto qui sotto le spoglie di un venditore di ortaggi, avrebbe trovato ospitalità in un'abitazione oggi adibita a "bar" e precisamente quello di Felice Capece in piazza Plebiscito. La sua presenza avrebbe contribuito a rendere favorevoli molti picernesi all'Unificazione al Regno d'Italia. E, come da altri Comuni lucani, un drappello di uomini, guidati da Nicola Giustiniano Capece, mosse da Picerno alla volta di Potenza per offrire il proprio contributo all'Unità d'Italia. Era la sera del 18 agosto del 1860. 

a) Plebiscito (163)

Il 21 ottobre dello stesso anno, indetto a Picerno il Plebiscito attraverso il quale le popolazioni meridionali dovevano liberamente dichiarare se volevano "L'Italia una e indivisibile con Vittorio Emmanuele" Re Costituzionale", si tornò ai tentennamenti ed ai timori. La maggior parte dei sacerdoti osteggiava il governo borbonico ed auspicava il governo di Garibaldi. 
E' rimasta viva nella memoria dei picernesi l'azione svolta in questa occasione dal sacerdote D. Stefano D'Antonio nella zona denominata "Bassa la terra", dove attualmente risiedono i suoi lontani eredi. 
Egli, instancabilmente, andava di vicolo in vicolo, di uscio in uscio, a sollecitare la partecipazione al Plebiscito. D. Felice Marcantonio, dopo la celebrazione della Messa era solito sostare coi fedeli davanti alla chiesa della Pietà per discutere, raccogliere confidenze e fugare dubbi tra la moltitudine ivi radunata. Egli, durante il processo intentato contro coloro che si erano rifiutati di esprimere il proprio voto, interrogato sulle disposizioni d'animo dei picernesi, così depose: "Questi popolani, quantunque buoni ed arrendevoli all'attuale ordinamento politico, trovansi compresi da timore sulle false voci che si sono fatte correre di essere Napoli gremita di Tedeschi, accresciute le imposizioni, e che i proprietari, senza la protezione del governo, si studiavano di far giungere il grano fino a sei ducati" ed ancora che "non avendo fede nei proprietari temono che volessero, col pretesto della politica, sopraffarli e indurli alla miseria" ed inoltre che "i popolani non hanno fiducia nelle persone che chiedono il voto che senz'altro lo mettono a loro profitto specialmente perché la votazione non è stata fatta in luogo pubblico (164). 
Il sacerdote Marcantonio ed altri, nonostante la sfiducia del popolo, continuavano a fare opera di persuasione in favore del plebiscito, ma il popolo non era propenso a seguire i loro consigli, anche perchè temevano rappresaglie da parte di gente armata che perlustrava continuamente il territorio picernese e quello di tutta la Basilicata. 
Felice Riviello di Giuseppe, sessantenne, proprietario, interrogato deponeva che "sarebbero andati invece a S. Rocco o al Paschiere dove se l'avrebbe veduto anche con gli altri ivi si fossero portati inermi" (165). 
Francesco Marchetti depose che le voci riguardanti le votazioni erano discordanti e molti dicevano "di non votare nè per l'uno e nè per l'altro, ma per S. Rocco". 
Nelle indecisioni e nei contrasti il popolo trovava sollievo nella preghiera che quotidianamente rivolgeva a Dio, portandosi nella chiesa di S. Rocco. Qui impetrava la pace e la fine delle perplessità e delle sofferenze. 
Si riportano i documenti relativi alle votazioni ed alle operazioni di scrutinio. 

I° 

Lettera diretta al Governatore della Basilicata. 

"L'anno milleottocentosessanta, il giorno ventuno in Picerno, nella Casa Municipale, alle ore sette antimeridiane. 
Noi Sindaco, Decurioni e Capitano della Guardia Nazionale del suddetto Municipio, in esecuzione del Decreto Prodittoriale dell' 8 e 13 corrente mese, per la convocazione del Popolo onde accettare o rigettare il Plebiscito per la formazione d'Italia una ed indivisibile sotto lo scettro di Vittorio Emmanuele Re Costituzionale e suoi legittimi discendenti, ci siamo riuniti nella Casa Municipale ed abbiamo proceduto a quanto segue: 1) Abbiamo messo sopra una tavola grande tre urne, in una delle quali si sono posti i bollettini col "SI'", in un'altra quelli col "NO", e un'altra vuota in mezzo. 2) Abbiamo invitati i cittadini all'istante a Comizi a dare il loro voto con prendere quel bollettino che loro piaceva e buttarlo nell'urna vuota, e ciascuno ha dato libero e spontaneo il suo voto. 3) Finalmente terminate le operazioni abbiamo suggellata la cassettina la quale è rimasta nello Archivio della Cancelleria di questo Municipio essendosi dal Sindaco conservato il sigillo. 
Fatto e chiuso il presente verbale oggi suddetto giorno alle ore ventiquattro". (Seguono le firme). 


II°

"Vittorio Emmanuele Re d'Italia - Giuseppe Garibaldi dittatore delle Due Sicilie. 

L'anno 1860 il giorno 23 ottobre in Potenza. 
Recatisi innanzi a noi Governatore della Provincia di Basilicata, e Presidente della Gran Corte Criminale della Provincia medesima i signori Luigi Gavino e Nicola Capece, nella qualità il primo di Sindaco e l'altro di Comandante la Guardia Nazionale del Comune di Picerno ci han presentato un'urna di legno ben chiusa con fermature di fettucce bianche aderenti al legno mercè soggelli e cera rossa, portanti la scritta "Il Sindaco di Picerno". Sul coperchio dell'urna è scritto a penna "Municipio di Picerno": 1860. 
I suddetti componenti ci han dichiarato che l'urna esibita contiene i polizzini dei voti raccolti nel mentovato Comune per la votazione del Plebiscito: "Il popolo vuole l'Italia una ed indivisibile con Vittorio Emmanuele, Re Costituzionale, e suoi legittimi discendenti". E noi dando ai medesimi atto della presentazione dell'urna, abbiamo in loro presenza depositato la stessa nella stanza destinata alla custodia di tutte le simili urne che ci pervengono dalle Giunte Comunali. Ne abbiamo fatto quindi redigere il presente verbale in due originali, consegnandone uno a comparenti per depositarlo nell'archivio del proprio Municipio, e ritenendo l'altro presso di noi, dopo di essere stati ambidue da noi e dai comparenti sottoscritti. Il Sindaco - Il Governatore Il Capitano della Guardia Nazionale - Il Presidente della Gran Corte Costituzionale". 

III°

"L'anno 1860 il giorno 29 ottobre in Potenza. 

Noi Giovanni Gemelli Governatore della Provincia, Michelangelo De Cesare, giudice della Gran Corte Criminale della Provincia medesima (si omettono i nomi degli altri membri della Giunta). 
Riuniti nella sala delle udienze del Tribunale Civile in virtù dell'articolo 5° del decreto dell'8 del circolante mese onde procedere in seduta permanente allo scrutinio dei voti raccolti dalle Giunte Municipali nella Provincia per le votazioni del Plebiscito: Il popolo vuole l'Italia una e indivisibile con Vittorio Emmanuele Re Costituzionale e i suoi legittimi discendenti " abbiamo proceduto a tale disimpegno nel seguente modo": (se ne omette la minuta descrizione). 
Letti i verbali di ciascuna Giunta Comunale, "si è proceduto all'apertura delle urne, l'una dopo l'altra, progressivamente, e fatto lo scrutinio con tutta scrupolosità ed esattezza per ciascun Municipio ". Totale votanti: 98.312; Voti affermativi: 98.202. Voti negativi: 110. 
In conseguenza di che il Plebiscito per l'Italia una e indivisibile con Vittorio Emmanuele Re Costituzionale e i suoi legittimi discendenti è stato con plauso generale affermato e proclamato in questa Provincia di Basilicata colla maggioranza di voti 98202 affermativi contro 110 negativi. Di tutto ciò si è fatto redigere il presente verbale, che è stato chiuso oggi sopradetto giorno, mese ed anno e redatto in duplice spedizione sottoscritto da tutti i componenti della Giunta". 
Nel Mandamento di Picerno si ebbero questi risultati: 
Votanti n. 845
Voti affermativi . . n. 843
Voti negativi n. 2

b) Azioni brigantesche all'indomani della proclamazione della Unità d'Italia. 

Le speranze che l'unificazione potesse finalmente dare sollievo alle gravi condizioni in cui il Governo borbonico e il brigantaggio avevano condotto l'economia picernese, andarono presto deluse. Infatti il brigantaggio, nonostante i frequenti e tempestivi interventi delle Guardie Nazionali, continuò ad essere una piaga dolorosa. Di tanto in tanto gruppi di gente armata compariva nel territorio di Picerno infestando le contrade del Marmo, di Serralta, di Acqua Fetente, di Acqua delle Forre, di Monti Li Foj, e di Pantone di Vosa, commettendo estorsioni ai danni di gente tranquilla ed inerme. Non poche ne furono le vittime. Il ventiseienne poeta Achille Motta (166) ebbe maciullato dai briganti (167) il padiglione dell'orecchio destro, ebbe danneggiato gravemente il viso e infine venne lasciato in pericolo di vita dietro la Cappella del Pantano (168). 
La ricerca dei briganti 169 fu attiva e portò a degli eccessi, di cui si può considerare un esempio il caso del diciottenne Nicola La Torre da Picerno. 
Questi, il 13 agosto del 1861, sorpreso in compagnia di briganti, venne segnalato alle autorità ed arrestato nonostante avesse dichiarato di essere diretto dal Sindaco per costituirsi, venne trascinato nella masseria di Mancini e seviziato per tutta la notte: gli furono strappate le unghie dei piedi e la mattina seguente fu fucilato presso il Paschiere. 
Era in vigore un bando del Sindaco Gaimari che prevedeva la fucilazione di chiunque fosse stato visto in compagnia di briganti; ogni assembramento di cinque persone veniva considerato associazione a delinquere e reato contro la pubblica tranquillità; ma, per chi spontaneamente si fosse costituito dinanzi al Sindaco, ne era previsto il perdono. 
Numerosi furono i processi contro coloro che tentavano con ogni mezzo di capovolgere il governo di Vittorio Emmanuele II instruiti spesso anche in base di semplici sospetti. 
Ne è esempio il caso di Nicola Cerbasi di Rosa da Picerno ventisettenne calzolaio. Questi fu denunziato il 29 agosto del 1861 per aver preso parte "ad associazioni in numero maggiore di cinque ad oggetto di delinquere contro le persone e la proprietà, commettendo con ciò reato contro la pubblica (tranquillità) in tenimento di Picerno" 170 e arrestato anche perché sospettato di aver preso parte a-l sacco di Baragiano "nei dì 26 e 27 luglio ultimo" insieme ai briganti, ai quali avrebbe anche fornito notizie valide per le loro azioni ai danni delle popolazioni di Picerno, di Baragiano e della Basilicata in genere. 
Il Cerbasi, perquisito dal Sindaco, venne trovato in possesso del formaggio avuto in cambio, come d'uso allora, del lavoro prestato in quei giorni presso i compaesani Tommaso Carella "Bombalò" e Felice Marrese, cadde ogni sospetto e fu lasciato libero, il 1° settembre dello stesso anno. 
Risalgono a tale periodo e l'uccisione di Nicola Labriola e l'incendio della masseria di Emmanuele De Meo. 
Con lettere minatorie di cui si riporta un esempio, venivano tentate estorsioni di denaro. Eccone copia conforme: 
"Al Signor . . . il Signor D. Pietro preandovi per mezzo del vostro colono e di mandarmi la somma di ducati trecento - 300. Si no altrimenti strovimo tutte le pecore alle Foj. Sono io qui sottoscritto Saverio Cerbasi. 
Gridando sempre " Viva Francesco Secondo ' e fatimi la risposta e vi prego di farmi subito la risposta". 
I briganti, che in seguito continuarono ad operare nelle diverse zone di Picerno, erano decisi a non lasciare "nè beni, nè anima viva a Picerno" e spesso vennero a colluttazione con la Guardia Nazionale e con i carabinieri. 
Tale triste situazione durò fino al 1870 circa. Testimonianze relative vengono tratte da documenti giacenti presso l'Archivio di Stato di Potenza. Molte le depredazioni avvenute sul Marmo. Viandanti che attraversavano la zona per motivi di commercio venivano seviziati e spogliati di tutto. I briganti si impossessavano generalmente di pezzi di gran valore, e di antico conio, nonché di ingenti somme di denaro in moneta di bronzo e di argento; tesori, che essi stessi abbandonavano nei boschi. 
Notizie più particolareggiate riguardo ai tre viandanti Pasquale Marottoli di Agostino da Buccino, Giuseppe Visto da Pignola e Alfonso Bofano di Francesco da Polla, sono tratte dal "Procedimento penale contro ignoti armati di fucili e pistole imputati di associazione armata ad oggetto di delinquenza" (171). Questo reato avvenne nel tenimento di Picerno il 15 marzo del 1868, e venne denunciato dagli stessi malcapitati. Si riportano integralmente le rispettive deposizioni. 
Il 15 marzo Pasquale Marottoli di Agostino di 28 anni da Buccino deponeva: "Ieri mattina . . . mi recai in Vietri di Potenza ed ebbi occasione di riunirmi con altri due viandanti con tale Alfonso di Polla ed un altro individuo di Pignola entrambi trainanti. Poichè tutti dovevamo venire a Potenza. Siamo usciti in compagnia dal ripetuto Comune di Vietri. Giunti al pendio della contrada Marmo e precisamente alla distanza di un tiro di fucile dal Casino siamo stati aggrediti da sei malfattori armati i quali a viva forza ci hanno rubato il denaro che portavamo, spiegandomi meglio sul proposito debbo dire che ai miei compagni di viaggio è stata tolta una somma di denaro che essi medesimi potranno precisare ed a me la somma di ventisette o ventotto lire che portavo sciolto nella tasca e quasi tutti in argento, tranne due o tre lire in moneta di bronzo, un cilindro a doppia cassa di argento cisellato, cioè un frascheggio sulla cassa che covriva il quadrante, e con una piastra in quella opposta attaccata ad una catena di acciaio fermata da piccoli anelli, ed un portafoglio di suola con entro la carta di passaggio, il congedo ottenuto per il servizio militare, da me prestato e parecchie fatture di debito a me rilasciate da naturali di Cancellara, Tolve, S. Chirico, Pietragalla, i quali nel ricevere da me la rame promettevano farmi i pagamenti nel prossimo mese di agosto. Non ricordo i nomi dei debitori, ma posso accertare che le fatture suddette in complesso dettavano poi la somma di trecento lire, che lo dovrò perdere per non aver segnato sul registro i nomi dei ridetti debitori. 
Non voglio indicare per nome gli autori dell'aggressione, poichè mi sono ignoti secondo ho detto sopra e molto meno posso dare esatti connotati di essi, poichè mi hanno obbligato di rimanere con la faccia a terra. Posso solamente dire che la persona la quale si è avvicinata a me per saccheggiarmi era un giovane al di sotto di anni trenta, di statura giusta, grassotto, con barba rasa, vestito da contadino, cioè con calzoni corti e giacca di panno ordinario casareccio, di color caffè, un cappello ordinario e schiacciato, e poichè mi è sembrato molto accorto e pronto nel parlare, debbo supporre che abbia fatto il militare. Gli altri malfattori per quanto ho potuto scorgere al primo loro apparire, vestivano parimenti da contadini con mantelli ed armati tutti di fucili e pistole, tranne uno che faceva uso di una grossa mazza, ed il modo di vestire mi è sembrato uniforme al costume di Balvano, aggiungendo ancora che balvanese ho giudicato dal dialetto il giovane che lasciando dietro gli altri, si è avvicinato a me per depredarmi. Il fatto da me narrato è avvenuto verso le ore tredici e mezza e non posso indicare testimoni perché dalle campagne si ritirano i contadini nei giorni festivi. Non posso neppure indicare testimoni dell'esistenza del denaro e portafoglio che conservava in tasca poichè sono fatti di famiglia che io non credeva necessario fare e sentire a terze persone. Posso solamente assicurare che l'orologio, cioè un cilindro ad otto pietre mi venne venduto dall'orefice Rizzo di Potenza" Firmato Marottoli e il Pretore D. Pietro. 
Alfonso Bofano di Francesco Paolo di anni trenta, nato e domiciliato a Polla, trainante proprietario, illetterato denunciava: "Eravamo giunti nelle campagne di Picerno e precisamente al pendio del Marmo, cioè poco dopo il Casino (...) (172), quando mi è accorso di vedere a poca distanza due persone di faccia a terra e tre armati che loro stavano d'intorno, tre altri parimenti armati che avevano occupato un'altura per difendersi le spalle dei loro compagni. Io non ho esitato a sospettare che tutte le persone armate erano malfattori e che le persone che stavano di faccia a terra erano viandanti capitati nelle loro mani, che anzi ho prontamente sospettato che uno dei due aggrediti era un trainante di Pignola con altro suo conterraneo i quali ci precedevano nel cammino e si erano uniti con noi nella sera precedente in Vietri. Cercava di scansare il pericolo col ritornare indietro ma i tre malfattori che occupavano l'altura hanno spiegato le loro armi contro di me e del sopradetto calderaro obbligandomi di stendermi a terra con la faccia in giù e due di essi rovistandomi nella tasca e nel panciotto mi hanno tolto carlini dieci in bronzo e sei piastre in argento, cioè pezzi di carlini dodici dell'antico conio, e poichè io aveva negato di possedere somme di denaro, mi ho ricevuto due schiaffi da uno dei due. Non contenti della surriferita somma, i tre malfattori hanno sospettato che io doveva possedere altra più vistosa, poichè portavo i traini vuoti, e perciò si accingevano a forzare le cassette dei suddetti carri quando io ho creduto opportuno di consegnare la chiave per evitare una rottura; e così essi si sono impossessati di ducati quaranta in bronzo e ducati duecentododici in argento, che formava il mio capitale per l'acquisto del grano che doveva formare il carico dei traini che conducevo. Dopo di essersi impossessati del denaro mi hanno tolto dalla gola un fazzoletto di seta con fascia verde, e dalle orecchie un paio di pendenti di oro dalla forma di paniere, ed entrambi questi oggetti avevano il valore di lire otto e centesimi 50, sicchè calcolando tutto il danno da me sofferto si ha la somma di lire 1114 e centesimi 35. Non posso indicare i testimoni dell'esistenza del denaro perché nel partire dal mio paese non ho creduto farlo vedere a persone estranee poichè è nostro sistema di caricare con riservatezza onde non esporci ai pericoli del furto. Dopo la mia aggressione e quella degli altri due individui che io vidi faccia a terra, i malfattori al numero di sei si sono uniti ed hanno presa la strada che conduce a Balvano e a Baragiano. Io non ho conosciuto veruno ed essi, perché erano soggetti da me mai visti precedentemente, e non sarei al caso di riconoscerli poichè il timore ha impedito qualsiasi attenzione nelle persone di quei malfattori. Probabilmente potrei riconoscere uno di essi che vestiva con pantaloni bigio avente una striscia rossa, come quelli della Guardia Nazionale e un berretto alla milizia cittadina. Aveva un piccolo mustacchio steso, era di giusta statura ed andava armato di fucile e pistole. Tutti gli altri vestivano da contadini, e secondo il costume di questi paesi in vicinanza della stradale e cioè con calzoni corti, mantelli ordinari di color caffè e cappelli conico e tutti armati di fucili e pistole". 
Giuseppe Visto di Gerardo di 27 anni nato e domiciliato a Pignola, trainante, ammogliato con prole, denunziava: "Giunto alla contrada Marmo, e propriamente un tre e più di palla al di qua del cosidetto Casino, agro di Picerno, sono stato aggredito da tre individui sconosciuti, armati di fucile e mi hanno imposto di prostrarmi bocconi a terra. In quello istante ho veduto che altri tre individui erano fermati sopra un vicino rialto pure armati di fucile che avevano spianato contro di me. Appena messomi colla faccia in terra, uno dei primi tre ha diligentemente ravvisato sulla persona, e mi ha rubato due biglietti di Banca, uno di lire cinque ed un altro di lire due, tre piastre di argento di carlini dodici l'una e sette od otto carlini in bronzo in circa L. 24,65, nonché una pistola di misura, una fascia che mi cingeva la vita, un fazzoletto di cotone e due sacchi orlati di panno nero, con delle funi ed altri oggetti dentro; e da ultimo un coltello a pungitoio con forchetta, ed un portafoglio con entro le dette carte monete ed altri conteggi. Non ho fatto attenzione a marcare la foggia degli abiti di che quei malfattori erano vestiti, quello però che ha rovistato su di me portava un cappello di panno monacale, ed un cappello basso. Tutti poi erano nello insieme vestiti alla contadina. Per quanto ne penso e dal dialetto che parlavano quei malfattori mi conviene concludere che erano di Balvano e S. Gregorio. Questo mio sospetto è avvalorato dalla foggia di vestire e dalle considerazioni che solamente persone de' paesi posti in vicinanza della stradale potevano aggredirci, stante la mancanza di bande armate nei dintorni di Picerno. Non posso indicare testimoni della esistenza degli oggetti a me rubati perché furono acquistati in Napoli per ragione del commercio che esercito ed ignoro il nome dei mercanti dai quali feci acquisto. Però il mio conterraneo Luigi Pietrafesa il quale viaggiava con me potrà parlare non solo della esistenza degli oggetti ma sibbene dello involamento, giacchè nulla portava seco. Rivedendoli difficilmente sarei al caso di riconoscerli perché ebbero premura di sottrarsi alla mia vista col farmi mettere di faccia a terra. Probabilmente conosceva quello che mi ha saccheggiato ed avrà i connotati da altri. Le monete delle quali ho parlato sono quelle correnti del Regno, tranne le tre piastre che avevano l'effigie dei passati Borboni. Niuna delle dette monete aveva segno visibile da potersi distinguere dalle altre in caso di smarrimento. La campagna era spopolata poichè giorno festivo e per tale ragione non posso indicare testimoni". 
L'industria armentizia, l'agricoltura e il piccolo commercio, non trovarono, anche dopo il 1870, condizioni favorevoli per svilupparsi. Molti fattori concorsero a creare, tra la popolazione picernese, una condizione tutt'altro che sostenibile: l'isolamento politico, economico, culturale e commerciale a causa di una insufficiente estensione della rete viaria, completamente assente in vari punti del territorio, fu molto dannoso per Picerno, in cui nuove e più esose tasse anche non equamente distribuite, gravavano sulle popolazioni, specie quelle agricole costrette a ricavare di che vivere da una natura;ingrata irrimediabilmente danneggiata dall'irrazionale disboscamento inconsulto. Sicché le forze di lavoro si diressero allora verso le Americhe, ingigantendo il fenomeno della deprecata emigrazione, non certo molto benefica per Picerno. Questa cittadina, privata di braccia valide e capaci, assistette inerte ad un deplorevole depauperamento demografico delle proprie campagne, con il conseguente deprezzamento della proprietà fondiaria. Gli emigrati, raggiunto un certo grado di ricchezza contribuirono, con i loro sudati risparmi che mandavano in Italia, a migliorare lentamente, in un certo senso, le miserrime condizioni economiche dei congiunti lasciati in Picerno, mentre nutrivano in cuore l'ansia di vedere un giorno non lontano ricostituite le proprie famiglie in un ambiente veramente rinato e progredito. 
La rinascita economica, sociale e culturale di questa cittadina comunque non fu rapida ed armonica. 

c) Picerno scissa in partiti politici. 

In Picerno, dopo l'Unificazione d'Italia, si costituirono due grossi partiti: quello detto di "sopra" rappresentato da Caivano, Tarulli e Capece e quello detto di "sotto" capeggiato da Capasso, Molinari e Salma. Essi, fino all'avvento del Fascismo, sempre in contesa tra loro, si alternavano nell'amministrazione di Picerno con discutibile vantaggio per la popolazione la quale, credette, in sulle prime, con la costituzione delle giunte locali, di risollevarsi dalle tristissime condizioni economiche, sociali e morali in cui da tempo versava. Ma sperò invano. 
Per lungo tempo rimasero insoluti problemi inerenti alla sanità, alla viabilità, all'igiene ed alla coltura, problemi questi collegati generalmente a quello economico. Nè riuscirono nel loro avvicendarsi sindaci e commissari prefettizi in seguito a contenere l'emigrazione che, fin dalla fine del 1800 ed oltre, aveva causato la disertazione dalla terra danneggiando l'economia agricola. Per fronteggiare tale difficile situazione del Comune e bloccarne l'emigrazione (173), nel 1886 il Consiglio deliberò, sapientemente quanto segue: 
"Nell'attuale crisi agraria, - cosi da un documento del 24 ottobre 1886, giacente presso l'Archivio di Stato di Potenza, - che su larga base ha colpito questo paese per effetto di una emigrazione senza limiti, occorre che sia dato novello indirizzo all'agricoltura in questo Comune, se si vuole scomparire il pericolo di vedere un giorno tutto questo tenimento abbandonato al pascolo e che perciò sarebbe necessario l'impianto di un orto agrario nel quale trovassero posto esperimenti con diversi metodi di coltura razionale ed a tale bisogno si presta meravigliosamente il seminatorio pertinente questa Congregazione di carità nei pressi dell'abitato alla Contrada Via Piana e raggiunge tale scopo se il Consiglio delibera di prendere in enfiteusi perpetua sia la casa come il seminatorio agricolo" (174). 
A nulla valsero le decisioni del Consiglio Comunale: il flusso migratorio ebbe il suo normale svolgimento se non proprio un incremento spaventoso. Alcune amministrazioni purtroppo, furono caratterizzate da soprusi, disordini, licenziamenti sconsiderati 175 del personale alle dipendenze del Comune, aprendo così le porte alla sfiducia ed a delle vendette personali. E' troppo lontana per Picerno l'alba di un sospirato giorno radioso!: questa cittadina che si trova nella completa impossibilità di sanare il deficit pubblico, continua a vivere una magra vita fatta di stenti e di miseria! 
Le esigue entrate che derivavano sia dalle riscossioni del fido sul bestiame tenuto al pascolo nel demanio pubblico (176) sia dalle tasse imposte sui cani di lusso e da caccia (177), sia dalle penalità inflitte ai contravventori sia dal periodico taglio di boschi (178) sia dalla vendita della neve (179), erano insufiicienti a coprire le spese ordinarie del Comune ed a soddisfare le esigenze dei propri pochissimi dipendenti. Si verificarono ritardi nell'invio di stipendi ai pochissimi insegnanti elementari comunali i quali, alcune volte, sopportando dei veri sacrifici, si offrivano spontaneamente ad anticipare, per conto del Comune, canoni dei fitti scaduti ai proprietari dei locali scolastici disseminati qua e là in abitazioni private (180). 
Tristissime le condizioni di Antonio Cerbasi, "Pedone di posta" che si vede privato del proprio posto di lavoro, dopo due anni di servizio malamente retribuito (28 carlini al mese). Erano rimaste inascoltate le sue richieste di un aumento delle proprie competenze. Egli, per il disimpegno del suo servizio postale, era costretto a recarsi alla Taverna, luogo di stazionamento della vettura postale, due volte al giorno. Il cammino di quattro miglia veniva effettuato il più delle volte in compagnia di gente armata e di fiducia, specie quando gli venivano affidate grosse somme di denaro. Di frequente, specie quando doveva ritirare pacchi in arrivo con "l'ordinario" da Napoli, vi pernottava. Erano a suo carico sia le spese di pernottamento e sia quelle per gli accompagnatori. 
La lettura di un manoscritto reperito presso l'archivio di casa Caivano consentirà al lettore di farne le debite considerazioni: "Le condizioni finanziarie di questo Comune, come V. S. Ill.ma ben conosce, sono purtroppo deplorevoli, e lorquando una economia, senza discapito del pubblico bene, possa farsi, io non esito a rivolgerne preghiera alla S. V. tanto tenera dell'interesse dei Comuni. Ora in riscontro all'autorevole nota a margine segnata, mi permetto fare rimarcare: 1) In questo Comune sonvi già due maestre Femminili e tre maschili. 2) Se questo paese figura nel censimento per una popolazione di 4401, pure debbe in effetti poi considerarsi inferiore ai 3000 abitanti per la sempre crescente spaventevole emigrazione. 3) Le alunne della defunta Maestra Gaimari erano appena nel numero di sei, già affidate alla Insegnante Martin. 4) All'epoca in cui si è giunti la nuova Insegnante non compirebbe che un paio di mesi di scuola, essendo prossime le vacanze il chè senza lavoro e senza utilità del Comune e delle alunne verrebbe a percepire lo stipendio delle vacanze. 
Per tali considerazioni mi permetterei pregare V. S. Ill.ma volersi degnare dispensare per questi pochi mesi il Comune dall'obbligo della nomina di una terza maestra il che cagionerebbe una spesa di ben 600 lire, potendosi provvedere al principio dell'anno scolastico. 
Mi auguro vedere accolte le mie preghiere restando in attesa di ulteriori disposizioni". 
Il deficit testè denunciato doveva essere senza dubbio legato oltre che ai motivi anzi esposti, anche alla necessità ed ai momenti contingenti in cui spesso si veniva a trovare il Comune. Frequentemente infatti del denaro disponibile doveva farsi uso diverso da quello previsto dal bilancio annuale. Così - ad esempio - uno storno alle spese pubbliche fu indispensabile in occasione della chiusura del Convento. Il Comune, secondo l'art. 28 del decreto Luogotenenziale, del 17 febbraio 1861, dovette dare un suo aiuto economico ai frati obbligati a lasciare il Convento dei Cappuccini. 
Fu lunga l'attesa per vedere realizzato l'ampliamento della illuminazione pubblica a gas, opera che si compì soltanto nel 1909. Il numero dei fanali fu raddoppiato e da 21 passarono a 42 (181). I fanali dovevano rimanere accesi soltanto per quattro ore ordinariamente solo nelle sere non illuminate dalla luna e straordinariamente - dice un documento del 1909 consultato presso l'Archivio di Potenza -, ogni qualvolta sarà riconosciuto opportuno dal "Sindaco". Due appena erano gli incaricati al servizio di accensione dei fanali. Inoltre molto denaro veniva assorbito dall'assistenza sanitaria ai bisognosi ai quali spesso si accordavano sovvenzioni straordinarie e, spiacevole a dirsi, si provvedeva loro anche di casse funebri (182). 
Epidemie, malattie dell'infanzia quali la scarlattina, il morbillo, conseguenze queste di una condizione di vita in ambiente malsano (fogne scoperte, scoli di latrine dovunque), richiesero un ulteriore intervento della pubblica assistenza in modo che, e le riparazioni di strade (183) e i lavori di sistemazione del cimitero, dovettero essere rinviati ulteriormente. 
Comunque, grazie alla solerzia di alcuni amministratori, vennero intanto realizzate delle opere di pubblica utilità quanto mai indispensabili: furono infatti disciplinate le acque dell'Ontrato (184), ne fu ricostruito il ponte che innalzato nel 1878, era crollato a causa del terreno franoso, fu inoltre, d'accordo con le autorità ecclesiastiche, riattato il campanile della chiesa madre, acquistato e messo in opera l'orologio da torre; furono costruite le mura di cinta del Cimitero nonché un casone, tre vasche-abbeveratoio al bosco Monti Li Foj. Fu anche definita la vertenza con la ditta Storti riguardante la costruzione del Cimitero, comportante la restituzione della cauzione versata a suo tempo, fu dissodata una zona del Bosco del Principe di Moliterno (185) e, infine, fu acquistato, da Agata Mancini fu Paolo e Giulia Caivano fu Gerardo per la somma già accantonata dal citato Commissario Vincenzo Villamena, l'attuale Casa Comunale (186) mediante l'opera attiva del podestà Gerardo Caivano coadiuvato dal funzionante segretario Vincenzo Caivano, nel 1925. Nello stesso periodo si amplia la rete elettrica per l'illuminazione pubblica e privata nonché si provvede all'erogazione dell'acqua potabile per il centro abitato (187). 
Intanto il Comune di Picerno tentava il recupero di terreni usurpati da privati verso la fine dell'800 per la poco efficiente sorveglianza delle autorità competenti (188), Ma il tentativo non fu coronato da molto successo giacchè, come si rileva dalla relazione del signor Michele Laurita presentata al Prefetto il 2 febbraio 1913: "Le terre reintegrate rappresentano ben poca cosa in confronto ad altre larghe ed importanti usurpazioni sfuggite alla verifica molto sommaria eseguita nel 1899, giacchè non trascurabili estensioni, poste tra le zone ritenute usurpate e di cui fu disposta la reintegra e il restante demanio libero, sono possedute pacificamente da maggiorenti del paese". 
Con la prima guerra mondiale questo paese subì una nuova crisi agraria e commerciale per la mancata presenza di giovani che, numerosissimi, erano stati richiamati alle armi. Dannosissimo fu per la popolazione di Picerno il lento disbrigo delle pratiche degli uffici per l'assenza dei pubblici impiegati in gran parte arruolati. 
Tra i gravi disordini che seguirono nel periodo del dopo guerra, gli ex combattenti si organizzarono ed, in seguito all'affermarsi, a Picerno, del fascismo, nacquero le organizzazioni fasciste, sotto la guida dell'assistente alle ferrovie dello Stato Vincenzo Borriello. 
Non pochi si arruolarono, in seguito, come volontari nelle Camicie Nere, e sopratutto giovani capifamiglia parteciparono alle varie campagne di guerra fiduciosi di trovare in tal modo, una soluzione valida ai loro problemi economici anche allora molto gravi. 

d) Picerno alla caduta del fascismo. 

Alla caduta del fascismo non si verificarono a Picerno nè schiamazzi nè azioni di vendette, nè violenze pubbliche o private: tutto sembrava previsto, ineluttabile! 
A Picerno, dove manca un Comitato di Liberazione Nazionale e non esistono partiti politici, col ritorno alla auspicata libertà, nella realizzazione dei principi democratici, gli amministratori del dopoguerra, su cui gravita tutto il peso delle conseguenze di una guerra perduta, si avvalgono della collaborazione offerta loro dalla "Consulta Comunale del Popolo". Questa, costituita nel 1945 su proposta del Sindaco Antonio Tomasillo per una più larga partecipazione del popolo all'amministrazione della cosa pubblica, formata da 32 cittadini picernesi scelti tra le varie categorie sociali: 1. Comm. Mons Umberto Lazzari fu Alessandro; 2. Guglielmo dott. Caivano; 3. Nicola Massari; 4. Rocco Salvia fu Francesco; 5. Capece Felice fu Nicola; 6. Domenico Pellegrino fu Francesco; 7. Donato Lettieri di Giovanni; 8. Antonio Russo fu Tommaso; 9. Vincenzo De Angelis di Emilio; 10. Vincenzo Parisi fu Giuseppe; 11. Donato Tomasillo fu Pasquale; 12. Giuseppe Marcantonio fu Nicola; 13. Antonio Russillo fu Pietro; 14. Pietro Russillo fu Francesco; 15. Rocco Russo fu Nicola; 16. Rocco Curcio di Antonio; 17. Gerardo Curcio fu Francesco; 18. Giuseppe Marsico fu Felice; 19. Giuseppe Cappiello fu Felice; 20. Gerardo Faraone fu Nicola; 21 Nicola Marcantonio di Alessandro; 22. Ubaldo Croce fu Giuseppe; 23. Rocco Marino fu Felice; 24. Felice Casale fu Gerardo; 25. Rocco Buono fu Francescantonio; 26. Francesco Mauro fu Giuseppe; 27. Cosimo Marcantonio fu Antonio; 28. Saverio Caivano fu Giuseppe; 29. Gerardo Iasparra di Antonio; 30. Donato Iasparra di Gerardo; 31 Gerardo Moscarelli fu Antonio; 32. Rocco Russo fu Feliciantonio, vuole rappresentare la "voce del popolo" in seno alla Amministrazione. 
Assistenza in genere ai bisognosi (circa 800 gli iscritti nella lista dei poveri), disoccupazione, sistemazione di strade, protezione del patrimonio boschivo, costruzione di fognature, revisione del quadro organico degli impiegati del Comune ed altro, sono i problemi tra i più urgenti che si affrontano. 
Reperire denaro ad ogni costo diventa una necessità. Si operano quindi tagli di boschi, si ritoccano le tasse, se ne applicano di nuove con grave malcontento della popolazione così tristemente provata ed infine si va lentamente verso una certa costruzione. Si assicura innanzitutto al popolo, come nel passato, l'assistenza sanitaria, quella materna e quella pediatrica e, negli incarichi di Ufficiale Sanitario e Medico Condotto si avvicendano i medici dott. Giacomo Molinari, Libero dott. Cornacchione e Teodoro dott. Settanni. Si concedono ettari 20 di terreno della contrada Li Foy ai coltivatori diretti meno abbienti, si ripara qualche tratto di strada cittadina, si istituisce un servizio automobilistico Potenza-Picerno-Lagonegro e infine si istituisce la Scuola di Avviamento professionale, su richiesta del popolo. 
Si istituisce il mercato mensile per il commercio paesano di animali bovini, caprini, suini e vari; nasce la prima scuola materna a cura dell'Ente Pugliese di Cultura Popolare, si dà inizio alla costruzione di Edifici scolastici nelle zone rurali; opera in Picerno, infine l'U.N.L. a cura dell'insegnante Raffaele Scafati. 
Durante la Costituente Picerno "fa voti al Governo democratico repubblicano che, qualora l'Ente Regione debba avere vita nel nuovo ordinamento costituzionale dello Stato, la Lucania venga riconosciuta come Regione autonoma entro quei limiti e le sue tradizioni le consentono, ad esprimere parere sfavorevole all'accoglimento da parte del popolo, dell'ordine del giorno presentato da un gruppo di deputati salernitani per la costituzione della Regione Salernitana-Irpina-Lucana con capoluogo Salerno". 
Picerno aderisce infine prontamente alla patriottica iniziativa affinché le "fosse Ardeatine a Roma divengano Monumento Nazionale del II Risorgimento Nazionale" (189). 
Intanto, delle forze politiche "per la maggioranza liberali e per la minoranza di colore incerto che rappresenta - così dalla lettera del Tenente dei Carabinieri Reali di Picerno al Prefetto in data 3-7-1914 - la lega operaia costituita e diretta dal partito socialista" (190) parte si schierò con la democrazia cristiana e parte si raccolse intorno al cosidetto "Blocco" che si presentò alle due prime elezioni amministrative sotto il simbolo e con la denominazione "Spiga di Grano". Sicchè le vecchie correnti già citate: partito di "sopra" e partito di "sotto", costituitisi all'indomani dell'Unità d'Italia e, alternativamente rimasti al potere politico-amministrativo di questa cittadina fino al 1922, riprendono vita. Luoghi di incontri, di discussioni, di accordi, di discriminazioni e decisioni, divengono alcune abitazioni private tra cui quelle di Salvia, Barbarito, Caivano, Figliola, Tarulli e Capece, mentre idee talvolta le più contrastanti, diffuse dalla stampa, raggiungono i casolari più lontani. La popolazione si entusiasma e, presa coscienza di poter disporre finalmente della propria libertà, soffocata fino dal 1922, orbita animatamente sia intorno alle famiglie Barbarito, Salvia e Figliola ed altre (partito di "sotto"), che capeggiano il movimento di ispirazione nittiano, ed a Nitti (191) Reale, Petraccone di Muro Lucano e Pignatari di Potenza fanno capo, e sia intorno alle famiglie Caivano, Tarulli e Capece ed altre (partito di "sopra") che si ispirano a De Gasperi. Una insanabile spaccatura tra la cittadinanza picernese è inevitabile. 
Lungo e travaglioso è il periodo preelettorale, attivissima la propaganda suffragata dalla presenza a Picerno di degne personalità. L'inserimento della donna nella politica fa si che le cose di Picerno assumino un aspetto più eclatante e rumoroso. Per l'allettante miraggio della libertà e dell'autogoverno, nel 1946 sembra ripetersi in questa cittadina, anche se sotto altra forma, l'eroismo incruento sì, ma eroismo, del 1799. 
Il risultato delle elezioni favorevole alla "Spiga", determina un clima insostenibile; la gioia dei vincenti è al colmo, incontenibile il tripudio e, contro i democristiani prudentemente e cautamente chiusi nelle rispettive abitazioni, si scaglia feroce e delirante la folla con motti, sberleffi, grida, prepotenze e piccole vendette e Picerno vive ore, giorni, e notti, perché nasconderlo? di inenarrabili episodi di eccessi di euforia e di frenetico entusiasmo. 
La volontà ferma di rinnovamento di questo popolo non si tradisce e al Referendum Monarchia - Repubblica, Picerno raccoglie la maggioranza dei voti in favore della Repubblica. 
Non meno facile la preparazione alle elezioni successive e, alla competizione elettorale del 1950, lo "Scudo Crociato" è assente; la "Spiga", raccogliendo i frutti sperati, di nuovo è al potere. Ma nello stesso momento, i versi "La Spiga con la "Croce" è andata al Cimitero" cantati sul motivo di "Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti", preludendo ad una prossima scissione delle due forze politiche D.C. e "Spiga", salutano l'insediarsi della nuova amministrazione.
In seguito lo "Scudo Crociato", in opposizione alle liste "Il Comune al Popolo e MSI + Partito Monarchico" vince le elezioni del 1956 laboriosamente e capillarmente preparate dai vari partiti e si cantano, sul motivo di "Vento portami via con te", i versi pacati, spontanei e dignitosi:

Da cantarsi sul motivo di Vento

Niente schiamazzi, 
come quella sera, 
Spiga d'aprile, di primavera, 
che già cantasti la terza vittoria, 
senza pensar piuttosto, che la gloria 
è capricciosa un pò come la luna 
coi quarti d'ora di celebrità.

Spiga, Spiga 
mietuta innanzi il dì, 
ricordati che il mondo è fatto a scala 
e chi è disceso prima dopo sale. 
Questa è la vita vera, 
queste son le elezion:
Soffi, Soffì e giochi d'illusion !

Fu sordo, certo, il vostro campanaro, 
Spigolatori, spigolatori, 
oppur non volle come gli elettori, 
dirvi ben chiaro che gli sfruttatori, 
dopo un anno. . . due e poco più. . . 
sono costretti con la testa in giù.

Spiga, Spiga, Spiga 
perdesti le elezion 
facesti voli con la fantasia 
e sei caduta come le bugie.
Fidasti nel proverbio, 
senza pensare che, 
credimi, credimi 
c'è un due senza tre...

E' un gran dolore, 
per la giunta intera, 
perdere il voto a... primavera... 
povere vacche che dalla marina 
ritorneranno presto alla collina, 
è sol per loro . . . che noi ci doliamo, 
gli aumenti - fida chi li pagherà ?

Spiga, Spiga 
SPIGA spigolator, 
passa la giovinezza per la via, 
c'è tanto sole e tutto è in allegria. 
La primavera è in fior, 
maggio è sui prati già, 
Godi, godi, 
Godi e non ti arrabiar.

In seguito si è andato alle urne con più senso di responsabilità, con più coscienza, indipendentemente al sussistere dei seri motivi di disappunto tra i vari partiti in competizione. Si trascrivono i documenti relativi alle elezioni amministrative dal 1946 al 1975:

Anno 1946: liste presentate: "Spiga" e "Scudo Crociato"; lista vincente: "Spiga"; voti ottenuti 1386; Sindaco: Dott. Francesco Figliola.

Anno 1952: liste presentate: "Spiga" e "Fiamma"; lista vincente: "Spiga"; voti ottenuti: 1677; Sindaco: Rocco Barbarito.

Anno 1956: liste presentate: "Il Comune al Popolo e MSI + partito Monarchico" e "Scudo Crociato"; lista vincente: "Scudo Crociato"; voti ottenuti: 1201; Sindaco: Gustavo Caivano.

Anno 1960 liste presentate: "Spiga" e "Scudo Crociato"; lista vincente: "Scudo Crociato"; voti ottenuti: 1942; Sindaco: Gustavo Caivano.

Anno 1964: liste presentate: "PCI" e "Scudo Crociato"; lista vincente: "Scudo Crociato"; voti ottenuti: 1439; Sindaco: Gustavo Caivano.

Anno 1970: liste presentate: "PSI", "PCI" e "Scudo Crociato"; voti ottenuti: 1459; Sindaco: Gustavo Caivano.

Anno 1975: liste presentate: "MSI", "Torre (PCI + PST)" e "Scudo Crociato"; lista vincente: "Scudo Crociato"; voti ottenuti: 1410; Sindaco: Gustavo Caivano (192).

In base alle ultime elezioni amministrative a sistema maggioritario, dopo due quinquennii a sistema proporzionale, Picerno attualmente è governata da una giunta democristiana.

lll

160 Arch. di Stato di Potenza; Atti e Processi di valore storico. 

161 Molto scarso il pane di grano riservato solo ai malati. I maccheroni venivano confezionati in casa quali "laan'", "strasc'nar'", "fusidd'", "r'cchi'tell'", ecc. raramente si acquistava la pasta fornita dal laboratorio molto modesto ubicato verso Bassa la terra. 

162 Arch. di Stato: Da Atti e Processi di valore storico 1783 e s. cart. 73 fasc. 5 Documenti relativi al passaggio di Truppe Reali nel Territorio della Provincia.

163 Arch. di Stato: Fondo di Prefettura Plebiscito. 

164 Arch. di Stato di Potenza; Fondo Plebiscito Cart. 2 fasc. 6-12. 

165 Ibidem. 

166 Achille Motta, picernese d'adozione poeta e Cancelliere di Pretura in Mignano Napoli. 

167 Si ritenevano briganti gli evasori dal servizio militare. 

168 Achille Motta nel 1864 scrisse questa poesia dal titolo molto significativo: Sonetto contro il Borbone riparato a Roma dove di concerto col Papa, ci fomentò la piaga del brigantaggio.

Trema Borbon
già nel gran libro è scritto
l'alto decreto: più regnar non lice!
Diva legge lo scettro a te disdice:
Lascia Roma, Fellon, l'ha il ciel prescritto
La tua superbia al Nume giusto e invitto
Umilia: non tentarne l'ira ultrice!!!
Va ramingo pel mondo ed infelice !
Tradisti Italia! E' questo il tuo delitto!
Dell'Aquila grifagna ai feri artigli
Quasi l'intera Italia è ormai ritolta;
Quale dunque tua speme, a che t'appigli?
A rinnovar degli avi, alla tua volta,
Gli empi proponimenti e i rei consigli?
Ah! per Dio no 'l sperar, la speme è tolta!


169 Arch. di Stato. Atti e Processi di valore storico Cart. 245, fasc. 12-13.

170 Arch. di Stato di Potenza Atti e Processi di valore storico. 

171 Idem

172 Nel testo poco chiaro. 

173 Anche se di Picerno non sono in grado di fornire esatti dati numerici riguardanti la emigrazione locale di questa epoca, perché mi è stato impossibile reperirne, tuttavia ritengo utile per il lettore riportare quanto riferisce il Racioppi in "Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata" nella nota a pag. 230 del secondo volume, onde esso possa farsi un'idea pressocchè precisa dei motivi della inferiorità sociale che ha colpito a lungo termine la nostra regione: "Dalla relazione presentata alla Camera dei Deputati il 3 maggio 1888 dall'On. Rocco pel progetto di legge sull'emigrazione: ·"Dalla sola Basilicata partirono nel 1886, 10.642 emigrati, nel 1887 12.128. La popolazione di questa provincia non arriva a 525.000 anime. L'émigrazione rappresenta dunque in questa disgraziata provincia non soltanto il 2,94 per mille media dell'emigrazione italiana, ma il 23 per mille. L'Irlanda non superò in questo decennio il 17. E l'eccesso delle nascite sulle morti oltrepassa di poco in questo paese il 5, come in Irlanda che è il 5,45. Abbiamo dunque in questa Irlanda d'Italia una diminuizione annua progressiva che è già arrivata al 23 per mille". 
Le cause che diedero luogo al flusso migratorio non indifferente a Picerno stesso sono da ricercarsi nella grande difficoltà a condurre avanti la vita in una epoca in cui condizioni atmosferiche, mentalità politiche correnti, imposizioni di tasse pesanti e sproporzionate, ne condizionava il progresso e lo sviluppo di una vita civile. Da Arch. di Stato di Potenza. 

174 Congregazione di Carità da Arch. di Stato di Potenza Fondo Culto Cart. 234. Questa Congregazione al 1° settembre del 1911 possedeva i seguenti beni di cui godeva piena proprietà: a) Casa palazziata alla via Palmieri di otto vani al primo piano e di un vano al piano superiore; b) Rendita in L. 22,50 annuale su un capitale di L. 600,00 circa; c) Rendita annuale di L. 33,75 su un capitale di L. 900,00 circa; d) Rendita annuale di L. 15,00 su un capitale di L. 400,00 circa; e) Censi, canoni e capitoli ecc. provenienti dalle cosidette Cappelle del Gesù, di S. Leonardo, del SS.mo Sacramento, del Rosario, del Crocifisso, del Salvatore, di S. Donato, di S. Antonio e Legato Tarollo con una rendita annuale di L. 3122,20. Con un capitale approssimativo di 62,444,00; f) Armadi in legno del valore di L. 70,00, tavolo in legno noce ad uso scrivania dal valore di L. 15,00; n. 6 sedie comuni dal valore di L. 5,00; g) Industria armentizia dal canone anuo di L. 17,93 su un capitale di L. 358,60; h) pigioni delle scuole dovute dal Comune per gli anni 1905 al 1910 in L. 300,00; i) Canone dovuto dal Comune di un fabbricato alla via Garibaldi per gli anni 1903; 1905; 1906; 1907 in L. 68,00. Per l'amministrazione di tali beni venivano eletti due amministratori ogni due anni. Detto Ente · fu spogliato dei suoi beni dal Credito Agrario che nel 1906 si impossessò di questo Monte Frumentario ricco di oltre 1000,00 tomoli di grano di esclusiva proprietà di questa Congregazione". Il Sindaco Nicola Caivano viene autorizzato a trattare con la Congregazione di Carità ed a stipulare il contratto di enfiteusi perpetua per il canone annuo non superiore a L. 100,00. Era segretario Vincenzo De Meo, ed Onofrio Scappaturo, Giovanni Figliola, Rocco Felice Di Pasqua ed Alessandro Lazzari erano in quell'anno i componenti della Congregazione. La casa sarebbe stata utilizzata per ospitare la scuola elementare. Questo Comune difetta di aule scolastiche di sua proprietà Arch. di Stato di Potenza: Fondo culto e di Prefettura. 

176 Venne licenziato, senza provati motivi; l'accendiluci Antonio Fortunato che era da più anni in servizio col misero compenso di appena sette lire mensili con l'obbligo di accendere i lumi delle vie, della piazza e quello di custodire gli alberi che ornavano la strada dalla stazione al centro abitato. Da Arch. di Stato Anni 1883-1887. 

176 Nella seduta del 7 dicembre 1895 tenutasi nella Casa Comunale, su delibera del Consiglio, si stabilirono sia le condizioni per l'affitto delle Difese Comunali dal lo gennaio 1896 al 31 dicembre 1838 e sia quelle riguardanti il bestiame tenuto al pascolo da privati, così come segue:
I capi di bestiame non dovevano superare il numero di trecento unità; il contratto era della durata di tre anni e il relativo canone di fitto doveva essere corrisposto al Comune ratealmente. All'affituario era severamente proibito raccogliere frasche, recidere rami, abbattere alberi mentre vi era fatto obbligo di provvedere a proprie spese a riparare siepi ed a farne di nuove. L'aggiudicazione doveva farsi all'asta pubblica col sistema della candela: somma iniziale L. 500,00. Per non più di 80 capi ovini appartenenti ad un solo stesso proprietario, tenuti al pascolo, nel 1911 il Comune percepiva L. 311,00 annue. Da Arch. di Stato di Potenza Cart. 77.

177 Il regolamento contenuto in 16 articoli viene approvato dal Consiglio Comunale del 18 settembre 1910. La tassa era di L. 1,00 a capo. Il cane randagio sprovvisto di museruola veniva preso e venduto. Chi intendeva riavere il cane doveva rimborsare al Comune tutte le spese sostenute per il mantenimento della bestia oltre alla multa. 

178 Per ventimila lire nell'anno 1897 si martellano e si vedono piante di cerri, di faggio.

179 A Picerno manca la neve per la popolazione e, nella seduta del 12 ottobre si decide che il Rizzo provveda a ritirarla da altri paesi. Bisogna intanto espurgare il fosso della neve. Arch. di Stato di Potenza Cart. 1165 (Telegramma originale reperito presso la biblioteca Caivano).

180 Arch. di Stato di Potenza Cart. 1266 Fondo di Prefettura. Lettera dell'Insegnante Alessandro Lazzari al Prefetto per sollecitare il pagamento di mensilità arretrate ai colleghi e rimborsare mensilità anticipate. Lettera della insegnante Amalia Martin diretta al Sindaco per ottenere il rimborso di L. 50,00 versate a D. Gennaro Gavino fu Luigi per fitto locali ad uso scolastico (16-10-1866). 

181 Arch. di Stato Cart. 233; I lumi furono acquistati dal brigante Domenico Chiarolanza in Napoli, Marsico Nicola costruttore.

182 Sovvenzione di L. 30,00 alla signora Carmina Carella ved. Bruno per venire incontro ai bisogni della famiglia numerosa. Arch. di Stato di Potenza - Fondo di Prefettura Cart. 1259. Delibera del 22 novembre 1884: storno ai fondi di L. 19,00 per costruzioni di casse mortuarie ai poveri. Cfr. delibera del 12 luglio 1883.

183 Sistemazione della via Garibaldi e del tratto di strada che dalla chiesa madre va fino alla casa di Romeo. Nel 1907 il Consiglio Comunale chiede al Governo del Re la costruzione della strada comunale Picerno-Baragiano.

184 Arch. di Stato di Potenza: Fondo di Prefettura cart. 1358. I lavori sull'Ontrato furono progettati dall'ingegnere del Genio Civile ed eseguiti in economia dalla ditta Somma per L. 3.000,00. Cfr. delibera consiliare dello ottobre 1895.

185 La zona indicata col numero 3175 di mappa sez. E di ettari 56 confinante con De Dovitiis e Calenda, da staccarsi da tutta l'estensione del bosco di ettari 180, sarà destinata ad impianti di oliveti e frutteti. Il Principe di Moliterno è rappresentato in questa occasione da Giuseppe Pagliuca di Muro Lucano. Da Arch. di Stato di Potenza. Cart. 1258 Fondo di Prefettura.

186 Arch. di Stato di Potenza: Fondo di Prefettura cart. 233. In precedenza la Casa Comunale era stata alloggiata in locali di fortuna, spesso in più stabili separati anche molto indecenti e inadatti allo scopo. 

187 Fino a questa data la provvista di acqua veniva fatta mediante l'uso di barili trasportati in testa dalle donne o a torso d'asino attingendo a fontane o sorgenti delle campagne. Nel 1927 gli utenti dell'acqua potabile proveniente dall'acquedotto pubblico erano 46: oggi essi non si contano più. Il canone era vario e quello più alto era di L. 100, annue.

188 E' del 1886 un documento reperito presso l'Archivio di Stato di Potenza Cart. 1272 riguardante la citazione contro gli usurpatori di terreni agrari: presso la Casa Comunale esiste un ruolo detto "usurpato" e riguarda l'elenco dei cittadini soggetti a versare il censo in misura varia che grava sul terreno usurpato e non reintegrato.

189 Cfr. Registri degli atti dei consigli comunali. Arch. Comunale di Picerno (1816-1976). 

190 Ibidem.

191 Nitti, al suo rientro in Italia, volle visitare la Lucania e salutare gli amici. Passò per il bivio e qui vennero ad incontrarlo alcuni picernesi guidati da quelli che sostenevano le sue idee politiche. La popolazione lo accolse festosamente e alla Casa Comunale fu offerto un ricevimento in suo onore. Non meno entusiasticamente e calorosamente fu in seguito l'accoglienza di Reale, Petraccone, Pignatari da parte di quelli che caldeggiavano la lista "Spiga di grano". 

192 Arch. Comunale di Picerno.

 

 

 

 

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agg. al 30/08/2004

 


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