A. M. Cervellino - Gente lucana contro luce
 

Pancrazio,

accattone ma signore

Un giorno d'autunno, quando le foglie gialle degli alberi delle vicine campagne del paese si ammucchiavano negli angoli del Paschiere, la gente si stava ritirando nelle proprie case, ormai seccata per l'inutile attesa di godere l'unico avvenimento della giornata: l'arrivo del nuovo postale in servizio da Potenza a Genzano, che stava viaggiando certamente con una buona mezz'ora di ritardo. Quasi tutti, se non tutti, sicuri che la "carrozza senza cavalli" non sarebbe più arrivata, stavano prendendo la via del ritorno assai delusi, specialmente i più vecchi, che per tutta la loro vita avevano visto giungere nella Piazza Paschiere carrozze, anche eleganti se si vuole, comode per il viaggiatore, ma sempre trainate da cavalli. Ma improvvisamente, come uno sciame di api, ecco tornare indietro le suddette persone, poiché in lontananza si avverte il misterioso rombo del motore e profilarsi la superba sagoma appunto della "carrozza senza cavalli". Oh, impagabile spettacolo vedere questo modello FIAT-18-BL dalle ruote piene e coperto di bagagli, procedere alla volta del paese alla spericolata velocità di trenta Kilometri orari, creando panico, durante le fasi di sorpasso, ai conduttori dei traini, i cui muli e cavalli da tiro immancabilmente si spaventavano, fuggendo poi all'impazzata. Quasi un trionfo l'ingresso di questo nuovo mezzo nella larga piazza e ognuno al suo arrivo gli va incontro da qualunque parte possa avere indugiato nell'attesa del suo arrivo. Che momento magico avvicinarsi a questa nuova macchina e sentirsi fiero di vivere sconosciute emozioni nell'ammirare questo gioiello nonché dèmone vagante che ha spazzato davanti a sé le inutili coppie dei cavalli. I ritardatari che arrivano nella piazza si affrettano a raggiungere per tempo i primi arrivati, onde godere insieme queste preziose emozioni. La loro ansia infatti viene subito pagata e più volte ripagata da quel loro frenetico curiosare e toccare tutto, toccare la vettura sporcandosi le mani di polvere, scrutare i meccanismi dalle fessure del coprimotore senza, chiaramente, capirci nulla e, infine, vedere scendere dal suo posto di guida, l'autista della corriera, un impavido, coraggioso pioniere di tanto progresso. Eccolo scendere, occhiali neri da pilota, gambali stretti da lucide fibbie e con aria inopportunamente arrogante, avanzarsi con passo marziale verso il gestore del "Caffè Viccia Bisenti" e consegnargli, senza salutarlo, tre giornali dicendo laconicamente: "per il Medico, il Notaio e il Podestà". Tutti seguono queste scene con occhi innocenti, ma dilatati per un inspiegabile stupore, infatti qualcuno dice: "chissà dove andremo a finire con queste macchine infernali che sulla strada fuggono come saette". Tutti i viaggiatori intanto sono scesi, ma un ultimo sembra indugiare prima di scendere e, visto da sotto i finestrini della corriera, sembra spostarsi in avanti col sedile. 
Come mai? In realtà è un viaggiatore che ha le gambe corte e, in piedi o seduto, ha sempre la stessa altezza, cioè, bassezza. Finalmente eccolo scendere dalla tanto ammirata corriera il cui interesse viene subito superato da un altro non meno grande: quello per il forastiero. Chi è? Da dove viene? Con una inconscia intesa collettiva, infatti, tutti incentrano gli sguardi sullo sconosciuto, un omino composto e dignitoso, quasi elegante: baffetti, cilindro, barba ben curata, un Toulouse Loutrec per somiglianza e statura. I curiosi e i ficcanaso si fanno sempre più vicini e guardandosi in faccia si domandano chi mai fosse questo forastiero che scende a Palmira. 
Ma guardando bene e la sua faccia e la sua singolare statura, non tardano a riconoscere Pancrazio che torna da Marsiglia, dove lavora da molto tempo come giornalaio e portalettere. In paese ha una vecchia sorella... ma si è proprio lui... Pancrazio che torna da Marsiglia. Qualcuno intanto gli si avvicina, lo saluta, gli fa mille domande: "sei tornato in paese?", "Sì, torno in paese per un mese di vacanze offertemi dalla dita presso cui lavoro". A questo punto tutti lo ossequiano, fanno a gara per stringergli la mano, qualcuno ammicca maliziosamente, gli dicono che è bello e che si è fatto più alto. 
Tutti sembrano soddisfatti, tutti compartecipano la gioia di questo improvviso ritorno di Pancrazio per una vacanza in paese pagata dalla ditta presso cui lavora... con questi tempi che corrono, è un uomo veramente fortunato. Tutti naturalmente pensano la stessa cosa: meno male che ha trovato un pane sicuro anche se in terra straniera, qui in Palmira cosa poteva fare se non elemosinare? La prima settimana trascorsa in paese è un trionfo, quelli che ancora non l'hanno visto lo vanno a trovare al caffè dove trascorre molte ore della mattinata e del pomeriggio. Pancrazio, gentile e generoso più che un signore, offre a chi lo va a salutare ciò che il "Caffè" ha a disposizione. Questa gioia per l'infelice Pancrazio dura l'arco di qualche settimana, fino a quando giunge al Municipio del paese una lettera da Marsiglia con cento franchi per l'ex giornalaio, con l'ingiunzione di non tornare più in Francia. E un duro colpo per il povero Pancrazio dal quale tutti un po' alla volta si allontanano nel tempo e nella strada, facendo finta di non conoscerlo o di non averlo mai conosciuto. Con i cento franchi ricevuti dalla ditta come una buona-uscita, acquista quei generi alimentari di prima necessità giusto per la sopravvivenza di qualche settimana... e dopo? Dopo Pancrazio verrà a trovarsi sul lastrico, per di più in anni di miseria per tutti e per lui, d'ora innanzi, solo l'accattonaggio potrà garantirgli la sopravvivenza. Spesso, il risultato di una giornata di elemosine è un pezzo di pane duro che per mangiarlo è necessario bagnarlo con la freschissima e limpida acqua della "Fontana vecchia", dove spesso Pancrazio passa all'ombra delle acacie le sue magrissime giornate, lontano da occhi indiscreti. Non mancano comunque quelle anime buone che ogni tanto lo ristorano con un buon piatto di minestra, facendolo talvolta dormire anche nell'atrio di un portone nelle fredde notti d'inverno. 
L'intima sofferenza di Pancrazio è al colmo ed è cosciente di condividere la stessa sorte dei cani randagi. Passando per certe strade viene spesso insultato da altri accattoni clandestini provenienti dai paesi vicini. Pancrazio non reagisce e rimpiangendo gli anni di Marsiglia ricorda il suo modesto lavoro di giornalaio e, soprattutto, la gentilezza dei passanti: "per piacere, signore, un giornale per me", oppure: "signore, ha finito i giornali?" Quel "signore" che oggi si tramuta in amare ingiurie, quella gentilezza vissuta con altra gente altrove e che in paese termina in disprezzo. Ma quante altre cose Pancrazio ricorda e sa dopo tanti anni di vita e di esperienza, cose che, oltre che impossibile è anche inutile comunicare agli altri. Che se ne fanno gli altri della mia esperienza, pensa Pancrazio, ognuno viva la sua fino al traguardo finale. Oggi io continuo a vivere la mia e non è giusto che con la mia miseria debba essere di peso per gli altri, disturbando tante famiglie buone che di notte mi alloggiano nei loro portoni. 
Con questo pensiero Pancrazio giunge al suo traguardo finale, pochi giorni dopo che aveva fissato la sua stabile dimora in un sottoscala adibito un tempo a pollaio. Qui, ragazzacci ed altri accattoni, puntuali, si recavano la mattina a svegliarlo di buon'ora e Pancrazio si difendeva chiudendo la porta, fatta di assicelle tarlate, legate fra di loro con lo spago... e quelli a bussare fino a quando non lo vedevano uscire. 
Ma una tarda mattina di Marzo dopo aver bussato più di un'ora e non vedendolo uscire, ruppero le assicelle e scorsero Pancrazio immobile col viso bianco e composto sul pagliericcio da lui stesso cucito e riempito di paglia. I ragazzi, profondamente turbati non tardarono a commuoversi per la morte del vecchio. In fondo, i ragazzi non gli facevano nulla di male, anch'essi accattoni che avevano fame e che andavano a piedi nudi fino ad inverno inoltrato. Piaceva loro stare con Pancrazio che talvolta parlava anche in francese e non sembrava una persona che chiedeva l'elemosina, ma un signore povero con i vestiti vecchi e sdruciti. I ragazzi lo ricordavano quando bussava alle porte delle persone caritatevoli e attendeva in silenzio che lo aprissero. Chi apriva era subito preso da una sorta di pietà, nel vederlo con quelle gambe corte e le braccia disuguali che terminavano con bianche ed esili manine come di un bambino. Era questo per Pancrazio un innocente e tacito necrologio da parte di ragazzi, testimoni della sua compostezza, della sua pazienza morale e del suo particolare silenzio davanti alle case, sia dei poveri che dei ricchi. 
Tacito, innocente e giusto necrologio quindi per Pancrazio e, in fondo, per ogni diseredato che durante la sua vita, per scelta o per torti ricevuti, ha affrontato e vissuto tante miserie, dalla mancanza dei mezzi di prima necessità, fino all'angoscia per solitudine. 
Così, in prima linea nella lotta per la vita ed in tante precarietà, costituisce il diseredato o l'accattone, una sorta di riferimento, col quale si confrontano gli altri mille e mille drammi dell'Umanità la quale anela, nel profondo della sua anima, superare ogni imperfezione. 
Quando il bronzo, infatti, raggiunge nel crogiuolo il suo punto di fusione brillando più della luce, rigetta, separandosene, ogni scoria circostante, così come in una persona che ha lungamente sofferto, una giusta catarsi spirituale la purifica, destinandola alla santità. 
A questa, penso, si sarà avvicinato Pancrazio il quale, dotato di tanta bontà e pazienza, vinse le miserie umane, nella solitudine e nel totale abbandono da parte dei propri simili.

 

 

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