A. M. Cervellino - Gente lucana contro luce
 

1898:

Natale nella greppia

Una sobria costruzione, con piano terra e primo piano, si distingueva dalle solite masserie sparse sui declivi seminati a grano. Questo armonioso caseggiato, denominato il "Palazzetto", era abitato dal Massaro con la sua famiglia al piano superiore, dove altre due stanze erano disponibili per ospitare il Principe ogni volta che veniva da Roma per esigere dai fittavoli il pagamento annuale. Al piano terra magazzini e stalle per tutti i bisogni dell'azienda. In una di queste stalle un raggio di bianchissima luce filtrava nel buio dalla porta sconnessa, illuminando appena la comoda mangiatoia dove Francesco, avvolto dalle caldissime pelli di pecora (anche se un po' maleodoranti per via della concia mal riuscita) e adagiato su un soffice materasso fatto di magnifica paglia pulita, toccava l'apice della felicità. Ai piedi della mangiatoia il cavallino nato una decina di giorni prima, se la dormiva beato ancora pieno dell'ultima poppata fatta nella stalla della mamma. Fuori c'era troppo silenzio, forse c'è la neve, pensò Francesco e infatti, tanto i piccoli rumori quanto l'abbaiare dei cani, giungevano da fuori attutiti e sordi. Ma il nitrito della cavalla del Massaro a cui facevano eco i balbettii del cavallino ed il canto del gallo erano quelli di sempre. Tuttavia nessuno del "Palazzetto" quella mattina s'era levato, neanche il mulattiere si dava cura di portare la biada alla cavalla che con insistenza continuava a nitrire nella stalla accanto. "Se il Massaro s'accorge che il mulattiere non le va a dare la biada nel momento giusto, farà stare digiuno anche lui. Ma a me che importa?" pensava Francesco, "io devo governare soltanto le galline ed i maialini che dovranno ingrassare per quando viene il Principe da Roma che li mangia arrostiti. L'ultima volta che questo venne da Roma a prendere i soldi dal Massaro, mangiò un gallo ed un porcellino e a me, che in ogni momento gli servivo vino spillato fresco dalla botte, mi fece spolpare un mezzo cosciotto del porcellino rimasto nel piatto. Il Principe ha un pancione che è un po' più piccolo della botte dove prendo il vino. Però ha i bottoni tutti d'oro: quelli della giacca di velluto azzurro e quelli del panciotto ed ha il cappello che è un po' come quello di San Rocco di Tolve. Sul panciotto ha due taschini ai quali è attaccata una grossa catena d'oro con tante medaglie che pendono e si muovono quando cammina ed anche quando mangia. Una notizia di qua, un'altra di là, Francesco, con orecchi e occhi aperti, sapeva quasi tutto sul Principe, persino che nel viaggio da Roma e ritorno c'è sempre a disposizione per lui una carrozza speciale tirata da quattro magnifici cavalli. Ma ignorava Francesco che questo è un falso Principe, è un "Alter ego" di quello vero che sta a Roma e questo lo sa solo il Massaro. "Come mai, "notava Francesco," quando il Principe scende dalla carrozza tutti lo aiutano a scendere, tutti s'inchinano, tranne che il Massaro? E come mai il Massaro ha nella sua stanza il ritratto del Principe tra Gesù e la Madonna?" Fin qua arrivava l'indagine istintiva di Francesco e non poteva andare oltre, poiché ignorava che quello era il ritratto del Principe vero che sta sempre a Roma, che conosce il Massaro e stabilisce i prezzi dell'affitto, che volta per volta questo deve versare nelle mani del mangia-porcellini che va su e giù per l'Italia Meridionale, facendo l'esattore mascherato da principe. Questo lo sa soltanto il Massaro e nessun'altro, anche nelle aziende circostanti. Infatti quando il principe-pagliaccio riceve i soldi dell'affitto, s'inchina con fare servile al Massaro, il quale lo guarda sprezzante e con occhi severi. 
Antonio il massaro sa bene che se comandasse questo principe-mangione, si porterebbe a Roma, assieme ai ducati dell'affitto, anche la moglie e le figlie... compresi i porcellini che farebbe cucinare anche durante il suo lungo viaggio. Alla consegna dei pesanti ducati d'argento il Gabellotto diffidente, li conta due o tre volte prima di metterli nella sua borsa di cuoio. "Questi sono i soldi per dieci mesi d'affitto" dice solenne il Massaro, il quale non ha mai saputo quanti soldi gli desse il Principe di Roma per quest'incarico e né sa quanto gli frutta la farsa delle medaglie dorate e del largo cappello. Per questa farsa l'onesto Massaro ha i nervi a pezzi, poiché alla presenza di tutti deve fingere di trovarsi di fronte al Principe vero. "Il Massaro non è come il Principe" pensava Francesco, non guarda i soldi con gli occhi rossi come il pancione che viene da Roma, egli è buono e quando dà una cosa agli altri la dona con tutto il cuore. Infatti, quando il padre del piccolo Francesco, quasi due anni prima lo condusse qui al Palazzetto disse al Massaro che è anche suo compare: "Cumpa Antonio ti porto mio figlio perché..." il Massaro capendo a volo il dramma del suo amico e compare Michele, ridotto al lastrico per via degli scarsi raccolti degli ultimi anni, subito di rincalzo, per non vedere umiliato l'amico costretto a raccontare i suoi insuccessi, rispose: "Cumpa Michele, lasciami il ragazzo perché ho proprio bisogno di un garzone per governare il pollaio e i maialetti, pulire la stalla e mettere la paglia pulita per terra. Al nostro Francesco non mancherà una bella mangiatoia che, con la paglia è più comoda e morbida di un letto, sopra tutto non gli mancherà una buona zuppa di fagioli o di pancotto a sazietà e uova quante ne vuole. Non per dirlo, cumpa Michele, la Domenica cuciniamo anche la pecora e le galline che non fanno le uova, perciò stai tranquillo, certo qui non morirà di fame". Il padre di Francesco, preso da tanta generosità e finezza d'animo, stava quasi per abbracciarlo, ma non c'era bisogno poiché da giovani s'erano sempre voluti bene per cui si guardarono negli occhi e si capirono continuando a stimarsi più di prima. "Cumpa Michele" aggiunse il Massaro, "prima di tornare in paese, resta con noi a prenderti un boccone, mia figlia ha cucinato una pecora a "cutturiedde" (carne di pecora lessata con aggiunta di sale e verdura e talvolta un po' di olio). "Grazie cumpa Antonio, ho lasciato mia moglie sola, tu sai che tutti i miei figli sono partiti per l'America, grazie di tutto cumpa Antonio, ti saluto". Il padre di Francesco fu subito sulla mula ed il piccolo lo seguì con lo sguardo fino a quando scomparve dietro la collinetta. A proposito, pensava Francesco, è da allora che non vedo mio padre, la mamma e le sorelle, per quanto riguarda i fratelli, per quello che hanno da fare in America, non credo proprio che si possono ricordare di me. Così assorto nei ricordi, Francesco non s'accorse che una forte folata di vento era giunta fino alla mangiatoia dopo aver completamente staccata un'assicella della già sconnessa porta della stalla. "Che freddo", disse Francesco, si alzò, aprì il portellino posto in alto sulla porta e ... Oh, meraviglia, la neve, dappertutto neve, stormi di uccelli e colombi si spostavano da un punto ad un altro senza una meta, i covoni di paglia nell'aia erano enormi monumenti bianchi così pure il pollaio accanto alla stalla. Con ritardo Francesco si ricordò che quello era il giorno di Natale. Infatti, pochi giorni prima il Massaro aveva detto che si avvicinava il giorno di Natale, che doveva essere una festa speciale per tutti, che la mattina si poteva dormire fino a tarda ora e che a mezzogiorno sarebbe venuto il Prete con il baroccio dalla masseria d'Alicchio per celebrare la Santa Messa al Palazzetto. Disse anche che dopo la Messa il Prete doveva mangiare con noi i maccheroni col formaggio e in più il "viccio" (tacchino) arrostito. Ma c'è la neve, pensò Francesco, mentre uno sbuffo di neve e vento gli fece chiudere meccanicamente il portellino facendolo ritornare così nella mangiatoia. C'è la neve e quindi il Prete non può venire a dire la Messa, ma anche se non viene io mi ricordo quello che disse l'anno passato. Disse che Gesù, il Figlio di DIO nacque povero in una stalla, anche io sono povero e dormo in una stalla... disse che la Madonna aveva messo Gesù in una mangiatoia dove giungeva il respiro caldo di un bue e di un asino... anche io sono stato messo dal Massaro in una mangiatoia e grazie a lui oggi io sono più importante di Gesù Bambino, per ché oltre all'asino e alla vacca, ho accanto a me il cavallino ed i porcellini. Questi innocenti pensieri di Francesco gravitavano intorno alle sue prime esperienze, talvolta anche dolorose e intorno al suo piccolo mondo fatto di semplici avvenimenti, di animali e di persone dai caratteri diversi. Aveva messo a fuoco la generosità e la serietà del Massaro, del Principe aveva intuito che dietro quella facciata gonfia e dorata c'era qualcosa che a lui non piaceva, amava il cavallino, le galline ed i porcellini i quali, ben nutriti e ben curati nella paglia pulita e fresca sono così bianchi da essere più graziosi di qualsiasi animaletto. Di questo suo piccolo mondo Francesco era felice e nella sua innocenza non si dava conto della mancanza del mondo autentico della famiglia, della sua famiglia dalla quale era lontano per ragioni che ancora non poteva comprendere a pieno. Intanto nelle stanze del piano superiore del Palazzetto si viveva un mondo ben diverso da quello di Francesco con i suoi animaletti ed i suoi pensieri. Sopra c'era una strana aria di festa pur nella semplicità di una modesta famiglia. Il Massaro e la moglie si erano levati di buon'ora, quest'ultima, vista la neve, ritenne inutile apparecchiare il tacchino arrosto per Don Nicola che certamente non sarebbe andato a celebrare Messa per via del maltempo. Il massaro, accortosi che il mulattiere era ancora sprofondato nel sonno e ricordandosi che questo aveva lavorato oltre la mezzanotte, scese lui a governare la cavalla. Passando davanti alla stalla del cavallino notò che Francesco dormiva ancora e pensò che era bene farlo dormire fino a mezzogiorno, oggi è Natale e si mangerà tutti insieme. I figli del Massaro, felici per il Natale cantavano: "Tu scendi dalle Stelle". "Sì, Tu scendi dalle stelle" disse Lucia, " ma senza il Bambino e senza Presepio a che serve tutto questo?" "Giusto" rispose Maria "a cosa serve?" 
Giovanni, il primogenito, alquanto intraprendente, disse scherzosamente: "ti sbagli Lucia, il Bambino lo abbiamo in mezzo a noi". Benedetto, il più piccolo, sicuro di non sbagliare aggiunse: "volete vedere che il Bambino sono io perché sono il più piccolo?" "No", replicò Giovanni, "qui c'è un bambino che è ancora più piccolo di te ed è Francesco che dorme nella stalla e dato che oggi è Natale gli andremo a fare festa proprio nella mangiatoia, perché sono sicuro che è ancora là a sonnecchiare". Fratelli e sorelle, presi da un sincero entusiasmo gridarono in coro: "Sì, sì, tutti da Francesco, tutti da Francesco". Quel baccano richiamò l'attenzione del Massaro e della moglie i quali, una volta informati di quanto avevano programmato i figli, trovarono assai bella l'idea di andare da Francesco poiché in tutti c'era uno schietto desiderio di far sentire al piccolo garzone il calore della famiglia di cui Francesco sentiva la mancanza, specie nel giorno di Natale. 
Intanto Francesco, ignaro della causa dei rumori che giungevano dalle stanze del Massaro, s'era alzato per recarsi nel porcile a prendere i due piccoli maialetti che lui curava con tanto amore. Fece fatica a togliere la neve mentre soffiava un vento gelido, ma poi fu subito nella mangiatoia a godersi la vicinanza dei porcellini che da qualche giorno lo consideravano una seconda mamma... alquanto secca. Li mise accanto a sé onde fargli godere il tepore delle pelli d'agnello, mentre quelli volevano approfittare per una buona succhiata di latte da Francesco. 
Il cavallino, sentendo i simpatici grugniti dei maialetti, s'era alzato sulle sue esili gambe, poggiando il suo bel musetto sul bordo della mangiatoia sperando che Francesco facesse da mamma anche a lui. Ma Francesco, al colmo della gioia, mentre carezzava ora i maialini, ora il cavallino, sussurrando loro le dolci parole della gioia e dell'innocenza, sentiva giungere dagli appartamenti del Massaro il canto: Tu scendi dalle stelle, o re del Cielo... il canto si faceva sempre più vicino e si sentivano dei passi felpati che avanzavano verso la stalla. Ma che succede, pensò Francesco, sicuramente è venuto il Prete a dire la Messa come l'anno passato, se è così voglio andare anch'io a vedere Don Nicola con quei vestiti bianchi e verdi che dice tante belle parole. Ma a questo punto si apre la porta della stalla e fra la meraviglia e lo stupore di Francesco, vede il Massaro, la moglie e tutti i figli col mulattiere che gridano in coro: "evviva Francesco, evviva Francesco", poi cantano di nuovo: "Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo e vieni in una stalla al freddo e al gelo". Lucia e Maria prendono i porcellini in braccio tra mille effusioni, i fratelli, divertiti e felici, prendono di peso il cavallino e lo portano alla cavalla per la prima colazione del mattino; il Massaro e la moglie, abbracciando il piccolo Francesco lo invitano a mangiare e ad essere felice con loro ed i loro figli. 
Chiaramente la gioia di vivere a tavola in fraterna compagnia con qualunque nostro simile, è un po' come celebrare la Fratellanza di tutta l'Umanità e ciò concretizza il Messaggio dell'Amore e della Carità esteso a tutti, al di là di ogni barriera. Il piccolo Francesco è stato la scintilla che ha acceso l'anima, prima dei giovani, poi degli anziani genitori. Questa piccola "favilla" della Carità latente nei loro cuori, s'è fatta fiamma con l'accettare e festeggiare l'ultimo tra di loro: un bambino indifeso, estraneo alla loro famiglia.

 

 

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