Nell'Ottobre del 1929 giunse in paese una strana compagnia di girovaghi
che si attribuivano specialità ed attrattive che avrebbero divertito
chiunque avesse visto i loro spettacoli. Più che giustificato questo
autoincoraggiamento per affrontare la lotta per la sopravvivenza, pur
sapendo di essere protagonisti di quelle miserie umane per le quali
anche i più duri di cuore avvertono talvolta sentimenti di pietà. Padre
e madre, un bambino di sei o sette mesi al seno della mamma e due
robusti gemelli di nove anni circa, gli unici che sul palcoscenico
sostenevano lo spettacolo, con esercizi spericolati che sbalordivano i
villici del paese che pagavano due soldi il biglietto d'ingresso. Il
padre faceva qualche giuoco di forza con le catene e facendo saltare un
vecchio cane spelacchiato in un cerchio sostenuto a mezz'aria. La mamma,
una bellissima zingara che a tutti faceva mille moine, adulando le
persone e leggendo la mano per due soldi, naturalmente con predizioni
tutte fastose, fortunate e piene di soldi, in più suonava il flauto,
cantava, e soprattutto allattava... per il momento il figlioletto,
poi... bene, quando questi ambulanti giunsero in paese, con una carretta
coperta, trainata da due vecchi ronzini sfiancati, presero alloggio
nella taverna Spaccamano, una specie di bunker senza fine, dove animali
e famiglia stettero più di tre mesi. Tuttavia, prima di iniziare le
rappresentazioni, il padre, che era il capocomico, fece il giro del
paese per pubblicizzare i futuri spettacoli. Detta propaganda era
accompagnata da un'esibizione che il sopraddetto faceva spezzando una
catena di ferro con un anello di piombo al centro subito ricambiabile.
Il giro di propaganda finì in un piccolo caffè-Bar del centro del paese
gestito dal padre del piccolo Ninuccio. Francesco, il gestore in
questione tornato dall'America nove anni prima, investì i suoi modesti
guadagni nell'acquisto di un fondo rustico nella "Valle dell'Orto". Poi
accontentò la giovane moglie che volle frequentare presso l'Università
di Napoli un corso per levatrice con il conseguimento di un diploma e
infine acquistò un Caffè-Bar, situato accanto ad un arco d'ingresso
dell'antico paese medioevale. Qui Giovanni il forzato, a torso nudo
spezzò per l'ennesima volta la catena fra lo stupore dei presenti, molti
dei quali l'avevano controllata anello per anello.
L'abilità di Giovanni stava nel sostituire l'anello di piombo per ogni
esibizione, durante la quale la finzione e il sudore coprivano
l'inganno. Sulla strada Giovanni annunziava: "Questa sera, questa sera,
tutti al magazzino del Notaio Parente (persona pia e caritatevole che
metteva a disposizione il suo locale vuoto per questi ambulanti che
giungevano in paese), mia moglie canterà e suonerà e i nostri gemelli
faranno il doppio salto mortale, questa sera, mi raccomando, non
mancate... due soldi appena per il biglietto". Mentre Giovanni
annunziava, Francesco gli aveva messo sul tavolo una bottiglia di
Aglianico, prodotto personale della "Valle dell'Orto". Nello stesso
tempo giunge la zingara Artemidia col figlioletto in braccio e i due
bellissimi gemelli. Subito Francesco, altri bicchieri, per altro
Aglianico, ma la zingara quanto mai bella, ma dura come una scultura di
marmo, cominciò col dire: "bell'uomo, come siete bravo, come siete
bello, sono quasi due giorni che non mangiamo e se avete un po' di pane
e formaggio per questi due ragazzi...". Dopo un po' arriva pane e
formaggio portato da una nutrice con Ninuccio in braccio il quale, ormai
di cinque mesi affamato e sfacciato com'era, alla vista della zingara fa
un balzo in avanti che per poco non sfuggiva dalle braccia della
nutrice... è l'amore a prima vista. Donna nuova, colori sgargianti,
odore di latte fresco, evviva, fra mille bizze e movimenti disordinati
anela ad ogni costo le braccia della zingara, la quale non desidera
niente di meglio, capendo in quel momento che il piccolo affamato come
lei è nientemeno che il figlio del generoso gestore. In men che si dica
la nostra Artemidia, affidando il suo figlioletto ad uno dei gemelli,
prende in braccio Ninuccio il quale, cominciando ad esplorare il campo,
sceglie subito la mammella più piena, facendo come primo incontro
colazione e pranzo. La zingara fisicamente somigliante alla Mammana, di
cui aveva anche la stessa età, era una Giunone piena di latte e, detto
questo è detto tutto. Artemidia quindi aveva afferrato a volo la
situazione e, sentendosi la prima donna, partì subito con alte pretese
con il papà e la mamma del piccolo, i quali, disposti a non negarle
nulla, si dichiararono propensi a darle ciò che voleva e forse anche
oltre il dovuto. E oltre il dovuto fu l'onorario per Artemidia la quale
assieme ai due gemelli, divorarono tutte le provviste della Mammana in
prosciutti, formaggi e salame, mentre per il forzato Giovanni non bastò
tutto l'Aglianico della "Valle dell'Orto". Ad arrotondare questi
guadagni c'erano gli spettacoli domenicali che talvolta lucravano sino a
cinquanta lire a sera. Abbastanza caro il prezzo da pagare per il
piccolo piranha che, quando finiva di succhiare, mordeva. Con tutto ciò
Artemidia ed il marito, scontenti perché volevano ancora di più, una
bella notte senza pagare i creditori, compresi i tre mesi della taverna
e, sottraendo a Francesco il guadagno di una settimana, svaligiarono
mezzo Caffè-Bar tra liquori, cioccolato, paste secche ed altro. Con
questo bottino, attaccarono i due ronzini al carro e via di corsa verso
nuovi approdi. Di questo brutto tiro non fu la mammana a soffrire e
neanche Francesco, da tutti stimato in paese per la sua generosità. Era
stimato dagli accattoni fino al più nobile dei galantuomini. Una sfilza
di accattoni ogni giorno prendevano un caffé gratuito: Chelucce Pelene,
che vendeva "Il popolo d'Italia", Iucce Quacquarotte, Chiancefoglie il
banditore. Per passione faceva il cantiniere e con mani sapienti sapeva
preparare e filtrare Aglianico e Malvasia da renderli gradevoli a chi
beveva. Sul tavolo c'era sempre pronto un bicchiere per gli amici. Era
richiesto dai galantuomini nelle battute di caccia alla volpe ed alla
lepre, alla quale quasi sempre sparava mentre questa era in corsa, con
quella doppietta calibro 12 con le cartucce della Ditta Giulio
Fiocchi-Lecco, da lui stesse dosate con polvere e pallini.
Sparava ai piccioni turchiati per portarli in regalo agli amici e al
piccolo Ninuccio lo aveva viziato portandogli dalla caccia un passerotto
da cucinare e mettere su un piatto di maccheroni. Ma oggi il piccolo,
ancora lontano dal gustare l'uccello sui maccheroni, rimpiange a modo
suo il repentino abbandono di Artemidia e dopo una settimana dalla sua
fuga cominciava a ripudiare, benché affamato, le vecchie-giovani
nutrici. Un giorno che una mammina, fresca di parto, volle dargli una
poppata, si vide rifiutata la sua offerta: "Ma come, non sai che il
colostro si dà ai bambini appena nati? Ed io chi sono? Un neonato forse?
Sappi che ho sette mesi e perché possa piacermi il tuo latte, deve
essere come quello di Artemidia, hai capito?" Ma dopo un altro giorno di
digiuno cominciò a rassegnarsi, tornando a poppare il latte volgare di
chi non sapeva cantare, suonare, ballare, recitare... rubare.
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