P R E S E N T A Z I O N E
La donazione
della porta in bronzo alla chiesa di San Nicola di Bari, la Chiesa Madre
di Picerno, da parte di Carmine Curcio, è un atto di amore filiale verso
il suo paese di origine, verso la sua storia civile, sociale e
religiosa.
Carmine accompagna il dono anche con uno squarcio rapido ed efficace della
vicenda storica di Picerno e di personaggi significativi della nostra
comunità.
La porta è opera dello scultore Paolo Cataldi che ha saputo mirabilmente
contaminarsi con le vicende di un piccolo paese disteso, sonnolento,
sulle colline.
Da piccoli ci raccontavano che le tre palle d’oro nelle mani di san Nicola
rappresentavano un dono discreto per salvare la dignità di tre
fanciulle.
L’idea del dono è il filo che lega alcune vicende raccontate da Carmine,
sulle quali desidero brevemente soffermarmi: la partenza e l’avventura
lontana, il successo ed il ritorno con tra le mani un dono per il
proprio paese.
È l’avventura di Nicola Pagano, di Donato Curcio e dello stesso Carmine
Curcio.
La partenza per taluni è il distacco dal luogo natio come chiusura
definitiva.
È la cesura netta ed irriconciliabile con un mondo che si considera
ostile, che non ha voluto comprenderlo, che lo ha ripudiato; l’espianto
irreversibile e senza appello delle proprie radici.
Per molti, invece, è una scelta sempre dolorosa, temporanea, per cercare
altrove fortuna, per mettere a frutto il proprio talento per poi tornare
per metterci nido o solo per rivivere, per un tempo, l’odore del fieno
umido della primavera, le stoppie arse dal solleone, il gelo degli
inverni interminabili.
Per i primi: la partenza e l’espianto definitivo diventa un cosmopolitismo
senza radici, un vagare senza un punto di riferimento che può spingere
verso una condizione di apolide, e anche a perdersi. Molti si sono
perduti nelle sterminate città del modo.
Per i secondi: diventare cittadini del mondo, mettere a frutto la
vertiginosa esperienza di mondi sconosciuti senza recidere i rapporti
con quello di origine, significa arricchimento culturale della propria
personalità che diventa più complessa, più aperta e più innovativa.
Il dono di Nicola Pagano: la scuola sul Pianello, nel suo elegante stile
georgiano dove intere generazioni hanno frequentato le elementari in un
edificio moderno quando in Basilicata le scuole, se c’erano, erano
orrende stamberghe fredde, buie ed inospitali.
Quella scuola era il risultato di fortune accumulate con intelligenza,
sudore e sacrifici alle porte della Patagonia, a Bahia Blanca, dove
d’inverno i venti gelidi del sud lasciano sopravvivere povere erbe
scure, bruciate dall’umidità salmastra proveniente da Capo Horn.
Da piccoli scoprimmo l’Argentina e qualche anno dopo, San Justo, nella
sterminata periferia di Buenos Aires, divenne per noi un nome familiare,
perché lì vivevano tanti dei nostri emigrati.
Il dono di Donato Curcio: un moderno e razionale campo sportivo, invidia
dei paesi limitrofi; era il sogno irrealizzato dei giovani della mia
generazione.
Noi giocavamo in un prato dove la maledizione della frana della Braida
mordeva e risucchiava a valle annualmente pezzi del nostro campo. Alla
chiusura della scuola, trasportare con mezzi rudimentali enormi quantità
di terriccio per rappezzare quelle ferite, era la nostra prima premura;
ma ogni anno, puntuale, inarrestabile e beffarda, la frana ingoiava il
nostro lavoro. C’era anche Donato, e chissà, forse fu proprio in una di
quelle circostanze, che promise a se stesso di poter fare un giorno quel
dono.
Egli è la sintesi dell’avventurosa immaginazione di nostro nonno Nicola
Maria e la meticolosa concretezza di zio Vito, suo padre.
Un lungo peregrinare per l’Europa.
Il letto di Corgemont in Svizzera, troppo angusto per tre persone, Londra
sfavillante di luci e di vita, troppo sorda per le ambizioni di un
giovane del Sud, l’improbabile sintesi della plastica con la birra.
E poi l’attraversamento del ponte, il tonfo sordo delle cascate del
Niagara e il lampo che squarcia l’immaginazione avventurosa: il
silicone! Il successo.
Il dono di Carmine: la porta in bronzo della Chiesa di San Nicola, la
Chiesa Madre delle nostre gelide novene di Natale nelle livide albe del
mese di dicembre.
La chiesa degli sposalizi festosi, delle esequie dolorose dei nostri cari,
la chiesa dove si raccolsero i nostri concittadini inermi ed imploranti
il 10 maggio del 1799.
Il cuore pietrificato del sanfedismo non ebbe pietà.
Il dono non è un atto di devozione per implorare un segno o una grazia,
non è la richiesta di uno scambio, è il riconoscimento laico del fatto
che la Chiesa come istituzione è parte integrante della nostra storia
civile e sociale.
La Chiesa non è avulsa dal processo di emancipazione sociale e civile del
nostro popolo, altrimenti sarebbe come relegarla in un ruolo riduttivo e
angusto.
Il cammino di Carmine parte dalla masseria di nostro nonno Nicola Maria al
Palazzo, senza lamenti o recriminazioni conosce le lame taglienti delle
stoppie arse dal sole, con mano leggera leviga mattoni nella fornace, a
piedi sotto il sole o la neve per raggiungere la scuola elementare a
Picerno, il treno per Potenza per le scuole medie il ginnasio e il
liceo. L’università a Milano, il volo verso l’America e il Sudafrica, a
Città del Capo, con Barnard, il luminare della cardiochirurgia. Da
contrada Palazzo a Cape Town.
Essi partirono in silenzio senza recriminare e senza chiedere garanzie.
Animati dalla consapevolezza interiore che sarebbero ritornati portando
fra le loro mani un dono per tutti noi.
Rocco Curcio
PREFAZIONE
DELL’AUTORE
Come nascono un
libro ed una porta.
Questo libro inizialmente voleva essere solo una piccola guida alla
lettura del bassorilievo della porta di San Nicola.
Man mano però che la porta prendeva forma, appariva sempre più evidente
che se non avessi fatto qualcosa per rendere i fruitori dell’opera
compartecipi delle riflessioni e delle premesse culturali e storiche da
cui traggono alimento e sostanza le immagini raffigurate, la lettura del
bassorilievo sarebbe stata frammentaria e superficiale e, nella migliore
delle ipotesi, affidata alla chiave di lettura che ognuno si sarebbe
costruita per conto proprio. L’importanza e la dimensione degli
argomenti affrontati ha fatto da fertile terreno di coltura, sicché la
guida è cresciuta fino a diventare un volume dotato di una sua autonomia
che lo mette in condizione di sopravvivere anche senza il cordone
ombelicale che lo vincola alla porta. Così è nato “Storie di Santi, di
Eroi e di Emigranti”. E come nasce la porta di San Nicola?
Circa un anno fa, mi capitò di accorgermi dello stato di grave deperimento
in cui versava la porta di legno della Chiesa Madre.
C’era un evidente contrasto tra l’interno della chiesa, così bello dopo il
restauro, e la porta così malridotta. Urgeva fare qualcosa e decisi di
pensarci io.
Ne parlai con lo scultore Paolo Cataldi chiedendogli cosa ne pensasse
dell’idea di applicare sulla porta esistente dei pannelli di bronzo con
delle decorazioni leggere, allo scopo di proteggerla dalle intemperie
senza appesantire eccessivamente la struttura portante. Com’è la chiesa?
Mi domandò. È bella, risposi. E quant’è grande? È grande. E quant’è
grande la porta? Poco più di 4 mt. x 2 mt. Meriterebbe un bel
bassorilievo: una chiesa importante vuole una porta importante, non te
la puoi cavare con dei pannelli leggeri.
Non fraintendermi, replicai, un robusto bassorilievo piacerebbe anche a
me, ma non so se la porta esistente potrà reggerne il peso.
Facemmo un sopraluogo. Oltre a me e Cataldi erano presenti Mario Salvia
nelle vesti di ingegnere più che di sindaco e ovviamente il padrone di
casa, il parroco Don Giuseppe Pronesti. Cataldi esaminò la porta
esistente molto accuratamente e concluse che era abbastanza solida per
reggere il peso di un bassorilievo in bronzo, ma che naturalmente una
nuova struttura portante tutta in acciaio avrebbe dato garanzia di
maggiore durata. Optai per questa soluzione, con somma soddisfazione del
parroco. Venne anche notato che la struttura muraria non era a piombo,
ma di questo se ne sarebbe occupato il carpentiere.
Partito il progetto, concordai con don Giuseppe che metà dei pannelli
della porta venissero dedicati a temi religiosi e l’altra metà a temi
attinenti alla storia e all’attualità della comunità picernese.
Cataldi incominciò a darsi subito da fare e in pochissimo tempo preparò
tre diversi progetti della porta. In due di essi la superficie della
porta era piatta, nel terzo, che l’autore accompagnò con un piccolo
prototipo in legno, la superficie della porta veniva scomposta in forme
romboidali embricate tra loro e disposte su due piani diversi, sfalsati
di 2-3 centimetri. In conseguenza di questo disegno, ciascuno degli otto
pannelli quadrangolari risultava diviso in due triangoli, uno più
profondo e l’altro più sporgente. Era abbastanza intuitivo l’effetto che
questi piani ondeggianti avrebbero avuto sul dinamismo delle sequenze
scultore e sulla prospettiva. Il disegno aveva una sua evidente
originalità e per questa ragione fu scelto senza esitazioni. Bisognava
ora scegliere i temi per il bassorilievo. In mente ne avevamo tanti, sia
religiosi che laici, ma non c’era spazio per tutti. Per la scelta ci
facemmo guidare da due criteri: in primis, quello di non affrontare
troppi argomenti per non correre il rischio di una narrazione
spezzettata e confusa; in secondo luogo, quello di non affollare i
pannelli con figure troppo piccole per essere leggibili agevolmente. Per
questa ragione fu deciso di condensare in soli quattro pannelli i temi
riguardanti la storia e l’attualità di Picerno e di dedicare i quattro
pannelli rimanenti unicamente a San Nicola. Sia Cataldi che io
incominciammo ad approfondire le nostre conoscenze su San Nicola e
trovammo subito una inesauribile fonte di informazioni nelle
pubblicazioni del padre domenicano Gerardo Cioffari, direttore del
Centro Studi Nicolaiani presso la Basilica di San Nicola in Bari.
Cataldi fu più veloce di me e prima che io avessi avuto il tempo di dare
il “la”, lui aveva già scolpito il primo pannello, raffigurandovi la
glorificazione di San Nicola.
Il tema della glorificazione di San Nicola, su una porta a Lui dedicata,
appariva scontato. Dovevo scegliere oculatamente i temi da rappresentare
sugli altri tre pannelli e fare anche in fretta, prima che l’esplosiva
creatività di Cataldi prendesse possesso di tutti gli spazi disponibili.
Per il secondo pannello avanzai delle precise richieste: bisognava
raffigurare San Nicola nel contesto della sua parrocchia, con la Chiesa
Madre ben riconoscibile, una immagine del paese con lo stemma, e
qualcuno degli altri santi venerati a Picerno, in primo luogo San Rocco.
Lo scultore operando con molta abilità una sintesi efficace di tutte le
esigenze da me espresse, raffigurò sulla parte inferiore del pannello
San Nicola e San Rocco inginocchiati ai piedi della Madonna e, sulla
parte alta, uno scorcio urbano visto da piazza Plebiscito, con la Chiesa
Madre e il campanile sullo sfondo di palazzo Pignatelli-Salvia. Un po’
più a destra la colomba dello Spirito Santo e lo stemma di Picerno.
Per gli altri due pannelli non c’era che l’imbarazzo della scelta. Tra i
tanti episodi di cui è costellata l’intensa vita di San Nicola, furono
scelti i due che più di ogni altro mettono in risalto la grande
attenzione del vescovo di Mira per i bisogni del proprio gregge: il
miracolo del grano e la dote alle tre fanciulle. Mi affascinavano altri
episodi il cui effetto scenico sarebbe stato sicuramente più drammatico,
come quello dello schiaffo ad Ario al concilio di Nicea o quello della
spada del boia che venne fermata dalla mano di San
Nicola proprio mentre stava per abbattersi sul collo del primo dei tre
prigionieri innocenti. Furono scelti gli altri due, come ho già detto,
perché più conformi alle caratteristiche dell’apostolato di San Nicola.
Nel libro, gli argomenti dei primi quattro pannelli vengono affrontati
tutti insieme in un unico capitolo, dedicato alla vita, ai miracoli,
alle leggende e al culto di San Nicola.
Per i quattro pannelli dedicati alla storia e all’attualità di Picerno,
proposi degli squarci sul passato e sul presente della nostra comunità,
partendo dai fatti del 1799. Nel libro, a ciascuno di questi ultimi
quattro pannelli corrisponde un proprio capitolo, dedicato
all’approfondimento dei temi che vi sono raffigurati.
Allo scadere del diciottesimo secolo, il vento di libertà che spirava su
tutta l’Europa raggiunse anche Picerno che, sollevatasi prontamente in
difesa della Repubblica Napoletana, resistette strenuamente
all’aggressione delle truppe sanfediste di Ruffo e Sciarpa fino al
tragico epilogo del 10 maggio del 1799. Per quella strenua resistenza,
in un componimento poetico di qualche decennio fa, Emilio Gallicchio
chiamò Picerno “Leonessa Lucana”. L’appellativo è ben meritato, perché a
Picerno ci fu una resistenza che gli storici definirono “lunga, ostinata
ed eroica”. Uno di loro, Racioppi, ha però proiettato sul valore di
quella lotta un’ombra di ingiustificato scetticismo. Per contrastare la
sua opinione e riaffermare con forza la dimensione eroica di quella
resistenza, nel pannello che ricorda gli eventi del 1799 ho voluto che
quell’appellativo venisse rappresentato con tutto il vigore e
l’efficacia espressiva possibile.
Per quanto riguarda il pannello successivo, dedicato al passato, chiesi
allo scultore di raffigurarvi, da una parte, immagini che ricordassero
le attività agro-pastorali e artigianali del tempo, con la
raccomandazione di includervi anche il “casone” del monte Li Foi;
dall’altra parte, un personaggio illustre di allora adatto a
simboleggiare l’eccellenza intellettuale. Stabilire quale figura
scegliere tra gli uomini illustri del passato è stato piuttosto
indaginoso. I candidati erano tanti. Suggerii la figura del chirurgo
Forlenza per la sua impareggiabile dimensione professionale e umana,
rinunciando a malincuore all’inserimento di personaggi di spessore
intellettuale e umano pure elevato, quali Tommaso Cappiello e Giuseppe
Antonio Gaimari.
Il pannello n. VII è stato dedicato all’emigrazione, quell’imponente
fenomeno sociale che ha interessato tutta l’Italia e pesantemente anche
la comunità picernese. L’emigrazione è una esperienza che tanti di noi
hanno vissuto sulla propria pelle, nel bene e nel male, direttamente o
indirettamente.
Sono stato emigrante anch’io per tanti anni ed ho imparato a mie spese
quanto emigrare sia un’esperienza dolorosa anche nelle migliori delle
condizioni. La speranza di una vita migliore non è infatti quasi mai
sufficiente ad alleviare il lacerante trauma dello sradicamento. Per
questa ragione, l’aver lasciato la propria terra, gli affetti più cari,
le proprie radici, la propria lingua, la propria identità, il proprio
tutto, per andare incontro all’ignoto e alla solitudine, spesso con la
sola forza della speranza, deve essere considerata una scelta di grande
coraggio e di grande generosità, compiuta da quei nostri connazionali
che, senza nulla chiedere in cambio, si caricarono sulle spalle il
proprio destino e partirono per terre lontane, lasciando a chi rimaneva
il proprio spazio e le proprie cose. Sono stati loro i veri eroi del
nostro tempo e il bassorilievo ha voluto testimoniarlo.
Uno squarcio sul presente è il tema dell’ultimo pannello della porta e
dell’ultimo capitolo del libro. La società picernese, si sa, è
progressivamente cambiata dal dopoguerra in poi e il cambiamento ha
subito una forte accelerazione dopo il terremoto del 1980. Il
bassorilievo offre alla vista dell’osservatore alcune immagini di questa
mutata realtà, immediatamente confrontabili con quelle del pannello a
fianco che raffigura il passato. Tra le altre immagini, anche quelle di
papa Wojtyla e di Christian Barnard, due giganti del nostro tempo dai
quali anche Picerno è stata sfiorata, sia pure in modo marginale,
confermandosi paese attento e sensibile a quanto avviene nel resto del
mondo.
Le spiegazioni su come sono nati la porta e il libro finiscono qui.
La realizzazione congiunta di tutte e due le iniziative, oltre che una
avventura culturale entusiasmante, è stata anche una sfida straordinaria
per la “mens creativa”, quella parte di noi che abbiamo ereditato
direttamente da Dio, se è vero che l’uomo è stato creato a Sua immagine
e somiglianza.
L’idea che l’uomo condivida qualche cosa con Colui che ha creato tutto
l’universo in sei giorni, è un’ipotesi che mi affascina, è però il caso
di ricordare che la creatività è una qualità immanente, frutto
dell’interazione dei due emisferi cerebrali: il destro della fantasia e
dell’immaginazione, il sinistro della ragione e della concretezza.
Sviluppare tale interazione e portare la propria capacità creativa dallo
stato potenziale allo stato di piena realizzazione è una questione di
esercizio e di impegno; se tutto questo ci sia stato comunque donato da
Dio è una domanda che ciascuno dovrà rivolgere alla propria fede.
PREFAZIONE DEL
CRITICO D’ARTE
“La porta del
Cielo” e lo scultore Cataldi Scultore, incisore e pittore, Paolo Cataldi
è un artista poliedrico in grado di confrontarsi con ogni materiale: dal
vetro al ferro, dalla terracotta alle tele, dall’olio all’acquerello.
La sua sintonia con Carmine Curcio, il donatore della porta di San Nicola
alla parrocchia di Picerno, è stata perfetta.
Al desiderio di un dono per Picerno, c’è stato subito il sì a trasformare
il progetto in lavoro e opera d’arte. Dallo studio su San Nicola al
percorso iconografico che deve parlare del Santo e di Picerno, il passo
è breve. Infaticabile l’impegno e il modellato dell’argilla che lascerà
il posto al calco di plastilina e gesso che nel giro di qualche mese
daranno forma e vita al nobile bronzo, il metallo dell’eternità. Il
brozo è il primo dei metalli fusi dall’uomo, ma è anche quello che più
di altri sa resistere al tempo.
La fusione in bronzo non è soltanto fusione di un metallo antico al
servizio dell’arte dell’uomo, ma unione di idea, progetto, studio,
ricerca, analisi di un lessico figurativo che in Cataldi cede il passo
all’estro plastico della composizione, nel ripetersi e incastrarsi del
modulo del triangolo, a sbalzo, in un effetto prospettico di luci e
ombre.
Il ritmo della composizione, l’organizzazione dei rilievi, la sintesi del
progetto e del contenuto, l’armonia di un bronzo che la Fonderia
Magnifico di Bari ha mirabilmente saputo trasformare con la levigatezza,
la cura, la patinatura di un materiale prezioso, come se fosse oro.
Sapiente la cultura dei metalli, il controllo della fusione a cera
perduta e l’abilità dei Magnifico di rendere alla perfezione ogni minimo
dettaglio del cesello dell’artista.
Nella porta scorrono episodi della vita passata e recente di Picerno. Un
viaggio narrativo che è un po’ lo spaccato della storia della
Basilicata, con il lavoro, la fatica, i sacrifici, le sofferenze, senza
annotazioni digressive né illustrative.
La lettura scende verticale, dalla glorificazione di San Nicola alla
missione sacerdotale ed episcopale, compresi il miracolo del grano e la
dote alle tre fanciulle. Picerno, dalla resistenza repubblicana al
sacrificio del 1799, viene rappresentata come la Leonessa della Lucania,
ma è anche terra di emigrazione, in una storia che dal passato giunge
fino ad oggi, compresi i progressi della scienza, della medicina e della
cardiochirurgia in particolare. C’è anche Carmine Curcio, l’allievo del
dottor Christian Barnard che, a Città del Capo, fu pioniere del
trapianto cardiaco.
Nella tradizione cristiana, alla porta viene attribuita una simbologia
ampia e ricca di significati. La porta stabilisce il confine tra il
dentro e il fuori. In chiesa, attraverso la porta, entriamo nello spazio
divino e ci mettiamo al cospetto dell’altissimo.
Ogni porta custodisce un potere sovrumano che ci accompagna alle soglie
del trascendente. Nella iscrizione sulla porta della Grotta di Monte
Sant’Angelo, sembra di riascoltare le parole dell’Arcangelo Michele:
«Questo è un luogo terribile; questa è la dimora di Dio e la porta del
Cielo». Anche l’immagine della Madonna è collegata alla Ianua Coeli la
“Porta del Cielo”. Così ci racconta San Sofronio e così recitano le lodi
sacre in onore della Vergine Maria del Triodium, il libro liturgico
della Chiesa Bizantina, che riconosce nella porta del Tempio, descritta
dal profeta Ezechiele il simbolo di Maria come porta del Paradiso.
La porta indica sempre un passaggio fisico e temporale tra due spazi:
dentro o fuori; prima o dopo. Nella teologia cristiana, Cristo stesso è
la “porta” per giungere al Padre: “Io sono la porta”, ed in quanto porta
chiede un passaggio, una conversione, attraverso di Lui. Non lasciano
tracce di dubbio, né di incertezza, le parole di Sua Santità Giovanni
Paolo II: «spalancate le porte a Cristo». Noi sappiamo bene che le porte
non si spalancano solo per entrare, ma anche per uscire: per chi decide
di stare dentro, o per chi sceglie di stare fuori. Nel significato
cristiano, la porta è il luogo dell’ingresso in cui si entra per
incontrarsi con Dio, ma è anche il luogo aperto da cui si esce,
rinforzati e pronti alla missionarietà del mondo.
La porta di Carmine Curcio e Paolo Cataldi parla come la porta del
filosofo tedesco George Simmel: «La parete è muta. Ma la porta parla».
Davanti alla porta di Picerno parla la luce che, nei riflessi cangianti
del bronzo, sa trovare l’impronta indelebile dell’eternità di un metallo
alla pari dell’oro, con dentro l’energia e il calore del sole. Dall’alba
al tramonto, la porta riluce di bagliori diversi in un gioco di
sensazioni che inebriano gli occhi e la mente, perché alle forme della
porta di San Nicola, Paolo Cataldi ha saputo donare il respiro pieno
della vita.
Martino
Cazzorla
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