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STORIE DI SANTI, DI EROI E DI EMIGRANTI "LA PORTA DI SAN NICOLA A PICERNO"
Carmine Curcio |
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PICERNO “LEONESSA DELLA LUCANIA” UNA RESISTENZA “LUNGA, OSTINATA ED EROICA”
Narrano gli storici che durante la
rivoluzione napoletana del 1799 Picerno fu il centro di raccolta dei
repubblicani della Basilicata occidentale e che il popolo picernese
oppose una resistenza lunga, ostinata ed eroica alle truppe sanfediste
del cardinale Ruffo comandate da Gerardo Curcio da Polla, detto Sciarpa.
Per quella strenua resistenza, a Picerno venne attribuito più tardi il
poetico appellativo di Leonessa della Lucania
(10
-fonti bibliografiche e sitografiche)..
* Nelle pagine da lui scritte sui fatti di Picerno. Racioppi esprime
delle sue opinioni in certa misura contrastanti con quanto è stato
scritto da altri, senza il supporto di nuova e diversa documentazione.
Le sue valutazioni in merito ai fatti citati hanno pertanto, a mio
parere, più un sapore giornalistico che storico. Racioppi descrive i
fatti di Picerno non come eroica resistenza, bensì come una scaramuccia
sostenuta quasi unicamente dai fratelli Vaccaro: «Morti i fratelli
Vaccaro che del loro petto sostenevano la difesa, la città aprì le
porte: i briganti entrarono; e del primo furore dei micidiali e ladroni,
restarono vittime donne e uomini inermi... di saccheggiamenti le storie
non parlano». Dunque tutti quei morti e tutti quei condannati per una
scaramuccia. Se le cose stessero nei termini raccontati da Racioppi, ci
sarebbe anche da presumere che i fratelli Vaccaro sbagliarono a
concentrare su Picerno gli sforzi per la difesa della Repubblica. Sempre
Racioppi racconta che invece una «valorosa resistenza vi fu a Muro, dove
nonostante questa, le truppe di Sciarpa entrarono in paese uccidendo e
saccheggiando». Delle donne che morirono, Racioppi dice testualmente:
«che le donne cadessero combattendo non so se altri lo creda, io non
posso». Aparte la grossolanità della forma, che tale rimane a
prescindere dal valore dell’illustre storico, mi chiedo se sia lecito
insultare la memoria di quelle eroiche martiri della libertà, senza uno
straccio di controprova. E perché mai avrebbero dovuto travestirsi da
uomini se non per partecipare in qualche modo alla battaglia? Degli
incendi e dei saccheggi Racioppi afferma che non ce ne furono. I
documenti riportano invece che ce ne furono16. Quanto alla
capitolazione, secondo lui fu tutt’altro che onorevole in quanto «la
città tornò all’antico e i patrioti che non morirono nella mischia,
scomparvero altrove». A parte il fatto che la lunga lista di condannati
come rei di stato dimostra il contrario; ma quale sarebbe la loro colpa
se fossero scomparsi altrove? Dopo una rivolta fallita, la via di scampo
dei rivoltosi è sempre stata la fuga per riparare altrove. Lo fu anche
per Garibaldi e Mazzini.
Sono consapevole dell’esigenza primaria
che ha lo storico di distinguere sempre e comunque i fatti dai miti, ma
in questo caso ritengo che lo scetticismo del Racioppi sia eccessivo e
che, tra le due versioni, la più attendibile sia quella testimoniata sia
da Vincenzo Cuoco che da Pietro Colletta, non solo storici altrettanto
autorevoli, ma anche contemporanei ai fatti. Mi è difficile pensare che
entrambi questi storici, i quali ci hanno consegnato una descrizione
così ricca di dettagli sul comportamento della popolazione durante
quegli eventi, abbiano stravolto completamente i fatti
(10-13
-fonti bibliografiche e sitografiche).
Non si trattò dunque di azioni magnificate dalla poesia della storia,
bensì di fatti riportati con scrupolo; anche se una qualche esagerazione
da parte di Cuoco, di Colletta e di altri non si può escludere. Se
questo fosse avvenuto, si tratterebbe tuttavia di una colpa perdonabile.
Dopo tutto, in quella lotta la poesia non mancò, perché dove si combatte
e si è disposti anche a morire per difendere degli ideali, lì ci sono
necessariamente sentimento, emozione, passione, eroismo, ardore,
disperazione, che sono la sostanza di cui è fatta la poesia. È vero che
eccedendo nell’esaltazione si rischia di scivolare nella retorica, ma è
anche vero che atteggiamenti di sufficienza, di scetticismo e di
minimizzazione rischiano di risultare ingiustamente dissacranti nei
confronti di coloro che in quella lotta e per quegli ideali ci rimisero
la vita. IL PANNELLO 5 Sul pannello dedicato ai fatti del 1799 fin qui commentati, per contrastare lo scetticismo di Racioppi e riaffermare con forza la dimensione eroica di quella lotta, chiesi allo scultore di rappresentare l’appellativo di Leonessa della Lucania con grande vigore e tutta l’efficacia espressiva possibile. Cataldi ha risposto da par suo, raffigurando sulla parte alta del pannello un’energica leonessa che ruggisce aggressiva tra i cespugli, con la vecchia torre di Picerno da una parte e la forma della Basilicata dall’altra. In basso, l’eccidio sul sagrato della Chiesa Madre con la figura del sacerdote colpito a morte in mezzo ad altri caduti, che regge ancora saldamente tra le mani l’ostensorio. Ai margini della scena si intravede uno degli assalitori con l’arma puntata.
APPENDICE AL CAPITOLO III CONSIDERAZIONI SULLA PARTECIPAZIONE DEI CONTADINI AI MOTI DEL 1799
Sulle ragioni che motivarono la
partecipazione dei contadini ai moti del 1799, desidero proporre, in
appendice a questo capitolo, alcune riflessioni derivanti dal mio
vissuto all’interno di quel mondo negli anni cinquanta e contigui,
quando la condizione dei lavoratori della terra aveva ancora molte
somiglianze con quella di duecento anni fa. È stato detto che i
contadini lottarono per la terra e non per la Repubblica, che erano
indifferenti alle forme di stato e di governo perché non le conoscevano,
che non morirono per la libertà che a loro non apparteneva ed altri
simili giudizi che in qualche modo tendono a svilire le ragioni della
loro partecipazione alla rivolta. Insistere nel dire che i contadini
lottarono per la terra e non per la Repubblica, equivale a dire che essi
sapevano lottare brutalmente e rozzamente solo per un bene concreto e
non per qualcosa che avrebbe richiesto una passione e una carica ideale
a loro estranea e, che la lotta per la Repubblica non era roba per loro,
ma solo per componenti sociali dotate di maggiore sensibilità e cultura.
Invece non è così, perché laddove la Repubblica si presentò fin
dall’inizio con una identità veramente rivoluzionaria, anche i contadini
ne compresero subito la portata e aderirono immediatamente all’appello,
come avvenne a Picerno. Scrive infatti Cuoco: «in Picerno, appena il
popolo intese l’arrivo dei Francesi, corse, seguendo il suo parroco,
alla chiesa a rendere grazie al Dio d’Israele, che aveva visitato e
redento il suo popolo. Dalla chiesa passò ad unirsi in parlamento ed il
primo atto della libertà fu quello di chiedere conto dell’uso che per
sei anni si era fatto del pubblico danaro. Non tumulti, non massacri,
non violenza accompagnarono la rivendica dei suoi diritti... il secondo
atto della libertà fu quello di rivendicare le usurpazioni del
feudatario. E quale il terzo? Quello di far prodigi per la libertà
istessa...»
(10
-fonti bibliografiche e sitografiche).
Laddove invece la Repubblica si presentò col volto dei grandi possidenti
che volevano tutta la terra per se stessi, lasciando gli altri a mani
vuote, le masse contadine fecero bene a non aderirvi. E perché mai
avrebbero dovuto? Dopo tanti secoli di asservimento al regime feudale,
avevano tutte le buone ragioni per non farsi ancora una volta strumento
di interessi altrui. A Picerno i contadini si schierarono immediatamente
a favore della Repubblica perché intesero fin da subito che la
Repubblica si proponeva sia di eliminare la feudalità sia di distribuire
le terre e ci credettero. Questo è vero, viene replicato, però i
contadini lottarono per la terra e non per la Repubblica; se non ci
fosse stata di mezzo la terra non avrebbero aderito. Ma siamo sicuri che
i borghesi e i grandi possidenti avrebbero aderito alla Repubblica se
non avessero avuto la prospettiva di prendersi le terre del feudatario?
E gli stessi intellettuali avrebbero continuato ad essere convinti
repubblicani se la Repubblica si fosse presentata come un guscio vuoto,
senza cioè i contenuti necessari per fare da supporto alle loro
convinzioni? La verità è che nell’ampio contesto della rivoluzione del
1799 si mescolarono esigenze diverse, variabili da una componente
sociale all’altra, ciascuna delle quali ebbe le sue motivazioni e, a
giusta ragione, anche i coltivatori della terra ebbero le proprie; è
però anche il caso di ricordare che quella della terra fu la questione
centrale per tutti e non solo per i contadini. C’è di più: la scelta dei
contadini di lottare per la Repubblica e di inscrivere le proprie
rivendicazioni all’interno di un programma politico più ampio e
articolato, attesta che avevano raggiunto un grado di consapevolezza
politica molto maggiore di quanto ne sia stata loro attribuita. Capivano
che lottare solo per la terra non avrebbe dato risultati e sapevano
anche che qualora la Repubblica fosse stata sconfitta, tutto sarebbe
rimasto come prima. Forse anche per questo continuarono a lottare
insieme agli altri fino alla fine. L’episodio dei contadini di Avigliano
che minacciarono di ritirare il proprio sostegno alla rivoluzione e
persino di bruciare le case di tutti i galantuomini contrari alla
distribuzione delle terre, non dimostra affatto che essi lottavano solo
per la terra, semmai conferma che essi lottavano per la Repubblica e che
erano pronti a difenderla da chi tentava di |
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