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STORIE DI SANTI, DI EROI E DI EMIGRANTI "LA PORTA DI SAN NICOLA A PICERNO"
Carmine Curcio |
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PICERNO NEL PRESENTE SITUAZIONE SOCIO-ECONOMICA La realtà economica e sociale di Picerno è notevolmente cambiata nel corso degli ultimi cinquant’anni. I lavoratori della terra e i braccianti, che prima erano la gran maggioranza hanno ceduto il posto agli operai, agli addetti al terziario, agli studenti e ai tanti diplomati e laureati che hanno dato origine, com’era d’aspettarsi, anche a un progressivo rinnovamento della classe politica. Uno dei rappresentanti della prima generazione della nuova classe politica, Rocco Curcio, negli anni ‘70 fu segretario regionale del Partito Comunista Italiano, successivamente divenne membro del parlamento nazionale e poi di quello regionale. Nelle file del Partito Socialista, a Picerno dominò sempre la figura di Mario Romeo che fu anche sindaco, docente di lettere antiche, poeta e scrittore. È pressoché scomparsa l’aristocrazia locale che per secoli aveva dominato la vita economica, sociale e politico-amministrativa del paese e gli antichi palazzi si sono a poco a poco svuotati, sia per la naturale e progressiva estinzione delle grandi famiglie, sia per emigrazione delle ultime generazioni dei loro discendenti. Nelle campagne, ad iniziare dagli anni ‘60, è progressivamente migliorata la qualità della vita grazie alla realizzazione di infrastrutture e servizi essenziali quali elettrificazione, viabilità, condotte idriche e rete telefonica.
Molto importante ai fini di una civile
integrazione tra paese e campagna è stata l’eliminazione delle scuole
rurali e la concentrazione di tutti gli scolari nelle classi delle
scuole urbane. Per quanto riguarda le attività agro-pastorali, la
pastorizia è quasi scomparsa e l’agricoltura dove è ancora presente si è
quasi completamente meccanizzata. Gli agricoltori a tempo pieno
rappresentano ormai solo una esigua minoranza. Si è sviluppato
l’allevamento industriale del
Agli inizi degli anni ‘60, insieme a tanti altri, emigrarono anche alcuni studenti miei coetanei e compagni di liceo. Andarono temporaneamente e ripetutamente in Svizzera e in Germania dove col loro lavoro si procurarono le risorse necessarie per continuare gli studi all’Università Napoli. Quando finii il liceo e venne il mio turno, emigrai anch’io. Andai a cercare la mia strada a Milano e la trovai. Era l’anno 1962. Feci per un brevissimo periodo l’operaio alla Snia Viscosa di Cesano Maderno, dove c’era già una folta colonia di lavoratori picernesi. Dopo breve tempo ebbi l’inattesa fortuna di ricevere dall’Università di Stato di Milano una borsa di studio consistente in un sussidio che mi fu rinnovato negli anni successivi e per l’intera durata del corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Un anno dopo la laurea emigrai negli Stati Uniti e qualche anno più tardi in Sudafrica, per specializzarmi in cardiochirurgia all’Università di Cape Town, alla scuola di Christian Barnard, il cardiochirurgo che nel 1967 aveva eseguito al Groote Schuur Hospital di Città del Capo il primo trapianto cardiaco della storia.
Il trapianto cardiaco è stato un evento
straordinario e uno dei passaggi più significativi della medicina
moderna e della storia contemporanea. Alle fasi iniziali di
quell’eccezionale momento di crescita partecipò anche un medico di
Picerno e questo mi è sembrato un giustificato motivo per dedicare
almeno un piccolo spazio del bassorilievo al ricordo di quell’evento.
Verso la fine del 1974, Barnard ravvivò
di nuovo l’entusiasmo sia degli addetti ai lavori che dei media,
applicando all’uomo una nuova tecnica di trapianto, quella del trapianto
cardiaco eterotopico, che doveva servire a limitare i danni in caso di
rigetto. La tecnica consisteva nell’innesto di un nuovo cuore a fianco
al vecchio per assisterlo nella sua funzione di pompa, anzichè
sostituirlo. In caso di rigetto del cuore trapiantato, il vecchio cuore,
con la capacità contrattile residua, avrebbe potuto mantenere in vita il
paziente in attesa della regressione della crisi di rigetto o in attesa
di un nuovo trapianto. Questo era solo uno dei potenziali vantaggi che
si dimostrò un vantaggio reale in molte occasioni. Ce n’erano anche
altri. Molti trapianti vennero eseguiti con questa tecnica negli anni
successivi, fino all’avvento della ciclosporina agli inizi degli anni
‘80, un potente farmaco immuno-soppressore che alleggerendo in maniera
sostanziale il problema del rigetto, ridimensionava l’utilità del
trapianto cardiaco eterotopico. Fu proprio in quegli anni che io ebbi la
fortuna e il privilegio di far parte dell’equipe del Professor Christian
Barnard
(46-47
-fonti bibliografiche e sitografiche)
e inoltre di dirigere il servizio preposto al followup dei pazienti
operati di trapianto cardiaco. Furono anni molto intensi per la qualità
e quantità del lavoro svolto in tutti i settori della cardiochirurgia,
oltre che formidabili dal punto di vista formativo. Lo so che la figura
di Barnard ha suscitato anche polemiche, come spesso capita a chi ha
successo, ma non ci sono dubbi che fu un grande medico, un grande
cardiochirurgo e un grande maestro.
Ero
ancora un quasi giovane quando salì al soglio pontificio Karol Wojtyla.
La sua elezione suscitò molto entusiasmo e molte aspettative, sia per i
tempi, carichi d’attesa, sia per la provenienza e il modo del tutto
inusuale e nuovo nel quale si presentò al mondo dalla finestra del
pontefice. Avevo incominciato a sviluppare una certa curiosità nelle
vicende papali già dall’estate di quell’anno, il 1978, quando capitò a
Barnard e a me di essere coinvolti entrambi in alcune polemiche
mediatiche internazionali scatenate dalla morte di Paolo VI. Fu in quel
contesto che una mattina di fine settembre, mentre facevo il giro dei
piccoli pazienti nella terapia intensiva della cardiochirurgia
pediatrica, al Red Cross Children Hospital di Cape Town, Barnard si
affacciò all’ingresso e mi comunicò ad alta voce: your pope is dead! Il
tuo papa è morto! Mi girai e lo fissai perplesso, comunicandogli forse
involontariamente l’impressione di avere qualche dubbio sulla sua
lucidità. Lui si accorse dell’equivoco e ridendo divertito come rideva
lui: no! Non quello che è morto il mese scorso, è morto il nuovo papa,
quello che hanno appena fatto. Una notizia che mi lasciò attonito,
scioccato. Giovanni Paolo I mi aveva colpito per quel suo aspetto umile
e buono, il sorriso dolce, lo sguardo timido e mistico e il modo
semplice di comunicare. Sembrava proprio un pontefice destinato ad
entrare permanentemente nel cuore dei cristiani. Purtroppo si rivelò
completamente inadatto a fare il papa, tanto che lui stesso si sentì
subito sopraffatto da quella terribile incombenza
(48
-fonti bibliografiche e sitografiche).
Quando appena un mese dopo morì, anche lui tra le polemiche, si disse
che furono in tanti nelle gerarchie ecclesiastiche a tirare un sospiro
di sollievo. Quanto a me, a torto o a ragione, conclusi più tardi che il
breve papato di Giovanni Paolo I doveva servire al solo scopo di rendere
possibile l’avvento di Giovanni Paolo II e che la strategia complessiva
di tutto il disegno non era opera dei cardinali del conclave (i quali
non potevano sapere in anticipo che Luciani sarebbe morto così presto)
bensì del caso o dello Spirito Santo. Morto l’apripista Luciani, salì
finalmente al soglio il papa che era destinato ad affascinare e
conquistare tutti: credenti e non credenti, uomini e donne, ricchi e
poveri, giovani e anziani, e più tardi persino un giovane che aveva
attentato alla sua vita, quasi riuscendoci. Uno dei papi più amati e
popolari della storia, che di lì a poco avrebbe lui stesso contribuito a
cambiare, scuotendo con la forza di un uragano gli stessi equilibri
mondiali: papa Wojtyla. Ascoltai alla televisione sudafricana le sue
prime parole da pontefice. Mi procurò una forte emozione e un grande
entusiasmo, ingiustificati sia l’una che l’altro, non essendo io nè un
indomito credente e nè un assiduo praticante. Il fatto che non fosse
italiano mi caricò di un particolare compiacimento interiore, sia perché
questo rendeva più credibile l’intervento illuminante dello Spirito
Santo, sia perché mi forniva un argomento in più a sostegno
dell’universalità della Chiesa Cattolica, contro amici appartenenti alla
Chiesa Riformata Olandese del Sud Africa, i quali consideravano la
Chiesa Cattolica prettamente “una cosa italiana”. Giovanni Paolo II, da
quel combattente che era, intervenne con vigore in ogni possibile campo
e sempre sostenuto dalla sua grande fede che cercò di trasferire al
mondo con forza: «...Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le
porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli
stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della
cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è
dentro l’uomo. Solo lui lo sa!...». Una delle sue iniziative più grandi
e di portata rivoluzionaria fu quella di spalancare le porte della
Chiesa alla Scienza. Lo fece in maniera da cancellare con un sol colpo
di spugna tutti gli antichi dissidi, i rancori e le controversie sulla
storica contrapposizione tra fede e scienza: «l’uomo può perire per
effetto della tecnica che egli stesso sviluppa, non della verità che
egli scopre mediante la ricerca scientifica». Scienza e fede sono
«entrambe apportatrici di verità» ed «entrambe dono di Dio» e insieme
costituiscono la più potente alleanza in difesa della vita e del futuro
dell’umanità
(49
-fonti bibliografiche e sitografiche).
L’ultimo pannello è dedicato a Picerno nel presente. L’immagine antica del paese, su cui dominava la vecchia torre diroccata, è stata radicalmente modificata dalla ricostruzione successiva al terremoto. Anche la società è cambiata. Sotto la torre restaurata non più contadini e pastori, ma studenti, operai specializzati, operatori informatici, agricoltori meccanizzati. I disoccupati non sono riconoscibili, ma sono ancora tanti.
In un piccolo spazio triangolare il
pannello propone l’immagine schematica del trapianto cardiaco
eterotopico, con i due cuori, il vecchio e il nuovo, l’uno a fianco
all’altro, e Barnard nell’atto di mostrare qualcosa a un suo
collaboratore che un pò mi assomiglia. L’ultima immagine del
bassorilievo, quella di Giovanni Paolo II attorniato da un gruppo di
giovani, simboleggia il loro legame con papa Wojtyla che a Picerno non
fu meno vivo e intenso che in altre parti del mondo cattolico.
Cercare di trarre un’unica conclusione da tanta eterogeneità sarebbe impresa difficile oltre che infruttuosa. Le conclusioni potrebbero essere anche molteplici e ciascun lettore, se lo vorrà, potrà trarre le proprie. Sono stati affrontati argomenti assai diversi tra loro, trattati ciascuno nella sua piena autonomia tematica e tenuti insieme dalla porta di San Nicola oltre che da un altro tenace collante: il popolo picernese nel duplice ruolo di primo attore e di spettatore; una piccola comunità che la storia non l’ha solo subita, ma anche fatta. Se poi si leggono con attenzione le varie biografie raccontate, che si tratti di Santi o di eroi, di emigranti o di luminari, di papi o di altri, si riesce a individuare un ulteriore fattore di unificazione: un denominatore comune che trovo pertinente rappresentare con la seguente riflessione di George Bernard Shaw: «Le persone che riescono in questo mondo sono quelle che vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano, e, se non le trovano, le creano». |
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