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Carmine Curcio

Picerno

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STORIE DI SANTI, DI EROI E DI EMIGRANTI

"LA PORTA DI SAN NICOLA A PICERNO"

 

Carmine Curcio
 

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CAPITOLO  VI°

PICERNO NEL PRESENTE
 

SITUAZIONE SOCIO-ECONOMICA

La realtà economica e sociale di Picerno è notevolmente cambiata nel corso degli ultimi cinquant’anni. I lavoratori della terra e i braccianti, che prima erano la gran maggioranza hanno ceduto il posto agli operai, agli addetti al terziario, agli studenti e ai tanti diplomati e laureati che hanno dato origine, com’era d’aspettarsi, anche a un progressivo rinnovamento della classe politica. Uno dei rappresentanti della prima generazione della nuova classe politica, Rocco Curcio, negli anni ‘70 fu segretario regionale del Partito Comunista Italiano, successivamente divenne membro del parlamento nazionale e poi di quello regionale. Nelle file del Partito Socialista, a Picerno dominò sempre la figura di Mario Romeo che fu anche sindaco, docente di lettere antiche, poeta e scrittore. È pressoché scomparsa l’aristocrazia locale che per secoli aveva dominato la vita economica, sociale e politico-amministrativa del paese e gli antichi palazzi si sono a poco a poco svuotati, sia per la naturale e progressiva estinzione delle grandi famiglie, sia per emigrazione delle ultime generazioni dei loro discendenti. Nelle campagne, ad iniziare dagli anni ‘60, è progressivamente migliorata la qualità della vita grazie alla realizzazione di infrastrutture e servizi essenziali quali elettrificazione, viabilità, condotte idriche e rete telefonica.

Picerno nel presente: panoramica aerea. Sono evidenti i tre colli su cui è adagiata la parte più antica del paese, in gran parte restaurato e rinnovato dalla ricostruzione post-terremoto. Si notino anche il restauro della torre, il ponte sulla circonvallazione, il ridimensionamento della stazione ferroviaria e, non lontano, la piscina comunale coperta. C’è ancora il vecchio campo di calcio.     -     Foto archivio APT Basilicata

Molto importante ai fini di una civile integrazione tra paese e campagna è stata l’eliminazione delle scuole rurali e la concentrazione di tutti gli scolari nelle classi delle scuole urbane. Per quanto riguarda le attività agro-pastorali, la pastorizia è quasi scomparsa e l’agricoltura dove è ancora presente si è quasi completamente meccanizzata. Gli agricoltori a tempo pieno rappresentano ormai solo una esigua minoranza. Si è sviluppato l’allevamento industriale del
maiale, come pure l’industria dei salumi di cui Picerno è uno dei maggiori produttori in Basilicata. In aree strategicamente meglio posizionate sono sorte strutture per la ristorazione, alcune anche di grandi dimensioni. L’urbanistica è notevolmente migliorata grazie alla circonvallazione realizzata tra gli anni ‘70 e ‘80 e alla imponente opera di ricostruzione messa in atto dopo il terremoto dell’80. Questo è un dato innegabile nonostante le tante polemiche e le molte critiche, condivisibili e non, indirizzate al piano di ricostruzione, agli organi amministrativi e politici che lo condivisero e agli uomini che ne furono a capo.
Dagli anni ‘60 in poi, come è stato già detto in uno dei paragrafi precedenti, sono progressivamente mutati anche i connotati dell’emigrazione. Non più l’emigrazione in massa di manodopera povera, motivata dalla necessità di soddisfare i bisogni primari, ma quella selettiva di operai specializzati, tecnici, imprenditori, diplomati e laureati alla ricerca di situazioni idonee per realizzare le proprie ambizioni o per sviluppare il proprio talento. Questo fenomeno è ancora presente ai giorni nostri e purtroppo ha ripreso a crescere
(45 -fonti bibliografiche e sitografiche). Era d’altronde inevitabile, perché è difficile che la nostra società, così come si è impelagata, potrà mai riuscire a frenare la fuga delle sue forze migliori, almeno fino a quando l’ordine delle priorità non sarà stato radicalmente sovvertito.
 


UN PICERNESE ALLIEVO DI BARNARD ALL’EPOCA DEI PRIMI TRAPIANTI DI CUORE

Agli inizi degli anni ‘60, insieme a tanti altri, emigrarono anche alcuni studenti miei coetanei e compagni di liceo. Andarono temporaneamente e ripetutamente in Svizzera e in Germania dove col loro lavoro si procurarono le risorse necessarie per continuare gli studi all’Università Napoli. Quando finii il liceo e venne il mio turno, emigrai anch’io. Andai a cercare la mia strada a Milano e la trovai. Era l’anno 1962. Feci per un brevissimo periodo l’operaio alla Snia Viscosa di Cesano Maderno, dove c’era già una folta colonia di lavoratori picernesi. Dopo breve tempo ebbi l’inattesa fortuna di ricevere dall’Università di Stato di Milano una borsa di studio consistente in un sussidio che mi fu rinnovato negli anni successivi e per l’intera durata del corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Un anno dopo la laurea emigrai negli Stati Uniti e qualche anno più tardi in Sudafrica, per specializzarmi in cardiochirurgia all’Università di Cape Town, alla scuola di Christian Barnard, il cardiochirurgo che nel 1967 aveva eseguito al Groote Schuur Hospital di Città del Capo il primo trapianto cardiaco della storia.

Facciata dello storico Ospedale Groote Schuur di Città del Capo, in Sudafrica, dove venne eseguito da Christian Barnard il primo trapianto cardiaco della storia. Scorcio panoramico del centro storico di Città del Capo con il porto, incorniciata dalla montagna della tavola alle spalle, la montagna del leone a destra e il picco del diavolo a sinistra. Città del Capo è annoverata tra le più belle città del mondo

Il trapianto cardiaco è stato un evento straordinario e uno dei passaggi più significativi della medicina moderna e della storia contemporanea. Alle fasi iniziali di quell’eccezionale momento di crescita partecipò anche un medico di Picerno e questo mi è sembrato un giustificato motivo per dedicare almeno un piccolo spazio del bassorilievo al ricordo di quell’evento.
Come è stato già detto, il primo trapianto cardiaco di successo al mondo venne eseguito nel 1967, la notte tra il 2 e il 3 dicembre. Il paziente aveva 54 anni e si chiamava Louis Washkansky. La donatrice aveva 24 anni ed era rimasta vittima di un incidente stradale quello stesso giorno, proprio nelle vicinanze dell’Ospedale Groote Schuur. Si chiamava Denise Darvall. Dopo quell’evento storico l’entusiasmo per il trapianto cardiaco esplose in tutto il mondo, contagiando moltissimi centri di cardiochirurgia. Appena 3 giorni dopo, il 6 dicembre, veniva eseguito a New York il secondo trapianto cardiaco al mondo e il primo degli Stati Uniti, in un bambino di appena tre settimane, dal dottor Adrian Kantrowitz. L’entusiasmo non durò a lungo. Si spense infatti
abbastanza rapidamente a causa dei risultati insoddisfacenti dovuti alla mancanza, a quel tempo, di efficaci immuno-soppressori, una categoria di farmaci che servono a prevenire il rigetto dell’organo trapiantato. Solo pochi centri continuarono ad eseguire trapianti cardiaci, i più attivi furono in quel periodo il centro della Stanford University a Palo Alto in California diretto da Norman Shumway e il centro del Groote Schuur Hospital di Cape Town, diretto da
Christian Barnard.


Christian Barnard

Verso la fine del 1974, Barnard ravvivò di nuovo l’entusiasmo sia degli addetti ai lavori che dei media, applicando all’uomo una nuova tecnica di trapianto, quella del trapianto cardiaco eterotopico, che doveva servire a limitare i danni in caso di rigetto. La tecnica consisteva nell’innesto di un nuovo cuore a fianco al vecchio per assisterlo nella sua funzione di pompa, anzichè sostituirlo. In caso di rigetto del cuore trapiantato, il vecchio cuore, con la capacità contrattile residua, avrebbe potuto mantenere in vita il paziente in attesa della regressione della crisi di rigetto o in attesa di un nuovo trapianto. Questo era solo uno dei potenziali vantaggi che si dimostrò un vantaggio reale in molte occasioni. Ce n’erano anche altri. Molti trapianti vennero eseguiti con questa tecnica negli anni successivi, fino all’avvento della ciclosporina agli inizi degli anni ‘80, un potente farmaco immuno-soppressore che alleggerendo in maniera sostanziale il problema del rigetto, ridimensionava l’utilità del trapianto cardiaco eterotopico. Fu proprio in quegli anni che io ebbi la fortuna e il privilegio di far parte dell’equipe del Professor Christian Barnard (46-47 -fonti bibliografiche e sitografiche) e inoltre di dirigere il servizio preposto al followup dei pazienti operati di trapianto cardiaco. Furono anni molto intensi per la qualità e quantità del lavoro svolto in tutti i settori della cardiochirurgia, oltre che formidabili dal punto di vista formativo. Lo so che la figura di Barnard ha suscitato anche polemiche, come spesso capita a chi ha successo, ma non ci sono dubbi che fu un grande medico, un grande cardiochirurgo e un grande maestro.
 


PAPA GIOVANNI PAOLO II E I GIOVANI

Ero ancora un quasi giovane quando salì al soglio pontificio Karol Wojtyla. La sua elezione suscitò molto entusiasmo e molte aspettative, sia per i tempi, carichi d’attesa, sia per la provenienza e il modo del tutto inusuale e nuovo nel quale si presentò al mondo dalla finestra del pontefice. Avevo incominciato a sviluppare una certa curiosità nelle vicende papali già dall’estate di quell’anno, il 1978, quando capitò a Barnard e a me di essere coinvolti entrambi in alcune polemiche mediatiche internazionali scatenate dalla morte di Paolo VI. Fu in quel contesto che una mattina di fine settembre, mentre facevo il giro dei piccoli pazienti nella terapia intensiva della cardiochirurgia pediatrica, al Red Cross Children Hospital di Cape Town, Barnard si affacciò all’ingresso e mi comunicò ad alta voce: your pope is dead! Il tuo papa è morto! Mi girai e lo fissai perplesso, comunicandogli forse involontariamente l’impressione di avere qualche dubbio sulla sua lucidità. Lui si accorse dell’equivoco e ridendo divertito come rideva lui: no! Non quello che è morto il mese scorso, è morto il nuovo papa, quello che hanno appena fatto. Una notizia che mi lasciò attonito, scioccato. Giovanni Paolo I mi aveva colpito per quel suo aspetto umile e buono, il sorriso dolce, lo sguardo timido e mistico e il modo semplice di comunicare. Sembrava proprio un pontefice destinato ad entrare permanentemente nel cuore dei cristiani. Purtroppo si rivelò completamente inadatto a fare il papa, tanto che lui stesso si sentì subito sopraffatto da quella terribile incombenza (48 -fonti bibliografiche e sitografiche). Quando appena un mese dopo morì, anche lui tra le polemiche, si disse che furono in tanti nelle gerarchie ecclesiastiche a tirare un sospiro di sollievo. Quanto a me, a torto o a ragione, conclusi più tardi che il breve papato di Giovanni Paolo I doveva servire al solo scopo di rendere possibile l’avvento di Giovanni Paolo II e che la strategia complessiva di tutto il disegno non era opera dei cardinali del conclave (i quali non potevano sapere in anticipo che Luciani sarebbe morto così presto) bensì del caso o dello Spirito Santo. Morto l’apripista Luciani, salì finalmente al soglio il papa che era destinato ad affascinare e conquistare tutti: credenti e non credenti, uomini e donne, ricchi e poveri, giovani e anziani, e più tardi persino un giovane che aveva attentato alla sua vita, quasi riuscendoci. Uno dei papi più amati e popolari della storia, che di lì a poco avrebbe lui stesso contribuito a cambiare, scuotendo con la forza di un uragano gli stessi equilibri mondiali: papa Wojtyla. Ascoltai alla televisione sudafricana le sue prime parole da pontefice. Mi procurò una forte emozione e un grande entusiasmo, ingiustificati sia l’una che l’altro, non essendo io nè un indomito credente e nè un assiduo praticante. Il fatto che non fosse italiano mi caricò di un particolare compiacimento interiore, sia perché questo rendeva più credibile l’intervento illuminante dello Spirito Santo, sia perché mi forniva un argomento in più a sostegno dell’universalità della Chiesa Cattolica, contro amici appartenenti alla Chiesa Riformata Olandese del Sud Africa, i quali consideravano la Chiesa Cattolica prettamente “una cosa italiana”. Giovanni Paolo II, da quel combattente che era, intervenne con vigore in ogni possibile campo e sempre sostenuto dalla sua grande fede che cercò di trasferire al mondo con forza: «...Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!...». Una delle sue iniziative più grandi e di portata rivoluzionaria fu quella di spalancare le porte della Chiesa alla Scienza. Lo fece in maniera da cancellare con un sol colpo di spugna tutti gli antichi dissidi, i rancori e le controversie sulla storica contrapposizione tra fede e scienza: «l’uomo può perire per effetto della tecnica che egli stesso sviluppa, non della verità che egli scopre mediante la ricerca scientifica». Scienza e fede sono «entrambe apportatrici di verità» ed «entrambe dono di Dio» e insieme costituiscono la più potente alleanza in difesa della vita e del futuro dell’umanità (49 -fonti bibliografiche e sitografiche).
Venendo al tema specifico di questo paragrafo, uno spazio da dedicare al rapporto speciale che papa Wojtyla ebbe con i giovani è stato insistentemente voluto da Mario Salvia, ancora sindaco di Picerno, mentre si progettava la porta. Senza la sua insistenza. il racconto si sarebbe concluso con un tema laico, nel rispetto del programma iconografico iniziale che Giovanni Paolo II prevedeva temi religiosi per i quattro pannelli superiori e temi laici per i quattro pannelli inferiori. In realtà la variazione tematica non è proprio fuori contesto. Dopo tutto, il rapporto del papa con i giovani, lungi dall’essere basato esclusivamente sulla fede religiosa, era un rapporto aperto, libero, e quindi laico. È stato sostenuto che «le immagini più belle del suo pontificato, sicuramente quelle più spettacolari, si devono agli incontri con i giovani che hanno punteggiato non solo i viaggi internazionali di Wojtyla, ma anche la sua vita in Vaticano, le sue uscite domenicali nelle parrocchie romane, i suoi documenti, i suoi pensieri e battute»
(48.49 -fonti bibliografiche e sitografiche). Per il papa tutto questo non era una novità. Un rapporto speciale con i giovani Wojtyla lo aveva sempre avuto fin da quando era docente universitario e i giovani lo seguivano perché con lui si parlava di tutti i problemi della vita, della società, del lavoro, della famiglia e non solo di chiesa. Era per tutti loro una guida sicura. Durante gli anni in cui fu parroco a Cracovia inventò inoltre “l’apostolato dell’escursione”, una struttura organizzativa che gli consentiva di mantenere vivo e sempre attuale il rapporto con i giovani. Se li portava in montagna, sui laghi, nei campeggi, dappertutto. Divenuto papa, ampliò quell’apostolato con l’istituzione della “Giornata Mondiale della Gioventù”, un incontro tra il papa e i giovani cattolici di tutto il mondo a scadenza biennale. Come autorevolmente scrive e argomenta D. Giuseppe Pronesti(50 -fonti bibliografiche e sitografiche) e come tutti ancora ricordano, quelle giornate furono un successo sempre e dovunque, sia per i temi affrontati dal papa e sia per la grande partecipazione. I giovani avevano bisogno di una autorità credibile e in Giovanni Paolo II la trovarono; il papa diceva di «avere bisogno della gioia di vivere dei giovani, perché in essa si riflette parte della gioia originaria che ebbe Dio creando l’uomo». Trovò i giovani e, in mezzo a loro, anche la gioia.
 


IL PANNELLO 8*

L’ultimo pannello è dedicato a Picerno nel presente. L’immagine antica del paese, su cui dominava la vecchia torre diroccata, è stata radicalmente modificata dalla ricostruzione successiva al terremoto. Anche la società è cambiata. Sotto la torre restaurata non più contadini e pastori, ma studenti, operai specializzati, operatori informatici, agricoltori meccanizzati. I disoccupati non sono riconoscibili, ma sono ancora tanti.


Pannello VIII - Picerno nel presente   -   Foto Raffaele Martino

In un piccolo spazio triangolare il pannello propone l’immagine schematica del trapianto cardiaco eterotopico, con i due cuori, il vecchio e il nuovo, l’uno a fianco all’altro, e Barnard nell’atto di mostrare qualcosa a un suo collaboratore che un pò mi assomiglia. L’ultima immagine del bassorilievo, quella di Giovanni Paolo II attorniato da un gruppo di giovani, simboleggia il loro legame con papa Wojtyla che a Picerno non fu meno vivo e intenso che in altre parti del mondo cattolico.
 


CONCLUSIONE

Cercare di trarre un’unica conclusione da tanta eterogeneità sarebbe impresa difficile oltre che infruttuosa. Le conclusioni potrebbero essere anche molteplici e ciascun lettore, se lo vorrà, potrà trarre le proprie. Sono stati affrontati argomenti assai diversi tra loro, trattati ciascuno nella sua piena autonomia tematica e tenuti insieme dalla porta di San Nicola oltre che da un altro tenace collante: il popolo picernese nel duplice ruolo di primo attore e di spettatore; una piccola comunità che la storia non l’ha solo subita, ma anche fatta. Se poi si leggono con attenzione le varie biografie raccontate, che si tratti di Santi o di eroi, di emigranti o di luminari, di papi o di altri, si riesce a individuare un ulteriore fattore di unificazione: un denominatore comune che trovo pertinente rappresentare con la seguente riflessione di George Bernard Shaw: «Le persone che riescono in questo mondo sono quelle che vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano, e, se non le trovano, le creano».

 

 

 

 

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