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LA PROCESSIONE |
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E’ LA MAGIA DEL DIVINO CHE DONA IMMORTALITÀ ALL’ARTE Pennellate rapide, incisive, delineano volti dai lineamenti tesi, sguardi rapiti in un’estasi divina, un profondo senso di catarsi pervade tutto il corteo: la processione si avvia. La statua del Santo accompagnata dalla Croce, secondo i canoni tradizionali disposti dal Rituale Romano, apre il corteo seguita dal clero, dalla banda, dal coro di fanciulli e dai fedeli. Le vergini, perfette nella loro ingenuità, stringono tra le mani le candele, da cui lentamente sgocciola la cera man mano che il corteo, a passi misurati, procede lento. Le donne con il capo avvolto in candidi veli evocano immagini provenienti dall’antico oriente. Ad un tratto, però, ci si accorge che il Santo è sceso dal piedistallo, da statua si trasforma in uomo fra gli uomini e si mescola tra la folla, tra i fanciulli che continuano ad intonare in coro melodie celestiali ed i bandisti che li accompagnano con i loro strumenti. Intanto si fa sera, la luna diffonde il suo chiarore ed illumina i volti stanchi ma felici. La giovinezza dell’anima trasforma in una folla di fanciulli tutto il corteo dei fedeli. E’ un momento di aggregazione molto importante, in cui viene sublimata l’interiorità. E’ il distacco dalla ‘materialità” del quotidiano, è il trasformarsi, seppur momentaneo, in “spirito” ed è lì che i tratti pittorici si fanno più immediati, i volti sono delineati da decise pennellate, il pathos dei personaggi viene espresso attraverso grumi di colore che escono dalla tela e quel colore caldo, intenso, ruvido che prorompe dalla superficie piana della tela riporta alla memoria l’intensità espressiva dei volti di Van Gogh. E’ l’artista che entra prepotentemente con tutto il suo “io” nelle sue tele. I fedeli perdono la propria “fisicità”, diventando pura manifestazione dello spirito: Dimatteo interpreta appieno, sublimandolo, il significato liturgico della parola “Processione”. E’ questa una supplica solenne, fatta in onore e lode di Dio o dei Santi, in ringraziamento, in penitenza e in espiazione. E’ un atto di omaggio quanto di esaltazione del sentimento religioso del gruppo, il quale dal suo procedere ordinato, esaltato da musiche e canti, sente potenziata la sua unione religiososociale. Ci sono momenti nella vita di ognuno di noi in cui si avverte prepotente il bisogno di potenziare il rapporto con il proprio mondo interiore, in cui si cerca l’occasione per evadere dal freddo materialismo quotidiano. L’occasione per Gaetano Dimatteo si è presentata lo scorso 16 agosto quando ha deciso di seguire la processione di San Rocco in uno dei numerosi paesi della Lucania che hanno proclamato questo Santo come Santo patrono. La processione di San Rocco si trasforma, quindi, da momento profondamente spirituale, vissuto nella propria interiorità, a momento pittorico altamente lirico da rivivere continuamente attraverso gli occhi dello spettatore. Un tema tanto delicato quello della processione che solo la sensibilità di un artista così profondo e così attento all’animo umano, come Dimatteo, avrebbe potuto affrontare. E’ raro riuscire a trovare delle processioni ripercorrendo la storia dell’arte, dobbiamo risalire all’opera del vedutista olandese Gaspar van Wittel, che alla fine del Seicento, a Napoli, dipinse la Processione per il Corpus Domini al Largo di Palazzo o a Francesco Netti, che nel 1866 dipinse la Processione di Penitenza durante l’eruzione del Vesuvio del 1794. L’opera scaturita dalla creatività di Dimatteo riporta indietro nel tempo, quando tutta la popolazione affollava il sacro corteo e nel paese si viveva un clima di euforia collettiva, nel giorno dedicato al Santo Patrono. La processione era il momento fondamentale della festa, a cui seguivano i fuochi d’artificio che con i loro mille colori squarciavano le tenebre. E un’ esplosione di fuochi d’artificio sono le tele di Gaetano Dimatteo. Nulla è stato lasciato al caso: il ritratto di ogni singolo musicista mentre suona il suo strumento, il particolare del coro dei fanciulli mentre intona il proprio canto, l’espressione assorta dei fedeli, le luminarie, i fuochi d’artificio e, prima di ogni altro, San Rocco. Il Santo è raffigurato nella sua iconografia tradizionale, mentre indica con un dito il bubbone sulla parte interna di una coscia, la parte del corpo su cui di solito si manifestavano i primi sintomi della peste. Lo affianca il cane, suo fedele amico, che procurandogli il cibo lo aiutò a sopravvivere, quando, colpito dalla peste, si rifugiò nel deserto. E’ la magia del divino che dona immortalità all’arte. Bari, febbraio 1998 Marisa Lepenne |
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