Romano Fea

 

 

LA RAGAZZA CHE VOLEVA UN’ISOLA

 

CAPITOLO PRIMO

Ancora una volta quella voce tra l’annoiato e l’irridente, una voce che non dimenticherò. Parlava senza interruzione, faceto e assurdo, fissando le venature del rivestimento di mogano sopra la mia testa:

-Non m’illudo. Da queste parti una bionda è irreperibile come una mosca bianca,- concluse, accasciato sul velluto del sedile ferroviario, agitandomi sotto il naso il luccicore delle sue scarpe, un lucido tanto curato da apparire fuori luogo durante un viaggio. Non parlava di sigarette, ma di donne, come sempre quand’è tediato. L’uggia si associa alle donne, nella sua testa. Questo è Sandor, il dottor Sandor Patsch, monotonia e innocenza e linguaggio ampolloso che sbarcano di anno in anno, fino alla nausea.

-Vivi sereno, svedesine e tedesche non mancheranno! Per addolcire il gelo che sentono dentro,  sono attirate dai mari tiepidi come sardine, - lo rimbeccai accendendo la sigaretta.

-Vietato.-

-Che cosa?-

-Fumare. Spegni, si sente la voce del controllore.-

Obbedii. Iniziato nel malumore, il viaggio col collega giornalista radiofonico incrociava le prime contrarietà. Sandor era arrivato da nord e all’arrivo del convoglio nella stazione dove io stavo aspettando, s’era sporto sbracciandosi dal finestrino per richiamarmi alla carrozza dove aveva prenotato posti per non fumatori. Certo pregustando, l’infame, il mio disagio di fumatore.

-Non una bionda, credimi! Quaggiù hanno perduto lo stampo, delle bionde.-

-Non fartene un’idea fissa. Tu, mitteleuropeo dai capelli agli alluci, avrai praticato intere foreste di capelli biondi, spianate di occhi azzurri e carni lattee! Tua moglie non è forse bionda? Perché rinunciare all’esperienza delle brune, che hanno i loro pregi? E poi è falso che qui si trovino solo capelli neri come le penne del merlo. Qualche esemplare di superbionda calabro-sicula dalla carnagione chiara non è irreperibile, grazie a quegli ottimisti che furono i Normanni. Sii ottimista anche tu.-

-L’ultimo ottimista da queste parti è stato Corradino di Svevia, ed ancora rabbrividisco pensando alla sua fine pietosa. Come ricorderai. A dispetto delle apparenze, neppure il vostro celebrato Garibaldi fu un ottimista poiché seguiva sogni vaghi, da guerrigliero: costruire un vero grande Stato con un colpo di mano ... un poco dilatato. Era una sorta di Che Guevara, nato troppo in anticipo e con informazioni sociali meno accurate. Il suo era un sogno da guerriglieri, e la guerriglia sovente è fine a se stessa, l’azione appaga più che il risultato. Riesci ad immaginare la frustrazione, l’annichilimento di un guerrigliero a guerra finita, ancorché vinta? Uno spettacolo pietoso. Pensa a quell’agitatore di cavalli soffocato nella monotonia di Caprera! Apprezzare le brune, dici? Un corno! Scenderemo da questo treno e, noi miseri, dal marciapiedi ferroviario fino all’orizzonte non reperiremo un’ombra di bionda. E neppure un lustrascarpe professionista, temo. Questo nostro lavoro nel Salento finirà per castrarci!-

Distratto dalla campagna verdissima al galoppo di là del finestrino, quella ridondanza di parole mi tirava a riconsiderare la sua propensione a cercare il proprio godimento in qualunque istante e ad ogni costo, senza addossarsi responsabilità. E alla sua mania per le scarpe lucide, scarpe che ora continuava a mantenere sollevate porgendole al mio fiuto con la pervicacia d’un esibizionista. Lasciai cadere un: -Per l’appunto. Lascia che tutto accada da sé, se accadere dovrà. Non frustrare le tue ghiandole seminali. Piantala di insinuare esorcismi. Bionde, bionde. Chissà che cosa ci trovi.-

-Confesso. Le bionde mi piacciono perché non hanno anima. È certo, assodato. Io sono marito di una bionda. Le brune ne posseggono un poco, briciole di anima. Le bionde no. Neppure l’ombra.-

-Sei così annoiato di questo treno che parli soltanto di donne!-

-Adesso le donne ti fanno schifo?- provocò.

-Le donne mi piacciono e lo sai. Anche quelle more. Soprattutto le more. Sono gli uomini come te a farmi ribrezzo. Infoiati tutto l’anno. In fregola. Allupati. Assatanati. E del tutto bugiardi. Fingono la l’arrapatura perenne imitando gli stracchi modelli propalati dalla pubblicità, dai serial televisivi, dai film di basso profilo. Perché ai pigri riesce più comodo fare la corsa in gruppo. Si sfrutta la scia creata da qualcuno. Qualcuno purchessia. Così aderendo torpidamente a mode, atteggiamenti, frasi fatte e stantìe. Il mondo è pieno di supermen del sesso … a parole.-

-Dimmi, ti sei beccato qualche virus incomodo, che dici male delle donne?-

Doveva aver mangiato male, il mio amico di ascendenze polacche ed esperienze austriache, specialista di culture mediterranee e appassionato grecista: i cestini da viaggio acquistati al volo nelle stazioni possono diventare una delle principali cause di morte prematura via gastrite-ulcera. Soprattutto se ingurgitate nell’ansia d’arrivare, o di non arrivare mai più o di dover tornare indietro.

Nel tentativo d’interrompere l’afflusso di bile nel suo sangue a bassissima pressione e la conseguente astiosa intolleranza per i luoghi dov’eravamo diretti (vi aveva forse vissuto esperienze negative?), finsi un daffare nel borsone dei fonoregistratori. Controllai gli apparecchi di ripresa, i microfoni stereofonici, gli apparati di emergenza. Contai e ricontai le cassette vergini disponibili, mentre il treno correva silenziosamente tra morbide ondulazioni collinari, qua e là felicemente corredate di filari d’alberelli di vigna ben curati. Mostrai e sottolineai quel paesaggio a Sandor, assumendo l’aspetto saputo di chi si trova a disporre di qualcosa di bello che gli interlocutori invidiano, simulando di sottovalutare.

-Terra mia quanto tua,- mi rimbeccò l’austriaco, ancora imbronciato, porgendomi con degnazione un bastoncino di pastella al gusto di menta-liquirizia, un aroma che ama, di insopportabile dolce-non-zuccherino e consistenza morbida e allappante.

Alle banalità è difficile rispondere e quasi mai ne vale la pena, cosicché rimasi zitto. Accucciato nell’angolo presso il finestrino, mi sistemai la sigaretta tra le labbra  proprio mentre il controllore s’affacciava.

-Non avevo nessuna intenzione d’accenderla,- borbottai sotto l’occhio sospettoso, mentre riponevo la sigaretta e Sandor si abbandonava a sghignazzare rumorosamente nel cavo d’una mano, masticando la sua caramella e porgendo i documenti di viaggio all’uomo in divisa. Dopo la verifica il controllore, di lineamenti grossi e lunghi capelli, ironizzò sogghignando: -So, so che non vorrebbe correre il rischio di perdere il vizio del fumo. Oppure spera che in quest’angolo d’Italia il divieto possa non funzionare? -

Toccava a Sandor dire qualcosa, giusto per non mantenere a mezz’aria l’interrogativo del funzionario, e disse: - Mi hanno riferito d’una sorta di corrida che si celebrava in passato attorno a Molfetta. Sarà poi vero?-

Il controllore si rizzò come un serpente a sonagli. Strinse i pugni strizzando i nostri biglietti ferroviari e spalancò la bocca senza emettere suoni, mentre gli occhi s’erano fatti non più di due fessure e il faccione mal rasato si mutava da abbronzato in paonazzo. Pur al colmo d’un impeto d’ira, riuscì a rammentare in tempo utile la sua funzione su quel treno e si contenne.

Quando Sandor s’accorge d’aver centrato il bersaglio colle sue maledette frecciate verbali, proprio un istante prima della deflagrazione, egli si distrae e assume un sussiego professorale. Il suo tono s’abbassò d’un’ottava mentre simulava umoristicamente un disagio linguistico teutone:

-Mi perdoni se ho tetto cossa impropria, ma io sono cittatino tell’Austria Felix e, per amore und mestiere, m’interesso alla ztoria anche minuta dei luoghi che frequento.-

-Che mestiere fa, lei?- gracchiò il controllore.

-Sono, siamo in questo paese, e questo è il mio collega Nicolò Cigliano, per un reportage sonoro. Veniamo per conto d’una emittente radio altoatesina, mi spiego? O.K. Registriamo canti, pièces teatrali, interviste e via dicendo. Sindaci e pro-loco, se non questori e prefetti, impazziscono di felicità alla stimolante notizia del nostro arrivo, sobbalzano al rumore dei nostri passi, vanno in brodo di giuggiole alla nostra richiesta d’udienza. Questi nostri servizi radio sono destinati agli emigrati ed agli studiosi stranieri della vostra civiltà, che è antica ed unica. La domanda sulle corride pugliesi aveva solamente scopi conoscitivi. Nulla in subordine. Nulla di sottinteso. Una domanda di genere professionale. Da una domanda come la mia potrebbe sortire … un’intervista radiofonica. -

Ora il controllore pareva imbarazzato fra la tentazione di menar le mani ed il timore di compromettere il suo posto di lavoro con un alterco mentre, nell’intento di rabbonire, ed a comprova della nostra identità, Sandor ed io spalancavamo i borsoni mostrando il nostro corredo di apparati di fonoregistrazione. Egli sfiorò colle dita le matasse dei cavi e riuscì ad incidere con fatica una sorta di sorriso fra le labbra livide.

-Quand’è così ... ma per carità, chiudete subito le vostre borse, non vorrei mai... Sa che cosa m’ha fatto montare in sospetto? La sua parlata in buon italiano, ma d’un italiano che vuole imitare la cadenza della parlata meridionale, pareva alludere a... alla mia. E poi la faccenda della corrida, i tori. Mi deve capire. Infatti io sono, vedi la combinazione, proprio di Molfetta!-

-Moffetta, moffetta,- ripeté Sandor.

L’uomo non se ne andò prima d’aver stritolato la mano a tutt’e due.

-Dovremmo badare a quel che diciamo. Qui più che altrove,- ammonii.

-Il viaggio procede fra contrasti,- brontolò Sandor addentando una stecca di cioccolato. La sua bocca famelica non cessava di trasferire calorie al corpaccione roseo e pasciuto. La porta si riaprì ed il faccione del controllore si squarciò in un sorriso largo e cordiale:

-In ogni modo, niente corride da queste parti. Né ora né mai, a memoria d’uomo!-

 

 

2

 

Arrivammo a Matera a fine pomeriggio. Depositammo le nostre attrezzature in albergo per scendere nelle vie gremite ed assistere allo spettacolo di una folla che da sempre aveva rinunciato a resistere alle incantevoli sirene dello spagnolesco struscio serale. Sandor si guardava attorno impaziente e non si dette pace finché non trovò un deschetto di lustrascarpe dove si fece rimettere a proprio agio, poi ci accodammo faticosamente alla processione di folla rumorosa diretta verso il centro cittadino.

-Andiamo ai Sassi, per prima cosa. Il panorama dall’alto. Celebre nel mondo, - disse Sandor.

L’iniziativa si mostrò di difficile esecuzione. Seguivamo le indicazioni del Baedeker ma, per effetto di alcune vie sbarrate, continuammo a rigirarci fra una piazza ed una chiesa, fino a perdere ogni stimolo turistico. In quegli indugi s’erano fatte le nove e mezza e la folla gradualmente era sparita dalle strade che cominciavano ad assumere le incoerenze prospettiche e la potenzialità inquietante dei paesaggi urbani di De Chirico, apparendo deserte ed illuminate da radi lampioni e bagliori di luce bluastra di televisori calanti da finestre vuote e scoraggianti.

Perdemmo l’aggancio d’un prete che passava di furia e probabilmente ci aveva scambiati per due perditempo, rigirammo un altro po’, ormai disperando di poter arrivare al punto panoramico quando, nel buio d’un corto vicolo in cui ci eravamo cacciati, udii la voce di Sandor, soffocata di sorpresa:

- Il cielo mi fulmini se quella non è una bionda. Viva e vegeta!-

Un’ombra se ne stava appoggiata all’angolo della chiesa, una figura non piccola, snella sotto un notevole casco di capelli biondissimi.

-Non è reale, - bisbigliò Sandor trattenendo il fiato, -non posso crederci. Un’allucinazione da digiuno coitale protratto ad oltranza. Nulla coincide con le notizie a nostra disposizione. Il territorio, il tipo di società qui dominante, la città, la piazza, l’ora, la statura del soggetto, il casco biondo.-

Ma, parlando, s’era avvicinato alla figura scura e bionda: -Buonassera,-  disse strascicando le vocali.

-Costa caro,- rispose la donna la quale, vista da vicino, mostrava d’essere piuttosto giovane.

-Sarebbe a dire?-

-Io costo cara. Il tempo passato con me costa caro. Se non sei disposto a spendere molto, molto davvero, vattene. In ogni modo non tratto con due assieme. Avete l’automobile?-

-Troppe domande, figlia mia, per due persone disorientate e stanche, in arrivo da molto lontano,- disse Sandor, che odia andare al sodo in situazioni golose.

-Allora andatevene,- disse la ragazza volgendosi e movendo qualche passo.

-Sembra selvatica, incapace di affrontare costruttivamente un banale contratto verbale di prostituzione,- considerò Sandor.

M’avvicinai ai due e, forzandomi in un tono di sussiego,  dichiarai alla donna di star cercando un po’ di compagnia in una persona pratica dei luoghi; la donna mi squadrò e duramente mi invitò a cercarla altrove, la compagnia. Sandor mi guardava costernato ed incapace di gestire la situazione.

-Anche le cose semplici diventano difficili, da queste parti. Perché quella lì non si limita a dire il prezzo?- mi bisbigliò.

-Le bionde possono essere così. Potrebbe essere una tedesca!-

-Sono le strane a fare le puttane, oppure diventano strane col tempo e la perseveranza?- si chiese filosoficamente scandendo le sillabe del suo italiano scolastico. Mi rimisi alle calcagna della ragazza la quale, come allarmata, mi fissò per controllare le mie intenzioni. Le mormorai: -Hai cenato?-

Nessuna risposta. Guardava la piazza tutt’attorno, poi ebbe un fremito, stralunò gli occhi ed io feci appena in tempo ad afferrarla prima che finissero sul selciato, lei, la borsetta e la fluente chioma bionda. L’abbrancai quanto stretto possibile e la trascinai a sedere su una panchina.

Quando si deve agire d’improvviso, l’esuberanza del mio amico può diventare felina: un solo istante per valutare la situazione allontanando lo stupore e subito arrancò attraverso la piazza, imboccò la porta d’un bar  per riuscirne l’istante successivo reggendo un bicchierino di cordiale ed una caraffa d’acqua. Facemmo bere la ragazza, le bagnammo le guance ed aspettammo il ritorno degli spiriti.

-Chi siete, poliziotti?- disse senza guardarci.

-Amici,- disse nitidamente Sandor, che stenta a mantenere il senso drammatico di certe situazioni, per serie che appaiano, e non resiste alla tentazione di rivoltarle in commedia.

-Che volete?-

-Andarcene, se possibile. E non essere mai venuti qui,- aggiunse Sandor accennandomi col mento e gli occhi di guardare verso l’alto. Alzai lo sguardo e potei scorgere un discreto numero di persone silenziose quanto mai evocate e presenti come per magia, appese alle ringhiere dei balconi e ai davanzali delle finestre e dei terrazzini, quelle stesse persone che fino ad un minuto prima stavano arrabattandosi col telecomando tra gli spettacoli televisivi, nere, statuarie ed inamovibili, le teste saldate a fissare noi tre nel centro della piazza.

Anche la ragazza mandò uno sguardo circolare sulle facciate delle case circostanti e ci disse con voce bassa e rapida che sì, dovevamo andarcene via, subito.

 

 

 

3

 

Ce ne andammo davvero, in fila indiana scendendo verso la stazione. Trovammo un bar ancora aperto ed io riproposi alla ragazza  di assaggiare qualcosa: accennò di sì col capo e rispose che no, quel giorno non aveva mangiato nulla. Le ordinai qualche dolce ed una bevanda calda, mentre noi ci piegammo alla seduzione nervina dell’ultimo caffè.

La ragazza masticò e bevve di gusto, come nulla fosse stato, svenimento e fuga dalla piazza, e quella fosse per lei una sera come le altre. Alla fine dello spuntino, tuttavia, abbassò il capo e mormorò tra sé che quella notte sarebbe finita male.

-Anche per noi mostra di finire male,- disse Sandor, faceto.

-Non porterò a casa neanche un soldo.-

Nella luce vivida del bar potei esaminarla bene. Ora pareva una ragazzetta appena uscita di scuola, una quasi-donna di pelle soleggiata. Lo sguardo a tratti sfuggente, quantunque non impaurito, come preferisse indugiare affrontando pensieri diversi da quelli portati dalle nostre domande. Sulla guancia destra, una lieve, deliziosa fossetta; sulla sinistra una fossetta più profonda, d’espressione. Le sopracciglia di colore incerto contrastavano coi capelli lunghi e biondi.

-Saranno guai, se tornerò senza un soldo. Insulti. Anche frustate.-

Chi mai le avrebbe usato simili violenze?

-Mia madre. No, non mia madre: il suo uomo. Soldi, vogliono.-

-Da quanto tempo te lo fanno fare?-

-Fare che?-

-Quello che fai di mestiere.- Sandor non osava essere chiaro e stava cercando una circonlocuzione: - aspettare uomini agli angoli delle vie, di sera.-

-Questa è la prima volta.-

Sandor si voltò verso la piazza dove stracche carrozzelle a cavalli e un paio di prostitute aspettavano immobili l’arrivo dell’ultimo treno: dalla schiena del mio amico m’accorsi che stava sghignazzando silenziosamente ma senza freni. Toccava a me tener vivo il discorso: -Quanto chiedi, normalmente per una ... mezz’ora?-

-Molto. Questa sarebbe una mezz’ora un poco speciale. Non normale.-

-Sarebbe?-

-Sarebbe la mia prima mezz’ora. La prima-prima, intendi?-

La schiena lardosa di Sandor sembrava squassata da un terremoto.

-Non puoi pretendere che ti crediamo.-

-Fate come volete. Io adesso me ne vado. Mi meraviglia che non vogliate approfittarne. -

-Approfittarne!- gridò Sandor tra le lacrime d’un parossismo di cachinni. Perfino gli esausti fiaccherai, alla deriva dopo dodici ore di sole cocente, s’erano risvegliati dalla catalessi ed ora guardavano verso di noi: un guizzo d’interesse a sventrare il piombo di giornate senza fine e di tedio poco produttivo. La ragazza mostrò di volersi alzare ma, subitamente incerta, provò a indagare fra le  parole del suo vocabolario, evidentemente ridotto, finché sbottò:

-Debbo ringraziarvi per i dolci, ma vi confesso che il vostro comportamento non è corretto. M’avete condotta fin qua, fatto perdere un’ora d’occasioni di lavoro e ora ridete di me. E non esponete intenzioni a mio riguardo. Ve ne state a sghignazzare come ragazzini. Di me, ridete. Io non vi conosco. Non vi ho chiesto nulla, io.  Che cosa volete, insomma?-

Sandor tornò improvvisamente serio e mi guardò con apprensione sillabandomi in tedesco qualcosa come ‘qui si profila un rischio di responsabilità per adescamento alla prostituzione, sarà il caso di squagliarsela’, ma poi decise di prendere il coltello per il manico:

-Quanto vorresti per quella benedetta mezz’ora?-

-Con chi di voi due?-

-Che cosa c’entra il chi?-

-So io che c’entra,- disse la giovane che, girata la frittata,  mostrava di voler esorcizzare il futuro prossimo frapponendo sequele di parole.

-Diciamo che sia io,- avanzò Sandor.

-Bene, sei tu. Tu sai che per un’ora spenderesti proporzionalmente meno?-

-Sempre meno! Davvero? Si prolunga il tempo e si riduce il costo? Benissimo! Allora questo nostro incontro facciamolo durare finché non costa più nulla.-

-Come sarebbe? - disse la ragazza, spiazzata.

-Se per un’ora costa proporzionalmente meno che mezz’ora, suppongo che due ore costeranno meno che una.-

-Certo, le pare? Il disturbo è sempre quello.-

Sandor non sapeva se ridere o preoccuparsi.

-E un giorno intero?-

-A … Ammesso che sia possibile, sempre meno, proporzionalmente.-

-Occhéei! E procedendo di questo passo, se prenotassi tutta la vita, il suo servizio non costerebbe più nulla!-

-Adesso chiamo un vigile,- disse la ragazza che esibiva occhi lucidi.

-Il vigile lo chiamo io, per davvero,- intervenni ritenendo venuto il tempo d’una mezza intimidazione - risponda al mio collega precisando quanto gli costerebbe la mezz’ora.-

-Si. Se è lui,  possiamo fare un ...- Esitava. -... un biglietto da cinquanta.-

Sandor s’asciugò il sudore dalla fronte. Poi disse:

-Dove s’andrebbe?-

-Sulla sua macchina,- rispose la ragazza, -in una via di periferia.-

-Buona questa! ‘Radiogiornalista della CEE sgozzato in una macchina a nolo alla periferia di Matera. S’indaga fra la malavita cittadina’. Questo leggeresti in caratteri giganti sui giornali di domani, caro Cigliano, sotto al mio ritratto prelevato dalla patente ed alla fotografia slavata dal flash d’una forma coperta da un lenzuolo.-

La ragazza parlò con tono suadente: -Quello che appare non è il mio mestiere. Davvero. I soldi servono per un debito di mia madre. Questa di stasera sarebbe la mia prima ed unica volta. Lo spero.-

-Caro Nick, -disse Sandor,- ci si offre l’opportunità di salvare questa poveretta dalle grinfie della prostituzione,- e ricominciò a sghignazzare colle labbra sul bordo della tazzina di caffè.

-Facciamo a metà,- gli proposi. A quel punto i grandi occhi della ragazza mi erano parsi sinceramente terrorizzati, mi pareva infatti di leggervi una disperazione totale.

-Metà di che, della ragazza?- e si torse verso la piazza: il disgraziato era in procinto di soffocarsi in una nuova tempesta di risate.

-Seriamente, Sandor, metà della spesa. Da come parla, la ragazza sembra sincera.-

-Non dirmi!-

-Dài, sgancia, ci siamo divertiti a sufficienza per una sera che si prospettava grigia e sedentaria.-

-Ove tu stia scherzando, eccomi ai tuoi ordini. Ma se non scherzi, allora sarò seriamente preoccupato per la tua salute mentale.-

Io mi rivolsi alla ragazza che stava esaminandosi le unghie malamente smaltate: -Dove abiti?-

-In quella direzione. Non lontano. Ci si va a piedi in dieci minuti.-

-Ti accompagneremo.-

-Ma ... la mezz’ora?-

-Un’altra volta.-

-E il danaro?-  soffiò con voce timorosa.

-L’avrai. Non ora. Dopo. Quando saremo arrivati a casa tua.-

 

Furono quattro passi, anche piacevoli, non fosse per il filo di paura che mi serpeggiava lungo la schiena. Percorremmo alcune viuzze quasi buie per finire in una strada irregolare in ripida discesa dove la casa che la ragazza ci indicò, affondata nell’ombra notturna, pareva scavata nella parete di roccia che la sovrastava. Sul muro grezzo e biancastro dove s’apriva la porta d’ingresso erano tracciate delle  lettere con vernice nera. Ci avvicinammo e potemmo leggere INDOVINA - PROFETESSA INFALLIBILE.

Traemmo i portafogli e pagammo il promesso. Prima che la ragazza spingesse  quella porta, la trattenni per un gomito e domandai se quell’indovina era davvero infallibile.

-Certo,- mi rispose,- scenda a consultarla uno di questi giorni. Se ne accorgerà da solo. Sarà un’esperienza utile, per uno del nord.-

 

 

4

 

-Certo avrai sufficienti ragioni per tornare laggiù,- dissi a Sandor che continuava a parlarmi di quella ragazza. Il mio buon amico è fatto d’una pasta curiosa: fuori dall’ambiente di lavoro, dov’è considerato uno specialista di valore, qualunque cosa dica o faccia finisce per trovarsi esposto a confessarsi e compromettersi pateticamente come un adolescente goffo e indiscreto. Così ritrovandosi fragile, vulnerabile e, soprattutto, continuamente oppresso da incertezze e dubbi. Buon vecchio, orribile Sandor, come ti ricordo, aggrappato alla moglie, ma perdutamente solo in quel mare di sabbia.

-Una semplice, legittima curiosità.-

-Forse quella curiosa biondezza, forse il mistero e la stravaganza dell’avventura di ieri sera.-

-Tu non possiedi la stoffa dell’osservatore,- mi insinuò con un risolino beffardo, vedo che non hai notato la cosa più rilevante di quella ragazza.-

-Sarebbe?-

-Le sopracciglia. Nere, nerissime, e malamente schiarite con acqua ossigenata.-

-Questa può essere la ragione per cui pretendi di ritornare fra quelle catapecchie?-

Sbrigammo alcune telefonate di raccordo per organizzare il nostro lavoro, sopralluoghi nei municipi, alle associazioni culturali  ed alle pro-loco poi, nel tardo pomeriggio, ci avviammo verso la casupola dell’indovina, Sandor caracollante davanti a me, fremente di felicità per il prossimo arrembaggio al mistero della ragazza notturna. Per l’ingresso nei misteri di un’indovina della Magna Grecia, com’egli continuava a designare l’estremo sud italiano.

Sentivo di doverlo accompagnare in quella scorribanda per compensarlo dei suoi innegabili buoni sentimenti di collega. Glie lo dovevo, a quel bastardo d’austriaco goloso, infantile, ridanciano e impiccione. Non solo per il buon lavoro che insieme riuscivamo a produrre, ma soprattutto per quel suo essere brillante e divertente, gran demolitore della noia quotidiana. Il genio vitale di Sandor era una risorsa di coerente stravaganza in ogni momento del nostro lavoro. Una miniera di risate, battibecchi briosi, elaborate e frasi d’un’improbabile lingua italiana pignolescamente appresa in un’università tedesca in una nube di nauseanti caramelle aromatiche. Un simpatico austriaco provvisto d’uno spruzzo di sangue polacco nelle vene, immaturo e goloso di dolci come d’imprevisti, pronto a giocarsi lo stipendio su una bazzecola o ad immolare sventatamente le ore della vita per uno scherzo improvvisato, una bevuta, una risata.

Sulla soglia invasa di gerani ci accolse una donna di mezz’età, con un fazzoletto grigio stretto sui capelli. Si fece da parte e guidò ad accomodarci nel fresco di una stanza odorosa di calce e sapone.

-La chiromante è in casa, arriva subito,- e sparì nel corridoio buio. Udimmo voci di richiamo e risposta, poi uno scalpiccìo nel corridoio. Un istante dopo l’indovina-profetessa faceva il suo ingresso nella stanza, vestita d’una camicetta bianca ed una gonna a fiori, lunga a coprirle i piedi.

Sandor ed io ci guardammo, meravigliati. La giovane appariva in tutto uguale alla ragazza della sera precedente, non fosse per l’abito, i capelli nerissimi, corti e ricciuti ed il pallore estenuato del volto. La ragazza sedette al  tavolino tondo nell’angolo in ombra e si vide da un suo sobbalzo che s’era finalmente accorta di noi, vecchie conoscenze. Non più d’un lampo degli occhi, ma fece lo gnorri con gesti sapientemente indifferenti.

-Che cosa volete sapere?- la voce era bassa, a tratti ruvida come cartavetro.

-Il nostro passato,- disse Sandor, pronto a riammannirci una delle sue risate devastanti, da guardia vaticana in vacanza.

-Il vostro passato di quando? Occorre precisare.-

-Ieri sera,- disse Sandor.

La ragazza stette zitta, guardandosi le mani. Mani sottili, affusolate, mobilissime. Poi pronunciò frasi  secche come frustate.

-Un tempo troppo vicino. Nessuna indovina potrebbe. Scegliete un altro momento del vostro passato.-

-Noi siamo per la diànoia. Il resto della nostra vita passata lo conosciamo molto bene,  siamo tipi di buona memoria,- dichiarò Sandor che sentiva la pancia ribollire di risate, -posso toccarle la fronte?-

-Fronte? Perché mai?-

Prima che la giovane si ritraesse, Sandor si sollevò dalla sedia e col dito indice le sfiorò il sopracciglio. Poi mostrò il dito sporco di nero: il sopracciglio aveva perso il nero lucente e sulla fronte si disegnava uno sbaffo scuro. La ragazza guardò altrove, io guardai lei.

-Hai una sorella?-

-Niente sorelle.-

-Bene. Quanto ci costerà questa seduta?-

-Venti euro, o dollari. In due a far domande, il doppio.-

-Ieri notte com’è  finita?-

Ma udimmo un pesante ansimare di là della porta verniciata di smalto lucido. Interrogammo con lo sguardo la ragazza ed ella abbassò il capo. Emise un solo bisbiglio imbarazzato.

-È lui. Mi spia.-

Restammo zitti per un po’ e percepimmo del nervosismo nel corridoio. Poi la porta venne lentamente schiusa ed un’imponente sagoma d’uomo vi si stagliò: viso tondo rudemente scolpito, sottolineato da baffi ricurvi verso l’alto, occhi nerissimi e troppo vicini alla radice del naso, una turpe canottiera azzurra dalle spalline troppo lunghe, di dove emergeva un pelo fitto e sudato.

-Nel caso, il campanello,- disse alla giovane. Ella non rispose, infastidita dall’apparizione stonata e minacciosa.

-Come ti chiami?- domandò Sandor, dopo che la porta venne richiusa.

-Annita,- disse la ragazza dalle guance improvvisamente arrossate di vergogna per l’intromissione, -ma posseggo anche un altro nome.-

-Un altro nome? Che vuoi dire?-

-Nelle mie visioni  vengo chiamata in altro modo.-

-Sarebbe?-

-Ora dobbiamo parlare, ed io già so che voi saprete. Dovrete essere voi a indovinare.-

Mi parve di dover stare alla mattana di quel gioco incomprensibile: -L’indovina siete voi. E lui, l’uomo che s’è affacciato, chi è?-

-Quello che vi dissi. Sta con mia madre. Mia madre ed io non siamo di questa città. Veniamo dalla montagna.-

-E tu fai l’indovina.-

-Ho le mie visioni. Occupano quasi tutta la mia giornata. E la notte.-

La ragazza pareva essersi alquanto sgelata. La nostra serata con lei, i soldi donati e la nostra rassegnazione a ricevere nulla in cambio, dovevano averla convinta delle nostre buone intenzioni o, almeno della nostra innocuità.

Sandor prese coraggio: -Un anno della mia vita per sapere che cosa sogni.-

-Il passato, il futuro. Fatti che, probabilmente, non avverranno mai. Mai o chissà quando. Altri fatti, invece, si verificano puntualmente e così, riflettendoci, ho potuto imparare a distinguere i sogni dalle precognizioni. Ho pronosticato avvenimenti a mia madre ed ai nostri vicini. Avvenuti i fatti previsti, si costituì uno spontaneo consiglio generale di vicini di casa e conoscenti sull’opportunità di proclamarmi santa, illuminata oppure semplice indovina. Io ho preferito il mestiere dell’indovina ed eccomi qui. Ricevo gente, due o tre sedute ogni giorno. Molte più di domenica e nei giorni di fiera. La mia rinomanza cresce soprattutto in provincia. Arrivano col treno portando cestelli con uova e salsicce. Domandano timidamente. Ascoltano con attenzione. Ripartono soddisfatti. -

-Scommetto che in tal modo avrai accumulato un discreto gruzzolo...-

-Tutt’altro. Quei due spendono tutto subito, per saldare vecchi debiti o per altre ragioni. Io consegno il denaro che guadagno, e subito sparisce. Non possediamo altro che la nostra pelle sporca ed io sono l’unica fonte di reddito in questa casa. Per questo m’avete incontrata ... Il patrigno sopravvive di espedienti. Ho previsto un brutto momento per lui, alquanto vicino.-

-La sua morte?-

Esitò: -Lascia andare. Fatemi domande che vi riguardano. Altrimenti non avrò ragione d’essere pagata.-

Non potei resistere: nelle crepe di quella sua scorza ruvida, si sentivano affiorare dolcezze e profondità impreviste. Decisamente quella ragazza assomigliava alla figlia che desidero da sempre e non ho avuto. Le feci qualche dichiarazione estemporanea condita d’improntitudine.

-Tu sei infelice. Si capisce subito. Perché continui a vivere quaggiù? Su nel nord sarebbe diverso. Avresti pace e sicurezza.-

-Lontana di qui, dai Sassi, dalla montagne, dite? Forse non avrei i miei sogni. Le parole di canzoni lontane che nessuno canta mai.-

-Forse. Quali sogni?-

-I compagni delle mie notti troppo lunghe. Sogni quasi indicibili. Una ragazza, una donna sola su un’isola lontana. Donna immersa in sogni inesplicati e parole misteriose. Vissuta lontano, ma forse anche qui. Giovane, e vecchia in alcuni momenti. A tratti infelice. Come me. La conosco profondamente, ma non so chi sia. A volte mi domando se quella donna sia invece tutta reale ed io un sogno suo … voi dovreste aiutarmi a capire.-

-Incredibile,- disse Sandor sbalordito, -ma questa mi va citando il ritornello di Chuang-Tsé! Se sia reale il sogno che mi sogna oppure quella che adesso io ritengo la realtà.-

Improvvisamente ci trovammo immersi nel buon profumo della ragazza, nel suo alito leggero; ed ella riprese: - In fondo la donna del sogno è la sede di tutte le mie fantasie e consolazioni. Sovente mi chiedo chi io sia, se l’Annita di Matera oppure quella donna superba e dolcissima che detta pagine e pagine ad una giovane scrivana attenta e compiacente, oltreché bellissima.-

Sandor strabuzzò gli occhi e mi bisbigliò all’orecchio ‘Il quesito di Goljadkin’, poi rivolgendosi alla ragazza domandò: -Che cosa detta?-

-Parole di cui posso intuire soltanto una parte di significato, parole dolcissime e oscure che poi, sciogliendosi nel tempo, diventano quasi dicibili. Sovente io sento di trasformarmi in quella donna che a volte parla vigorosamente incidendo parole come morsi di scalpello, percorrendo la stanza a passi furibondi mentre la scrivana, che sono sempre io, si compiace della grazia d’ogni parola, d’ogni frase.-

-Ma chi, chi è?- disse concitatamente Sandor, saltato rumorosamente in piedi.

Ella recitò con voce infantile :   -”Lontana ella è, in Sardi,

                                                             ma qui dimora il suo cuore;

                                                             ...la stessa Ciprigna l’invidia”;

ho imparato queste parole dal mio buon professore alla scuola media ... quel giorno ebbi una sorta d’illuminazione e finii per convincermi di collimare con una donna del passato, una donna forte e fragile di molti secoli fa. Ogni volta che il mio professore citava quella donna, io sentivo un fiorire di sentimenti e commozioni; quando m’illustrava fatti storici o mitici io mi trovavo intimamente convinta d’averli vissuti personalmente, di averne conosciuto i protagonisti. Quelle furono esplosioni di conoscenza, insiemi di rivelazioni di cui avevo urgente bisogno, aspettate inconsciamente da troppo tempo: la nascita d’un  mondo segreto in cui, da allora, vivo molte ore d’ogni mio giorno.- Detto questo sospirò, socchiuse gli occhi e dette il via ad una serie di parole, un discorso assolutamente incomprensibile che Sandor registrò accuratamente nel suo apparecchio. Poi vi fu un lungo silenzio.

Silenzio che parve incomprensibile a chi stava origliando, cosicché la porta si riaprì e l’omaccio irruppe, fragorosamente orientato all’azione:

-La seduta è finita. C’è gente in attesa.-

M’alzai anch’io e porsi i biglietti di banca. Uscimmo nel calore riverberato dalle rocce d’un pomeriggio calcinato dal sole accecante.

Nessuna coda. Nessuno era in attesa.

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"La ragazza che voleva un'isola":
 

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all'Autore (Romano Fea)


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