L'Impegno della Provincia di Potenza
Polo della Cultura
un’esperienza esaltante
Il naturale desiderio di
porsi nel contesto sociale lucano, di promuovere l’interesse di un pubblico
variegato, ha dato vita ad una “politica” dell’amministrazione e che trova
la testimonianza più concreta del suo evolversi e del suo continuo
prodigarsi, nell’attuazione di un impegno che ha fra i suoi obiettivi la
gente ed i suoi problemi.
In questo contesto, la
Provincia di Potenza, presieduta dall’ing. Vito Santarsiero, che si sta
attivando su più fronti per migliorare la vivibilità del territorio ed
intensificare la qualità dell’offerta, ha opportunamente messo in cantiere,
per il 2003, una serie di iniziative che mirano alla maturazione sociale e
civile delle nostre comunità. Fra queste, spicca la promozione culturale e
turistica messa in atto, già da alcuni anni a questa parte, con il “Polo
della Cultura”.
Un “canale” importante, un
segnale significativo, nuovo e diverso, per la Basilicata che vuole
continuare a dimostrare che il Sud, anche il Sud, può vivere esperienze
esaltanti. Riportiamo, di seguito, alcuni concreti esempi di questo deciso
impegno.
“Il
giardino degli dei”
“Il giardino degli Dei” è
l’opera monografica dedicata alla Provincia di Potenza presentata
nell’aprile 2002 a Bari, nella sala consiliare del palazzo della Provincia,
su iniziativa dell’amministrazione potentina. E il 25° volume della collana
editoriale “Le più belle province d’Italia”, curato dalla Società Italia
Turistica di Padova. Un libro dedicato a Potenza perché è una provincia nel
cuore del Sud Italia, capoluogo di una regione non ancora conosciuta dalla
maggior parte degli italiani, ma sconosciuta dai Paesi esteri. Una provincia
ricca di storia, tutta da scoprire, dove la passione, la poesia, la cultura
hanno lasciato tracce tangibili, umane e religiose che ne hanno fatto
proprio il “giardino degli dei”.
“La mostra - ha spiegato il
Presidente della Provincia di Potenza Vito Santarsiero - si colloca tra
altri importanti eventi proposti nel Museo, nella Pinacoteca e nel Covo
degli Arditi, negli spazi del Polo della Cultura ubicati nel fascino
dell’architettura di due grandi progettisti del Novecento, l’architetto
Marcello Piacentini e l’ingegner Giuseppe Quaroni. Un ambizioso progetto che
conferma che l’investimento culturale, quando proposto ad elevati livelli, è
volano di crescita sociale ed economica.
L’opera monografica in
quattro lingue (italiano, tedesco, francese e inglese) di 128 pagine, con
sovraccoperta, cartonato e custodia, del formato di 25 x 34 cm, con oltre
100 immagini inedite realizzate dal fotografo Giampaolo Senzanonna,
personalizzata per la Provincia di Potenza, si apre con la presentazione del
volume da parte del Presidente della Provincia Vito Santarsiero. Segue la
prefazione del regista Gabriele Salvatores. La descrizione e la storia del
territorio sono curate dal “Premio Campiello”, Raffaele Nigro.
“Affidiamo a queste immagini
- ha detto il Presidente della Provincia di Potenza Vito Santarsiero - il
messaggio silenzioso ed affascinante che la nostra terra riesce ancora a
dare all’ospite che l’attraversa trasferendogli l’essenza di una grande
storia vecchia di millenni ed offrendogli ambienti e paesaggi incontaminati
che mai finiscono di stupire”.
L’opera monografica parte da
un servizio redazionale su 32 pagine, oltre le quattro di copertina, di
“Italia Turistica”, la rivista nata nel 1961 e ritenuta la più vecchia
testata italiana di cultura e turismo con una tiratura di 150mila copie
distribuita solo ed esclusivamente su abbonamento, il 70 per cento in Italia
e il 30 per cento all’estero, sui mercati di lingua tedesca e di lingua
inglese. Da questo servizio pubblicato nella testata è scaturito un estratto
personalizzato per la Provincia di Potenza che potrà essere utilizzato
dall’ente stesso per fiere, convegni, manifestazioni nel territorio
nazionale ed estero.
Immagine e mito
nella Basilicata antica
“Immagine e mito nella
Basilicata antica” è la mostra archeologica allestita al Museo Provinciale
di Potenza. In vetrina su reperti di eccezionale importanza, provenienti
anche da scavi recentissimi effettuati su tutto il territorio regionale ed
esposti, in questa occasione, per la prima volta su iniziativa della
Provincia di Potenza, della Soprintendenza per i Beni Archeologici della
Basilicata, con la partecipazione dell’Istituto di Archeologia
dell’Università degli Studi della Basilicata e con il contributo scientifico
di autorevoli studiosi stranieri.
“Negli ultimi anni la
Provincia di Potenza e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della
Basilicata, hanno ribadito il Presidente della Provincia di Potenza Vito
Santarsiero e il soprintendente per i Beni Archeologici della Basilicata,
Maria Luisa Nava, hanno definito un progetto estremamente articolato di
valorizzazione del patrimonio archeologico. Mostre, eventi, scavi
archeologici hanno contraddistinto questa collaborazione, con risultati di
straordinaria importanza sia sotto il profilo culturale, sia per quanto
attiene alla promozione turistica di un territorio caratterizzato da musei e
siti archeologici, da monumenti e centri storici, da parchi naturali di
particolare interesse. L’evento più significativo è rappresentato dalla
mostra “Archeologia e petrolio. Dalla colonia greca di Metaponto alla città
romana di Grumento”, svoltasi alla presenza del Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi.
“Immagine e mito” raccoglie
raffinate ceramiche, armi di produzione greca, candelabri etruschi in
bronzo, tutti caratterizzati da un ricco repertorio di immagini, che
permettono di ricostruire le strutture di pensiero proprie, sia delle
comunità greche che delle genti indigene presenti in Basilicata tra VII e
III secolo a. C. Gli dei e gli eroi del mito ellenico vengono raffigurati
con particolare insistenza, in quanto richiamano, in forme emblematiche, gli
ideali eroici, le convinzioni religiose, l’ideologia funeraria, le speranze
di una salvezza ultraterrena propri di queste popolazioni. Tra tutti i
personaggi mitici, assume un rilievo particolare Eracle, dio-eroe che,
attraverso le sue imprese vittoriose contro mostri dalle molteplici forme,
testimonia il predominio della cultura sulla natura selvaggia. Si tratta di
un’esposizione in grado di suscitare molteplici suggestioni e, per questo,
di particolare rilievo per chiunque sia interessato a riscoprire l’identità
culturale delle popolazioni antiche della Basilicata. Nell’ambito delle
popolazioni indigene di età arcaica dell'Italia meridionale, le
testimonianze figurative che gli antichi Dauni ci tramandano, appaiono
eccezionalmente ricche, per numero e varietà di temi, e preziose per la
comprensione dell’immaginario mitico dei popoli italici.
Dalla collina
dell’Incoronata, sede di un insediamento greco, proviene un monumentale
bacino lustrale (perirrhanterion) del VII secolo a.C. decorato in
bassorilievo con scene riprese dal repertorio mitico-religioso e dalla
epopea omerica. La scena di combattimento sul corpo di un guerriero caduto
si ispira direttamente al tema omerico dello scontro tra eroi greci e
troiani: si pensi al violento combattimento sul cadavere di Patroclo, ai
duelli di Ettore, Achille, Enea, Aiace e Paride.
Dal santuario urbano di
Metaponto e da Siris provengono frammenti di un fregio databile agli inizi
del VI secolo a.C. Una serie di lastre riproduce più volte un corteo di
donne (pompè), forse sacerdotesse, sedute su un carro trainato da mule,
oppure una cerimonia nuziale. Verso la fine del VI secolo a. C., la
documentazione archeologica offre alcuni esempi particolari di temi omerici
affrontati in una prospettiva troiana. Da Metaponto e da Siris provengono
due lekythoi a figure nere che mostrano, rispettivamente, l’uccisione di
Priamo ad opera di Neottolemo ed Enea in fuga da Troia con il padre Anchise
ed il figlio Ascanio, temi presenti nella produzione attica ufficiale che
acquistano particolare significato sulla costa jonica, se si considera il
ruolo svolto dal mito troiano in ambito sirita.
Le ruote quadrate
“Toccare le menti, cambiare
il futuro con le nostre mani” è lo slogan della mostra scientifica
itinerante “Le Ruote Quadrate”.
La mostra nasce con
l’obiettivo di fare in modo che chiunque possa far esperienza diretta di
fenomeni naturali ed intuirne le leggi. Ognuno ha tempo a sufficienza per
toccare oggetti, per osservare fenomeni con i propri occhi, per indugiare su
qualche particolare costruttivo e per rendersi conto in prima persona di ciò
che sta accadendo. Sebbene questo approccio sia essenzialmente sensoriale, i
risultati dimostrano che è un passo decisivo per imparare gli argomenti
scientifici. Gli esperti alcune volte definiscono esperienziale questo stile
di apprendimento, altre volte informale, quando lo contrappongono a quello
formale o scolastico, strutturato sui capitoli di un libro di testo. Per
realizzarlo, è necessario servirsi di apparati ad hoc, gli exibit
interattivi, concepiti in modo da esibire al visitatore fenomeni ben
evidenti e da lui direttamente controllabili.
La mostra è, dunque, una
collezione di circa cinquanta unità espositive a sé stanti. Il pubblico non
è obbligato a visitarle in modo sequenziale, anzi è lasciato libero di
seguire tutti i percorsi che vuole: ogni unità ha qualcosa da dirgli, che
non dipende dall’ordine in cui la incontra. Ciò non toglie che una guida o
un insegnante possa suggerire un percorso ben preciso, raccordando le varie
unità secondo una linea didattica aderente ad esigenze formali.
La parola interattivo,
invece, indica il fatto che tra il visitatore e l’exhibit intercorrono
azioni reciproche. In altri termini, l’exhibit è stato studiato per
“reagire” alle azioni del visitatore e per rivelargli in questo modo quali
legami esistono tra le variabili fisiche da lui stesso messe in gioco. Gli
exhibit de “Le Ruote Quadrate” sono stati progettati sul modello
dell’Exploratorium di San Francisco, il più famoso museo della scienza del
mondo, ma sono stati costruiti a Cauti, in provincia di Avellino, da un
gruppo di insegnanti, tecnici, artigiani e studenti, coordinati dal fisico
Pietro Cerreta e dall’ingegnere Canio Lelio Toglia, docenti dell’ I.S.I.S
“A.M. Maffucci” di Calitri.
Il loro scopo non è solo
quello di avvicinare i ragazzi allo studio delle scienze, ma anche di
interessare la gente comune, che ha ormai superato l’età scolare.
Pinacoteca
Provinciale Carlo Carrà
|
La mia vita -
Dipinti e disegni 1903-1965 |
Dopo l’evento espositivo
Carlo Levi. Opere scelte 1926 - 1974 inaugurata lo scorso anno dal
Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, seguito da un’altra
importante mostra dedicata a Giorgio de Chirico, la Provincia di Potenza
intende celebrare un’altra grande figura dell’arte italiana del Novecento,
Carlo Carrà. Il giorno 4 aprile, è stata inaugurata alla Pinacoteca
Provinciale di Potenza la mostra CARLO CARRA’, LA MIA VITA. Dipinti e
disegni 1903 - 1965 curata da Massimo Carrà ed Elena Pontiggia, in
calendario fino al mese di giugno 2003.
Continua, dunque, il ciclo
di prestigiose esposizioni nate dal progetto “Polo della Cultura”, promosso
dalla Provincia di Potenza. “Il successo del Polo della Cultura - ha detto
il Presidente della Provincia di Potenza Vito Santarsiero - dimostra che non
c'è alcuna marginalità territoriale rispetto agli eventi culturali. Occorre
avere coraggio ed idee chiare nel proporre un’ offerta di qualità che
abbiamo sempre voluto tenere legata al territorio e alla nostra identità. La
mostra di Carrà ed i prossimi eventi faranno della Pinacoteca Provinciale di
Potenza il luogo della Bella Pittura del Novecento”.
La rassegna, prima mostra
pubblica che Potenza dedica al grande maestro italiano, prende il titolo
dalla celebre autobiografia dell’artista recentemente ripubblicata (Carlo
Carrà, La mia vita, a cura di Massimo Carrà, Milano, Abscondita,
2002) e comprende oltre settanta opere, che ripercorrono la sua ricerca sia
nel campo del segno che in quello del colore. Accompagna la mostra un ampio
catalogo, pubblicato da Viviani Editore, con i saggi dei curatori e apparati
critici.
Il percorso espositivo
documenta, attraverso una serie selezionata di dipinti e disegni, tutta
l’opera di Carrà, dal giovanile realismo al divisionismo e alla stagione
futurista, dal periodo metafisico a quello del “realismo mitico” degli anni
Venti e Trenta, fino alle opere del dopoguerra. La mostra si apre con una
sala di autoritratti dell’artista, e con una serie di importanti ritratti a
lui dedicati: da quello di Boccioni, che esegue un ritratto di Carrà nel
1911, a una caricatura di Marinetti; da Manzù, che ne ambienta la
figura nello spazio, rappresentandolo in un momento di assorta riflessione,
a Marino Marini, che si concentra sul suo volto intenso e segnato. La
rassegna prosegue mettendo a fuoco le diverse stagioni del percorso
artistico di Carrà. Il periodo futurista è documentato con una serie di
disegni, tra cui Ritmi di bottiglia e bicchiere del 1912, in cui
l’artista dialoga con Picasso, Guerra navale sull'Adriatico (1914),
documento dell’interventismo che percorreva il movimento futurista, e
Cineamore, esempio delle “tavole parolibere”, ispirate ad Apollinaire, a
metà fra poesia e pittura, che Carrà realizza nel 1914 -15.
Una serie di disegni
testimonia anche il momento primitivista e metafisico: il prete,
grande studio preparatorio per l’opera del 1916 I romantici; ispirato
ai Martiri di Belfiore; Manichino e Giocatore di dadi entrambi del
1917, eseguiti nel momento in cui Carrà e De Chirico, incontrandosi
all’Ospedale Militare Psichiatrico di Ferrara, danno vita alla pittura
metafisica. La mostra si inoltra poi negli anni Venti con una serie di
paesaggi, come il Paesaggio di Valsesia (1924), significativo esempio
della stagione “cézanniana”; lo storico Mulino delle castagne,
esposto alla I Mostra del Novecento Italiano del 1926; la famosa
Casa abbandonata, un paesaggio lirico ed elegiaco, incentrato sul tema
della solitudine esistenziale.
Degli anni Trenta è esposto
tra l’altro il grande Studio per Giustiniano (1939), che documenta la
ricerca di Carrà nell’ambito della pittura murale. La mostra prosegue poi
con alcuni paesaggi degli anni quaranta e del dopoguerra, come Alba
tragica (1940), La casa di Merate (1958), Marina all’alba
(1964). Il percorso espositivo si conclude con la commovente Stanza
del 1965, dipinta un anno prima della morte, in cui l’artista, nella
stanza vuota e nella porta nera dello sfondo sembra alludere a una sorta di
congedo estremo.
Carlo Carrà nasce a
Quargnento (Alessandria) nel 1881. Dopo gli studi all’Accademia di Brera, è
tra i firmatari, nel 1910, del Manifesto Futurista, con Boccioni, Balia,
Severini, Russolo. A partire dal 1915 - 1916 sviluppa una ricerca
primitivista che ripensa a Rousseau, ma anche a Giotto e a
Paolo Uccello. Negli anni successivi, con De Chirico, dà vita alla pittura
metafisica. Vicino nel dopoguerra alla rivista romana “Valori Plastici” e
poi, dalla metà degli anni Venti, al Novecento Italiano, sviluppa una
pittura che lui stesso definisce “realismo mitico”. I suoi paesaggi,
infatti, non sono più una riproduzione veristica della natura, ma vogliono
raggiungere la forma assoluta delle cose: vogliono essere, come scrive lui
stesso, “un poema pieno di spazio e di sogno”. Anche negli anni trenta, in
cui è tra i protagonisti della rinascita della pittura murale, e nel secondo
dopoguerra l’artista prosegue la sua ricerca. Carlo Carrà muore a
Milano nel 1966.
Gaetano Martinez
Scultore
|
Sculture e disegni
1951 - 1991
Potenza, Museo Provinciale |
“Gaetano Martinez, Scultore
- Sculture disegni 1951-1991” è la mostra, curata da Vittorio Sgarbi e Laura
Gavioli, inaugurato il 6 aprile, al Museo Provinciale di Potenza. Un omaggio
che la Provincia di Potenza, dopo Giorgio de Chirico e Carlo Carrà, fa ad un
grande artista, “la personalità più originale tra gli scultori meridionali
della prima metà del Novecento” ( Vittorio Sgarbi).
La rassegna, aperta fino al
mese di giugno, propone oltre sessanta opere tra sculture e disegni
(provenienti da collezioni private e pubbliche) che raccontano l’evoluzione
artistica del Maestro pugliese: dalle opere giovanili (1910 - 20) sino alle
sue ultime produzioni (1940 - 50). La mostra vuole offrire una lettura
particolare dell’opera di Martinez, mettendo in evidenza l’originale ricerca
dell’autore svolta su un filo conduttore “autobiografico”, e anche degli
affetti domestici, dove l’aspetto della vita nel Salento e quindi una certa
matrice popolare, si fonde con una cultura arcaica e classica dalle profonde
radici. Ritratti, figure, altorilievi con parti a tutto tondo che formano
una specie di “teatrini” o metope, compongono questa selezione volta a
rimarcare le caratteristiche della scultura di Martinez per valorizzarne
l’originalità molto particolare nel panorama della ricerca plastica del
primo novecento italiano.
Le difficoltà incontrate
nell’ambiente di origine, e più tardi anche nel soggiorno romano, temperano
il suo carattere, nell’isolamento, e lo aiutano a ritrovare la sua
via, il suo stile, che si esprime coniugando quell’ideale classico dell’arte
greca, romana, etrusca delle radici culturali, con gli umori forti e
popolari della sua terra: contrasto drammatico e dolce allo stesso tempo,
capace di stimolare la sua sensibilità. Martinez aveva sperimentato,
giovanissimo, il simbolismo decadente e i fermenti innovativi dell’inizio
del 900 dividendo comunque, dal 1928, assidua presenza della Biennale di
Venezia, della Quadriennale e delle più importanti esposizioni nazionali.
Accompagna la mostra un
catalogo, pubblicato da R&R Editrice, con i saggi dei curatori e gli
apparati critici. L’allestimento della mostra è a cura di Opera Arte & Arti
Matera / Spoleto.
Gaetano Martinez (Galatina
1892 / Roma 1951), autodidatta, lavora come scalpellino nell’impresa del
padre e realizza composizioni decorative nutrite dal diffuso repertorio
eclettico neorinascimentale. Saranno soprattutto gli stimoli di un soggiorno
a Roma (1911-12) a sostenere i primi studi di figura, nei quali affronta
complesse tematiche esistenziali, mostrandosi aggiornato sui recenti
orientamenti della scultura di ambito simbolista legata alla lezione di
Bistolfi. Questa ricorrente riflessione sulla sofferenza umana trova in
seguito una via più congeniale in opere che recuperano la tradizione verista
della scuola napoletana, talora interpretando spunti di Gemito con una
modellazione impressionistica consapevole dell’esperienza di Rosso e di
Rodin: sono immagini di un’infanzia povera e solitaria, nelle quali Martinez
ci appare l’erede della poesia silente e malinconica del concittadino Toma.
Stabilitosi finalmente a
Roma nel 1922, Martinez si cimenta con la scultura monumentale, traducendo
l’iniziale michelangiolismo in una ricercata stilizzazione primitivista,
sull’esempio di Mestrovic e di altri maestri di cultura secessionista, come
Wildt e Cataldi; indirizzo che intorno al 1925 qualifica anche una
produzione di statuette di impronta decò e una sofisticata attività
ritrattistica. Questa ricerca di sintesi formale, d’ora in poi costante
nell’arte di Martinez tocca già accenti maturi e originali in opere di
concezione più rude e popolare o di una delicata compostezza purista, che
inaugurano temi e soluzioni compositive ricorrenti nella produzione
successiva.
Negli anni trenta la
scultura di Marfinez, sempre più presente sulla scena italiana sia in
occasione delle varie esposizioni romane che delle Biennali di Venezia,
dialoga con i maggiori maestri del tempo. Accostandosi prima al raffinato
esotismo di Andreotti ed al primitivismo barbarico di Romanelli, si fa poi
interprete, al pari di Martini e Marini, di una classicità austera e scabra,
ma anche solare e mediterranea, caratterizzata dalla ricerca di un’estrema
concisione formale e dal recupero della plastica fittile e in bronzo di
epoca etrusco-romana.
Insofferente della retorica
di regime, e anche per questo trascurato dalla committenza pubblica, verso
il 1940 Martinez manifesta una decisa e significativa svolta in senso
anticlassico, presentando nella sala personale allestita in seno alla
Biennale di Venezia del 1942 (qui in parte ricostruita), creature fragili e
stralunate e ritrattini evanescenti, emaciati. Affiora in questi anni una
poesia intima, schiva e sommessa, che è la vena più genuina di Martinez, ove
si possono cogliere memorie di Metardo Rosso e affinità di intenti con la
Scuola Romana. In seguito i volumi torneranno a farsi più solidi, ma di una
corposità popolana che rinvigorisce anche le immagini mitiche desunte dal
Maillol o il mondo attonito ispirato dal primo Picasso, e sempre con
l’aspirazione ad una essenzialità che, nelle opere estreme, porta Martinez a
sfiorare, non senza una punta di ironia, l’astrazione di Moore.
Lo scultore galatinese
sembra ora riconciliarsi con la sua terra di origine, e il frutto più sapido
di questi ultimi anni è una singolare produzione di “teatrini” in terracotta
dove Martinez, ben oltre le analoghe invenzioni di Martini, ritrova la
freschezza narrativa della plastica presepiale, mettendo in scena, spesso
con tocchi autobiografici e quasi “neorealisti”, momenti di vita paesana,
ora magica e gaia, talora persino comica (Sala XIII 1950), non di
rado drammatica fino a prefigurare la sua stessa morte ormai
prossima.
Aldo La Capra
Fotografo
|
"icone"
Potenza, Museo Provinciale |
“Aldo La Capra fotografo -
icone” , la retrospettiva dell’artista lucano, promossa dalla Provincia di
Potenza e realizzata da Angelo La Capra, Giovanna Greco, Maria Teresa Quinto
ed Ernesto Salinardi, raccoglie ottanta fotografie a colori e in
bianco e nero che raccontano il percorso artistico e professionale di Aldo
La Capra. Immagini che fanno parte della monografia “Aldo La Capra
Fotografo”, in 180 pagine, edita da Libria e curata dalla Provincia di
Potenza.
“Nel complesso cammino che
la Provincia di Potenza sta compiendo nel sostenere l’arte, la cultura, la
storia e le tradizioni delle nostre comunità e dei suoi protagonisti - ha
spiegato il presidente della Provincia Vito Santarsiero - nel fascino
dell’architettura di due grandi progettisti del Novecento, l’architetto
Marcello Piacentini e l’ingegner Giuseppe Quaroni, non potevano mancare una
mostra e una monografia dedicate ad Aldo La Capra, un artista che aveva
ampiamente compreso come l’investimento culturale rappresenti un elemento
strategico nei processi di crescita economica e sociale delle nostre
popolazioni”.
“Si tratta di un progetto
culturale - ha spiegato il figlio di Aldo La Capra, Angelo, che è uno dei
curatori dell’iniziativa - che scaturisce dall’esigenza di recuperare ed
unire il “modo nuovo di vedere le cose” che ha contraddistinto l’attività
professionale di Aldo La Capra, fotografo e, al tempo stesso, attento
osservatore dei cambiamenti della Lucania in trent’anni di storia”.
“Siamo abituati, dalla
nascita - scriveva Aldo La Capra - a guardare ed a vedere dal basso o da un
livello che rimarrà sempre uguale. Ci stupiamo quando ci troviamo a
guardare, per esempio, dall’alto di un ponte o di una rupe, quando, cioè,
cambia il punto di vista: è la scoperta di un modo nuovo di vedere le cose.
Una parte di queste fotografie sono state riprese dall’aereo, vale a dire un
po’ più in alto di un ponte o di una rupe”.
Il racconto parte dalla fine
degli anni Cinquanta per arrivare a metà degli anni Ottanta, nella
Basilicata un pò meno povera ma ricca delle illusioni del dopo terremoto.
Dalle linee del territorio viste dall’alto alla scia di un onda la fantasia
e la realtà giocano in continuazione rincorrendosi tra uno scatto e l’altro.
La Lucania resta in queste fotografie una terra bellissima, colorata,
solitaria e romantica come non siamo più tanto spesso abituati a
vederla”.
La monografia “Aldo La Capra
Fotografo” raccoglie nella prima parte scritti e fotografie in bianco e
nero, partendo dal grande amore che Aldo La Capra nutriva per la sua terra,
raccontata con le immagini. I testi sono stati raccolti dai suoi appunti,
buona parte dei quali inediti, e dagli articoli che scriveva per il
settimanale “Cronache di Potenza”.
Nella seconda parte del
volume, denominata “icone”, il colore caratterizza la sequenza delle foto.
Non ci sono commenti e didascalie perché l’attenzione per l’immagine deve
essere assoluta e il lettore può interpretare l’immagine stessa come meglio
crede, seguendo la propria fantasia, oppure annotando il particolare. Un
testo critico curato da Giovanna Greco, un’archeologa, che nel ventennale
lavoro in Basilicata ha sempre avuto Aldo la Capra al suo fianco, corredato
di una biografia sulla attività fotografica, espositiva e editoriale,
completa il volume.
Aldo La Capra nasce a
Potenza nel 1925. Ben presto si interessa alle problematiche agricole del
potentino e negli anni ‘60 è impegnato nel “Progetto Avigliano”, un progetto
di sviluppo di comunità per le aree rurali dell’aviglianese, all’interno del
quale si occupa di istruzione professionale ed assistenza sociale destinata
ad agricoltori e contadini, in un momento di estrema difficoltà e di
abbandono delle campagne. Alla fotografia si avvicina in questi anni,
dapprima come semplice documentazione del lavoro svolto, ben presto come
ricerca e studio delle realtà che andava conoscendo.
Diventa fotografo
professionista dal 1964 iniziando a svolgere un attento lavoro di ricerca
all’interno del territorio lucano. Nel 1968 pubblica il suo primo libro
“Lucania 1” e dove le immagini descrivono la Basilicata di quegli anni
focalizzando l’attenzione verso una mondo meridionale non manipolato, ma
semplicemente documentato.
In questi anni avvia una
stretta collaborazione con la Soprintendenza archeologica, e inizia la sua
più densa attività di fotografo professionista, rappresentando un punto di
riferimento per la tutela e la conservazione di siti, monumenti, aree
archeologiche a lui soltanto già note ed in parte documentate
nell’archivio che stava costruendo.
Alla metà degli anni 70
inizia la sperimentazione della fotografia aerea divenendo ben presto uno
dei maggiori specialisti del settore; sono gli anni più ricchi e proficui
sul piano professionale: diventa collaboratore specializzato di numerose
Soprintendenze ed Università da Torino, a Reggio Calabria, da Napoli a Lecce
e Bari.
Nel mondo della fotografia,
diventa collaboratore dell’enciclopedia Pratica della Fotografia ed è
invitato a mostre collettive a Milano, Roma, mentre personali vengono
allestite a Roma, Potenza, Matera, Cava dei Tirreni, Gravina.
La sua attività di
pubblicista inizia alla fine degli anni Sessanta con le prime collaborazioni
al Mattino, Nuovo Mezzogiorno, Tempo, Tuttitalia, Itinerari della Buona
Tavola e, a lungo ed intensamente, con il settimanale Cronache di Potenza.
Negli anni Ottanta si dedica alla grafica ed all’editing si dedica curando
l’impianto di depliant, manifesti, calendari, ma in particolare il progetto
grafico di numerose prodotti di alta qualità editoriale, la cui grafica
accurata, anch’essa fortemente disegnativa, appare quasi come l’altra forma
espressiva, strettamente legata alla forma fotografica; le copertine e la
grafica di quegli anni trovano facili e quasi scontati riscontri nella
ricerca della grafica fotografica.
“Acqua”
Potenza, Museo
Provinciale
settembre -
ottobre 2003
Potenza è una delle cinque
città italiane che ospiterà, grazie alla Provincia di Potenza, la mostra
fotografica “Acqua” realizzata dalla Motta Editore in collaborazione con
Green Cross (l’organizzazione non governativa senza fini di lucro fondata e
presieduta da Michail Gorbaciov), che è stata inaugurata il 18 marzo a
Milano nei saloni del Palazzo Reale.
L’esposizione che farà poi
tappa a Napoli, Trieste, Potenza e Roma è affiancata da percorsi didattici e
laboratori scientifici. In sessantasei immagini in bianco e nero il
fotografo londinese Mike Goldwater, fondatore di Network Photographers,
racconta la storia e le problematiche dell’ “oro blu”, come gli ecologisti
chiamano l’acqua, spaziando dal parto in acqua ai fiumi inquinati, dalle
dighe e gli acquedotti fino alla siccità nel deserto.
Le foto sono raccolte in un
volume che porta la presentazione, oltre che di Gorbaciov anche di Kofi
Annan, Segretario generale delle Nazioni Unite, e del giornalista Enzo
Biagi.
La mostra, acquisita dalla
Provincia di Potenza, sarà presente a Potenza da metà settembre a fine
ottobre presso gli spazi espositivi del Museo Provinciale.
“La mostra - ha spiegato il
Presidente della Provincia di Potenza Vito Santarsiero - si colloca tra alti
importanti eventi proposti nel Museo, nella Pinacoteca e nel Covo degli
Arditi, negli spazi del Polo della Cultura ubicati nel fascino
dell’architettura di due grandi progettisti del Novecento, l’architetto
Marcello Piacentini e l’ingegner Giuseppe Quaroni. Un ambizioso progetto che
conferma che l’investimento culturale, quando proposto ad elevati livelli, è
volano di crescita sociale ed economica.
La mostra “Acqua” presenta
una settantina di immagini in bianco e nero di forte impatto emotivo e
spettacolare, realizzate dal fotografo londinese Mike Goldwater, fondatore
di Network Photographers, nell’ambito di una ricerca di ampie dimensioni
sull’ acqua, elemento essenziale per la nostra vita, vista come fonte di
vita e felicità ma anche come apportatrice di morte e distruzione: immagini
drammatiche come quelle di alluvioni e di gente in fuga dalle inondazioni ma
anche immagini più serene, come quelle del parto in acqua, della pesca in
riva ai fiumi, dei nomadi che cercano acqua per abbeverare i cammelli e
dell’acqua delle piscine, quale elemento di svago e serenità.
Il Presidente della
Provincia di Potenza Vito Santarsiero è intervenuto a Milano alla
presentazione ufficiale della mostra in Italia, alla quale sono intervenuti,
tra gli alti, il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, il
sindaco di Milano Gabriele Albertini, il Presidente della Federico Motta
Editore Virginio Motta, il Vice Presidente della Croce Rossa Italiana Maria
Pia Garavaglia, la Direzione generale di Green Cross Italia, il giornalista
Enzo Biagi.
“E motivo di grande
soddisfazione e prestigio - ha detto il Presidente della Provincia di
Potenza Vito Santarsiero - essere stati inseriti tra i cinque centri
nazionali dove sarà presentata una mostra fotografica di valore
internazionale; nell’Anno internazionale dell’acqua, voluto dall’Onu, anche
il nostro Polo della Cultura sarà protagonista nell’azione a favore della
tutela e del migliore utilizzo di un bene primario dell’umanità, prezioso e
insostituibile”.
Oggi, nel mondo
solo una minoranza dell’umanità usufruisce di acqua al “rubinetto”, tutti
gli alti la utilizzano in condizioni di estrema precarietà; secondo i dati
dell’Onu sono addirittura ben 2,2 milioni le persone che ogni anno muoiono
per malattie correlate alla cattiva qualità dell’acqua. |