E chi cercasse infatti le dolcezze di canto, le
distensioni, le volute della LINGUA - che tale è anche per la sua più unica che rara, in Basilicata, tradizionale letteraria e poetica aviglianese,
è come se cercasse gli scavi orizzontali, putacaso dei quartetti Beethoveniani, nella linearità di un madrigale o nella prontezza di un mottetto.
Sono ballate da cantastorie, infatti, ariose e felici quelle di Imbrenda: che vanno
dritte al dunque, a cercare il pelo nell'uovo (dove non sai se sono mai più i peli o le uova)
e perciò senza i giri, gli scavi, i ritorni, gli abbandoni delle raffinatissime liriche aviglianesi.
Ballate nate, come nel Masaniello di Pino Daniele, per la voglia di parlare e di farsi
ascoltare, con la stessa urgenza, ciò con cui chi non ha soldi li vuole: ma pochi,
maledetti e subito.
Anche perchè Imbrenda sente che ci troviamo di fronte ad un 'mondo malato',
disgraziato, letteralmente senza grazia, dal momento che 'pur Crist se
yè ngazzat'
e con urgenza di battagliare e di intervenire raccontando le più piccole devastazioni -
bellissimo il ricordo delle tante fontane avigllanesi, una sorta di gioiosa via crucis delle
opere e dei giorni del paese, e le più grandi guerre e dell'incubo nucleare.
La vigile coscienza critica di Imbrenda si nutre di poche ma buone cose, non di
pessimo gusto: le feste ad Avlgliano, l'arrivo dalla campagna del contadino, i dialoghi
- quasi pubbliche sedute psicanalitiche - di comari e compari, la piazza, le fontane, il
focolare, ecc...; e non per sentimento fanatista o peggio reazionario, quanto per un
felice e fecondo stupore di fronte alle insanie e alle follie del mondo. Di cui pure sa
denunziare i sempiterni giochi e le fatuità (si veda 'Il papa a Potenza').
Nino Calice
Per
contatti: Donato Imbrenda Via Concezione 10 - 85021 Avigliano
(PZ)
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