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Donato M. Mazzeo  MASCHITO
Maschito  Storia e Leggenda Verso il Futuro
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TRADIZIONE POPOLARE

ARTIGIANATO

CENTRI STORICI

ARBËRESHE

 

Nei paesi del Sud in genere ed in quelli alloglotti, meglio noti come “etnico-linguistici”, i mestieri antichi, l’artigianato e le attività tradizionali micro-economiche, in base a fonti molto accreditate, segnano il passo; solo il 250% massimo “resisterà” all’ondata tecnologica e di robotizzazione della società italiana.

In Basilicata il “trend” è addirittura più vistoso. Oltre la fascia (sempre meno cospicua) di addetti all’agricoltura, cresce il terziario, sono al “livello-soglia” i mestieri tradizionali, alcune riconversioni (per lo più di ”stagionali” rientrati dall’estero). In un quadro di riferimento aggiuntive sono le attività che - fonte modesta ma diffusa di reddito domestico - si svolgevano in gruppi di conoscenti, familiari.

Fra queste le attività artigianali di cucito, ricamo, maglieria. strumentistica “povera” ecc.

Erano attività che si svolgevano, per lo più. in spazi “aperti” o in stanze larghe ovvero in locali rimediati per l’occorrenza.

Oltre agli scopi di un’economia di sopravvivenza avevano - riteniamo - un grosso merito: l’aggregarsi fra più persone del vicinato, la classica “Gjitonìe” e non, dava la possibilità di creare dei circuiti di comunicazione e di osmosi di idee ed esperienze che si saldavano anche nei tanti “comparizi”. amicizie franche e, perché no?, di matrimoni fra parenti dei diversi nuclei artigianali.

Oggidì i grossi e medi agglomerati edilizi hanno “frastornato” - evacuandoli in parte - i “centri storici” ed altre “aree di espansione” per travasare gli “inquilini” negli scatoloni che, purtroppo, conosciamo. E la gente ed i loro rapporti amicali, di frequentazione, di collaborazione “tradizionale”, di mutualità nelle piccole e grandi esigenze del quotidiano si sono, in genere, involuti. La dispersione dì valori di cooperazione (nel lavoro e nel dopo-lavoro) incrementa, pertanto, diffidenze, indifferenza e scarsità di relazioni sociali anche nei paesi Arbèreshe. Al contrario, resistono al tempo molti riti tradizionali, le feste patronali, la liturgia bizantina (vds. S. Paolo e S. Costantino Albanese), culti popolari arborei (alcuni anni fa l’Anspi di Barile aveva rivitalizzato “il passaggio della spina” “shkuar nga drizèt” presso la seicentesca Chiesa agreste di Costantinopoli); è attiva, invece, l’annuale rappresentazione del “Presepe vivente” nelle suggestive grotte Sheshe, ad opera dell’ass. Shkendjiat Folk.

Lo stesso “Vellame”, colazione fra comitive in aperta campagna, per la Pasquetta; il dramma “sacro” del Golgota rivissuto con personaggi e spettacoli a Maschito e Barile: continua la preparazione casalinga di “tumac me drudha” nel paese il cui protettore è Sant’Elia durante le grandiose festività in suo onore, oltre che la bella “Cavalcata degli Angeli” (in Albanese Rethnès) davanti alla secolare Chiesa Arbèreshe del Caroseno, in attesa di restauro e di agibilità dopo il sisma deIl’80; a Ginestra la devozione per la patrona Maria SS. di Costantinopoli è motivo di richiamo popolare ed anche di frotte di emigrati: a San Paolo Albanese e a San Costantino (Pz), i due centri caratteristici del Sarmento collegati - dal punto di vista religioso - alla Eparchìa di Lungro (Cosenza), i riti gastronomici dell’uccisione del maiale (vrasje derkut. in Albanese) si rinnovano ogni anno. Tutte queste iniziative ed altre ancora, hanno una forte dose centripeta che cementa i gruppi e le famiglie nelle loro “relations” ed in rapporto alla società regionale. I melodiosi “Kenga Arbèreshe” del Sarmento sono vivi e carichi di sentimento; e vengono anche esportati nei Festivals della Canzone Arbèreshe - quello di San Demetrio Corone è giunto alla XX Edizione - e riprodotti in CD diventano dei veri “cordoni ombelicali” per le decine di migliaia di Arbèreshe sparsi nelle città metropolitano del Nord, come a Roma, Napoli, Bari, Cosenza, Palermo e all’Estero.

Ma dei “Centri Storici” delle comunità Arbèreshe di Basilicata, che dire ancora? E sullo “Sheshè” barilese, su quel faticoso ma sereno “tramestìo” collegato a “suoni”, “odori” e “rumori” di animali e strumenti rudimentali, in buona parte soppiantati in nome della tecnologia e del progresso?

Ma non è anche Chernobyl figlia di questa cosiddetta “civiltà moderna”? Finalmente, comunque. è giunta la normativa nazionale di tutela e quella regionale per ridare, nelle intenzioni del legislatore, slancio e spessore alla nostra cultura alloglotta.

Il Parco del Polline e l’istituendo Parco Regionale del Vulture. freneranno l’esodo migratorio, il tasso di disoccupazione, la degenerazione - in qualche caso - del patrimonio storico-etno-linguistico? Ovvero quella nuova forma di “urbanesimo” verso i centri più mercantili, vivaci ed orograficamente “fortunati” del nostro territorio?

 

 

 

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