INDICE

successivo >>

Ceneri di Civiltà Contadina in Basilicata
GIUSEPPE NICOLA MOLFESE

PREMESSA

Per circa vent'anni ho rivolto la mia attenzione agli usi, alle abitudini, alla vita dei contadini del paese dove sono nato.
Consuetudini, canti, detti, motti, credenze, che avevo custodito nella memoria o riportato in appunti sparsi, sono stati da me raccolti nel presente lavoro, il quale non ha la pretesa di essere organico e completo, ma vuole trattare soltanto alcuni temi della vita quotidiana di Sant'Arcangelo e della Basilicata in genere.
Nel corso della trattazione richiamo spesso Sant'Arcangelo che ovviamente non può rappresentare tutta la Basílicata, ma può costituire uno specchio su cui si rifrange un costume che, « mutatis mutandis », non si discosta in modo sostanziale da quello di tutta la regione.
Comune a tutto il popolo lucano è il modo di lavorare la terra, di governarsi, di comportarsi; comune è il sentimento religioso, le credenze popolari, le tradizioni, la magia; non molto diverso il modo di vestire, il costume, il modo di parlare, i canti.
L'insieme di tutte queste espressioni della vita costituiscono la civiltà di una comunità, di un popolo, senza dubbio tramandateci dalle popolazioni pregresse. Nessuna civiltà è sorta dal nulla, ognuna si è evoluta giovandosi delle esperienze, delle usanze, delle tradizioni tramandate da coloro che ci hanno preceduto.
Oggi purtroppo il popolo, o forse una parte di esso, sta negligendo il passato; mi auguro che qualcuno non mi ritenga misoneista, naturalmente fraintendendomi. Quando un popolo neglige, trascura, ripudia o distrugge una eredità di tradizioni tramandate da genti passate, è inevitabile che tale periodo non possa essere considerato di progresso, ma di barbarie o di decadenza.
I lucani hanno una eredità di tradizioni antica di diversi millenni le cui eccelse testimonianze sono emerse e raccolte molte volte da mani sacrileghe ed indegne. Molte sono state trafugate in paesi stranieri privando gli studiosi di documenti, di tessere necessarie per illustrare il grande mosaico della civiltà lucana ed i cittadini di poter ammirare, attraverso le opere, la grandissima civiltà dei loro avi.
I diversi rapporti avuti con quasi tutti i paesi della Basilicata mi hanno fatto constatare che Sant'Arcangelo ed i paesi dei dintorni sono i paesi tra i quali è meno rapido il fenomeno di abbandono delle tradizioni popolari alcune delle quali sono rimaste le stesse dal tempo di Omero sino alla seconda guerra mondiale.
Troppe sciagure, troppi dolori, troppa miseria hanno subito i contadini del mio paese e sempre hanno trovato nel loro « Credo », misto di religione e superstizione, una speranza di salvezza ai loro malanni, una possibilità di rimedio e di prevenzione.
Il sentimento religioso, peraltro molto profondo, non ha mai escluso la superstizione, anzi la superstizione è rimasta unita alla religione quasi a formarne una panacea per tutti i mali o diventando, a secondo i casi, buon augurio per i raccolti o difesa da mali oscuri e pieni di mistero o da eventi o fatti originati da forze soprannaturali o da circostanze naturali ma ignote.
Il presente lavoro è privo di qualsiasi bibliografia o documentazione; quanto in esso è contenuto è il risultato di una conoscenza personale e diretta, le cui fonti sono la vergine fantasia e la viva voce dei contadini affidate solo alla memoria e alla tradizione orale.
Naturalmente può accadere che la notizia, il verso, il fatto, il proverbio, il canto possano essere stati recepiti in Sant'Arcangelo in maniera difforme a quella dei paesi limitrofi; ho preferito trascrivere la versione che ho appresa nel mio paese anche perché, in ogni caso, si tratta di difformità assai lievi.
I canti sono trascritti soltanto nella parte letteraria perché ho trovato notevoli difficoltà nel ricercare la musica e la maniera di esecuzione; sono consapevole che questa è una grave omissione nei confronti del canto popolare, e spero di poterla ovviare nel futuro.
Oggi le tradizioni popolari sono poco più di un ricordo; varie cause, tra cui rilevanti l'emigrazione e la costruzione di numerose vie di comunicazione, per non parlare di mass media, hanno contribuito all'abbandono di esse.
Il mio lavoro vuole costituire una testimonianza di quello che è stato il costume di un popolo; potrà interessare qualche futuro « ricercatore » di tradizioni popolari quando e se queste saranno del tutto scomparse.
Con la scomparsa delle tradizioni popolari, scompaiono quelle peculiari caratteristiche, divenute a volte abitudini, che fanno distinguere i popoli e i paesi gli uni dagli altri.
Il presente lavoro non ha neppure la vaga pretesa di essere un'opera scientifica anche se ho, a volte, avanzato qualche ipotesi di etimologia delle parole dialettali; questo naturalmente non può né deve rappresentare una ingerenza in un campo non di mia competenza ampiamente studiato e trattato da esperti.
Quanto descritto in questo lavoro non si riferisce a persone determinate o determinabili né ha una data precisa (1); per i miei coetanei, per quelli nati prima di me, almeno per molti, quanto descritto è stato vissuto o sentito dire; per le generazioni venute dopo di noi, potrà costituire « scoperta ».


1) Il lettore noterà talvolta che la sintassi, ed in particolare la consecutio temporum, non è stata scrupolosamente rispettata.
Non si è potuto evitare ciò in quanto è stato usato il passato remoto o prossimo per fatti o episodi che non si verificano più, mentre è stato usato il presente per quei fatti o avvenimenti che si verificano tutt'ora.
 

lll

 

[ Mailing List ] [ Home ] [ Scrivici ]