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Ceneri di Civiltà Contadina in Basilicata
GIUSEPPE NICOLA MOLFESE

LA MAGIA (1)

In Lucania, come generalmente in tutta l'Italia meridionale, la magia è una credenza che avvince ed incuriosisce e detiene un posto di notevole importanza nelle quotidiane manifestazioni della vita.
Si ritiene (forse impropriamente) che tragga le sue origini dall'Oriente, dalla Grecia, fondendosi a volte e modificandosi poi nel periodo dell'impero romano.
Come sono confuse le origini, così confusa è la sua evoluzione nel periodo cristiano e nel periodo di decadenza dell'impero romano.
Nel Medioevo la magia e le credenze popolari ad essa correlate erano in contrasto (o si rafforzavano) con le idee cristiane che, specie in quel periodo, si andavano evolvendo.
Numerose sono state nel Medioevo le vittime innocenti immolate. Sebbene in questo periodo fosse già in atto un vasto movimento di pensiero che condannava la superstizione, pur tuttavia vi sono stati uomini superstiziosi, vittime convinte di false e allucinanti credenze che agivano ed operavano soggiogati da tali malefici influssi.
Non è questo il luogo per analizzare l'eziologia della magia, ma si cercherà di descrivere in grandi linee quali sono le credenze o quali erano in un passato prossimo.
Il protagonista, l'interprete dei fenomeni inconsci, l'operatore dei riti impossibili ai non iniziati, l'ammaliatore, il guaritore o l'essere - nel senso di veicolo patologico e soggetto attivo (perché riesce a far ammalare e, se vuole, a far guarire) - è il "masciaro".
La tradizione classica ci ha tramandato i nomi della Sibilla, di Circe, di Medea.
Le maghe antiche invocavano Ecate, la divinità infernale, sotterranea, che presiedeva alle apparizioni, agli spettri, agli incantesimi.
A noi Lucani "moderni" è giunta la figura del "masciaro" o della "masciara". Di questi intimamente il popolo ha un senso di rispetto e di paura per i poteri arcani che essi possiedono, dal momento che sono gli unici ed assoluti depositari di "forze misteriose" che possono usare "ad libitum".
Il rispetto e la paura, che tali "esseri" incutono, trovano la loro manifestazione esteriore nei titoli ed appellativi di stima, di amicizia, e a volte di parentela (zio, compare) che si danno al "masciaro" il quale, proprio per questa particolare prerogativa, ha verso molti un rapporto umano che altre persone non riescono ad avere.
In determinate occasioni si offrono al "masciaro" doni in segno di stima e di rispetto, rivolto specie quest'ultimo naturalmente, non solo alla persona, ma soprattutto ai poteri soprannaturali che riesce ad estrinsecare ed "ad libitum" a trasferire a particolari soggetti.
L'attività del "masciaro" quasi sempre non si tramanda, dal momento che essa termina con la morte della persona (2). Il "masciaro" è in genere una persona dotata di spiccata intelligenza che possiede dei "poteri" che, facendo leva sulla psiche del soggetto passivo, riesce molto spesso a soggiogarlo alla propria volontà. E' una specie di sacerdote o per meglio dire di medico-stregone.
Nei tempi remotissimi infatti il Sacerdote era al tempo stesso anche medico e stregone. L'evoluzione ed il tempo hanno selezionato le tre figure dando ad ognuna di esse un'attribuzione ben specifica. Infatti non si può negare che ogni stregone è a volte un po' medico e che ogni medico è un po' stregone (sia detto con il massimo rispetto) dal momento che cerca molto spesso di guarire malattie ritenute inguaribili. Qualche volta, anche se temporaneamente, sia il medico che il "masciaro" vi riescono, forzando sulla componente psicologica del paziente. Infatti il caducéo è simbolo della tentazione, della magia, è raffigurato dal serpente che rappresenta oggi anche il simbolo della scienza, della medicina.
E' noto che alcuni prodotti della stregoneria, come unguenti, bevande ed altri rimedi magici, non sono semplicemente mezzi di suggestione. "Suggestivi" o mezzi di suggestione possono invece essere il portare un laccio nero con un corno appeso al collo, o il grattarsi i testicoli o appendere del sale alla porta. Tali pratiche possono ingenerare "la certezza", in particolari individui vittime della superstizione, che sono questi degli ottimi rimedi contro la mala sorte.
La mancata attuazione di tali pratiche può ingenerare nel subcosciente dell'individuo un'ansia, spesso addirittura uno stato di panico che può, alcune volte, determinare la comparsa di eventi spiacevoli temuti (3).
Alcune erbe usate dagli stregoni del Sud-America hanno mostrato una efficacia terapeutica scientificamente provata, così come le erbe antifecondative e le erbe afrodisiache usate dagli stregoni dell'Amazzonia. Tali rimedi, oltre a mantenere vive le energie sessuali nel maschio anche in età avanzata, avevano anche il potere di curare mali congeniti e quelli procurati all'uomo dagli animali (come il morso dei serpenti).
Se è vero (e pare sia vero) quanto si afferma che gli antibiotici fossero stati usati dagli stregoni prima della scoperta di Fleming, è questa la prova che non sempre gli stregoni sono dei ciarlatani.
Non si conoscono, se non superficialmente, i rimedi usati dagli stregoni nei continenti a noi lontani, mentre si ha una discreta conoscenza dei farmaci usati nel nostro continente nella maggior parte composti da estratti o essenze vegetali.
Si potrà, di seguito, osservare quanto e se c'è qualche fondamento scientifico nelle credenze popolari circa l'uso di alcuni rimedi impiegati nella cura delle più svariate malattie.
In un giornale, che purtroppo non sono in grado di citare, è apparso tempo addietro un articolo in cui si affermava: "... la penicillina essere vecchia di oltre duemila anni". Essa veniva infatti preparata normalmente dalle popolazioni Maya, le quali usavano la muffa dei chicchi di grano immersi precedentemente in acqua, per curare malattie ad eziologia ignota, comunque gravi e molto febbrili.
Fleming, inventore della penicillina, che certo non conosceva questo procedimento, ha avuto una intuizione sull'uso terapeutico della muffa ed ha ripercorso a ritroso lo stesso procedimento di ricerca già usato dai Maya in tempi molto remoti.
Molte terapie, fino a qualche anno fa in vigore nel mondo contadino, sono le risultanze di una esperienza millenaria tramandate, perfezionate e messe in uso dalla necessità di dover curare i mali con i mezzi scarsi di cui si aveva disponibilità. Infatti nei frequenti infortuni di lavoro, ed in caso di ferita, procedimento ritengo dal punto di vista terapeutico ineccepibile, si usava la pratica di urinare sulla ferita, dal momento che l'urina era considerata sterile, caustica e disinfettante per i sali che contiene e che forse favorisce più di ogni altra sostanza la guarigione delle ferite.
Anche la polvere raccolta sotto cataste di legna vecchia e stagionata per parecchi anni (si tratta di una specie di muffa antibiotica) ha un potere miracoloso per curare le ferite che vanno incontro a rapida guarigione.
Un metodo oltremodo usato per arrestare le emorragie era quello di usare le ragnatele, "u papparomme". La saliva e comunque le secrezioni del ragno - è un dato accertato - hanno un effettivo potere coagulante ed antiemorragico.
Come è noto il caldo umido è il miglior rimedio fisico per calmare i dolori addominali acuti, per cui lo sterco bovino appena espulso, ed ancora caldo, raccolto con una paletta e posto sull'addome, veniva considerato una cura rapida ed efficace.
Tutta una serie di prevenzioni e terapie erano rivolte alla donna nel periodo di gravidanza. Era sconsigliato, in generale, somministrare qualsiasi pozione alla donna gravida, perfino la camomilla, dal momento che si credeva che l'uso reiterato o l'abuso della camomilla potesse fare addormentare il feto in utero ritardandone così la nascita.
La gravida durante la gestazione e nel puerperio doveva mangiare uova con guscio ben pestato misto a succo di arancia o di limone (l'effetto terapeutico è legato ai sali, specie di calcio, contenuti nel guscio ed ai principi nutritivi contenuti nell'albume e nel tuorlo).
Vi era anche un uso che ha un certo fondamento scientifico. La puerpera, dopo aver partorito, doveva mangiare la placenta per favorire la montata lattea. E' questo un fenomeno direi non solo noto ma tutt'ora praticato in diverse regioni italiane anche nel nord. Cambia soltanto il modo di cucinarla. Al mio paese alcuni la cucinavano in brodo. La placenta, come è noto, contiene una quantità notevole di ormoni anche galattogeni che favoriscono una abbondante produzione di latte nel seno materno. Al mio paese ormai pochi sono quelli che adottano il sistema dianzi accennato. La maggior parte provvede a far gettare, subito dopo il parto, la placenta nel fiume Agri, recitando delle parole che invocano molto latte nel seno materno e l'augurio che possa essere tanto quanto l'acqua che scorre nel fiume.
Quali siano queste parole non sono mai riuscito a sapere.
Il cedrangolo o arancio amaro si usava per "fare andare in caldo" l'asina o la cavalla.
Fra gli usi più curiosi e poco noti, che in questo caso ritengo senza alcun minimo fondamento di credibilità e che riporto soltanto per curiosità, è quello secondo cui l'uomo, nel momento di accoppiarsi, se vuole concepire un figlio maschio, deve fare l'amore con le scarpe e il cappello (o la "coppola") in testa.
Ricordo che un masciaro "istruito" più volte ha cercato di preparare una specie di unguento delle streghe (è questa una supposizione). L'intruglio terribilmente famoso anche al tempo dell'inquisizione, era composto da cicuta, mandragora, giusquiamo e belladonna. Per i principi attivi contenuti specie nella belladonna e nel giusquiamo, l'infuso produceva, nelle persone che lo ingerivano, uno stato di sopore con allucinazioni ed altri effetti collaterali per cui anche le streghe immaginavano di essere possedute dal diavolo e di volare.
L'elemento fondamentale delle pozioni preparate dalle maghe o "masciare nostrane" era un infuso di oppio o dei suoi derivati, "la papagna". Era questo un infuso preparato mettendo a macerare a caldo pistilli di papavero variopinto che cresce spontaneo nei campi coltivati specie a grano. La "papagna" era anche usata per i neonati, quando essi, senza un motivo conosciuto, piangevano o tardavano ad addormentarsi. Si provvedeva, anche, a preparare le pozioni con altri vegetali, la mandragora, l'ophiusa d'Etiopia, il cui liquido provocava uno spaventoso delirio. Lo stesso effetto produceva lo strammonio detto "l'erba del diavolo"; questa erba, oltre il delirio, produceva allucinazioni e temporanee alterazioni psichiche e somatiche. Lo strammonio ha trovato largo uso nelle prescrizioni galeniche da parte dei medici dell'Ottocento e della prima metà del Novecento.
Per poter calmare l'infermo si usava l'aconito; questo produceva un profondo letargo tanto da poter far pensare a una morte apparente. Al risveglio l'infermo credeva di essere morto e ritornato in vita, di essere ritornato da un lungo viaggio, di essere ritornato dall'inferno.
Con i mezzi descritti il "mago" procurava una voragine profonda nella coscienza dell'infermo tanto da far ritenere (e lo riteneva lo stesso mago) che avesse raggiunto le soglie dell'aldilà.
Quanto descritto, in parte, può attribuirsi ai "masciari" nostrani. Quest'ultimi, mi risulta, ricorrono a volte all'uso di erbe (qualcuna) tra quelle dianzi descritte, ma soprattutto fanno leva sulle loro vere (o presunte) facoltà soprannaturali, parapsicologiche.
Passiamo ad esaminare le manifestazioni mediante le quali si estrinseca la magia o comunque i fenomeni parapsicologici.

MAGIA TERAPEUTICA

In tutto il mondo ci sono credenze e applicazioni eterodosse per la cura dei mali; ciò si verifica non solo in zone depresse dove alberga la miseria e l'ignoranza, ma anche in zone sviluppate e con un grado di cultura piuttosto elevato.
Il fascino dell'arcano e la fiducia posta in uomini ritenuti o effettivamente forniti di qualità terapeutiche, trova una notevole schiera di seguaci nell'Italia meridionale più che altrove.
La malattia avvilisce chiunque, il ricco ed il povero, il saggio e l'ignorante; ma se il ricco va alla ricerca delle cure adeguate consultandosi con persone di scienza e, ove non rimanga soddisfatto o il rimedio non gli giovi, va alla ricerca di altri medici e di altre cure, il povero cerca di prevenirle con pratiche magiche e se non ci riesce ricorre al "masciaro", il quale, secondo una comune credenza, riesce a neutralizzare o a dominare, per mezzo dei suoi poteri e delle formule di cui solo lui è a conoscenza, il male che affligge il paziente.

Cefalea - "Capturn"

Il primo sole di marzo o aprile o maggio colpisce il contadino che lavora nei campi procurandogli uno stato di malessere simile a quello prodotto da insolazione o dal colpo di sole.
Tale condizione patologica, la cui sintomatologia si aggrava al tramonto, è considerato "un male" che nessuna medicina tradizionale può curare; il mal di testa che è il sintomo più eclatante (che è diverso dalla "affascina", di cui vedremo gli effetti in seguito). A volte si associano le vertigini, i giramenti di testa o "capturn" che non scompaiono neppure durante la notte ma possono provocare una specie di allucinazione (ad occhi chiusi si vedono lampi di luce folgorante) e talvolta incubi. Il malessere continua spesso fino al giorno successivo e per farlo passare l'ammalato deve affacciarsi alla porta di casa, se questa è rivolta verso il sole, o alla finestra o comunque in una località ove si veda nascere il sole e di fronte ad esso deve recitare la seguente invocazione:
"Buon giorno bellu sole
a Ili piede dú Signore
a ddon 'u piette arruve l'affanne
e da la cape lu delore
buon giorno bellu sole
ij sò figghiu dú Signore".

"Buon giorno sole bello,
ai piedi del Signore,
dal petto togli l'affanno
e dalla testa il dolore,
buon giorno sole bello
io sono figlio del Signore ".

Dopo aver pronunciato queste parole e dopo aver lavato il viso con acqua e sale, il paziente deve gettare l'acqua in un crocevia. Dopo di che il mal di testa scomparirà.

L'"affascina"

L'"affascina" (4) è il potere di trasmettere una malattia o il potere di fare arrestare la crescita a qualcosa suscettibile di sviluppo, di germoglio. Lo "sfascinare" rappresenta il più efficace presidio terapeutico per guarire la malattia o scongiurare, allontanare gli influssi malefici prodotti dall'"affascina".
L'affascinare è un potere, insito in ogni essere umano, di creare inconsciamente, in un soggetto passivo, uno stato di sofferenza il cui primo sintomo è la, cefalea, il dolore di testa. Le più dolorose cefalee o emicranie venivano curate, tra i contadini, non con medicamenti ma con parole. Distinto dall'affascina, in quanto leggermente diverso, è il malocchio sebbene in comune hanno gli stessi sintomi. Mentre il malocchio è indotto da uno sguardo invidioso, intriso di cattiveria e di malaugurio, rivolto deliberatamente nei confronti di una persona o di una cosa, l'"affascina", al contrario, è sempre originata da uno sguardo inconsciamente invidioso e senza cattiveria.
Destinatario dell'"affascina" può essere una persona, un animale o altro, suscettibile di sviluppo quale il raccolto, la semina.
Per quanto riguarda l'"affascina" alle cose, vi sono dei rimedi preventivi, corna, ferro di cavallo, falce, membro virile.
Vi è una regola che chiunque deve rispettare: quando si pronuncia una espressione di ammirazione nei confronti di una persona, di un animale si deve dire "abbenedica" (forma abbreviata e dialettale di "Dio ti benedica"). Si usa proferire questa espressione di benedizione per evitare che, involontariamente, si possa causare l'affascina alla persona o all'animale o ad altro oggetto di ammirazione (5).
Allorquando invece ci si appressa ad un'aia mentre si sta raccogliendo il grano o ad una cantina mentre si sta vendemmiando o in un trappeto bisogna dire: "Santo Martino".
L'"affascina" nell'uomo ha una terapia che può essere praticata soltanto da chi crede veramente in detta terapia e che il giorno di Natale o Pasqua, in Chiesa, alla prima Messa, durante l'elevazione dell'Ostia Consacrata, abbia pronunciato le seguenti parole:
"Gese Cristo scij a spasse
pi Ila via travaua affascine
affascine a ddo vaij?
'n capo a Don Pascaline
'n capo a Don Pascaline
non ci scij
ch'è secrete battezzato
passa affascine
e delore de cape".

"Gesù Cristo andava a spasso
per la via trovò l'affascina;
affascina dove vai?
in testa a Don Pascalino.
In testa a Don Pascolino
non andarci
perché è segretamente battezzato.
Passa affascina e dolore di testa".

Dopo aver pronunciato la formula, con la convinzione intima di aver incamerato i poteri terapeutici, ci si deve avvicinare all'altare e fare la Comunione. La persona, che generalmente è una donna, dopo aver adempiuto con molta scrupolosità a questo cerimoniale, è abilitata a togliere l'"affascina" o, come si dice, a fare l'"affascina".
Quando il paziente si reca a farsi guarire la cefalea prodotta dall'affascina dalla donna "abilitata", quest'ultima si accorge subito se il soggetto è affetto o non dalla "affascina", in quanto in caso positivo, la sola presenza della persona affascinata provoca alla guaritrice uno o più sbadigli.
La terapeuta fa sedere al suo fianco il paziente e, segnando con il dito pollice sinistro sulla fronte dell'ammalato numerose croci, ripete le parole che abbiamo già menzionate prima. Durante il rito, mentre i protagonisti sono presi da sbadigli, la terapeuta dopo aver pronunciato alcune preghiere, che variano da persona a persona, esorta il paziente a lavarsi il viso con acqua nella quale sono stati posti tre pizzichi di sale; l'acqua rimasta nel catino dovrà essere gettata dal paziente sulla strada ad un quadrivio o ad un trivio.
La prima persona che passerà sulla strada bagnata da quella acqua prenderà l'affascina e la persona che ne era affetta precedentemente ne viene liberata.
Le preghiere che vengono recitate dopo il rito sono generalmente il Padre Nostro, l'Ave Maria e il Gloria Padre. Se gli sbadigli compaiono mentre si recita il Padre Nostro, colui il quale ha procurato l'"affascina" è un uomo; se all'Ave Maria è una donna; se al Gloria Padre è un prete, un sacrestano o un'altra persona non meglio identificata.
Come abbiamo già accennato dianzi, anche gli animali possono essere vittime dell'"affascina". La formula che si recita è diversa da quella che si recita per gli uomini ma deve essere recitata nelle stesse condizioni di tempo e di luogo (in Chiesa durante la Messa). La formula è la seguente:
"Tre t'hanno affascenate
maluocchie, mala capa e malavulundade
tre t'hanno a sfascena'
'u Patre, 'u Figliuole, 'u Spirite Sante".

"Tre ti hanno affascinato
malocchio, mala testa e malavolontà
tre ti debbono sfascinare
il Padre, il Figliuolo, lo Spirito Santo".

Si recitano le solite preghiere Padre, Ave e Gloria. Le preghiere e i relativi effetti sono gli stessi di quelli degli uomini.
Non posso dimenticare un episodio di cui sono stato testimone nella prima adolescenza.
Una sera nella masseria Monte Cellese un animale, un bue, che sino al giorno prima aveva lavorato e mangiato regolarmente, si trovava tra la vita e la morte. Non c'era il veterinario né si sapeva quale rimedio apprestare all'animale. Il "gualano" suggerì di andare a chiamare un esperto in materia di "affascina".
Noi, intanto, al lume di una luce alimentata da cotone e olio, ci rendevamo conto che qualsiasi cura non poteva portare rimedio o guarigione all'animale che era prossimo alla morte.
Restammo in attesa dell'esperto il quale arrivò in breve tempo. Si prodigò subito a "sciogliere l'affascina" all'animale. Segnò la pancia con numerose croci, sussurrò in modo impercettibile le parole sopra riportate, recitò le preghiere di rito.
Dopo alcuni minuti l'animale che era a terra si alzò piano piano e cominciò a mangiare la biada.
Sarà stata una coincidenza, sarà stato che l'animale era già guarito quando arrivò il guaritore, sarà stata la nostra comune suggestione, ma l'animale da quel momento riprese la sua vita regolare, continuò a mangiare e visse con gli altri animali senza avvertire malessere alcuno sino a quando il macellaio lo portò via per vecchiaia.

Tifo e meningite

Queste due malattie presentano, sotto alcuni aspetti, una sintomatologia piuttosto simile dal momento che molto di frequente chi è affetto da meningite o da tifo, durante tutto il decorso della malattia, è afflitto da continuo mal di capo.
Il "masciaro" per curarla si serviva di una cavia, un coniglio o una gallina nera e sull'animale veniva operata una vivisezione. L'animale vivo infatti veniva emisezionato e posto immediatamente sulla testa dell'ammalato. Si riteneva che il corpo inanimato dell'animale attirasse il male esistente sul capo dell'infermo.

Itterizia

L'itterizia è quell'affezione che procura una colorazione gialla della cute e delle mucose dovuta a pigmento biliare in circolo nei tessuti unitamente agli altri componenti della bile. Questo stato patologico, di solito, si accompagna a brachicardia, a prurito cutaneo spesso violento, a emorragie della pelle.
Non è questa la sede più opportuna per indicare, con argomenti scientifici, l'eziologia del male ma sarà sufficiente dire genericamente che esso è causato dall'ostacolo che trova la bile nel defluire verso il duodeno.
Secondo una credenza popolare molto diffusa questa affezione si manifesta allorquando accade di urinare di fronte all'arcobaleno. Non sempre l'arcobaleno è chiaramente visibile e può accadere di essere, inconsapevolmente, colpiti dal male.
Per poter guarire dall'affezione bisogna osservare la prescrizione che segue: la mattina, all'alba, il malato deve uscire di casa senza aver rivolto la parola ad alcuno e senza che alcuna persona gli abbia rivolto la parola, deve andare in giro per il paese e passare sotto tre archi in muratura, tre volte per ogni arco, e appoggiato al piedritto deve pronunciare le seguenti parole:
"Arche Sante Beneditte
'n ciele e 'n terre tu si scritte
ij ngi passe e te salute
ij sane e tu te mute".

"Arco Santo e Benedetto
in cielo e in terra tu sei scritto
io ci passo sotto e ti saluto
io guarisco e tu ti cambi".

Secondo altra versione le parole che precedono possono essere pronunciate anche di fronte all'arcobaleno per tre volte. In entrambi i casi si devono recitare un Pater, un Ave e un Gloria.

Malattie degli occhi

Per le affezioni agli occhi la cura consiste nel recitare, con devozione e convinzione, senza particolari rituali, la formula seguente:
"Santa Lucia da Roma venia
incuntraua 'a Madonna pi lla via
che hai Lucia mia, ca vai chiangenne?
Che vogghia ave', Madonna mia bella?
Tengha na mala furia a ll'uocchie mij
me sente mezza morta e mezza vive
Ma va' Lucia mija a ll'uorte mij
vatti a cogghie 'a lattuga romana
pó mane mija ij già semmenate
pò piede mij ij già pistate
pa vucca mija ij già beneditte
va', Lucia mia, a ddo t'agge ditte".

"Santa Lucia da Roma veniva
incontrò la Madonna per la via
cosa hai, Lucia mia, che vai piangendo?
cosa dovrei avere Madonna mia bella?
ho una furiosa malattia agli occhi
mi sento mezza morta e mezza viva
ma vai all'orto mio
vai a cogliere una pianta di lattuga romana
che con le mie mani ho seminato
che con i miei piedi ho calpestato
che con la mia bocca ho benedetto
vai, Lucia mia, dove ti ho detto".

Malattie delle pelle

Le affezioni della pelle sono molto frequenti; una delle più diffuse è la "pitéscina" (6). Queste affezioni vengono curate, prima di tutto, allontanando la causa immediata che ha provocato il male, causa però che non è mai unica. Tale causa viene individuata dal "masciaro" il quale o conosce direttamente le abitudini del paziente o ne viene a conoscenza attraverso una descrizione dell'attività specifica (pastore, bovaro, massaro o gualano), che il paziente descriverà durante la seduta. Quanto detto è importante perché il mestiere praticato può favorire il male; anche gli animali possono rappresentare la causa dell'insorgenza di tale affezione. I "masciarí" già conoscevano la patologia dell'allergia.
Per guarire la "pitéscina" il masciaro cosparge la ferita con l'olio che si deposita sul margine di una "luce ad olio" (si tratta cioè di olio parzialmente bruciato e a volte misto a fuligine di camino) o con grasso di capretto, di agnello, di vitello o di altri animali purché vergini. Con il dito indice destro il "masciaro" massaggia leggermente la parte sede del "male" pronunciando le parole:

"Male viente male viente
male viente maleditte
fuusce 'ndo mare
vattinne a nneca'
a sta carne beneditte
non hai niente a cche fa'".

"Male vento male vento
male vento maledetto
fuggi in mare
vai ad annegare
a questa carne benedetta
non puoi fare alcun male" .

Non è regola, in questo caso, pronunciare il Pater, l'Ave e il Gloria. Alcuni però lo ritengono fondamentale. L'esperto del mio paese era solito pronunciarle, mentre una sua collega di Mauro (un rione del mio paese) mi ha detto che potevano essere omesse.
Si conoscono altre formule (a me non note) che vengono pronunciate per curare detto male. Sono importate da paesi vicini o dal litorale ionico, probabilmente di origine orientale, non completamente recepite dalle comunità collinari o in particolare dagli esperti del mio paese.
Desidero precisare che molto simile è la cura della orticaria e di altre affezioni cutanee, tranne la "resibele" che ha bisogno di una cura tutta particolare.

Resipela

Gli strumenti terapeutici dei quali si serve il "masciaro" per curare questa affezione sono una moneta d'oro e una d'argento.
Strofina sulla parte malata prima la moneta d'oro e poi quella d'argento pronunciando le parole:
"Ij te fulmene resibele
tu ca si russe come 'na rose
pungente come 'na spine
e lucente come lu mare
ij preghe a S. Nicole
e te passe argiente e ore".

"io ti fulmino resipela
tu che sei rossa come una rosa
pungente come una spina
e lucente come il mare
io prego S. Nicola
mentre ti strofino argento e oro".

Dopo aver più volte segnato la parte malata con le due monete con il dito pollice si fa il segno di Croce sulla parte malata ripetendolo tre, sei o nove volte.
Vi è anche un'altra versione:
"Resibele cannarute
da vernedija tu si ssute
da sabbate si cresciute
da vernedija te ne se ggíute".

"Resipela golosa
di venerdì sei spuntata
di sabato ti sei sviluppata
di venerdì te ne sei andata".

Queste parole vanno pronunciate sempre dopo aver strofinata la parte con oro e argento.

Scabbia

Anche la scabbia, la tigna e l'alopecia hanno una loro terapia. Il "masciaro" prepara, in un piatto mai usato, una pozione composta di olio di oliva, urina del malato e succo di cedro (citrangulo). Questo farmaco viene spalmato sulla parte malata recitando una formula misteriosa:
"Quanne S. Pietre a Roma scigua
a Cristo truvaj pà vjia
Pietro che hai ca chiange?
Cristo mij tengho 'a rugna
e 'a capa pennata
e da tutti so' stattisciate
Cristo rispose:
pigghia l'uogghie e 'u pisce
e 'a rugna t'è passate".
"Quando S. Pietro a Roma andava
Cristo trovò per la strada
Pietro che hai che piangi?
Cristo mio ho la scabbia
e l'alopecia
e da tutti sono schifato
Cristo rispose:
prendi l'olio e l'urina
e la scabbia ti è passata ".

Questa terapia è usata anche per tutte le altre malattie del cuoio capelluto e altri mali simili.

Tenia

Per far scomparire la tenia dal corpo di un bambino si recita, mentre si strofina la pancia dell'ammalato:
"Domenica de Pasche
u verma casche
a llu nome de Maria
tagghiate sia".

"Domenica di Pasqua
il verme casca
al nome di Maria
allontanato sia".

Si pongono poi sulla guancia del bambino, sulla punta del piede e sul collo degli spicchi d'aglio facendo nello stesso tempo odorare dell'aceto.

Malaria

La malaria sino a venticinque anni fa, nelle zone della Lucania di altitudine non molto elevata o in quelle in prossimità di zone paludose con acque stagnanti, era un male che mieteva molte vittime tra la popolazione e incuteva profondo terrore per le sofferenze che arrecava.
L'infestazione malarica si manifestava con eccesso di febbre preceduta da intenso brivido, che a volte cessava dopo alcune ore, per riapparire più tardi in forma ancora più violenta.
Spesso la febbre si manifestava solo a giorni alterni (è questa la famosa febbre detta terzana) o altre volte ogni due giorni (febbre quartana).
La malaria determinava nell'individuo uno stato di deperimento detto tecnicamente cachessia malarica che si manifestava con il colore giallo terreo della cute, un ingrossamento della milza, prostrazione generale e che nei casi perniciosi portava a morte.
Non sempre la medicina tradizionale riusciva a curare e guarire questa malattia, e ciò sino a quando non se ne scoprì, ad opera di geniali studiosi medici italiani, la causa e quindi i rimedi.
Come è noto, la bonifica delle paludi e principalmente la diffusione in Italia del D.D.T. ha completamente debellato questa malattia in quanto ha distrutto il protozoo, il "plasmodium malariae" che penetrava nell'organismo umano ad opera di alcune specie di zanzare "anopheles" le quali succhiavano il sangue degli uomini affetti da malaria ed inoculavano il plasma dei malati ai sani.
La malattia dai contadini era chiamata "febbre d'aria" in quanto si credeva che il malessere fosse causato da correnti d'aria.
Il rimedio empirico era vario. Il "masciaro", chiamato al capezzale del malato, chiedeva un filo sul quale praticava tre nodi, due alle estremità del filo ed uno al centro. Questo filo veniva appoggiato sul corpo del malato. Nel fare i nodi ed a fior di labbra, cioè senza far capire le parole, pronunciava una formula misteriosa:
"T'attaccha terzana
t'attaccha quartana
e freva d'aria".

"Ti attacca terzana
ti attacca quartana
e febbre d'aria".

Durante la malattia intanto il paziente, su prescrizione del "masciaro", doveva provvedere a raccogliere, in un recipiente mai usato, per tre giorni e tre notti tutta l'urina emessa. Prima del sorgere del sole, al terzo giorno, il malato si doveva recare in un posto da dove si vedesse il sorgere del sole (al rione Castello del mio paese vi è una località chiamata "diret a mort" - dietro la morte) e con le spalle rivolte al sole nascente e tenendo con la mano sinistra il recipiente contenente l'urina, doveva gettare la stessa verso il sole, pronunciando contemporaneamente la formula:
"Santa Tome d'alto mare
famma passa'
fridde, freve e quartane
ij so' 'nu cristiane
a freve d'aria maleditte
lassa sta' sti carne beneditte
'a prima domenica ca vene
non vogghie pruva' chiù freve".
"Santo Toma d'alto mare
fammi guarire
dal freddo, febbre e quartana
io sono un cristiano
febbre d'aria stai lontana
febbre d'aria maledetta
lascia stare queste carni benedette
la prossima domenica
non voglio provare più febbre".

Come abbiamo detto la malaria procurava un'alterazione anche della milza. Per la cura della milza malata ed ingrossata si usava un filo con nodi che si appoggiava sul corpo dell'ammalato e si pronunciava la formula:
"Meuza, meuzone
vattinne a 'nu cantone
meuza, meuzone".

"Milza, milza ingrossata
vattene in un cantone
milza, milza malata".

Rimedio terapeutico - L'abbitino

Non è raro che al momento della nascita il bambino venga alla luce avvolto da una membrana detta in dialetto "camicia" (7) che avvolge quasi l'intero neonato.
La madre del piccolo nato avrà cura di riporre detta membrana in un sacchetto di tela che sarà posta al collo del neonato. Il talismano così composto preserva il soggetto per tutta la durata della sua vita contro ogni evento di mala sorte.
Tra gli oggetti che si annoverano portatori di fortuna (o a volte protettori da mala sorte) sono alcuni brevi (8) religiosi che contengono la cera caduta dalle candele che si portano fuori la porta della Chiesa la notte di Natale o dalla candela di Pasqua.
Naturalmente vi sono brevi dichiarati taumaturgici dalla Chiesa (9) e di quelli, in questa sede, non ritengo far menzione.
Alcuni consigliano brevi che contengono "peli della milogna" cioè peli di tasso, sale, incenso, ruta. I brevi possono essere confezionati dai singoli interessati per ottenere particolari effetti positivi, mentre se preparati dal "masciaro" gli effetti sono indiscussi, dal momento che i brevi dei masciari sono inattaccabili.

MAGIA PATOLOGICA

Gravusia (10)

Lo stato fisico-psichico che di notte rende agitato il sonno di una persona, che presenta fra l'altro anche difficoltà di respirazione, è attribuito all'azione malefica di determinate persone o di "masciari". Questi ultimi procurano uno stato angoscioso e chi ne è colpito prova una sensazione di essere oppresso da un peso collocato nei pressi della regione gastrica-precordiale, come se una persona gravi su questa parte del corpo.
Nell'antichità Incubi e Succubi si designavano gli spiriti maligni che si supponeva venissero a turbare, di notte, le persone e specialmente quelle che avevano fatto voto di castità.
Durante il medio evo furono arsi vivi molti uomini e donne accusati di aver commercio con questi demoni.
Non è lontano (Gesuita Del Rio vissuto tra il 1551-1608) il tempo che si discusse della possibilità da parte di determinati uomini di potersi giovare di questi spiriti.

Pedicata

Per far ammalare un uomo (o una donna) è opportuno individuare con assoluta certezza quale è l'orma che ha lasciato sul terreno.
Per fare questo naturalmente sarà necessario attendere una giornata piovosa. Come è noto, quando il terreno è bagnato, le impronte sono più nette e marcate che non su terreno secco o in ogni caso asciutto.
La persona che avrà intenzione di nuocere all'altro provvederà a prelevare una delle impronte lasciate sul terreno, asportando, con opportuni accorgimenti, una buona parte di terra sottostante l'orma. Il tutto verrà poggiato in una cesta di vimini che viene poi messa nel forno acceso: con il calore la cesta si brucia e l'orma si secca e diventa dura come un mattone. Con tale pratica anche la persona che avrà lasciato l'orma e contro la quale è diretta la magia, andrà incontro a progressivo decadimento fisico, psichico che può portarla alla morte, se non pone rimedio rivolgendosi al "masciaro".

MAGIA PREVENTIVA

La setola

Per sapere se una persona ha detto il vero o se un fatto è vero o comunque per avere una risposta nel dilemma tra si e no, si ricorre alla "setola". Si ricorre alla setola anche per fare una diagnosi.
La "setola" è un crivello, un setaccio che si usa per separare la farina dalla crusca. Si pone il dito indice sinistro al centro del setaccio e contemporaneamente si formula la domanda in forma interrogativa. Se il setaccio si muove a destra o a sinistra o si gira su se stesso la risposta è positiva, se sta fermo allora è negativa.
Si ricorre a questo metodo anche per "scoprire" la infedeltà di una persona, per scoprire chi ha rubato una certa cosa e per scoprire tante altre cose che... sarebbe difficile enumerare.
La "setola" può essere anche usata in questo modo: viene introdotta una forbice nel foro che ha sulla parte di legno; dopo aver proposto la domanda se la setola gira allora si ha "certezza" che la risposta è affermativa.
Mi dispiace deludere coloro i quali hanno sempre creduto nei poteri della "setola" di dare risposta certa a fatti incerti. Non era la "setola" che si muoveva spontaneamente quando veniva "interrogata" ma era "l'operatore" che, giudicata razionalmente vera una delle ipotesi che si sottoponeva sotto forma di domanda alla "setola", o per interesse o perché la riteneva effettivamente vera o per una miriade di motivi, imprimeva abilmente, senza farsi accorgere, un leggerissimo movimento e la setola si muoveva "dicendo la verità".

MAGIA D'AMORE

Non sempre le aspirazioni o i pronostici sentimentali riescono ad avverarsi.
Ogni ragazza aspira a sposare l'uomo che, forse, ha desiderato sin dalla prima adolescenza; e viceversa un uomo non riesce a ricevere dalla fanciulla che ama un sorriso, uno sguardo eloquente che nella nostra terra lucana è il primo e il più bel segno di una corrispondenza di sentimenti amorosi e che, qualche volta, diventa addirittura la promessa di futuri affetti.
A volte è così prepotente il desiderio d'impalmare la persona amata senza essere corrisposti che, dopo aver ricorso a tutti i mezzi comuni, a lusinghe, a promesse, attenzioni, senza riuscirci, si ricorre alla fattura.
Erano considerate persone altamente specializzate a fare la "mascia" (fattura) le zingare, che di tanto in tanto giravano in carri trainati da bestie e si fermavano in paese per barattare oggetti di ferro o zinco battuto (coperchi, paletti di ferro, uncini) con olio ed altri prodotti agricoli.
Unitamente all'attività dello scambio, le zingare esercitavano quella di indovinare la sorte alle persone e di fare la "mascia".
Oltre a queste operatrici occasionali vi erano alcuni o alcune - non molte - indigene che esercitavano, con successi più o meno tangibili, la stessa arte.
È regola generale che, quando si nominano o si parla dei "masciari", per non essere presi di mira da questi, si deve pronunciare la seguente formula magica:
"Chiumme alle recchie lore
goscie jé sabbate".
"Piombo alle loro orecchie (siano sordi)
perché oggi è sabato".

Di sabato infatti i masciari non possono esplicare alcuna attività in quanto non sarebbe valida (11). La formula deve essere pronunciata sempre, anche se non è sabato.
Tra le attività di maggior rilievo del "masciaro" è quella di comporre filtri amorosi.
La sostanza più usata dal "masciaro" sono le ossa di persone decedute per morte violenta o in alternativa di un suicida. Queste ossa vengono finemente tritate in un mortaio, la polvere viene riposta in un recipiente il quale, almeno una volta, deve essere portato in Chiesa mentre si celebra la S. Messa.
Questa sostanza base viene usata per i filtri che servono per fare innamorare l'uomo o la donna indifferentemente.
I filtri d'amore destinati all'uomo oltre alla sostanza già citata sono composti di: sangue catameniale (alcune gocce), di secrezione delle ghiandole del Bartolino, alcuni peli delle ascelle o del pube, un po' di sangue (tre gocce) prelevato da un dito della mano sinistra o dal braccio sinistro. Questa pozione deve essere ingerita dall'uomo che si vuol fare innamorare, mescolata nel cibo. Può essere usato anche soltanto sangue catameniale mescolato a qualsiasi bevanda ma gli effetti non sono sicuramente efficaci; è solo un palliativo che, talvolta, si crede che produca i suoi effetti.
Per preparare il filtro destinato a far innamorare la donna l'unica variante è quella di sostituire sperma al posto di sangue catameniale ed omettere, ovviamente, la secrezione delle ghiandole del Bartolino.
Vi è poi il metodo della "capisciola" (la capisciola è una fettuccia nera - per alcuni rossa - che veniva intrecciata insieme ai capelli e serviva per legare questi e tenerli ben fermi in testa). In determinate feste dell'anno, solitamente a Natale, Pasqua, S. Michele, S. Rocco, la donna prende una capisciola e, mentre suona, all'alba, la campana per la prima Messa, deve fare tanti nodi quanti sono i tocchi della campana (mi sembra siano trentatré).
Mentre si fanno i nodi si devono pronunciare queste parole:
"Fuoche de ciele fuoche de terre
ij agge fa' da vita tuija 'a mija
Gese Criste ma dda aiuta'
a mi t'haija attacca'
e de l'ate t'haije a scurda'".
"Fuoco di cielo fuoco di terra
io debbo fare della tua vita la mia
Gesù Cristo mi deve aiutare
affinché tu ti attacchi a me
e delle altre ti devi dimenticare".

Dopo aver pronunciato per almeno tre volte queste parole si devono recitare un Pater, un Ave Maria e un Gloria al Padre.
Vi è anche un altro metodo per fare la "mascia" d'amore. Non sono sicuro se questo metodo sia indigeno o importato, ma propendo più per la seconda ipotesi. Il masciaro va a prendere al Monte Calvario (12) un po' d'argilla, possibilmente già bagnata, mentre pensa intensamente al destinatario della mascia, dà a questa argilla la forma di un essere umano, fa un "pupiciello". Dopo aver impresso, a grandi linee, una certa forma umana alla creta, la si appoggia su di un tavolo dove si trova una immagine sacra (Madonna del Pozzo o di Viggiano) e nella parte dove è situato il cuore vengono introdotti una miriade di aghi e di spilli acuminati. Mentre compie questa operazione il "masciaro", con il pensiero, esorta Tizio ad amare Sempronia e viceversa.

Frasca inquisitrice d'amore

Non sempre si potevano aver colloqui con la persona che si corteggiava; indicativi erano gli sguardi e qualche sorriso.
Il giovane o la giovane per sapere se era corrisposto in amore ricorreva alla "frasca". La "frasca" è la foglia di una pianta (13) a forma di borsa, che contiene un liquido che, in genere, veniva espulso. La foglia veniva legata in modo molto stretto al polso del presunto innamorato. Dopo alcuni giorni, se la frasca provocava una bolla del tutto simile a quella provocata da una scottatura, allora l'amore non era corrisposto; se invece provocava un semplice arrossamento, allora si poteva essere certi dell'amore.
Nell'applicare la "frasca" si doveva recitare una formula che non ricordo.
 

lll

NOTE

1) Quanti sono i "masciari" in Lucania? Quanti cittadini si recano ogni giorno dai masciari a chiedere loro prestazioni, a confidare i propri dolori fisici e morali, le speranze? Non so rispondere a questa domanda. Una sola cosa è certa che il numero dei masciari si va sempre assottigliando. Da adolescente mi è capitato di parlare con alcuni di essi e quando sono andato a far loro visita sono stato sempre ricevuto con gentilezza ma con un certo sospetto.
Con animo scevro da trepidazione e da paura ho incontrato i masciari soltanto per conoscere e capire qualcosa del loro mestiere che, siamo sinceri, incuriosisce.
Una recentissima decisione del Consiglio di Stato (11-2-1975 n. 95) ha stabilito, pur se in riferimento alla fattispecie più complessa della legge 27-12-1956 n. 1425, che "nessuna norma del vigente ordinamento vieta l'esercizio della chiromanzia e delle attività divinatorie connesse o analoghe (astrochiromanzia, radiostesia, psicographologia, magnetismo-magia) trattandosi di attività lecite, purché siano svolte nell'assoluto rispetto delle norme di legge specialmente penali". Si tratta di una sentenza - credo - unica ma che non persuade non sotto il profilo "magico" ma giuridico e ciò in riferimento alla normativa vigente che - a mio avviso - dovrebbe essere interpretata in modo diverso e difforme dalla sentenza prima citata.
Infatti basta leggere l'art. 121 ultimo comma R.D. 18-6-1931 n. 773 T.U.P.S. il quale vieta il mestiere di ciarlatano.
Cosa è il mestiere di ciarlatano? A questa domanda risponde l'art. 231 R.D. 6-5-1940 n. 635 Reg. di Esecuzione a T.U.P.S. il quale dà una interpretazione di questa legge affermando che sotto il mestiere di ciarlatano ai fini dell'applicazione dell'art. 121 T.U.P.S. U/C si comprende ogni attività diretta a speculare nell'altrui credulità o a fruttare ed alimentare l'altrui pregiudizio, credenza, come anche gli indovini, interpreti di sogni, cartomanti, coloro che esercitano giochi di sortilegio, incantensimi, esorcismi o millantano o affettano in pubblico... o magnificano ricette e specifici cui attribuiscono virtù straordinarie o miracolose". Aggiungesi, poi, che l'art. 661 C.P. ha come titolo "abuso della credulità popolare" che non trascriviamo e a cui rimandiamo la lettura a chi ne fosse interessato. Desidero però rilevare che, da questo complesso di leggi vigenti, considerate in modo veramente sommario, si deve concludere che la sentenza del Consiglio di Stato non può trovare dal punto di vista giuridico un'approvazione proprio perché le vigenti leggi non consentono le attività che implicitamente la Curia speciale permette.
Non posso, però, tacere ed ignorare che alcune delle attività sopra richiamate e che attengono a fenomeni parapsicologici, stanno raggiungendo dignità di scienza (qualche Università ha introdotto alcuni corsi di queste materie nei programmi ufficiali di insegnamento). Non posso, altresì, tacere ed ignorare che l'art. 41 della Costituzione stabilisce la libertà della iniziativa economica e l'art. 33 rivendica la libertà della scienza e dell'arte e ne rivendica, ancora, il libero insegnamento.
Ma è una scienza? Secondo alcuni, anche qualificati nel campo scientifico internazionale e degni della nostra stima, affermano, senza ombra di dubbio, che è scienza. Il problema è complesso e non posso in questa sede elencare e spiegare i consensi ed i dissensi e le ragioni addotte dagli interessati.
Dal punto di vista giuridico però sino a quando le leggi sono operanti e non vengono modificate, abrogate o dichiarate incostituzionali esse devono essere osservate e fatte osservare.
Ho espresso il mio pensiero solo in rapporto alla legittimità o meno di certe attività ma non sono in grado di esprimere alcun giudizio sulla vera essenza (pur essendo certo che esistono veri e propri ciarlatani mentre non possiamo negare che alcuni trattano l'argomento partendo da presupposti positivi e scientifici) che alimenta questa "scienza".
È certo una sola cosa che, una primaria importanza forse l'unica, riveste la componente psicologica su cui fa leva ed agisce detta "scienza".
Con questo non credo di aver risolto il problema che mi riservo e mi auguro di sviluppare in altra sede.
2) Vi è un'altra credenza che tali poteri vengano trasferiti nell'istante del trapasso tra la vita e la morte del "masciaro" stringendo questi la mano della persona cui vuole trasferire i suoi poteri. In Lucania tutti "i masciari" da me conosciuti espletano "l'arte" senza tornaconto ed in perfettissima buona fede, così come la trasferiscono.
3) E' il caso di chi, vedendosi, mentre guida, un gatto nero attraversare la strada, lascia lo sterzo per fare con le mani lo scongiuro. Se questi, come ovvio, va a cozzare contro il muro, si convince sempre più che è stato il gatto nero a portargli "iella".
4) VIRGILIO, Ecl., 7, 28: "... ne vati noceat mala lingua futuro"; CATULLO, Carmina, VII, 12: "...possint nec mala fascinare lingua".
5) Si dice anche "fora affascina" oppure "fora maluocchie". Il praefiscine (prae- e fascinum) = quod sine fascino sii, senza che venga male (per evitare il fascino che poteva venire dalle troppe lodi dette di sé o ricevute). GEORGES CALONGHI, Dizionario della Lingua Latina, Vol. I, Ed. 1938, pag. 2100.
6) Detta nel linguaggio medico: impetigo erpetiforme.
7) La "camicia" è rappresentata dall'involucro amniocoriale che alcune volte può essere espulso quasi per intero con il neonato.
8) Sacchetto di stoffa contenente reliquie o altro materiale da portarsi al collo per devozione o per rimedio a mali.
9) È opportuno accennare all'uso, non solo lucano, di vestire con abiti religiosi i bambini i quali hanno ricevuto una Grazia, assecondando così un voto fatto dai genitori o da altro familiare.
10) Dal greco grauz‑aoz - vecchia.
11) Vedi Enc. Pompa, pag. 865, vol. II. Sabbato o Sabba era detto nel Medio Evo dalla superstizione popolare la notturna tragedia che stregoni e streghe tenevano alla mezzanotte del sabato con a capo Satana.
12) Collina argillosa che si eleva per circa 200 metri dalla rotabile che attraversa l'abitato.
13) Ignoro il nome della pianta. Oggi, forse, non sarei neppure in grado d'individuarla.
 

 

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