La Repubblica Moliternese del 1799
Con l'avvento napoleonico e la sua politica di espansione rivoluzionaria
uscirono dai confini della Francia i principi di libertà, uguaglianza e
fraternità, sostenuti dai fautori della Rivoluzione Francese e penetrarono
profondamente negli Stati della vecchia Europa. Le nuove idee si diffusero
rapidamente e portarono un'atmosfera di profondo rinnovamento. Ai principi
della Rivoluzione Francese fu improntata infatti tutta la storia del XIX
secolo nell'ambito della quale fu dato un notevole impulso alle riforme
sociali ed anche alla diffusione delle idee illuministiche.
È in questo clima che nacque la Repubblica Partenopea, che intraprese
un'opera legislativa notevole contro i privilegi del clero e della nobiltà
feudale. I patrioti napoletani, un'élite della nobiltà e della borghesia,
nutrita di cultura illuministica, non seppero attuare una politica sociale
energica a favore delle grandi masse contadine e queste, irritate dai
saccheggi francesi, risposero con l'antica arma del brigantaggio, finendo
per vedere, sia nei francesi sia nei patrioti, dei nemici. La Repubblica
Napoletana restò una Repubblica di pochi illuminati intellettuali detestata
dalle masse.
Del malcontento approfittò il cardinale Ruffo, consigliere del re Ferdinando
IV, rifugiatosi in Sicilia, dove era protetto dalla flotta inglese. Il
cardinale radunò in Calabria un esercito di contadini inalberando la Croce,
segno della Santa Fede (da cui il nome di San Fedista) e prese a risalire
verso Roma. Egli seppe dare inoltre ai Sanfedisti obiettivi sociali precisi,
sopprimendo le imposte decretate dalla Repubblica e permettendo ai suoi di
saccheggiare ì castelli dei nobili. I francesi tentarono di fermare questa
armata contadina ma, costretti a ritirarsi da Napoli, per concentrare le
loro forze contro la minaccia di una coalizione europea, finirono per
lasciare libero il campo ai Sanfedisti. I patrioti, che non riuscirono a
fuggire, pagarono con la vita il loro tentativo di instaurare un regime
Repubblicano, infatti la monarchia restaurata attuò con determinazione una
spietata e vendicativa repressione.
Anche a Moliterno pervennero le notizie della proclamazione della Repubblica
a Napoli, avvenuta il 24 gennaio 1799, e della fuga della Corte in Sicilia,
infatti, non appena si seppe che a Potenza ed in diversi altri paesi della
Basilicata erano stati piantati gli alberi della libertà, anche il popolo
moliternese incominciò a muoversi in favore della Repubblica.
In quel periodo a Moliterno si trovava come giudice di pace un certo signor
Gallotti, nativo di Lagonegro, ed il governo del Comune era tenuto dal
signor Michele Arcangelo Parisi, detto Michelone, e dal Sindaco Giuseppe
Albano, "uomo dappoco", come afferma il Valinoti Latorraca, ma comodo e
fedele servitore del Parisi. Quest'ultimo, fratello del generale Giuseppe
Parisi e del colonnello Luigi Parisi, nonché di due altri magistrati Nicola
e Lelio Parisi, era un uomo di vasta cultura e di temperamento tranquillo
ma, in casi particolari, era alquanto vendicativo. Egli aveva un notevole
ascendente sulla società moliternese e tutti ubbidivano ai suoi ordini.
Egli, quando si rese conto del diffondersi anche a Moliterno delle idee
repubblicane, simulò un malore per giustificare le sue dimissioni da capo
eletto. Alle sue dimissioni seguirono quelle degli altri eletti e del
Sindaco Albano.
Le idee repubblicane, sorte spontaneamente tra i moliternesi, come
solitamente accade presso le popolazioni oppresse, vennero, di nascosto,
sostenute dai fratelli D. Giuseppe Paolo, D. Michele Arcangelo Del Monte, da
D. Domenico Tempone, avvocato e cultore di scienze fisiche e filosofiche e
dall'avvocato Domenico Cassini. Quest'ultimo, spinto dal Tempone, parlò
spesso al popolo ed, in breve tempo, ciò che prima era aspirazione di pochi,
divenne desiderio di tutti, infatti, i moliternesi si mossero al grido
generale di "Viva la Repubblica". Il Parisi e il Gallotti , guidati da
grande prudenza, non si opposero alla volontà del popolo, ma consigliarono
alla folla di eleggere un Sindaco per far si che ci fosse un'ordinata e
legale proclamazione del Governo Municipale. Il 15 febbraio 1799 furono
dunque eletti Pietro Mastrangelo fu Giacinto e Anna LapaduIa, commerciante
di pecore, come Sindaco e Pietro Orlando fu Paolo e fu Margherita Cassino,
vetturino e commerciante di formaggio, come Capo Eletto. In questo stesso
giorno, mentre suonavano le campane e venivano esplosi dei mortaretti,
furono piantati gli alberi della libertà.
L'astuto Parisi, consapevole che quella Repubblica fosse "un sogno di pochi
inesperti", con i suoi modi apparentemente docili, fece si che gli alberi
della libertà non fossero piantati nella piazza principale del paese, né
davanti alla Chiesa Madre ma nella piazzetta del Seggio, di fronte
all'abitazione del Sindaco Mastrangelo e nella piazzetta nei pressi della
Chiesa della Trinità, che allora era adibita a Parrocchia, a causa dei
lavori di ampliamento della Chiesa Madre e fece questo, per poter
dimostrare, in ogni evenienza, che il paese era diviso in due fazioni. La
Repubblica Municipale ebbe una durata di soli quaranta giorni ed il Galotti,
rimase a Moliterno come giudice senza compiere in questo tempo alcun atto di
giustizia. Il Sindaco Mastrangelo ed il capo eletto orlando, sebbene
analfabeti, mantennero sempre un certo ordine tra la popolazione, non furono
ammesse violenze né abusi ed il popolo fu soddisfatto di questo governo.
Il Parisi, da parte sua, attendeva il crollo di questo regime poiché
riteneva che quella Repubblica era un sogno di folli e di inesperti e
tollerò questa situazione solo perché era fermamente convinto che aveva vita
breve e perché voleva evitare ulteriori mali al paese. È molto probabile che
la municipalità repubblicana moliternese, proprio perché clandestina ed
innocua, era riuscita fino ad allora a sottrarsi alle attenzioni di forze ed
iniziative controrivoluzionarie esterne, che avevano già colpito i paesi
limitrofi.
Il Parisi, non appena seppe della marcia del Cardinale Ruffo verso Roma e
delle azioni di repressione compiuti a Potenza ed in altri luoghi della
Basilicata, invitò a Moliterno un certo Rocco Stoduti, seguace del Ruffo, e
gli affidò il controllo della situazione. Lo Stoduti, nativo di San
Cristoforo nel Cilento, fu destinato dallo stesso Ruffo ad attuare la
repressione nella zona compresa tra Sanza, Policastro, Lagonegro e
Marsiconuovo. Egli giunse la sera del 26 marzo 1799 nel bosco Faggeto,
preceduto da avanguardie presso la taverna del Curcio, e si accampò, insieme
ad un gruppo di circa quattrocento persone, che lo seguiva, intorno alla
cappella di San Francesco d'Assisi, sulla collina del Seggio e lì, durante
la notte, incontrò il Parisi, l'arciprete, il giudice, il Sindaco ed il Capo
Eletto. Lo Stoduti fu presentato agli ingenui Mastrangelo ed Orlando come un
generale dell'esercito mandato dal Re per il bene di Moliterno, in seguito a
varie incitazioni da parte del generale Parisi. Nel corso della riunione si
stabilì che Moliterno non doveva essere sottoposta ad alcun saccheggio, non
si dovevano effettuare arresti ma che prima dell'alba dovevano essere
abbattuti gli alberi della libertà e dovevano essere sostituiti, da una
croce. Si stabilì, inoltre, che si dovevano suonare le campane ed i
sacerdoti ed i frati dei due conventi dovevano cantare un "Te Deum" per il
Re alla presenza di tutte le autorità e dei galantuomini. Il Sindaco
Mastrangelo fu costretto a dimettersi, mentre si diede la possibilità di
rimanere in carica al Capo Eletto Orlando. Fu nominato come nuovo Sindaco il
giovane avvocato Domenico Cassini, con l'obbligo di parlare al popolo in
favore della monarchia Borbonica.
L'indomani, il 27 marzo, tutto si svolse come concordato, i patti vennero
tutti rispettati e le truppe non si mossero dal Seggio, dove ricevettero dal
popolo moliternese cordiali trattamenti. Si raccolsero, intanto, nella
Chiesa della Trinità tutti i preti, i frati, le autorità civili, i
galantuomini, lo Stoduti con una parte dei suoi seguaci, pochi monelli e
persone vicine a Michele Parisi che, fungevano da popolo, perché la maggior
parte dei moliternesi, timorosi e diffidenti, erano rimasti chiusi in casa,
mentre i più sospettosi si erano nascosti nelle campagne circostanti. Dopo
la solenne cerimonia, il Cassini, nella qualità dì Sindaco, salito sul
pianerottolo della scala esterna dell'abitazione di un figlio del decaduto
Sindaco Mastrangelo, fu obbligato a pronunziare il suo breve discorso nel
quale precisò al popolo moliternese che il Re, sollecitato dal Generale
Parisi, aveva inviato lo Stoduti il quale, in nome del sovrano, prometteva
ai moliternesi perdono, grazie e privilegi. I seguaci dello Stoduti, ad ogni
cenno del Parisi, applaudivano e, dopo uno sparo di petardi, la folla al
grido di "Viva Casa Borbone", si avviò verso la casa del Parisi, nei pressi
della Chiesa di San Pietro, dove era stato allestito un sontuoso banchetto.
Al convito intervenne anche il Sindaco decaduto Mastrangelo, il Capo Eletto
Orlando, il Cassini, i fratelli Del Monte e D. Domenico Tempone i quali
furono tutti obbligati a fare, come si suol dire, buon viso a cattivo gioco.
Lo Stoduti, prima di lasciare Moliterno, volle incontrare il Parisi per
dirgli che, essendo Moliterno il paese nativo del generale Parisi, che
apparteneva ad una famiglia che era stata sempre fedele al Re, era questo un
requisito importante che avrebbe evitato un saccheggio e vendette personali,
ma ciò non era sufficiente per far rientrare la sua legione a mani vuote.
Venne così pattuita una taglia di quattromila ducati, che corrispondevano a
dieci ducati per ogni legionario, l'accordo venne concluso in casa Parisi,
senza pesare economicamente sulla popolazione, furono utilizzati, infatti, i
soldi di una colletta ricavata da alcune vendite e che doveva essere
utilizzata per la ristrutturazione della Chiesa Madre. Lo Stoduti, dopo aver
salutato il Parisi, il Gallotti, l'arciprete e D. Stanislao, un altro
fratello del Parisi, partì a sera inoltrata con i suoi quattrocento militi,
portando con sé vino, formaggio e salami, offerti loro, spontaneamente, dal
popolo moliternese. Lo Stoduti, prima di lasciare Moliterno, scrisse una
lettera al Cardinale Ruffo e la consegnò al Parisi, sicuro che gliela
avrebbe fatta recapitare, ed in essa precisava che Moliterno e le campagne
circostanti erano tranquille e fedeli al Re e che si era recato lì solo per
una ricognizione.
Ebbe fine così la Repubblica Moliternese che fu, in seguito, denominata dal
Valinoti Latorraca una "Repubblica in Partibus e Clandestina", perché figlia
di un compromesso tra la mente e il cuore del Parisi e che poi, per
l'instabilità e la caducità degli eventi e dei tempi fu interesse di tutti
non lasciare traccia negli atti pubblici, tanto era il terrore che
suscitavano le forche di Napoli e le stragi che vennero perpetrate in altri
luoghi del Reame, dopo la caduta della Repubblica napoletana.
Dei dodici "rei di Stato" moliternesi, ritenuti colpevoli di aver opposto
resistenza ai realisti che volevano spiantare l'albero della libertà da loro
piantato con entusiasmo, nessuno fu incarcerato, mentre i soli Paolo e
Vincenzo Parisi fruirono dell'indulto. Subirono iniziali atti di sequestro
cinque cittadini moliternesi, oltre al principe D. Girolamo Pignatelli che,
come capitano del popolo, si era segnalato per il coraggio con cui aveva
guidato la presa di castel Sant'Elmo il 22, gennaio 1799, giorno in cui fu
proclamata la Repubblica Napoletana. La locale vita amministrativa e civile
proseguì abbastanza tranquilla, eccezion fatta per l'assassinio dell'armiere
Michele Grippi, che avvenne la sera del 12 ottobre 1800, unico fatto di
sangue ritenuto conseguente alla Repubblica moliternese del 1799, questi,
fedele seguace del Parisi, fu ucciso da mano ignota sulla via Nazionale,
all'angolo del vicolo storto San Biagio, egli era diventato assolutamente
intollerabile per i continui insulti che rivolgeva a tutti coloro che
avevano preso parte ai movimenti del 1799, mentre, nel contempo, sollecitava
la folla a gridare "Viva il Borbone".
La breve esperienza repubblicana mise Moliterno in grave pericolo, un
pericolo che fu scongiurato dal Parisi il quale seppe trovare il mezzo meno
dannoso per evitare gravissime sciagure al paese.
In seguito al rientro della Corte a Napoli dalla Sicilia, Rocco Stoduti fu
nominato Tenente Colonnello dell'Esercito Borbonico ed ebbe l'incarico
speciale della leva. Egli era solito andare in giro per il salernitano e per
la Basilicata per la formazione dei battaglioni provinciali dei cosiddetti
"miliziotti" che erano addetti alla sicurezza interna e tornò a Moliterno
dal 12 al 21 luglio 1802, come risulta da un documento comunale.
Queste notizie sulla Repubblica Moliternese del 1799 sono state considerate
per lungo tempo delle dicerie popolari, lo stesso Giacomo Racioppi non
scrisse mai nulla su questo argomento, in quanto non trovò mai documenti
d'archivio che parlassero di essa. Solo, in seguito, il Valinoti Latorraca
ricostruì tutta la storia della Repubblica Moliternese rifacendosi a
documenti privati come alcune carte di D. Domenico Tempone ed una lettera,
scritta da D. Michele Vincenzo Parisi all'avvocato D. Nicola Doti nel 1839. |