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Trivigno - Dal Medioevo all'età Contemporanea
Raffaella Brindisi Setari
 

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INDICE

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Capitolo Primo

ETA' MEDIOEVALE

Il feudo di Trivinea, aspetti sociali, economici, religiosi

1. L'abitato di Trivigno è ubicato su un colle posto a 735 m. sul livello del mare, alquanto inaccessibile da est e da sud-est, sulla destra del fiume Basento, circondato da alti monti di suggestiva bellezza, solcati da torrenti che scendono verso il fiume; a ovest il vallone Brutto parte dalla cima del monte Cute a 1190 mt., congiungendosi quasi alla fine con quello di San Giovanni, delimita il confine con Brindisi di Montagna; a est il torrente Camastra segna quello con Castelmezzano; infine a nord-est il vallone dell'Inferno, per un breve tratto, separa i territori di Trivigno da quelli di Anzi. Il nucleo antico dell'abitato, risalente alla fine del 1500, corrisponde alla parte più elevata del paese, l'attuale piazza IV novembre; lì furono costruiti i primi edifici, simboli della comunità e dell'autorità feudale: la Chiesa Madre di San Pietro Apostolo e il palazzo dei Carafa, Marchesi di Anzi e di Trivigno, Principi di Belvedere.
In una prima fase l'insediamento urbano si sviluppò verso est nei rioni Tempone, Pulmunara, Coste difesi naturalmente da alte rocce, poi verso ovest lungo un'unica direttrice che seguiva il declivio scosceso del colle. Su tale asse s'innestano tutte le altre strade che si addentrano con viuzze (arresa), passaggi e archi, questi ultimi costruiti per sostenere le abitazioni che, nel corso del tempo, si sono andate addossando l'una all'altra formando a mano a mano i rioni Furnacett, Pozzo Fetente e Casale che, estendendosi alle falde del costone in un luogo aperto, fu munito di mura (1). Su tale tracciato vennero costruite anche le chiese di San Rocco, di San Pietro Apostolo (chiesa Madre), di Sant'Antuono intra moenia, del Calvario e di Sant'Antonio di Padova extra moenia.
La topografia dell'abitato è rimasta nel tempo invariata, né poteva modificarsi per la sua stessa struttura orografica; dopo il 1960 ha avuto un naturale ampliamento verso il Paschiere con la costruzione dell'edificio scolastico e di nuovi complessi edilizi. Per quanto riguarda il toponimo non è facile stabilire l'origine. Per il Racioppi: "il nome che aveva il luogo prima di diventare vico o pago, passò al vico o al pago, e vi restò affisso così e traeva origine da una sua specifica caratteristica: qualità del terreno, posizione geografica, una costruzione particolare, o dalle piante presenti come la vite che nel Medio Evo doveva essere rara in Basilicata e, per tale singolarità, dette origine a molti nomi topografici" (2).
Trivigno deriva da Trivinea, nome con cui il feudo è menzionato per la prima volta nel Registro dei Baroni del XII secolo (3). È parola senza dubbio composta, il tri potrebbe essere una contrazione di trilla, trela o trila, cioè cancelli ingraticciati da cui il francese treille. Il trilata vinea del basso latino era una vigna sostenuta da pergole; da tale nome derivò quello di trilvinea cioè pergolato o più precisamente ordini di viti che stendono i tralci su pertiche orizzontali o si legano ad arbusti di pioppo capitozzato (4).
Durante la dominazione aragonese nel quadro del riordino delle province del regno furono inventati gli stemmi che le distinsero e le disegnarono nel linguaggio grafico del blasone; nel tempo si diffuse l'uso e nel 1600 tutte le Terre e le città ne furono dotate (5). L'Arma di Trivigno riproduceva in campo azzurro tre monti: sul medio un abete, sugli altri due arboscelli (6) (fig. 1). Tale stemma è presente nel fastigio posto alla sommità della cassa di risonanza dell'organo della Chiesa Madre, risalente al 1753 (7) ed è riportato nell'Album offerto dalla Provincia di Basilicata al Re e alla Regina d'Italia in occasione della loro visita a Potenza nel 1882 (8), sul monumento ai Caduti della I guerra mondiale sito nella piazza IV Novembre ed in un timbro custodito nell'archivio comunale.
L'attuale stemma, così come è riprodotto anche sul gonfalone (9), disegna in campo azzurro tre vigne o riti di verde, piantate su tre cime di un monte dello stesso, e fruttate d'oro. Tale Arma, definita agalmonica, è stata elaborata da Giuseppe Gattini all'inizio del XX sec. con l'intento di richiamare l'origine del nome del paese (10) (fig. 2).
2. Le prime notizie sul feudo di Trivinea risalgono al periodo normanno, tra la fine del 1000 e il 1150.
I Normanni sono presenti in Basilicata, nella Contea di Melfi fin dal 1043 con Guglielmo d'Altavilla; alla sua morte i figli, Ruggero e Roberto, detto il Guiscardo, ne accrebbero il dominio, il primo a sud fino in Sicilia, il secondo estendendosi verso nord.
Nel 1101 a Ruggero I successe Ruggero II (1101-1154) che riunì i vari territori e si fece incoronare a Palermo re di Sicilia e di Puglia. Era rappresentato in ogni regione dai Camerari che esercitavano il potere finanziario e civile, e dai Giustizieri che amministravano la giustizia. Il Re, secondo il sistema feudale importato dalla Francia, concesse in vassallaggio, dietro giuramento di fedeltà, molte terre a militari e a ecclesiastici. In base al valore del feudo, la cui rendita non doveva essere inferiore a venti once d'oro, veniva stabilito anche la prestazione di una data quantità di militi (11). Per rendere l'amministrazione statale più efficiente nel 1150 vennero istituiti i Defetari (registri amministrativi) in cui furono annotati e descritti i singoli feudi e i servitia gravanti su di essi. Sulla base di questi dati fu possibile suddividere il regno in Comestabulie (circoscrizioni territoriali), ciascuna delle quali comprendeva una o più contee. Il Re, Guglielmo il Buono (1166-1189), dispose la revisione delle rendite dei singoli feudi e l'aumento del servitium militum a lui dovuto da parte dei feudatari.
Dai nuovi Defetari furono tratti dati e notizie poi trascritti nel
CATALOGUS BARONUM
NEAPOLITANO VERSANTIUM
QUI SUB AUSPICIIS GUGLIELMI COGNOMENTO BONI
AD TERRAM SANCTAM SIRI VENDICANDAM SUSCEPERUNT (12).

Esso fornisce, in parte, i nomi dei feudi esistenti in Basilicata nel sec. XII, la loro consistenza economica e il Barone che era il possessore (13) (fig. 3).
Nella Contea di Tricarico, inclusa nel Principato di Taranto, retta da Ruggero Sanseverino, successo al Conte Goffredo nel 1147 (14), tra i feudi dipendenti dalla Curia Regis risultò tra gli altri anche Trivinea infeudato e concesso alla moglie di Guglielmo Monaco (15) con la prestazione di un milite armato e dotato di cavallo; con l'augmentum si richiesero due militi con tre servientes (16). Da questi dati è possibile dedurre che il feudo di Trivigno dovesse dare almeno una rendita annua di quaranta once d'oro. Nelle terre feudali i villani erano soggetti al feudatario al quale dovevano corrispondere metà della produzione annuale, censi in danaro, giornate lavorative per fare maggesi, seminare, mietere, curare le vigne, prestare manodopera per la costruzione o manutenzione della dimora del feudatario e solo sulle terre incolte potevano esercitare il diritto di pascolo.
3. Dal matrimonio di Costanza d'Altavilla, ultima erede normanna, con Enrico IV di Svevia, nacque nel 1195 Federico. Egli, alla morte di Enrico e di Costanza, fu posto sotto la tutela del Papa e del Consiglio Regio e soltanto nel 1208 riuscì ad ereditare il trono.
Dopo alterne vicende politiche e militari, vari contrasti con i feudatari e con il Papa, pacificato finalmente il regno, nel 1220 Federico venne incoronato imperatore dal Papa Onorio III; nel 1231 emanò le Melfitane Costitutiones Regni Siciliae, con esse lo stato feudale normanno fu trasformato in una monarchia assoluta affermando su tutti, Papato compreso, l'eguaglianza della legge. Federico II, ben consapevole dell'importanza delle opere di difesa, nominò Guidone del Guasto Provveditor Castrorum della Terra di Bari, della Terra d'Otranto e di Basilicata ed emanò disposizioni sulla manutenzione dei castelli a cui le popolazioni interessate erano tenute a provvedere. Per il Castrum di Brundisii de Montana tale compito spettava anche agli uomini di Trivigno, Pietrapertosa, Trifogio e Castelmezzano (17). Alla morte di Federico II (1250) seguì un periodo di gravi contrasti politici.
Corrado, legittimo successore, impegnato a difendere il trono in Germania, lasciò la reggenza dei territori dell'Italia meridionale al fratellastro Manfredi. Questi, alla morte del fratello regnò dapprima in nome di Corradino, legittimo erede; dopo aver fatto diffondere la falsa notizia della morte del sovrano si fece incoronare (1258) re di Puglia e di Sicilia. Il Papato, da parte sua, reclamava il regno di Sicilia come feudo pontificio, non potendolo conquistare direttamente sollecitò Carlo d'Angiò, signore di Provenza, ad accettare l'investitura papale del regno.
Carlo il 6 gennaio 1266 venne incoronato re; il 26 dello stesso mese sconfisse a Benevento Manfredi che trovò la morte in battaglia; tale evento determinò la fine della monarchia fondata da Federico II.
4. Carlo d'Angiò (1266-1285) il 22 aprile 1266 giunse in Basilicata, Lagopesole; pretese che le popolazioni meridionali non solo compensassero coloro che lo avevano seguito, ma tacitassero anche i suoi creditori. Dichiarò nulle e prive di ogni effetto giuridico tutte le donazioni, le concessioni, le locazioni, fatte da Federico II dopo il 7 luglio 1245 e dai suoi figli, Corrado e Manfredi, ad eccezione di quelle da lui confermate (18).
Corradino di Svevia, nel frattempo, decise di scendere nell'Italia meridionale per rivendicare i suoi diritti; a tale notizia la fazione ghibellina, che già aveva appoggiato Manfredi, si riorganizzò e cominciarono a serpeggiare i primi sintomi della rivolta. Gli uomini più qualificati della regione, quali i Conti di Potenza, di Tricarico, di Rivello e molti altri si schierarono contro l'Angioino. Anche nel cuore della Basilicata montana, a Trivigno, Albano, Calvello, Picerno e Muro, operava un altro gruppo di ghibellini (19). La rivolta fallì Corradino fu sconfitto a Tagliacozzo il 23 agosto 1268 e messo a morte sulla piazza del Mercato di Napoli. Carlo punì i conti ribelli e i loro sostenitori ordinando la distruzione di Potenza. Dopo le turbationes temporibus Corradini per sfuggire ad eventuali soprusi da parte degli ufficiali che avevano soppressa la rivolta ghibellina, e alle tasse imposte dal potere centrale che aveva condannato gli homines Universitatis Potentiae al pagamento di un secondo augustale, numerosi abitanti si allontanarono dalla città trasferendosi in altre Terre; Giovanni da Trivigno trovò ospitalità a Casalaspro, a Trivigno giunse Tomaso de magister Santoro (20). Il Re comandò al Giustiziere di Basilicata d'indagare sui traditori di Melfi, Potenza e Venosa e sui paesi di Albano, Trivigno e Casalaspro (21), e ordinò l'inquisizione generale nel regno. Nominò Ruggiero Sanseverino, Conte di Marsico, acerrimo nemico degli Svevi, Inquisitore generale di Basilicata con il compito di redigere l'elenco dei proditores e dei loro beni. Furono messi al bando i proditores, condannati a morte, confiscati i beni, imprigionati le mogli e i figli; ogni fuoco delle Terre e delle Città ribelli fu gravato dalla tassa straordinaria di un augustale e sottoposto ad angherie di ogni genere. Il Re, preoccupato per la distruzione di Potenza, temendo che la città rimanesse deserta anche a causa di un terremoto che l'aveva sconvolta l'8 maggio 1270, fece rientrare in città tutti questi uomini cum familiis et bonis suis (22). Carlo fu molto prodigo con coloro che gli erano rimasti fedeli; per i servigi resi nel dicembre del 1268 donò a Pietro de Sommereuse, milite e suo familiare, il possesso delle Terre di Oppido, Albano, Trivigno e Casalaspro (23). Il 22 gennaio 1269 dispose che al Sommereuse fossero assegnati anche i castelli, le ville, i beni mobili, i vassalli e gli animali che erano appartenuti ai ribelli feudatari e ai vassalli di dette Terre (24); il 7 febbraio 1269 ordinò al chierico Pietro de Firmitate di consegnare al milite de Sommereuse le terre a lui concesse (25).
Il potere centrale (settembre-dicembre 1271) intervenne sollecitando il feudatario a fare pagare ai suoi vassalli le 80 once di sovvenzione imposte alle Università (26); nel novembre-dicembre 1272 esso cercò di sanare i contrasti sorti tra Pietro de Sommereuse e i vassalli di Trivigno (27). I feudi di Trivigno, Albano, Casalaspro, Oppido e Rodia nel 1278 furono assegnati a Leonardo de Carcere, Cancelliere del Principato d'Acaia; alla morte del Sommereuse gli eredi accettarono lo scambio con i castra di Alexani, Montissardi e Cutrofiani in Terra Idronti. Questo passaggio era vantaggioso per la Curia in quanto il Cancelliere, avendo le sue terre più vicine a quelle della Corona celermente poteva presentarsi al Re, e anche per riguardo alla nobile Margarita, moglie di Leonardo e carissima consanguinea del Re (28). Nell'ottobre dello stesso anno il de Carcere, con il consenso della moglie, permutò le terre di Trivigno, Albano, Oppido e Rodia con il castrum Policoríi (29).
Il feudo di Trivigno, dall'1 settembre 1283 al 31 agosto 1284, fu dato in possesso a de Bello Bello (Bellono) da Messina (30). L'opera di Carlo fu rivolta soprattutto a rafforzare il potere centrale; egli dispose la restituzione dei privilegi agli ecclesiastici e intervenne personalmente nella risoluzione di delicati problemi, come quello relativo alla riscossione delle decime da parte dei Vescovi, mostrandosi benevolo verso gli abusi dei rappresentanti della Chiesa e dei feudatari a lui fedeli. Riformò il sistema fiscale istituendo i Cedolari (atti di Tassazione) in cui, fin dal 1277, venne annotata per ogni Terra la tassazione espressa in once, tarì, grana e il numero dei fuochi, cioè dei nuclei familiari soggetti a tributi (ogni fuoco comprendeva in media cinque o sette persone, a secondo delle diverse interpretazioni fornite dagli storici). Nelle Cedole de focolaribus, riportate nei Registri della Cancelleria Angioina, Trivigno risultò tassato su 21 fuochi (circa 126 abitanti) per 5 once e 9 tarì (31). Bisogna tenere presente che in ogni centro abitato c'erano cittadini e famiglie esenti dal pagamento delle tasse e delle collette per le loro misere condizioni o per situazioni contingenti: peste, carestie che provocavano una riduzione dell'ammontare del tributo imposto all'Università (32).
La popolazione viveva in condizioni disumane, riscuoteva eccezionalmente un salario in denaro ed era costretta a pagare ingenti tasse che servivano a fare fronte alle spese dello Stato; l'abbandono e l'isolamento in cui venne lasciata la Regione, inoltre, aggravarono le già misere condizioni generali.
Il Sovrano, impressionato dalle pessime condizioni igieniche del Regno, emanò una serie di disposizioni per migliorarle e pose attenzione anche alle varie attività sanitarie.
A Trivigno, come in tanti altri piccoli centri, non erano presenti medici, chirurghi, farmacie, cosicché gli abitanti per ignoranza e superstizione si affidavano ai praticoni, ai guaritori e ai maghi; solo in caso di estrema necessità e disponendo di mezzi economici facevano ricorso ai medici dei paesi vicini.
Le strade erano sentieri appena tracciati, insicuri per le scorrerie dei latrones e delle milizie francesi; pur essendo i fiumi, Basento Bradano e Agri, per buon tratto navigabili, non potevano essere utilizzati per mancanza di facili guadi e di ponti. Il controllo della viabilità fu affidata ai custodes stradarum da cui dipendevano i Baiuli responsabili di aree più ristrette; tra i primi si annovera Ruggero Palmerio di Potenza che si occupò della viabilità interna della Basilicata (33).
Alla morte di Carlo (1285) seguì un lungo periodo d'incertezza politica caratterizzato da varie vicissitudini dinastiche; in questa fase si ignora quale sia stata la posizione di Trivigno; le ultime notizie risalgono al 1320 allorché risultò nel Cedolario tassato per 2 once, 8 tarì e 2 grani (corrispondenti a 9 fuochi) con una popolazione di circa 70 abitanti; dal 1277 al 1320 i fuochi si ridussero da 21 a 9 e la popolazione risultò dimezzata (34).
E' storicamente accertato che agli inizi del XIV sec. un gruppo di monaci benedettini s'insediò a pochi chilometri dal colle dove oggi sorge l'abitato e costruì una chiesa dedicata a San Leone (35) che, nel corso del tempo, fu detta Santa Maria la rotonda, tutto il territorio circostante venne denominato feudo di San Leo (36). Sono incerte anche le cause che determinarono la scomparsa di Trivigno come centro abitato; questo fu dovuto, probabilmente, ad una serie di avversità: pestilenze, carestie, terremoti. Esso non compare più nelle tassazioni focatiche successive al 1320, né ci sono indicazioni utili per individuare l'ubicazione del sito.
Nella situazione di generale confusione politica in Basilicata emersero alcuni grandi feudatari fra cui i Sanseverino che riuscirono ad impadronirsi di vasti territori.
Tale casata fu dichiaratamente guelfa fin dall'epoca di Ruggero, primo rappresentante di questo ramo lucano della famiglia, come si è già detto, capo e animatore della lotta contro gli Svevi e persecutore dei proditores. Egli, inoltre, aveva guadagnato consenso presso il Papato proteggendo la Chiesa romana non solo all'interno dei suoi feudi ma anche nell'intera regione, favorendo l'affermazione del rito latino in sostituzione di quello greco. I Sanseverino ebbero feudi in tutta la parte meridionale della Basilicata (prolungamento dei loro domini calabresi che avevano il loro centro a Bisignano) e riuscirono ad assicurare per un lungo periodo una certa stabilità anche se fortemente segnata dal particolarismo feudale (37). Le turbolenze politiche dell'epoca, caratterizzate dalle furibonde lotte dinastiche, sfociarono all'inizio del 1400 nella definitiva crisi della monarchia angioina determinando l'insediamento degli Aragonesi sul trono di Napoli. A questi si deve la costruzione dello stato moderno attraverso la limitazione del potere dei baroni, le riforme istituzionali e la radicale riforma dell'ordinamento tributario (38). Nel Liber focorum Regni Neapolis, della metà del 1400, Trivigno non compare probabilmente perché ridotto a pochissimi fuochi (non venivano registrate le tassazioni inferiori a 10 fuochi) (39).
Alfonso d'Aragona, divenuto re di Napoli, nel 1435 concesse a Innico de Guevara, Marchese di Vasto, la contea di Potenza che comprendeva anche Vignola (l'odierna Pignola), Anzi e Vietri (40).
 

NOTE

1 R. BRINDISI SETARI, Le chiese di Trivigno, Lavello 1997, p. 63, nota 103.
2 G. RACIOPPI, Storia dei Popoli della Lucania e della Basilicata, vol. II, Roma 1889, p. 30.
3 Troppo pochi sono i dati archeologici per trarre informazioni su un possibile insediamento prima del periodo normanno; le uniche testimonianze si riferiscono al ritrovamento, da parte del Sig. Michele Coppola, di quindici monete greche e romane (10 di bronzo, 5 d'argento) e di una colonna di marmo con resti di una iscrizione romana e di un capitello, in contrada Crocetta (proprietà del Sig. Giovanni Petrone): A. CAPANO - T. PEDIO - M. RESTIVO, La valle dell'alto Basento, Avigliano 1989, p. 30.
4 G. RACIOPPI, op. cit., p. 77.
5 Ivi, p. 200.
6 Ivi, p. 206.
7 R. BRINDISI SETARI, Op. Cit., p. 14.
8 L'Album offerto dalla "Provincia di Basilicata alle LL. Maestà il RE e la REGINA D'ITALIA. Descrizione delle vedute e degli stemmi con cenni storici delle città e paesi di Basilicata, pel Dott. Michele Lacava". Napoli 1884, p. 27.
9 A.C.T., Decreto del Presidente della Repubblica, Roma 30 luglio 1984 (trascritto nel Registro Araldico dell'Archivio Centrale dello Stato il 7 dicembre 1984 e nei registri dell'Ufficio Araldico il 9 gennaio 1985). Il gonfalone è un drappo verde, in alto riporta lo stemma e la scritta in argento Comune di Trivigno, al di sotto sono presenti la corona turrita, simbolo dello Stato e due rami di ulivo e quercia, simboli di pace e forza, legati da un nodo tricolore e un fregio costituito da due tralci di vite. Il drappo è sostenuto da un'asta da cui pendono due cordoni a fiocchi ed è orlato da frangia, tutti di colore argento; l'asta verticale terminante a cuspide, è ornata da un nodo tricolore con frangia d'argento ed è ricoperta da un gallone di velluto verde costellato di borchie e reca inciso il nome del Comune.
10 G. GATTINI, Delle Armi de' Comuni della Provincia di Basilicata, Matera 1910, p. 95.
11 P EBNER, Storia di un feudo del Mezzogiorno, Roma 1973, p. 99. L'oncia napoletana del sec. XII, si divideva in 10 tarì d'oro ciascuno dei quali pesava 20 grani o acini.
12 G. FORTUNATO, Badie Feudi e Baroni, a cura di Tommaso Pedio, vol. III, Manduria 1968, p. 98 ss.
13 Ivi, p. 92.
14 T. PEDIO, Cartulario della Basilicata (476-1443), vol. I, Venosa 1998, p. 169.
15 G.B. DICROLLANZA, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e notabili estinte e fiorentine, vol. II, Sala Bolognese 1981, p. 152. La Famiglia Monaco la Valletta di Napoli è una famiglia feudataria ed antica; la prima residenza fu Tricarico donde si diramò nel 1400 in Marsico e quindi in Eboli; per quante ricerche siano state fatte non è stato possibile conoscere il nome della moglie del feudatario.
16 G. FORTUNATO, Op. Cit., p. 100.
17 T. PEDIO, La Basilicata nell'età Sveva, Rionero in Vulture 1995, p. 213 ss.
18 T. PEDIO, Cartulario cit., vol. II, p. 61.
19 P DE GRAZIA, L'insurrezione della Basilicata contro Carlo D'Angiò, in Archivio Storico per la Calabria e Lucania, anno VIII, 1938, p. 228.
20 T. PEDIO, Cartulario cit., p. 59 s.
21 P DE GRAZIA, Op. cit., p. 225 ss.
22 T. PEDIO, Cartulario cit., vol. II, p. 20 ss.
23 Registro VI della Cancelleria Angioina, vol. I, p. 211, parag. 113.
24 T. PEDIO, Cartulario cit., vol. II, p. 29.
25 Ibidem.
26 Ivi, p. 79.
27 Ivi, p. 88.
28 Registro VIII della Cancelleria Angioina, vol. II, p. 184 (Privilegia), parag. 733.
29 T. PEDIO, Cartulario cit., vol. II, p. 158.
30 Ivi, p. 204.
31 T. PEDIO, La Basilicata dalla caduta dell'impero romano agli Angioini, vol. I, Bari 1987, p. 132 ss.
32 Ivi, p. 79.
33 A. CAPANO, Vietri di Potenza e il suo territorio nell'età medioevale e moderna, vol. II, Agropoli 1989, p. 20 ss.
34 T. PEDIO, La Basilicata dalla caduta dell'impero romano agli Angioini cit., p. 166.
35 D. VENDOLA, Rationes decimarum Italiae nei secc. XIII-XIV Apulia-Lucania-Calabria, 2109, 2110, in "Biblioteca Apostolica Vaticana", Città del Vaticano 1939, p. 162 s.
36 A.S.N., Catasto Onciario: Trivigno, busta 5229.
37 F. BOENZI-R. GIURA LONGO, La Basilicata. l Tempi. Gli Uomini. Gli Ambienti, Bari 1994, p. 104 ss.
38 R. GIURA LONGO, Fortuna e crisi degli assetti feudali dalla congiura dei baroni (1485) alla rivoluzione del 1647-48, in Storia della Basilicata, 3. L'Età moderna, a cura di Antonio Cestaro, Bari 2000, p. 141 s.
39 T. PEDIO, La Basilicata dalla caduta dell'impero romano agli Angioini cit., p. 110.
40 L. GIUSTINIANI, Dizionario Geografico Ragionato del regno di Napoli, Tomo VIII, Napoli 1804, p. 291; T. PEDIO, Dai Normanni agli Aragonesi, Bari 1964, p. 32.

 

 

 

 

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