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rivigno - Dal Medioevo all'età Contemporanea
Raffaella Brindisi Setari

 

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5. Abusi feudali ed erosioni di terra

I naturali vivevano in uno stato di grande povertà e sfruttamento a causa non solo del fitto eccessivo e delle tasse da corrispondere al feudatario, ma anche per l'esosità del Governatore e del suo Luogotenente che commettevano atti d'abuso di potere, ingiustizie e estorsioni di ogni genere, generando uno stato di tensione e di accuse reciproche, così come risulta dagli Atti Pubblici stipulati dai notai su denuncia dei cittadini e in presenza di due testimoni. Il 9 maggio del 1680 venne denunciato il Luogotenente Francesco Sassano che, fin dal 1673, svolgendo la mansione di esattore delle collette destinate al Monte dei Poveri della Chiesa di Sant'Antonio, grazie anche alla connivenza dei rappresentanti dell'Università, venne accusato di avere depositato presso il Banco di Santo Spirito di Napoli metà delle collette destinate ai poveri che ammontavano a circa 25 ducati, e di avere messo l'altra metà a disposizione del Monte dei Poveri per darla ad annuo censo solo a persone solvibili (43). Durante il periodo della sua luogotenenza, inoltre, essendo giunto in paese Giovanni Vignola proveniente dai luoghi infetti di Bari non aveva voluto che fossero applicate tutte le cautele disposte dal potere centrale. Per questa inadempienza il Sig. Antonio Mascolo, deputato per la salute pubblica per la Provincia di Basilicata, presente in paese con dieci armigeri, fece imprigionare il Sindaco, Don Nicolò Adone, gli Eletti, Francesco Antonio Allegretto e Giovanni Filitto e lo stesso Luogotenente, Francesco Sassano. Questi dopo la scarcerazione affermò pubblicamente che per ottenere la scarcerazione aveva dato una somma al Sig. Mascolo, e che di ciò aveva informato anche il Governatore Zampaglione, a questi aveva chiesto d'intervenire affinché i tre rappresentanti dell'Università gli corrispondessero il danaro versato. Gli interpellati si rifiutarono di aderire a tale richiesta sostenendo che quanto era accaduto era da imputarsi al Luogotenente e di essere sicuri che lo stesso non aveva dato nulla al sig. Mascolo.
Il Governatore per sostenere le pretese del Sassano fece arrestare nuovamente Nicolò Adone, Francesco Antonio Allegretto e Giovanni Filitto; questi, per evitare di essere ancora malmenati, minacciati, oltraggiati e trattenuti in carcere, preferirono aderire alla richiesta del Sassano (44). Per tali fatti e altri illeciti finanziari lo stesso Luogotenente nel 1694 in un pubblico Parlamento fu denunciato dal Sindaco, Domenico di Grazia e dagli Eletti, Mario Filitto e Francesco Antonio Allegretto, quali rappresentanti dell'Università, che chiesero agli eredi Sassano la restituzione delle somme indebitamente sottratte. In seguito con la mediazione del Magnifico Luogotenente Pietro Guarino si giunse ad una transazione: la famiglia Sassano cedette, come risarcimento all'Università, una casa di tre stanze, sita nel rione Porta di detta Terra, a sua volta l'Università rinunziò ad ogni altra rivendicazione (45).
Alla Reale Corte di Napoli pervennero molte denunzie riguardanti i soprusi perpetrati nei primi anni del 1700 dal Governatore, Pietro Cancillari, che durante il suo incarico aveva estorto, oppresso, condannato a pene eccessive i vassalli giungendo ad incarcerare anche donne innocenti. L'accusato si difese addossando tutte le colpe all'ex Luogotenente Gregorio Beneventi; per suffragare la sua buona amministrazione presentò diversi attestati di buon governo rilasciati dagli abitanti di Anzi. Il sig. Beneventi dichiarò che tali documenti erano stati estorti ai cittadini con minacce e chiarì ulteriormente la sua posizione in un Atto Pubblico (46); in esso affermò che il Cancillari, assunta la carica di Governatore, gli aveva ordinato di consegnargli tutte le querele, penali e civili ritenendolo non dotato della necessaria energia per espletare le sue mansioni; affidò l'incarico ad Angelantonio Grieco minacciandolo di farlo incarcerare se non avesse usato grande severità nei confronti dei vassalli.
Altri abusi furono commessi dai successivi Governatori che, oltre ad esercitare il potere in maniera vessatoria e indiscriminata, per nascondere la cattiva gestione non registravano le somme versate dagli Erari di Trivigno separandole dalle rendite derivanti dal feudo di Anzi. Nel 1747 (47) la Principessa Elisabetta Vandeynen Carafa sollecitò gli Erari che erano stati in carica dal 1717 al 1724 ( Giuseppe Coppola, Giovanni Angelo Sassano, Nicola Ragho, Paolo Guarino, Angelantonio Beneventi, Giovanni Luca Prejte) a versare le somme riscosse negli anni del loro incarico. Questi asserirono di averle sempre corrisposte ai Governatori Filippo Pomarici e Antonio Tramontano; dichiararono che per i due feudi nón c'erano contabilità separate, ciò accadeva anche per gli Erari; malgrado questa precisazione furono costretti a versare nuovamente il dovuto.
Il Governatore Tramontano non mancò di tartassare anche l'Erario Pomponio Orga facendolo risultare debitore di 11 ducati; il fratello di questi, don Paolo Orga si recò ad Anzi per dirimere la questione, ma il Governatore presentando tutta una serie di conti, palesemente falsi, fece salire il debito a 236 ducati. Pretese che tale somma fosse pagata dall'Erario in carica, Francesco di Sarlo e questi per recuperarla avrebbe dovuto rivolgersi al sacerdote Orga (48).
Un altro grave sopruso si verificò l'1 agosto 1741 allorché il Governatore, Domenico Pertusillo, fece incarcerare il fornaio Antonio de Sagoda. Una folla minacciosa si raccolse dinanzi alla Corte Marchesale chiedendo che fosse permesso al fornaio di sfornare il pane; nonostante autorevoli interventi il Governatore non acconsentì perché, a suo dire, contro il fornaio c'era un mandato d'arresto. Ritenendo il sacerdote Don Cesare Sant'Angelo il fomentatore della rivolta ordinò all'armigero di arrestarlo e di sparare sulla folla, ma il fucile s'inceppò solo così fu evitata una strage. La popolazione e il Clero, strettisi intorno al sacerdote, riuscirono a farlo rifugiare in casa. Il Governatore deciso a imporsi in ogni modo, il 16 dello stesso mese avendo visto don Cesare fermo dinanzi alla Chiesa, in attesa della processione di San Rocco, uscì dalla Casa Marchesale con la guardia, Francesco Passarella e altri tre armati che, puntando alla gola del sacerdote la spada, dopo averlo malmenanato e ingiuriato lo rinchiusero in carcere, contravvenendo alla legge che prevedeva l'intervento solo del Vicario Foraneo e del Vescovo se un sacerdote avesse commesso un reato. I cittadini erano indignati contro il Governatore anche perché nella disputa sorta tra il cognato, Cantore Don Nicola Volini e gli altri rappresentanti del Clero per l'esazione delle rendite delle terre della Chiesa, non esercitò il potere con equità e misura, ma cercò di proteggere il suo congiunto (49). Il Governatore Pertusillo, incurante del malumore presente in paese, continuò a esercita à sua autorità; quando doveva rendere conto del suo operato fuggi nottetempo da Trivigno. Il 9 febbraio 1744 i rappresentanti dell'Università (Gregorio Beneventi, Giuseppe Allegretti, Egidio Jemundo e Tommaso Beneventi, Giudice ad contractus) lo denunziarono e fecero presente che nel periodo in cui Pertusillo era stato a Trivigno (1 agosto 1741- giugno 1742), non aveva convocato i pubblici parlamenti (50).
Neppure da parte dei villani dalla fine del '600 e per tutto il '700 a Trivigno, come in altri centri della Basilicata, mancarono usurpazioni, erosioni di terre feudali (51); ciò andava a discapito di tutta la collettività chiamata dal Governatore a risarcire il danno prodotto. Per non incorrere nei rigori della Legge i naturali erano costretti, attraverso gli Atti Pubblici, a denunziare gli illeciti commessi dai compaesani. Il sacerdote Pietro Sassano e suo fratello furono accusati di avere nel bosco Torricelle, in località Pataffio, abbattuto alberi, messo a coltura un mezzetto di terra, costruito un ricovero per i caprai e un recinto per le capre (52). Fu denunziato anche che molti feudali per non pagare la gabella sulla farina si recavano di nascosto a sfarinare in un mulino in tenimento di Vaglio (53).
La Regia Udienza di Matera promosse indagini su tredici naturali di Trivigno accusati d'invasione di terre, di tumulto e di grave ferimento del servitore e armigero della Corte Girolamo Cajoppa (54) e successivamente su altri dodici naturali (55) con l'accusa di avere invaso le terre del feudo di San Leo, tagliato numerosi alberi fruttiferi, ucciso alcuni animali e avere violentemente agito contro le persone coinvolgendo anche il soldato Antonio Cilibrizzi di Anzi, oltre che minacciato e diffamato il Governatore, Don Giambattista Ferretti. Dopo tali disordini per chiarire la sua posizione ed evitare ingiuste accuse Francesco Abbate, in un Atto Pubblico del 22 settembre 1741, dichiarò che, insieme al suocero Giambattista Allegretti, aveva da tempo lavorato nel feudo di San Leo due appezzamenti di terra, uno di circa sette tomoli in contrada Cugno della Menta e l'altro di cinque tomoli in contrada Santa Maria la rotonda (56). Anche il Tribunale di Napoli, su richiesta del Principe, inviò a Trivigno tre periti per verificare i danni provocati non solo da una forte nevicata, ma soprattutto dai naturali che, come era consuetudine, eludendo la vigilanza dei guardiani si erano introdotti nel bosco Torricelle per fare legna spezzando molti rami e sradicando parecchi alberi. La popolazione temeva arresti e multe; tutto però si risolse nel migliore dei modi in quanto i periti si limitarono a numerare le piante sradicate e i rami spezzati (57).
 

6. Fuochi e tassazione dal 1595 al 1732

Dal 1320 Trivigno non è più riportato nei Cedolari angioini né nel Liber Focorum aragonese; ricompare nella tassazione del 1595, sotto la dominazione spagnola (58). Il sistema tributario spagnolo, pur rifacendosi a quello aragonese, era molto più preciso e fiscale; ogni colletta era stata abolita e non venivano tassate le comunità con meno di dieci fuochi, s'imponeva solo una tassa annua di dieci carlini a fuoco, con l'esclusione degli ecclesiastici e dei poveri. La tassazione doveva avere una periodicità triennale ed essere ostiatim (porta a porta), i numeratori avevano l'obbligo di procedere alla rilevazione dei fuochi, percorrendo strada per strada l'intero paese, in modo che dalla ricognizione non fosse escluso alcun fuoco. L'eccessiva fiscalità portò i compilatori a indicare case vuote e disabitate; furono computati talvolta anche dei nuclei familiari che, per numero di figli o perché poveri, avrebbero dovuto essere esclusi, provocando malcontento e numerosi reclami. La posizione fiscale di Trivigno era la seguente:

1595 fuochi 25 abitanti 150 circa    
1645    "      80    "        480    
1661    "      25    "        150    
1667   anime   943    
1709      "       1200    
1715      "       1400    
1732 fuochi 296 abitanti  1500    

Il forte divario tra i 25 fuochi tassati nel 1661 e i 296 del 1732 fu determinato dalla maggiore precisione nella raccolta dei dati e dall'incremento demografico, dovuto all'immissione nel feudo di popolazione albanese (59). (fig. 5)
 

7. Il Catasto Onciario

L'arrivo di Carlo III di Borbone a Napoli, il 10 maggio 1734, segnò l'inizio di una fase nuova per il Regno alimentando in tutto il popolo grandi speranze. Il Re affrontò con urgenza due problemi indilazionabili: il riordinamento della struttura dello Stato e la revisione dei rapporti con la Chiesa. Quest'ultimo era molto delicato, oltre che grave, perché toccava il forte potere del Clero che, a causa delle esenzioni fiscali e delle immunità personali e giurisdizionali godute dagli ecclesiastici, aveva di fatto costituito uno Stato nello Stato. Il Sovrano, coadiuvato dal ministro Bernardo Tannucci e dal cappellano Celestino Galiani, nel 1741 stipulò con la Santa Sede un Concordato che gli riconosceva il diritto d'imporre tributi sui beni della Chiesa, limitare l'immunità degli ecclesiastici ed elevare i requisiti morali e culturali per l'ordinamento dei Sacerdoti (60).
Carlo III, per quanto riguarda il riordinamento dello Stato, ritenne indispensabile dare un assetto amministrativo più idoneo e rispondente alle reali esigenze della popolazione.
Il Re durante un breve viaggio compiuto anche in Basilicata nel gennaio del 1735 rimase profondamente impressionato dalla miseria e dall'abbandono in cui viveva la popolazione, tanto da promuovere un'inchiesta. Bernardo Tannucci, segretario di giustizia, nell'aprile dello stesso anno incaricò Rodrigo Maria Gaudioso, avvocato fiscale presso la Regia Udienza Provinciale di Matera, di compilare un'esatta descrizione della Provincia divisa in quattro Ripartimenti: Tursi, Maratea, Tricarico e Melfi. Si voleva conoscere la posizione e l'estensione geografica dei singoli paesi, l'effettivo numero degli abitanti, l'attività prevalente e la produzione di ogni singolo centro, i relativi movimenti e gli scambi commerciali, i bilanci delle Università, le entrate dei nobili, dei baroni, dei vescovi, delle badie, dei conventi, delle parrocchie e del Re.
Il Gaudioso, per raccogliere tutti questi dati, chiese ad ogni Università di inviare dettagliate relazioni; queste, redatte dal cancelliere e sottoscritte dal Sindaco e dagli Eletti, gli fornirono le notizie necessarie per compilare la sua relazione che fu completata entro il 1736. Relativamente a Trivigno si precisava che era posseduto dall'Ill.ma Principessa di Belvedere, che la Chiesa parrocchiale aveva una rendita molto modesta e dipendeva dalla Diocesi di Matera e che la popolazione era di circa 1500 abitanti tutti dediti alla coltivazione dei campi (61) (v Appendice, I, p. 101).
Carlo III, con il Regio Dispaccio del 4 ottobre 1740 (De forma censuali sive capitatione) e la Prammatica del 17 marzo 1741, rinnovò il sistema fiscale per avere una migliore e più equa tassazione. Furono pubblicate le istruzioni per la compilazione del Catasto Onciario (così detto in quanto il capitale, la cui rendita veniva tassata, era calcolato in once, equivalente ciascuna a 6 ducati) (62).
La tassazione non avveniva più per fuoco ma gravava su tutti i cittadini secondo la loro capacità contributiva in quanto considerati membri dell'Università, ed anche sui forestieri residenti e non residenti che avevano in loco dei beni. Si era tassati per il testatico (cioè a testa), per i beni che si possedevano, e per l'industria (attività esercitata).
Per il testatico erano gravati da imposta tutti i capifamiglia fino a 60 anni; coloro che esercitavano un'arte manuale dovevano corrispondere la tassa sul mestiere che si differenziava in base all'attività svolta. Erano esenti coloro che vivevano di rendita o esercitavano professioni nobili (notaio, medico, avvocato) in quanto si riteneva che la loro attività era originata dall'intelletto, considerato una grazia divina. Le vedove e le vergini non pagavano il testatico, né la tassa sull'industria e contribuivano solo se la loro rendita superava i 6 ducati. I beni dei rappresentanti del Clero vennero tassati, però per le acquisizioni anteriori alla data di stipula del Concordato del 1741 e se il reddito dei loro beni superava il valore del loro patrimonio sacro, si corrispondeva la metà del dovuto (63).
Il Catasto Onciario della Terra di Trivigno venne redatto in maniera molto semplice e schematica dai suoi Magistrati deputati, eletti in un pubblico Parlamento:
Francesco Antonio Beneventi, civile
Nicola di Roma, Notaio
Andrea Allegretti, massaro
Vito di Sarlo, massaro
Angelantonio Stasi, massaro
Rocco Cinefra, massaro
Egidio Jmundo, massaro
Francesco Sarla, massaro
Tommaso Antonio Volino, Capo Eletto
Don Giovanni Abbate, Arciprete
Domenicantonio Sassano, Sindaco

Il Catasto venne firmato da Francesco Antonio Beneventi, secondo le Reali Istruzioni della Regia Camera della Sommaria e pubblicato il 15 ottobre 1753 (64).
Nell'Onciario vennero registrate tutte le persone, compresi gli ecclesiastici e i forestieri anche non residenti.
I nuclei familiari furono elencati in ordine alfabetico secondo il nome proprio del capofamiglia di cui si riportavano l'età, la condizione sociale, il nome, il cognome e l'età della moglie, il nome e l'età dei figli; se questi erano maschi doveva essere indicata l'attività svolta nell'ambito familiare, se femmine, dai dieci anni in poi venivano connotate come virginis in capillis (secondo un'antica usanza longobarda). Allo stesso modo dovevano essere riportati tutti gli altri parenti, se presenti nel nucleo familiare. A questo elenco seguiva la descrizione dei beni immobili, specificando se la casa era di proprietà oppure in fitto (elencando anche il numero dei vani) con l'indicazione del rione; per i terreni bisognava indicare il tipo di coltura, la località e il valore. Dovevano essere dichiarati gli animali posseduti e quanto per essi si doveva corrispondere al fisco (65).
Da tutti i dati registrati si evince che la popolazione di Trivigno era all'epoca costituita da:
- 146 nuclei familiari di bracciali che lavoravano in campagna e possedevano 103 vigne, e spesso solo una misera casa;
- 57 famiglie di massari che avevano beni immobili (la casa), 138 vigne, 2 vignali e 4 orti e 1.528 animali (146 buoi, 92 vacche, 780 tra pecore e agnelli, 196 tra capre e capretti, 42 somari, 15 muli, 7 giumente, 18 suini).
- tra coloro che esercitavano un mestiere vi erano: 1 mugnaio, 5 calzolai, 1 calzolaio e barbiere, 3 sarti, 1 barbiere, 3 fabbri, 2 scribenti, 1 embriciaio, 3 fabbricatori, 2 mulattieri, 1 custode di bovi, 1 pecoraro, 1 porcaro, e possedevano 9 vigne;
- tra i professionisti erano presenti: 2 notai, 1 speziale di medicina, 1 professore in chirurgia, 1 che viveva civilmente con i proventi delle sue industrie. Tutti erano proprietari della casa e avevano 75 capi di bestiame (18 buoi, 5 giovenchi, 6 vacche, 3 muli, 2 giumente, 30 pecore, 10 agnelli, 1 cavallo);
- i sacerdoti erano 29 e i loro beni erano tassati nel modo già indicato; possedevano la casa e 390 capi di bestiame (28 buoi, 5 vacche, 3 giovenchi, 9 muli, 321 pecore, 24 capre).
Delle 30 vedove e vergini residenti risultava tassata solo Giulia Filitto, vedova di Donato Stasi, poiché aveva una rendita di 72 ducati.
Gli storpi, gli esposti, gli infermi, i fatui, i lunatici, i decrepiti, i vecchi, i poveri, anche se esenti da tasse, venivano comunque registrati.
I forestieri residenti erano 10 e avevano una modesta rendita. Solo due erano i forestieri non residenti: il Magnifico Giuseppe Bronzini di Tricarico e Suor Maria Centomani di Potenza tassati per le rendite loro derivanti dai capitali dati in prestito al 10%.
La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo e le chiese di Sant'Antonio di Padova e di San Rocco, pur avendo beni mobili e immobili, non venivano tassate in quanto l'ammontare delle spese (circa 169 once) superava la rendita che era di 167 once.
Il Principe di Belvedere Francesco Maria II Carafa, Marchese di Anzi e di Trivigno possedeva nella terra di Trivigno beni feudali esenti da tasse e beni burgensatici (privati) che erano tassati: il palazzo che serviva come abitazione dell'Agente, la taverna, la stalla, il mulino, i forni, la vigna, il feudo di San Leo confinante con quello di Trivigno ma ben distinto e separato da esso (come appare dalla stessa fede dei relevi) era coltivato dagli abitanti di Trivigno.
Dalla contribuzione il feudatario sottraeva le spese o i debiti che si dividevano in spese naturali (riparazione e manutenzione dei beni immobili, corrispondenti ad 1/4 del fitto) e spese accidentali, in adempimento ai Reali ordini e alle Istruzioni della Regia Camera.
L'Università di Trivigno era tassata per fuochi 101 e 1/4 e doveva corrispondere i seguenti importi:
 

  ducati tari grana
alla Regia Corte 443 1 18
ai creditori 123   18
per fornatico al Principe 120    
per jus esationis all'esattore 110    
per l'accomodo di mole e fontane 20    
per l'uso dei due forni 8    
per i pedatici dei Regi Corrieri 15    
al Governatore per i bandi pretorii 6    
per l'affitto annuo della casa del Governatore 4    
Al Regionale per la misura dei conti dell'Unità e per la giornata dei deputati. 9    
al servente della Corte 10    
al Cancelliere e al Notaio per le scritture. 20    
al Mastrodatti 4    
alla Regia Camera della Portolania (fiere) 3    
per il trasporto del danaro alla Regia Cassa e per i Corrieri 11    
per l'affitto di casa per il passaggio dei gendarmi di Corte 6    
al venditore del Regio tabacco 1    
alle Guardie delle fiere 3 3  
per carta e biancheria per uso dell'Unità 3    
al predicatore quaresimale 30    
per il consumo di cera in tutte le festività 18    
al Rev. Clero per le processioni di Sant'Antonio, del SS. Rosario, di S. Vincenzo 9    
per le spese della Settimana Santa 3    
per l'accomodo della Chiesa 30    
per l'accomodo di pianete (arredi sacri) e altro 20    
all'avvocato di Napoli 12    
all'avvocato di Matera 6    
all'avvocato di qua Terra 6    
per le giornate di Essi Amministratori e delle spese minute 30    
per la stesura annuale dell'Onciario 18    
per la stesura del Catasto Generale 28    
per la strenna annua al Principe 15    
al Compassatore del demanio e del feudo di San Leo e copia del libro del compasso per il comodo dei cittadini e del Principe 10    
Per un totale di 1229 1 6

Questo nuovo tipo di tassazione non diede i risultati sperati, cioè una migliore e più equa distribuzione dei carichi fiscali; andò tradita la speranza che il feudatario finalmente avesse cominciato a pagare le tasse sui beni burgensatici (66).
Le remore frapposte dal feudatario e dai massari furono tali e tante da provocare il fallimento della riforma.
Unanime fu il giudizio negativo sul Catasto perché colpiva il bracciante e l'artigiano nella persona (tassa di capitazione) e nel lavoro (reddito del lavoro manuale) di ciascun componente maggiorenne della famiglia, oltre alla tassa sulle terre e sulle industrie (68).
Nel Catasto Onciario sono presenti i seguenti toponimi urbani:
Castiedd
Chiesa
Costa di Marciolla
Forgia
Forno
Mondezzaro
Mondezzaro d'Angelone
Monte dei Morti
Piazza
Piazzile di Carramone
Piazzile di Muzio
Piazzile di Runzolo
Porta della Terra
Porta Orientale
Pozzo di Angelo Adone
Pozzo dei Preti
Pozzo Fetente
Pulm(e)nara (da pulmunaria: pianta erbacea della borraggine alla quale si attribuivano proprietà medicamentose).
T(e)mpone (grossa tempa, sperone di roccia)

(N. B. Le abitazioni non avevano numero civico, ma erano indicate con il nome dei proprietari delle case confinanti).
I nomi delle contrade dove i naturali lavoravano la terra e avevano le vigne, i vignali, gli orti, i pascoli e gli stazzi erano:
Acqua Colella
Aira di Ionno (dal latino area/ae, spiazzo dove battere il grano)
Aira delle Donne
Aira Mancino
Camastra
Castelluccio (sembra che ci fosse un punto di avvistamento che era in comunicazione per mezzo di segnali di fuoco con i castelli di Brindisi di Montagna e di Castelmezzano, e il Castellaro in tenimento di Albano di Lucania)
Campo Longo di San Leo
Casarsa
Cavallerizza
Finocchiaro
Fontana
Fontana dei Santi
Frattine (luogo scosceso e intricato di basse macchie e spine dal greco fractos)
Gemitoni (due cose uguali)
Infrascata (luogo ricco di alberi)
Isca del Morrone (isolotto in mezzo al fiume)
Manca (luogo non esposto al sole, dal latino mancus/manci)
Mulino
Niviera (luogo esposto a nord ove si ammassava la neve per farne uso in estate)
Palmento (vasca dove si pestava l'uva, dal latino palmenum/i)
Paschiere (luogo adatto al pascolo, dal latino pasculum/i)
Pataffio (luogo aperto dove si raccoglievano gli animali per la transumanza)
Petrile (cava di pietra, pietroso, dal latino petrum/i)
Porcile
Sant'Antonio
San Giovanni
San Leo
Santa Lucia
Salandrella
Scannagallina
Serra (catena di monti dallo spagnolo sierra)
Spinosa
Sorve
Serra del Ponte (territorio in tenimento di Tricarico)
Strada Maestra
Tempa della pagliera
Valle
Vallone
Vallone Giancola
Via di Mezzo
 

 

 

 

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