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rivigno - Dal Medioevo all'età Contemporanea
Raffaella Brindisi Setari
 

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c) La Statistica murattiana

Il movimento illuminista e riformatore aveva promosso un po' ovunque studi economici. In Basilicata, nel Decennio francese, per volontà del potere centrale si costituì la Società di Agricoltura, trasformatisi in seguito in Società Economica.
Nella seduta inaugurale, tenutasi a Potenza il 1° novembre 1810, gli studiosi locali, Vincenzo Grandinetti, Vincenzo Pascale e Giuseppe Viggiani, s'interessarono per la prima volta delle condizioni dell'agricoltura e delle manifatture nei paesi lucani, ma le trattazioni furono alquanto superficiali e vaghe.
Murat nel 1811, per conoscere quali fossero le reali condizioni delle Province del Regno, dispose che fossero compilati da tutti i Comuni dei questionari con i quali si chiedevano precise e dettagliate notizie sullo Stato fisico, sulla Sussistenza e conservazione della popolazione, sulla Caccia, pesca ed economia rurale e sulle manifatture.
L'avvocato Giulio Corbo di Avigliano, che aveva seguito a Firenze le lezioni di agricoltura del prof. Targioni Tozzetti ebbe l'incarico di raccogliere i risultati dell'Inchiesta; non riuscendo a coordinarli, inviò a Napoli i questionari così come erano stati redatti dai Comuni; nonostante questa mancata rielaborazione dei dati raccolti, emerse il grave stato di arretratezza, di miseria e di degrado di tutta la Provincia (131).
Trivigno presentava una situazione economico-sociale estremamente povera, determinata dalle pessime condizioni igienico-sanitarie, dalla scadente alimentazione, dall'arretratezza dell'agricoltura e dalla carenza di scambi commerciali, dovuta alla mancanza di vie di comunicazioni (132) (v Appendice, V, p. 115 ss.). Tutto questo era stato già denunciato dalla Relazione Gaudioso nel 1736; ben settantacinque anni erano trascorsi e i governanti non avevano fatto nulla per migliorare la situazione e arrecare qualche vantaggio alla popolazione.


d) Demaní e quotizzazione

L'applicazione della legge del 2 agosto 1806 fu affidata alla Magistratura Ordinaria; ben presto, a causa dell'enorme quantità di documenti da esaminare, fu necessario istituire le Commissioni Speciali, la prima (con decreto del 9 novembre 1807) per esaminare i titoli di possesso (doganali, plateali, fornatico ecc.) esibiti dagli ex baroni e sciolta nel 1810 (133), la seconda (con decreto dell'11 novembre dello stesso anno) per risolvere tutte le questioni sorte fra i Comuni e gli ex baroni, prodotte presso la Magistratura Ordinaria prima delle leggi eversive. Anche il Comune di Trivigno si rivolse a tali Commissioni per risolvere varie controversie, da quella del fornatico, già in corso, a quella relativa al bosco Torricelle, e per le gravose condizioni imposte dal Principe ai coltivatori e feudo di San Leo.
L'Università di Trivigno, fin dal 1801, con ricorso al tribunale della Regia Camera, aveva chiesto l'abolizione del pagamento dei 120 ducati annui, quale diritto di fornatico, a favore del feudatario, depositando la somma annuale maturata presso la Corte locale, in attesa del giudizio definitivo. Tale deposito era stato indebitamente riscosso dall'Erario del Principe, l'Università presentò un nuovo reclamo ottenendo la restituzione della somma; il decreto venne sospeso, perché il Principe sosteneva di vantare nei confronti dell'Università un credito derivante dal fitto dei locali adibiti a forni. Nel 1808, in seguito all'abolizione della feudalità, il Principe presentò alla Commissione Feudale un ricorso contro il Comune, che, a sua volta, produsse istanze contro l'ex feudatario, chiedendo che fosse abolita la prestazione dei 120 ducati annui, che abusivamente il Principe esigeva a titolo di fornatico, la restituzione della somma già contestata dei 120 ducati, nonché tutto quanto indebitamente riscosso fin dal 1801. La Commissione feudale nel 1810 (134) considerò non più dovuto il fornatico e illegale l'avvenuta riscossione del deposito dei 120 ducati annui; constatò che tale somma comprendeva non solo il fornatico, ma anche il fitto per l'uso dei locali di proprietà dell'ex feudatario, come risultava dal relevo del 1707.
La Commissione, in base a tali considerazioni, decise che il Comune avrebbe dovuto consegnare i forni al Principe, legittimo proprietario, il quale, a sua volta, sarebbe stato tenuto a restituire al Comune la metà dei 120 ducati annui, riscossi dal 3 ottobre 1801, trattenendo l'altra metà a titolo di fitto dei forni. Con tale sentenza, si riconobbe ad ogni cittadino il diritto di fare forni, di cuocere e vendere pane. Con la seconda istanza il Comune chiese la restituzione del bosco Torricelle e dei terreni, già boschivi, ridotti a coltura; se il bosco fosse stato assegnato all'ex feudatario, questi avrebbe dovuto corrispondere al Comune non solo la metà del frutto del bosco, ma anche la metà del terraggio dei terreni coltivati.
La Commissione, presi in esame i relevi del 1603 e del 1654, constatò che in tali documenti l'ex feudatario aveva riconosciuto all'Università la metà del frutto del bosco Torricelle. Per la parte disboscata e messa a coltura, il Principe avrebbe dovuto dare la metà del terratico in sostituzione del frutto; al feudatario non si poteva operare alcuna detrazione essendo stato, per legge, il terratico ridotto a decima. II mancato guadagno per il Comune sarebbe stato compensato dal beneficio che ne avrebbero tratto i coltivatori, perché essi avrebbero corrisposto all'ex feudatario non più il terraggio ma la sola decima dei raccolti, da esigersi sull'aia e in generi triturati (grano, orzo ecc.). La Commissione riconobbe al Comune; nel bosco Torricelle, l'esercizio degli usi civici, anche per il commercio fra i cittadini.
Con la terza istanza il Comune portò all'esame della Commissione le gravose condizioni imposte dal Principe ai naturali, che coltivavano i terreni di San Leo. Egli esigeva un terraggio esorbitante: un tomolo di grano per ogni tomolo di terreno seminato a grano, un tomolo di orzo per ogni tomolo di terreno seminato ad orzo, ad avena o in altri generi; la fida di 20 grana per ogni bove, che pascolava nei terreni per i quali i cittadini già pagavano il terraggio e di cui l'ex feudatario vendeva anche l'erba statonica, autunnale e vernotica.
Il Comune faceva rilevare, inoltre, che, nei terreni liberi prativi della stessa contrada San Leo, il Principe consentiva ai cittadini, per nutrire le proprie mandrie, di potere utilizzare il fieno prodotto da mezzo moggio di terra, chiedendo un pagamento suppletivo se avessero avuto bisogno di una quantità maggiore. La Commissione, tenendo presente il Regio Decreto del 16 ottobre 1809, che regolamentava i rapporti tra l'ex feudatario e i naturali, decise:
1) la riduzione del terratico a decima dello stesso prodotto coltivato;
2) l'abolizione del pagamento delle fida;
3) la conferma dei diritti dei cittadini di coltivare a fieno mezzo tomolo di terra nei territori non occupati, vietando ogni altra pretesa nei confronti dell'ex feudatario;
4) l'abolizione di ogni pretesa da parte del Principe sull'erba statonica, autunnale e vernotica e sulla spiga.
Dagli Atti di esecuzione si rileva che il Giudice di Pace del Circondario di Potenza, il 17 ottobre 1810, consegnò i forni all'Agente del Principe e fissò il credito del Comune in 415 ducati per la restituzione dei 120 ducati annui, calcolati dal 3 ottobre 1801 all'agosto 1808 (data dell'ultima esazione).
Si determinò, a beneficio dell'ex feudatario, la somma complessiva di circa 445 ducati e 22 grani per tutti i diritti (fitti dei forni, decime fondiarie, registrazione della sentenza ecc.); il Comune restava debitore verso il Principe di 30 ducati e 22 grani.
In seguito ad un nuovo ricorso presentato dall'Amministrazione Comunale, il Regio Procuratore della Corte di Appello di Alter Commissario del Re per la divisione dei Demani, con sentenza del 28 giugno 1811, confermò che il credito del Comune era di 415 ducati (come diritto di fornatico non dovuto dal 1801 al 1808), riconobbe all'ex feudatario un credito di 194 ducati e 73 grani (dovuti dal Comune come fitto dei forni dal 1808 al 1810, comprese le spese di registrazione e la parcella del patrocinatore) e ordinò al Principe di corrispondere al Comune la restante somma di 219 ducati e 27 grani (135).
Le leggi eversive della feudalità prevedevano la suddivisione del patrimonio feudale tra i meno abbienti, così da soddisfare tutte le rivendicazioni dei contadini che avevano da sempre lavorato la terra. Tutto il territorio del feudo era posseduto da Don Marino Carafa, Principe di Belvedere, Marchese di Anzi e di Trivigno, e ricavava una rendita annua di ducati 3925.30 grani (136) (v. Appendice, VI, p. 121).
Numerosi fattori concorsero a rendere l'iter della ripartizione delle terre lungo e laborioso: la normativa insufficiente e di difficile interpretazione, l'inesperienza e talvolta l'incapacità degli esperti, degli arbitri e dei rappresentanti delle parti chiamati a svolgere questo difficile compito, le continue contestazioni, dovute non solo alla litigiosità delle parti, ma anche alle numerose e particolari situazioni venutesi a creare e infine a coloro che avevano interesse a procrastinare la suddivisione, sperando di ottenere maggiori vantaggi.
La quotizzazione ebbe inizio con il Decreto del 3 dicembre del 1808, che fissava le norme per l'esecuzione della legge del 2 agosto 1806 (137). La Commissione per la divisione dei demani di Basilicata, presieduta dal Commissario del Re, Sig. Angelo Masci, nominò come Agente Ripartitore, il Sig. Giovanni Antonio di Grazia di Albano; questi svolse il suo compito con la collaborazione dei rappresenti delle parti interessate, i Sigg. Giambattista Porcellini, per il Principe Carafa e Vincenzo Miraglia, per il Comune di Trivigno. I due rappresentanti presero atto che tutto il demanio feudale era per la maggior parte occupato dalle colonie perpetue (contratto con cui si cede ad altri il dominio utile in perpetuo, mediante il pagamento di un canone annuo) inamovibili, pertanto non soggette a divisione; la parte rimanente era costituita da terreni incolti e dal bosco Torricelle, il cui frutto era diviso a metà tra l'ex feudatario e il Comune, gravato dagli usi civici esercitati dai naturali (138).
I Sigg. Porcellini e Miraglia si trovarono in disaccordo nella valutazione delle situazioni esistenti e sulle modalità della ripartizione. La Commissione nominò un terzo arbitro, nella persona del Sig. Vincenzo Pomarici di Anzi; questi, dopo avere analizzato la situazione e ascoltato le parti , ritenne opportuno suddividere il territorio del bosco Torricelle in otto parti, assegnandone cinque al Comune di Trivigno e le rimanenti tre all'ex feudatario. Affermò, inoltre, che sui 20 o 30 moggi che costituivano il Paschiere il Principe non avrebbe potuto esercitare alcun diritto.
Il Sig. Angelo Masci, Commissario del Re per la divisione dei demani della Basilicata il 16 aprile 1812, esaminata tutta la documentazione pervenuta, decise che il bosco Torricelle dovesse essere assegnato per cinque ottavi al Comune, per tre ottavi all'ex feudatario; il Paschiere dovesse rimanere al Comune, gli orti ai legittimi possessori. Il Principe non avrebbe potuto esercitare su di essi altro diritto, se non quello di rivolgersi ad un tribunale ordinario (139). Per tutte le altre questioni rimanevano confermate le sentenze emesse il 17 marzo 1810 dalla Corte Feudale e il 28 giugno 1811 dalla Corte d'Appello di Altamura.
Per dare esecuzione alla sentenza emessa dal Commissario del Re, l'Agente Ripartitore Giovanni Antonio di Grazia, insieme ai periti agrimensori Pasquale Ciano e Vincenzo Coppola, al rappresentante del Principe Francesco Paolo Battaglia, al sindaco di Trivigno, Saverio Miraglia e a molti altri galantuomini, fra i quali il perito estimatore Nicola Sassano, si recò nel bosco Torricelle. Venne eseguita la misurazione e si accertò che l'intera estensione era di 1.098 tomoli e 6 stoppelli. All'ex feudatario vennero assegnati i tre ottavi (corrispondenti a 411 tomoli e 2 stoppelli) e al Comune di Trivigno i cinque ottavi (corrispondenti a 687 tomoli e 4 stoppelli), fissando i confini e apponendo, dove necessario, i termini lapidei e le croci sugli alberi (v Appendice, VII, p. 122). Il verbale relativo alle predette operazioni, redatto il 4 giugno 1812, non fu sottoscritto dal Sindaco Miraglia e dal perito Coppola. Essi giustificarono il loro rifiuto, per iscritto, presso l'Agente Ripartitore e il Commissario Masci, sostenendo che, all'atto del sopralluogo, era stato concordato tra le parti d'includere, nella quota spettante al Comune, il piano della Mandra, dove c'era una fonte d'acqua perenne, detta di San Nicola, che, incanalata, avrebbe potuto soddisfare le esigenze idriche del paese; nel verbale redatto dal Ripartitore di Grazia risultava, invece, che questa fonte era rimasta inclusa nella quota spettante all'ex feudatario.
Il Commissario Masci, messo al corrente di quanto era avvenuto, incaricò il Sig. Nicola Gigante, Agente Ripartitore di Brindisi di Montagna, di recarsi a Trivigno per definire la ripartizione del bosco Torricelle, assegnando al Comune la parte più vicina all'abitato, come prescritto dalla legge, in caso contrario, dare la possibilità di scegliere al Comune, a cui andava assegnata anche l'acqua di San Nicola; precisò, inoltre, che se la fonte fosse stata inclusa nella parte spettante al Principe, doveva essere consentito il libero accesso ai cittadini di Trivigno.
L'Agente Ripartitore, come risulta dal verbale del 26 giugno 1812, insieme ai periti agrimensori, Coppola per il Comune, Marotta per l'ex feudatario, al sindaco Miraglia, al rappresentante del Principe, si recò nel bosco e procedette alla definitiva ripartizione. Furono assegnati al Comune, oltre a quelli già concessi, altri 18 tomoli, stornati dalla quota assegnata all'ex feudatario; nella valutazione si tenne presente che i territori assegnati al Comune erano meno redditizi, per scarsa produttività del terreno, in alcune parti poco saldo e per gli alberi più giovani e meno numerosi. Le due quote, pertanto, rimasero definite in complessivi 705 tomoli e 4 stoppelli per il Comune, con inclusa anche una fabbrica diruta, detta porcile, e 393 tomoli e 2 stoppelli per il Principe. Stabiliti i confini, l'Agente Gigante dette ordine alle parti interessate di provvedere alla messa in loco di venti titoli lapidei, alti e ben visibili, nella linea divisoria che iniziava da mezzogiorno, dalla prima Murgetta, attaccata al tratturo, propriamente sopra la masseria di Pascale Coppola, proseguendo verso nord, passando sotto la Tempa della Pagliera e della fonte d'acqua, detta Bascioni, terminando alle Coste di Nardo nel sativo (terre lavorate) di Brindisi. Tale suddivisione non mise termine alla questione; l'ex feudatario chiedeva che gli venisse versata la somma di 116 ducati, corrispondente al valore della fabbrica porcile, che era stata assegnata al Comune, senza essere stata contabilizzata (140). Pretendeva che il fitto a lui dovuto, fosse consegnato nei suoi magazzini e non sull'aia, come prescritto dalla Sentenza Feudale del 17 marzo 1810.
L'Agente Ripartitore Giovanni Antonio di Grazia, da parte sua, propose la divisione dei trenta tomoli di terreno, rimasti indivisi perché ricchi solo di cespugli e soggetti a frana.
Il Comune si rifiutò di prendere in esame questa ulteriore divisione, perché tale zona, per sua natura improduttiva, costituiva per gli animali l'unica strada d'accesso al bosco. Per evitare possibili usurpazioni di terre del bosco comunale da parte dei possessori dei fondi confinanti i decurioni, riuniti in seduta straordinaria, deliberarono di provvedere all'esatta delimitazione dei confini, di apporre i titoli lapidei e di esigere la restituzione di eventuali terreni usurpati dai proprietari confinanti. L'Intendente di Basilicata, dopo avere preso in esame la richiesta dei pastori di potere liberamente pascolare nei fondi privati, precisò che nei territori dal clima freddo, la prima erba, cioè la statonica, dando maggiore reddito, fosse di pertinenza del padrone del fondo, e che i pastori avrebbero dovuto vigilare gli animali per non incorrere nelle multe elevate dalla polizia rurale.
Dopo avere superato molti ostacoli di natura giuridica e amministrativa, l'Intendente di Basilicata, Sig. Santangelo, dispose che fosse quotizzato una parte del demanio Torricelle non coperta da alberi. L'Amministrazione Comunale, seguendo tale indicazione, prescelse a nord-est un'area di 27 moggi, formò sei quote di circa 4 moggi, e destinò a strada 2 moggi e 17 misure. Espletate le formalità di bando, di scelta e di sorteggio, il 20 dicembre del 1813 le quote furono assegnate ad Angelantonio di Roma, a Domenico Musacchio, a Vincenzo Passarella, a Domenico Paternostro a Michele Plinio e a Francesco Saverio Trivigno. Questa designazione suscitò, da parte di alcuni cittadini, lamentele e denunzie di favoritismi. Il Decurionato di Trivigno il 20 gennaio 1814 fece presente all'Intendente che i sei assegnatari avevano cominciato a coltivare la terra essendo stati delimitati i confini con la zappa e con pietre, che potevano essere facilmente rimosse, i proprietari avevano sconfinato coltivando anche il tratturo pubblico. L'Amministrazione Comunale chiese all'Intendente di ordinare al Giudice di Pace di Trivigno di segnare i confini delle singole quote con termini lapidei fissi, lasciando libero il tratturo per consentire l'accesso al bosco.
Dopo tante speranze alimentate dalle Leggi Eversive e molti anni di lavoro i risultati della riforma furono deludenti, ciò fu dovuto non solo alla deficienza della legge, ma anche agli inconvenienti derivanti dalla fretta con cui si volle giungere alla definitiva liquidazione della feudalità, disattendendo a tutte le eccessive aspettative dei naturali, che auspicavano un totale cambiamento e miglioramento delle loro condizioni di vita. Essi invece continuarono la loro misera esistenza, che risultò ancora più precaria a causa non solo delle condizioni politiche del Regno, ma anche dall'isolamento in cui si trovava il paese, dalle malattie e dalla drammatica mancanza di acqua (141).
 

NOTE

1 Per un aggiornato quadro storiografico d'insieme sul ruolo e l'incidenza del lungo periodo di presenza spagnola nel Mezzogiorno, tra dominio e consenso, cfr. A. Musi, L'Italia dei Viceré. Integrazioni e resistenze nel sistema imperiale spagnolo, Cava dei Tirreni 2000.
2 L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, tomo IX, Napoli 1804, p. 259 s.
3 A.S.N., Regia Camera della Sommaria Partium, vol. 88, c. 231; T. PEDIO, Baroni galantuomini e contadini nell'età moderna, Bari, p. 84, nota 102, p. 146.
4 A.S.N., Spoglio delle Significatorie dei Relevi, vol. I, f. 44.
5 G. VIGGIANI, Memorie della Città di Potenza, Napoli 1805, p. 186.
6 L. GIUSTINIANI, cit., p. 259.
7 V. SPRETI, Enciclopedia storica nobiliare italiana, vol. II, Milano 1929, p. 312: Carafa, storica famiglia napoletana fedelissima agli Aragonesi. Feudataria di oltre 300 città e terre; si divise in due rami della Spina e della Stadera.
8 T. PEDIO, La Basilicata dalla caduta dell'Impero romano agli Angioini, Bari 1987, vol. I, p. 166.
9 V. NOCITO, Belvedere Marittimo. Memorie - Riflessioni, a cura dell'avv. Francesco Spina, Genova 1990, p. 53 ss.
10 A.S.N., Sommaria Partium. Refute dei Quinternioni, 12 gennaio 1617 .
11 G. TRECCANI, Dizionario Biografico degli italiani, vol. 19, Roma 1976.
11 G. GATTINI, Delle Armi de' Comuni della Provincia di Basilicata, Potenza 1988, p. 96.
13 Ibidem.
14 A.S.N., Alfabeto dei Baroni e Feudatari del Cedolario della Provincia di Basilicata, dall'anno 1696 al 1731, carte 255, 258.
15 P. EBNER, Storia di un feudo del Mezzogiorno, Roma 1973, p. 71. Secondo il costume dei nobili si lasciava alla moglie la libera disponibilità della quarta parte della dote; A.S.P., Protocollo dei Notai, Distretto di Potenza, Atto rogato dal Notaio N. di Roma, 26 marzo 1747, busta 1635; B.N.N., Relazione Gaudioso sulla Basilicata 1736, carta 316.
16 V NOCITO, cit., p. 53.
17 A.S.P., Intendenza di Basilicata, Fondo Prefettura, Commissione Feudale, Bollettino delle sentenze, 17 marzo 1810, n. 64, p. 737 ss.
18 A.S.N., Protocollo dei Notai, Distretto di Napoli, Atto rogato dal Notaio Sorrentino, 26 febbraio 1829.
19 A.P.T., III Libro dei Morti, 1820-1832, p. 184.
20 P EBNER, cit., p. 70.
21 F. Rossi, Notizie storico statistiche di Anzi, Potenza 1876, p. 15.
22 A.S.P., Intendenza di Basilicata, Fondo Prefettura, Affari Demaniali, Bollettino delle sentenze, 17 marzo 1810, n. 64, p. 737.
23 A.S.N., Catasto Onciario di Trivigno, busta 5299.
24 A.S.P., Intendenza di Basilicata, Prefettura, Affari Demaniali, Bollettino delle Sentenze cit., n. 64, p. 737.
25 A.S.N., Regia Camera della Sommaria Partium, Relevi 393, n. 6, carte 23 e 24.
26 Ivi, Relevi 419, n. 1, carta 122.
27 F. GIANNONE, Memorie storiche, Statuti e Consuetudini dell'Antica Terra di Oppido, Palermo 1905, p. 92 ss., nota 1. Le cause miste erano quelle di competenza sia del foro ecclesiastico sia del foro laico e riguardavano reati speciali quali la bigamia, l'usura, il sacrilegio, l'adulterio, l'incesto, il concubinato, la bestemmia, il sortilegio, e lo spergiuro.
28 Il mastrodatti, così come il notaio, non era nominato né dal feudatario né dall'Università ma dal Presidente del Sacro Regio Consiglio, quale Vicepronotario del Regno, ed era nominato a vita.
29 F. ROSSI, op. cit., p. 24.
30 G. DE ROSA, La società religiosa nell'età moderna, Napoli 1973, p. 23; C. D. FONSECA, Particolarismo istituzionale e organizzazione ecclesiastica del Mezzogiorno medioevale, Galatina 1987, p. 18 ss.; A. LERRA, Chiesa e società nel Mezzogiorno, Lavello 1996, p. 7 ss.
31 R. BRINDISI SETARI, Le Chiese di Trivigno, Lavello 1997, p. 25 ss.
32 A.S.P., Protocollo dei Notai, Distretto di Potenza; Atto rogato dal Notaio F. Spasiano, 13 febbraio 1675, busta 653.
33 Ivi, Atto rogato dal Notaio F. Spasiano, 20 marzo 1692, busta 653.
34 Ivi, Atto rogato dal Notaio F. Spasiano, 18 gennaio 1705, busta 655.
35 Ivi, Atto rogato dal Notaio Vincenzo Fanelli, 10 giugno 1704, busta 864.
36 A.P.T., Rendite dell'ex Recettizia, busta VIII, fasc. 1-2-3.
37 A.S.P., Protocollo dei Notai, Atto rogato dal Notaio F. Spasiano, 9 maggio 1680, busta 653.
38 A.S.N., Catasto onciario di Trivigno, op. cit.
39 A.P.T., Statuti della Santa Chiesa, busta V, fasc. I., a.
40 Ivi, Beneficio Parrocchiale, busta 1, fasc. 1, a, b, c, d, e; fasc. 2, b, c, d, e.
41 Ivi, Statuti cit., fasc. 1, b.
42 A.S.P., Protocollo dei Notai, Atto rogato dal Notaio F. Spasiano, 9 maggio 1680, busta 1630.
42 Ivi, Atto rogato dal Notaio V. Fanelli, 8 marzo 1691, busta 864-869.
43 Ivi, Atto rogato dal Notaio V. Fanelli, 25 giugno 1694, busta 864-869.
44 Ivi, Atto rogato dal Notaio V. Fanelli, 24 settembre 1705, busta 864-869.
45 Ivi, Atto rogato dal Notaio N. di Roma, 26 marzo 1747, busta 1635.
46 Ivi, Atto rogato dal Notaio N. di Roma, 21 maggio 1732, busta 1632.
47 Ivi, Atto rogato dal Notaio N. di Roma, 18 agosto 1741, busta 1632.
48 Ivi, Atto rogato dal notaio N. di Roma, 9 febbraio 1744, busta 1634.
49 T. PEDIO, Le condizioni economiche e sociali della Basilicata nel sec. XVIII, in GIAMPAOLO D'ANDREA, La Basilicata nel Risorgimento, Potenza 1981, p. 319.
50 A.S.P., Protocollo dei Notai, Atto rogato dal Notaio Nicola di Roma, 13 gennaio 1737, busta 1632.
51 Ivi, Atto rogato dal Notaio N. di Roma, 3 novembre 1738, busta 1632.
52 A.S.P., Registro della Regia Udienza Provinciale di Matera, vol. I, anno 1668-1760, f. 382. I tredici naturali, accusati di tumulto e ferimento dell'armigero Girolamo Cajoppa sono: Domenico, Donato, Andrea, Camilla e Margherita Sant'Angelo, Rocco di Sarlo, Giuseppe Padula, Camilla Di Grazia, Domenico Cortese, Francesco di Rosa, Domenico Casella, Rosa Di Minco e Cristina Larocca.
53 A.S.P., Registro degli inquisiti dalla Regia Udienza Provinciale di Matera, 1663-1780, f. 382. I nomi dei naturali implicati nelle invasioni delle terre di San Leo sono i seguenti: Giuseppe Egidio Volino, Teodoro Volino, Domenico Volino, Don Francesco Antonio Beneventi, Angelo Antonio Prete, Nicola Garramone, Nunzio Passarelli, Giuseppe Iosca, Francesco Antonio Abbate, Angelo Antonio Maggio, Agostino Passarelli.
54 A.S.P, Protocollo dei Notai, Atto rogato dal Notaio N. di Roma, 22 settembre 1841, busta 1632. Con il nome di Santa Maria la rotonda veniva comunemente chiamata la chiesa di San Leo.
55 Ivi, Atto rogato dal Notaio G. di Roma, dicembre 1787, busta 4264.
56 T. PEDIO, La Basilicata dalla caduta dell'Impero romano agli Angioini, vol. I, Bari 1987, p. 106.
57 Ivi, p. 110.
5$ Ivi, p. 122 ss.
59 A. L. SANNINO, Le comunità albanesi di Basilicata in età moderna: Territorio, Popolazione, Economia, in "Ricerche di Storia Sociale e Religiosa". XXIII (1994), n. 45, p. 75.
60 L. BANCHINA, Storia delle Finanze del Regno di Napoli, vol. III, Napoli 1835, p. 104.
61 B.N.N., Descrizione della provincia di Basilicata fatta per ordine di Sua Maestà da don Rodrigo Maria Gaudioso, avvocato fiscale della Regia Udienza di Matera, ms. XIV 11.39, c. 316; T. PEDIO, La Relazione Gaudioso sulla Basilicata, Bari 1965.
62 P EBNER, Storia di un feudo del Mezzogiorno, Roma 1973, p. 140.
63 L. CERVELLINO, Guida delle Università di tutto il Regno di Napoli, Napoli 1754, tomo Il, parte I, p. 34 ss. Per un quadro d'insieme sul ruolo e lettura del Catasto Onciario e del sistema tributario nel periodo considerato cfr. P VILLANI, Mezzogiorno tra riforma e rivoluzione, Roma-Bari, 1973, pp. 105-153.
64 A.S.N., Catasto Onciario di Trivigno cit.
65 12 carlini per un bue aratore, 6 carlini per vacca, 1 per montone, pecora e agnello, 8 per capra, 2 per capretto, 6 per somaro, 9 per giumenta, 10 per stacca (giovane giumenta), 9 per mulo da soma, 3 per scrofa e porco.
66 R. VILLARI, L'evoluzione della proprietà fondiaria in un feudo meridionale nel settecento, Napoli 1958, doc. I, p. 63.
67 M. SCHIFA, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo III di Borbone, Napoli 1923, p. 113 ss.; P. VILLANI, Mezzogiorno e contadini nell'età moderna, Bari 1977, p. 137.
68 L. GIUSTINIANI, Dizionario Geografico-Ragionato del Regno di Napoli, Napoli 1804, tomo IX, p. 259 s.
69 A. SANNINO, Le comunità albanesi di Basilicata in età moderna cit., p. 78; T. Russo, Minoranze etniche, linguistiche e religiose: albanesi, greci e schiavoni, in Storia della Basilicata, 3. Età moderna, a cura di A. Cestaro, Bari 2000, p. 95 s.
70 T. PEDIO, La Basilicata dalla caduta dell'Impero Romano agli Angioini, Bari 1987, vol. I, p. 166.
71 A. PISANI, Dall'Albania a Brindisi di Montagna. Cronistoria dal 1262 al 1927, Palombara Sabina 1927, p. 47 ss.
72 A. SANNINO, cit., p. 85.
73 R. BRINDISI SETARI, Le Chiese di Trivigno, Lavello 1997, p. 11, p. 35 SS.; A.S.P., Protocollo dei Notai, Distretto di Potenza; Atto rogato dal Notaio E. Spasiano, 13 febbraio 1675, busta 653; A.P.T., I Libro dei Morti, 1664-1790; ivi, Rendite dell'ex Ricettizia dal 1655 in poi, a cura di R. Brindisi, in "Rassegna Storica Lucana", n. 19-20, anno 1994, p. 28, busta VIII, p. 14. Per quanto riguarda la Chiesa dedicata a Sant'Antonio di Vienna, chi scrive presume che la devozione a tale Santo tragga origine dagli Albanesi provenienti dal territorio del Melfese dove questo culto era già presente con la stessa indicazione.
74 R. BRINDISI SETARI, cit., p. 21.
75 A.S.P., Protocollo dei Notai cit., Atto rogato dal Notaio N. di Roma, il 29 giugno 1741, busta 1634. Mastro Marco Biscione della terra di Accettura, dimorante a Trivigno, stipulò una convenzione con Giambattista Abbate per insegnargli in 5 anni l'arte del fabbricare.
76 Ivi, Atti Notarili di Potenza, I, busta 242, atto n. 2.
77 L. GIUSTINIANI, cit., p. 104.
78 R. RIVIELLO, Cronaca potentina dal 1799 al 1882, Potenza 1888, p. 7.
79 A. VERGA Le comunioni tacite familiari, Padova 1930.
80 A. L. SANNINO, cit., p. 88.
81 A.P.T., 1 Libro dei Matrimoni, 1733-1819.
82 A. L. SANNINO, cit., p. 88.
83 T. PEDIO, Uomini aspirazione e contrasti nella Basilicata del 1799, Matera 1961, p. 49. Al primo posto della scala sociale vi era la nobiltà locale, costituita dalle famiglie di chi era riuscito a completare gli studi di diritto e di teologia. Seguiva il ceto dei galantuomini (dottori fisici, notai, preti non addottorati in teologia e proprietari che non conducevano direttamente i propri beni fondiari), quello dei civili, (maestri artigiani e proprietari di bottega) e le famiglie dei massari, campagnuoli, bracciali; in ultimo vi erano i mendichi, cioè coloro che non erano inclusi tra i contribuenti.
84 G. ROHLFS, Dizionario storico dei cognomi in Lucania, Ravenna 1985, p. 25 ss.
85 A.P.T., Libri dei Morti, dei Confermati, dei Battezzati, dei Matrimoni, dal 1664 al 1810; A.S.P., Registri dello Stato Civile, Comune di Trivigno, dal 1810 in poi.
86 G. RACIOPPI, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, vol. II, Roma 1889, p. 322.
87 F. S. LIOI, Appunti per una storia del dialetto lucano dal latino al dialetto: vocali, in Popolazione, paesi e società della Basilicata, Bari 1989, p. 283 ss.; R. BIGALKE, Dizionario dialettale della Basilicata, Heidelberg 1980, p. 33 ss.
88 P. EBNER, cit., p. 68.
89 A.S.P., Protocollo dei Notai cit., Atto rogato dal Notaio Nicola di Roma. Capitolo matrimoniale Gaetano Rossi di Albano e Caterina Spasiano di Trivigno, 3 marzo 1735, busta 1634; ivi, Capitolo matrimoniale Francescantonio Abbate e Modesta Orga, 8 dicembre 1752, busta 1635; ivi, Capitolo Domenico Sant'Angelo e Veneranda di Roma, 29 aprile 1758, busta 1635; ivi, Testamento di Angelo Antonio Garzonetto, 21 febbraio 1721, busta 1630; ivi, Atto rogato dal Notaio Giambattista di Roma: Capitolo matrimoniale tra Giuseppe Picardi di Tricarico e Antonia Sassano di Trivigno, 6 febbraio 1767, busta 4262; ivi, Capitolo matrimoniale tra Vito Sarli e Giuseppa Rago, 27 dicembre 1768, busta 4262. Cartoline illustrate risalenti alla fine degli anni 20-1930 e consulenza delle signore Camilla Vignola Allegretti e Anna Maria Restaino, bozzetti realizzati dalla Sig. Tina De Stefano.
90 A.P.T., busta VIII, p. 170 ss.
91 A. PISANI, cit., p. 170 ss.
92 F. Rossi, Anzi, Notizie storico statistiche, Potenza 1876, p. 59.
93 P. VILLANI, in Storia della Campania, a cura di F. Barbagallo, Napoli 1978, p. 296 ss.; T. PEDIO, Massoni e Giacobini in Basilicata alla vigilia del 1799, in "Bollettino Storico della Basilicata", Roma, 1990, p. 10.
94 Enfiteusi: rapporto con cui il proprietario concede il diritto di lunga durata di utilizzare un fondo agricolo, con l'obbligo di migliorarlo, pagando un canone periodico.
95 F. Rossi, op. cit., p. 25 ss.
96 A.S.P., Intendenza di Basilicata, Atti Demaniali, busta 770, fasc. 1-3.
97 G. CANDELORO, Storia dell'Italia Moderna, Milano 1961, vol. I.
98 T. PEDIO, Uomini aspirazioni e contrasti cit., p. 56 ss.
99 Ivi, p. 324 ss.
100 Ivi, p. 82. Il movimento Sanfedista fu organizzato dal Cardinale Fabrizio Ruffo a cui il Re Ferdinando di Borbone aveva concesso sovrani poteri. Il Cardinale, sfruttando i rancori antigiacobini delle masse contadine calabresi che in nome della Santa Fé, a loro avviso minacciata dai liberali, propugnavano la restaurazione borbonica, organizzò un esercito formato da contadini ignoranti e da uomini della peggiore specie che spinse alla riconquista della Calabria, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Campania, terrorizzando le popolazioni.
101 A. LERRA, Il 1799 in Basilicata, in Il Mezzogiorno e la Basilicata tra l'età giacobina e il decennio francese, a cura di Antonio Cestaro e Antonio Lerra, Venosa 1992, p. 142 ss., nota n. 87.
102 R. RIVIELLO, cit., p. 51.
103 T. PEDIO, Uomini aspirazioni e contrasti cit., p. 324 sa.
104 P EBNER, cit., 216 ss.
105 P. VILLANI, in Storia della Campania cit., p. 299 ss.
106 A. LERRA, Chiesa e società nel Mezzogiorno cit., p. 43 ss.
107 M. MORANO, Storia di una società rurale. La Basilicata nell'Ottocento, Bari 1994, p. 76; R. RIVIELLO, Cronaca potentina dal 1799 al 1882, Potenza 1888, p. 66 ss.
108 A. TRIPEPI, Curiosità storiche di Basilicata, Potenza 1915, p. 111.
109 A. VALENTE, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale, Torino 1976, p. 46 ss.
110 A.C.T., Bilanci di previsione dal 1810 al 1878, vol. unico.
111 A.S.P., Intendenza di Finanza. Uffici finanziari preunitari, busta 2, ff. 73-74.
112 A. TRIPEPI, V. cit., p. 112.
113 R. TRIFONE, Feudi e Demani. Eversione della feudalità nelle Province Napoletane, Milano 1909, p. 174 ss.
114 A.S.P., Processo di valore storico, busta 11, ff. 2-3.
I più ostinati a compiere infrazioni nel bosco Torricelle furono: Giovanni e Vito Allegretti, Pietro Casella, Michele di Grazia, Lorenzo di Stasi, Michele Ferrone, Nicola Galgano, Pasquale Gentile, Egidio Jemundi, Giuseppe Larocca, Nicola Marino, Giuseppe Mastrogerardo, Luigi Montesano, Andrea Musacchio, Nicola Orga, Domenico Padula, Giuseppe Passarella, Rocco Vincenzo Patanella, Michele Plinio, mulattiere dei fratelli Don Pomponio e Nicola, Rocco Vincenzo Rago, Francesco Rago, Giuseppe Vertucci, Rocco Volino e Michele Vitale.
115 F. Rossi, Anzi, Notizie storico-statistiche di Anzi, Potenza 1876, p. 27 ss.
116 F. BARRA, Cronache del brigantaggio meridionale 1806-1815, Chiaravalle Centrale, 1981, p. 274 ss. Michelangelo Longo, nato a Sant'Angelo Fasanella, contadino, ladro domestico, fu arrestato nel 1805, processato, fu poi rilasciato; nel 1806 divenne bandito fino al 1809.
117 A.P.T., II Libro dei Morti, p. 55; T. PEDIO, Dizionario dei Patrioti Lucani Artefici e oppositori (1700-1870), vol. I, Trani 1969, p. 183; voi. III, Bari 1979, p. 248; vol. IV, Bari 1990, p. 130; F. BARRA, Op. cit., p. 323 ss.
118 A.S.P., Giornale degli Atti dell'Intendenza di Basilicata, anno 1809; V DI Cicco, Brigantaggio del 1809, Potenza 1911, p. 4 ss.; U. CALDORA La storia del brigantaggio in Basilicata durante il periodo Napoleonico, in "Atti del I Congresso storico della Basilicata" (Matera-Potenza 15-18 ottobre 1958). Archivio storico per la Calabria e Basilicata, fasc. 3-4 del 1962 annata XXXI, Roma 1962, p. 397 ss.
119 V. DI CICCO, op. cit., p. 26.
120 G. RACIOPPI, Storia dei Popoli della Lucania e Basilicata, Roma 1889, voi. Il, p. 497; V. DI Cicco, op. cit, p. 38 ss.
121 V. DI Cicco, op. cit., p. 71 ss.
*122 BIBLIOTHEQUE NATIONAL, PARIS, Fonds italiens, ms. 1124. Repression du brigandage dans les Deux-Sicilies au XIX siécle, p. 33 ss. Giuseppe Cioffi di Carmine, nato a Battaglia (Prov. di Salerno), detto il torrachese. Nel 1799 aveva seguito il Cardinale Ruffo e con i Sanfedisti era andato a Napoli ove rimase come soldato di artiglieria; nel luglio del 1800, ritornato nel suo paese d'origine, fece il campagnuolo e il guardiano di animali. Nel marzo del 1809 il capobanda Izzonigro di Tricarico, incontratolo per le montagne lo condusse con sé. Cioffi rimase con la banda nel bosco di Tricarico fino ai primi di aprile, trovando ricovero con i compagni nella masseria del Sig. Arcangelo Larotonda e nella stalla di Pasquale Molinari di Albano, che li rifornirono di viveri. Dopo venticinque giorni, presentatosi all'intendente di Basilicata, divenne confidente di questi, che lo pose a disposizione del Capitano dei legionari di Trivigno, Don Saverio Filitti. Partecipò nei mesi di maggio e giugno a molte spedizioni contro i briganti. In luglio passò al servizio di Don Michele Sala e Don Saverio Miraglia come guardiano della difesa di San Leo. In agosto, sempre al servizio di Miraglia fece insieme a Domenico Ungaro e Michele Bonelli il guardiano nei territori di Serra del Ponte. Fu complice di Ungaro e Bonelli nei delitti Molinari-Dragonetti, in seguito si dette al brigantaggio. Catturato fu giudicato dalla Corte Militare di Matera e giustiziato il 4 settembre 1811.
* Si i ringrazia il Sig. Vincenzo Perretti per la gentile concessione del documento sopra citato.
123 A.S.P., Processo di valore storico, busta 2, fasc. 29.
124 V. Di Cicco, op. cit., p. 88 ss. I trivignesi aggregati alla banda Scattone furono: Francesco Santalucia, Pietro Sarli, Francesco di Benedetto, Domenico Padula, Giuseppe Larocca, Pasquale Sarli, Vito Sarli, Basileo di Grazia, Rocco Galgano, Michele Castiglia, Rocco Michele di Grazia, Basileo Josca. L'omicidio di Andrea Prete fu compiuto e voluto per vendetta da Pietro Sarli, il quale riteneva che ingiustamente il Prete, come guardia civica, aveva perseguito un suo fratello, accusandolo di ladrocinio.
125 F. BARRA, cit., p. 323 ss.
126 V. DI Cicco, op. cit., p. 35 ss. I Trivignesi affiliati alla banda Taccone furono: Giuseppe Cioffi, Pasquale Lenge. Vincenzo Sarli, Lorenzo Marsicano, Rocco Moles, Domenico Padula, Giuseppe Antonio Sarli, Francesco Filitti, Buonaventura Santangelo, Michele Zito, Pietro Maggio, Francesco Ciliberti, Francesco Marino, Giovanni Marino, Francesco Saverio Imundi, Vito Allegretti.
127 Ivi, p. 109 ss.; F. BARRA, Manhès e la repressione del brigantaggio lucano, in "Clio" 1978, p. 361 ss.
128 G. GATTINI, Notizie storiche della città di Matera, Napoli 1882, pp. 162 ss.
129 A.S.P., Processo di valore storico, busta 2, fasc. 29.
130 V. DI Cicco, op. cit., p. 99 ss.; U. CALDORA, Op. cit., p. 406-407; . DE NICOLA, Diario Napoletano 1798-1825, Napoli 1906, parte II I, p. 558 ss.
131 T. PEDIO, La Basilicata Borbonica, Lavello 1986, p. 18 ss.
132 T. PEDIO, La Statistica murattiana del Regno di Napoli. Condizioni economiche. Artigianato e manifatture in Basilicata all'inizio del sec. XIX, Potenza 1964, p. 14 ss. Per Trivigno, abbigliamento p. 33, consumi, p. 38, lino p. 54, cotone p. 61, lana p. 79; D. DE MARCO, La Statistica del Regno di Napoli nel 1811, Roma 1988, Tomo III, p. 79 ss., p. 299 ss., p. 517 ss.
133 R. TRIFONE, cit., p. 181 s.
134 A.S.P., Intendenza di Basilicata, fondo Prefettura-Commissione Feudale, Bollettino delle Sentenze, 17 marzo 1810, n. 64, pp. 737 ss.
135 A.S.P., Intendenza di Basilicata, fondo Prefettura; Atti Commissione Feudale. Ordinanza del Regio Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Altamura, 28 giugno 1811, f. 38 ss.
136 A.S.P., Intendenza di Basilicata, Trivigno: Amministrazione Comunale, busta 250, f. 36.
137 A.S.P., Intendenza di Basilicata, Atti Demaniali, busta 770, fasc. 1, Corrispondenza varia.
138 Ivi, fasc. 2 (anni 1810-1815). Divisione massa e scioglimento di promiscuità. Atti correnti per eseguire la sentenza della Commissione feudale per la ripartizione dei demani. Atti preliminari per la suddivisione dei Demani 1813.
139 Ivi, Atti formati in esecuzione dell'Ordinanza del Sig. Masci, Commissario del Re.
140 Ivi, fasc. 3 (1812-13). Ricorso del Principe di Belvedere contro il Comune di Trivigno. Corrispondenza e deliberazioni comunali circa le operazioni demaniali (1812-16). Atti formati dall'Intendente di Basilicata per la suddivisione del demanio Torricelle.
141 A. VALENTE, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale, Torino 1976, p. 26 ss.

 

 

 

 

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