Presentazione
Non si lasci il lettore ingannare o
intimorire dal titolo di questa raccolta di poesie. La dimensione
acronica può cogliersi in sensi diversi, dalla assenza del tempo
all’astrazione dal reale, dallo smarrimento psicologico alla
perennità dei sentimenti che si provano, dei ricordi che si vivono,
delle tristezze che ti avvolgono, delle gioie che ti sorridono,
sentimenti e ricordi e melanconie e gioie che sono di tutti e di
sempre. Ed è questa la dimensione della Padula, una dimensione
squisitamente umana, che proprio per questo è acronica, perché si
appartiene all’uomo nel suo multiforme porsi di fronte e dentro alle
cose, alla natura, agli animali, ai suo: simili. Sicché, tu lettore
sfogliando le pagine, verso dopo verso, poesia dopo poesia, alla
fine credi di essere tu il poeta, di sentire tu quello che lei ha
sentito, ma così, naturalmente, come parlando con te stesso, o in
muto colloquio con i sogni e con i ricordi. Sicché alla fine trovi
tutto in questa poesia, una poesia che non attinge i toni
dell’ispirazione e delle forme classiche, ma è squisitamente
romantica, se a questo consunto vocabolo diamo la dimensione umana,
dell’uomo che segna orme nella storia, dell’uomo inquieto che anela
a liberarsi dai mali, i piccoli mali di ogni giorno, che lo toccano,
per andare indistintamente verso un aere più spirabile, verso il
senso religioso del vivere umano, in cui l’esistenza sembra trovare
un appagamento alle sue ansie.
Poesia romantica dunque questa della Padula? Direi di sì; ma sento di
non aver colto nel segno se non aggiungessi che si tratta di un
romanticismo proprio di ciascuno di noi, del romanticismo che ogni
anima sensibile porta con sé, dentro di sé e che nelle ore di
tristezza e di melanconia canta a se stesso e agli altri.
Scaturisce da questa dimensione che è di oggi, di ieri, di sempre la
tematica disseminata nella raccolta: ricca, multiforme, quasi senza
limiti, che va dalla rappresentazione di bozzetti, autentici idilli
di tipo leopardiano, vedi per esempio « Autunno »:
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tra le siepi
spinose di more
le foglie cadenti
bagnate |
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o « Idillio »: |
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la gemma che
turgida piano si schiude
e tremule foglie
delicate affida all’aria,
rigagnoli freddi
che mormoranti scendono dai monti |
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o « Una contadina»: |
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A mezzogiorno
curva zappava
il viso solcato
marrone, di terracotta |
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Poco avanti
all’ombra di un noce frondoso
una piccola culla di legno
con dentro un bambino |
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Su di essa aperto
un largo ombrello da uomo
facea da capanna
ed un cane barbuto
era a guardia, fedele |
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ognuno di questi bozzetti è seguito dal commento, la meditazione
dolorosa, così in « Autunno » che richiama |
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Il tempo di scuola:
le speranze più ardite
i volti impegnati dei
compagni di classe |
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così in « Idillio »: |
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Finché ci sarà
Una rondine
che farà il nido
sotto la mia grondaia
io sospirerò
un tempo migliore
come la primavera |
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così in «Una contadina»: |
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All’imbrunire
sarebbe tornata
alla sua casa, in paese,
con in testa la culla di legno
e con i fianchi
spezzati dalla fatica
ondeggianti
sotto la veste
di tela nera a pieghe |
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alle solenni meditazioni sull’« immortalità »: |
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Ci ritroveremo
nell’armonia della luce
particelle invisibili
nell’ordine del cosmo |
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o sul senso della Storia in « Meditazione » |
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L’uomo è vecchio
di secoli di storia |
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secoli di storia che vanno dalle Piramidi a Cesare, ai « colpi di
Lutero », a Hiroshima a Gagarin.
Ma nonostante questi voli e questi slanci la poesia resta a terra,
nelle cose, nelle persone, nei fiori. Ed è qui tutta intera la
poetica della Padula, in questi versi: |
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La poesia non è lontana
è in una sedia di paglia
nel volo di un uccello
in un glicine secco per metà
in un foglio da disegno
rimasto in bianco
nel letto ‘di un fiume
privo d’acqua
per l’arsura estiva |
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e incalza poi ancora |
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La poesia è nel volto
d’ogni uomo
nel vento
che scuote le selve
La poesia è in me, in te |
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e vuoi dire e dice
che è in tutti la poesia dell’essere uomo in mezzo agli uomini,
protagonisti sulla scena dell’esistente che è fatto di vento, di
nebbia, de « i doni del sole », di neve, delle genziane e dei
girasoli; di Malù la gatta, della coccinella, della farfalla e della
lucertola, del ragno e della rana, di un baco e di una mosca, che ti
stanno attorno come le figure dello Zio Antonio e di Salvatore, di
Zia Rosina o di un’intera famiglia, dal padre che |
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precede
lento e pensoso |
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al bimbo biondissimo col |
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viso sporco di nero
perché ha mangiato
delle more |
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alla madre che segue |
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sottomessa
con le braccia ingombre
di verdura |
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una bimba assonnata |
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dietro a loro
una capra
bianca e marrone
con l’occhio vigile e attento
della retroguardia |
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Come in una lunga
pellicola, ora sbiadita, ora luminosa, la vita scorre tutta, con
l’odore di Natale e le foglie gialle e la pioggia sottile di
novembre, con il maggio odoroso, coi fremiti esistenziali della
felicità e l’incubo della guerra dove la giovinezza matura tra cose
dolorose; col sapore fanciullesco e ingenuo di chi vive tra i bimbi
e quello viziato di chi vive tra i drogati.
C’è tutto in questo zibaldone di versi che ti prende dalla prima
all’ultima pagina per la ricchezza dei colori, per la varietà dei
sentimenti, tra cui è dominante il peso dei ricordi, della
nostalgia, dei sogni, in una perturbante alternativa che ti fa
sentire la sete dell’infinito e subito dopo ti fa morire tra le cose
d’ogni giorno.
Non è nuovo questo tipo di poesia, ma reca tanto intimo piacere
ritrovarla in mezzo ad una farragine di versi moderni, chiusi in una
concettualità astrusa che si nega decisamente al cuore, se pur si
apre all’intelletto.
Per questo soprattutto sento di dover dire un grazie a questa poetessa
nostra, dico della nostra terra, perché pur non conoscendola
fisicamente sento che è di questo nostro Mezzogiorno, dell’arida
diruta Lucania dove |
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la voce del vento
tra le rocce e le gole
diventa parole |
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o della Puglia, paese fiabesco per i trulli, le grotte, per i campi
innumerevoli di ulivi e insieme michelangiolesco per i |
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muscoli tesi in sforzi
supremi
i volti contorti per rabbia
o per riso |
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nostra, comunque, per la dolcezza del sentire, per i voli della
fantasia nella solitudine e per l’amore alle cose piccole, semplici,
alle creature che vivono come lei, come noi; grazie, quindi, per
aver sentito e cantato per noi e aver offerto anche a noi un dolce
balsamo alle quotidiane amarezze e averci stretto in un vincolo di
umana solidarietà per farci credere e sperare ancora. |
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Matteo Fantasia |
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