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IL CUORE NUOVO DI DARIO CORSINI

- Romanzo -

Rachele Zaza Padula
 

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INDICE

 


PARTE VII

La sera andava a letto molto tardi convinto che all’estremo della resistenza si sarebbe addormentato facilmente e la sua mente non sarebbe stata preda dei soliti pensieri faticosi che lo costringevano a rimanere vigile nella ricerca di qualcosa che gli alleviasse la pena.
Quella sera, invece, dopo aver salutato i genitori, si ritirò in camera insolitamente presto.
La confessione, le parole di don Carlo, la proposta dell’avvocato e la sua decisione di rivelare subito a Dida il suo amore, senza infingimenti, gli avevano arrecato grande sollievo; perciò, era certo che nulla di scabroso avrebbe turbato il suo riposo.
Ma, non fu così: proprio ripensando alle emozioni che aveva vissuto nelle ultime ore non riuscì a prendere sonno. Dopo essersi girato e rigirato nel letto e dopo aver quasi terminato”Il nome della rosa”, il romanzo di Umberto Eco che tanto lo affascinava, si infilò la vestaglia e andò alla finestra.
Lo prese un forte desiderio di Dida; avrebbe voluto averla vicina. Si sedette alla scrivania per scriverle una seconda lettera. In fondo, in quella che le aveva inviato nel pomeriggio non aveva messo a nudo il suo animo.
D’improvviso pensò che era doveroso scrivere anche a Tommaso per informarlo sullo sviluppo della sua storia con Dida, la donna che egli voleva avere con sé per tutta la vita.
Era giusto farlo per onestà nei confronti del suo caro amico, a cui doveva tanto. Aveva bisogno di confessare apertamente a Tommaso lo struggimento che lo aveva sorpreso e ammaliato; aveva bisogno di troncare definitivamente il loro rapporto per poter aprire a Dida il suo cuore senza che, per mancanza di coraggio, ombre e residui dolorosi contaminassero il suo amore per lei.
Per giorni aveva infaticabilmente scavato nei suoi sentimenti e nella sfera della sua volontà; non aveva più dubbi: l’amore per Dida era arrivato nella sua vita con prepotenza ed aveva spazzato via tutto quello che prima della sua dolce irruzione aveva significato per lui.
Decise di scrivere prima a Tommaso.

Caro Tommaso,
il saperti a Rio de Janeiro, in una città piena di contraddizioni, ma così solare e aperta alla vita, mi consola. Mi hai scritto poco di te e indovino il perché. Vuoi che sia io ad aprirti il mio animo e farti conoscere la mia decisione.
Mai dimenticherò che anni fa, allontanandomi dalla mia esistenza brutale e incontrollata, mi restituisti alla dignità e alla consapevolezza che non tutto era perduto. Grazie a te ho potuto svolgere con grandi soddisfazioni il mio lavoro di avvocato, poiché avevo di nuovo fiducia in me stesso. Mai dimenticherò le nostre serate all’insegna della complicità e del piacere della buona musica e lo sforzo comune per fingerci felici.
Devo farti una dolorosa confessione. La sera in cui ebbi l’infarto fu preceduta da uno spiacevole incidente che mi fece molto soffrire.
Certamente ricordi che rincasasti abbastanza tardi e mi trovasti stanco e di malumore; io non ti dissi nulla per non angustiarti, ma ora, a distanza di tempo, penso di avere sbagliato perché forse se mi fossi sfogato con te, che trovavi sempre le parole giuste per stemperare la crudezza degli avvenimenti che toccavano da vicino la nostra storia, non mi sarei sentito tanto male.
Quella maledetta sera, tornando a casa dopo il lavoro verso le 18, lessi accanto al portone del nostro palazzo questa scritta fatta con la vernice nera:
Gay: brutti bastardi. Sparite.
Provai un’amarezza profonda e gli occhi mi si riempirono di lagrime. Entrai nel portone e incontrai il portiere che usciva con un secchio e degli arnesi per la pulizia.
“Dottò, nu ie faccia caso, i bastardi so’ loro”.
Non so se la sua sollecitudine fosse dovuta alle nostre laute mance o al fatto che gli sembrava comunque una cosa indecorosa. Non credo lo facesse per comprensione umana, anche perché, come sai, spesso si vantava di essere un fascista convinto e di non rinnegare quanto quel regime aveva fatto, comprese le persecuzioni agli omosessuali.
Lasciai la borsa in portineria e l’aiutai freneticamente a cancellare la scritta. Non fu un lavoro facile e alla fine eravamo stremati. Non ci vide nessuno, soltanto la vecchina che abita al secondo piano, di ritorno dalla messa vespertina, vedendoci così indaffarati, disse:
“Guglielmo, sei davvero un portiere impagabile. Ora lavi financo i marmi dello zoccolo del palazzo.”
Io, per mia fortuna, passai inosservato.
Quando terminammo, Guglielmo mi invitò a prendere una bibita, ma io rifiutai cortesemente; un po’ per evitare discorsi che avrebbero potuto ferirmi, poi, perché non vedevo l’ora di trovarmi tra le pareti della nostra casa.
L’episodio mi aveva turbato enormemente e, in più, mi facevano male i muscoli delle braccia.
Mi distesi sul divano e chiusi gli occhi. Riaffiorarono, allora, nel buio e nel silenzio, le antiche angosce e pensai che non avrebbero mai avuto termine. Nessun pensiero riusciva a consolarmi, né mi consolò il tuo ritorno. Ti meravigliasti che non cenassi, ma non avevo un minimo di appetito per compiacerti. Dopo un po’ sentii una forte fitta in petto…il preludio del mio infarto.
Una violenta tempesta ha rapinato le nostre vite.
Ora sono ad una svolta che mi spaventa molto, ma che si è fatta necessaria; ineludibile.Tu hai seguito tutto il percorso della mia malattia e della mia degenza in ospedale ( anche di questo non mi dimenticherò mai e sempre ti sarò grato) ed hai capito che a poco a poco andavo cambiando tanto che ora mi sento un altro uomo, con impulsi nuovi, nuovi stimoli e desideri. E’ una realtà che ho accettato non senza interrogarmi nel profondo del mio essere. E’ una realtà che da un lato mi sorprende e consola, dall’altro mi spaventa.
Amo Dida più di me stesso e non vorrei per niente al mondo ingannarla. Ha già pianto tanto. Non so se sia giusto tacerle il mio amore o, piuttosto, coinvolgerla nella mia dolce speranza di avere un futuro accanto a lei e per lei.
Si fermò nella scrittura. Poi, continuò con decisione:
E’ strano che io mi confidi con te, ma tu sei l’unico che possa comprendere fino in fondo la paura che Dida non accetti un uomo con il passato come il mio. E se un domani…
Nella mia mente torna insistentemente, come un rovello, l’idea che sia stato il cuore nuovo a trasformarmi e, di conseguenza, mi chiedo se sia possibile che accadano certi mutamenti.
Questa volta non mi potrai dare il tuo aiuto: dovrò tristemente fare tutto da solo.
Mi dispiace arrecarti dolore. Ne provo tanto anch’io.
Tutta la sofferenza fisica e morale che mi ha colpito mi ha fatto ritrovare Dio nella tribolazione di Cristo Gesù. Io ti auguro che anche per te giunga l’ora della consolazione.
Credimi tuo amico per sempre.

Dario


Rimase a lungo soprappensiero dietro i vetri della finestra. Si sentiva debilitato. In effetti, aveva compiuto un grande sforzo nel chiarire a Tommaso e a se stesso le sue nuove inclinazioni. Ora, però, era libero di accostarsi al mondo di Dida.
Si sedette di nuovo alla scrivania e, come avesse timore di tornare sui suoi passi e, quasi per tagliare ogni ponte col suo passato, le scrisse una seconda lettera .


Mia carissima Dida,
una luce sottile filtra in cielo tra un denso strato di nubi nere. E’ l’ultima ora della notte e l’alba fatica a farsi strada. Sarà una giornata scura di pioggia, ma questo non mi rattrista; nella mia vita non ci sono più tenebre da quando siete comparse tu e la tua bellezza. Sa di miracoloso quello che è capitato. Sembrava che per me fosse tutto finito: non c’era la possibilità di avere un avvenire; non mi rimaneva che morire. Né mi pareva di avere una sola ragione perché ciò non accadesse. Era irragionevole nutrire la speranza che io guarissi e il trapianto era un’utopia. Giacevo inerte nel letto e vivevo la realtà che mi circondava come un estraneo, completamente staccato da essa: anche i rumori li avvertivo lontani e persone e cose erano visioni che non mi appartenevano. Ti descrivo la condizione in cui mi trovavo per farti comprendere quanto devo al tuo Marcello e a te.
E’ stato ed è tuttora terribile per me accettare che devo la salvezza alla sua morte e mi rifugio nel pensiero consolatorio che la sorte ha voluto che così fosse. Per noi credenti la sorte è la volontà di Dio e questo rende ancora meno dolorosa la mia riconoscenza. Il Signore ha voluto essere buono con me che non avevo meriti: anzi ero sempre in conflitto con la sua volontà perché attribuivo a Lui la colpa delle mie debolezze. Misconoscevo la sua misericordia e la sua potenza.
Mi ha ridato la vita, ma molto di più mi ha fatto dono di te, della tua dolcezza che è riuscita ad asciugare le mie lagrime di sempre e a farmi scoprire l’essenza dei valori semplici, quotidiani; la seduzione di uno sguardo femminile e il piacere di stringere la tua mano così delicata e morbida.
Io ti amo come pensavo non mi sarebbe mai stato concesso. Da te dipende il senso di quello che faccio e di quanto potrò realizzare nei giorni a venire. Forse è il cuore di Marcello che batte nel mio petto a legarmi a te incondizionatamente.
A questo proposito devo confessarti che in un primo momento, dopo la scoperta del mio amore per te, questa considerazione mi spaventava; poi, mi sono persuaso che essa non è un ostacolo, ma una ricchezza per il nostro amore e non lo mette in pericolo. Sì, è vero, il cuore è il suo, ma il sangue che lo irrora è il mio e miei sono i pensieri che lo fanno vibrare e palpitare. Ebbene saremo due in uno ad amarti. Questo mi rende più forte: per te rappresento il prima e il dopo. Il ricordo che conservi di Marcello non sarà mai il mio antagonista dal momento che non sono geloso di lui che è parte di me. Come già ti ho rivelato, se tutto questo prima mi preoccupava, ora lo trovo incredibile, addirittura affascinante.
Prima di incontrarti ero preda di uno scontento che mi faceva affrontare le ore senza slanci, senza trasporto; sempre una vita vissuta giorno per giorno, priva di attese. Soltanto due aspetti positivi: il lavoro che mi ha sempre gratificato e la tenera amicizia di Tommaso, cui devo quello che sono e che sono diventato. E’ stato per me come il tronco d’albero che galleggia per il naufrago; come il rifugio per il viandante sorpreso da una bufera di vento e di pioggia. Sempre gli sarò grato e mai scorderò quanto ha fatto per me.
E’ tempo che io ti dica di più di me e di Tommaso e del nostro legame perché mi accetti nella completezza delle vicende che hanno caratterizzato la mia vita. Ma…ripensandoci bene, non è il caso che io turbi con la mia dolorosa confessione la mia dichiarazione d’amore per te.
Sono anche convinto che non sia necessario che te ne parli; sono certo, infatti, che a te non sia sfuggita la sostanza del nostro rapporto durante le tue numerose visite in ospedale.
Mi va di lasciar perdere forse per viltà, per vergogna. Poi, si vedrà.
Era incantevole la tua presenza accanto al mio letto.
Quando varcavi la soglia della mia camera ero colto da un tale fremito che a volte mi pareva di venire meno per sfinimento.
Tornando a Tommaso, è necessario che tu sappia che è in Brasile. Forse una fuga…un volontario esilio per non turbarmi con la sua presenza…per non condizionarmi nella scelta. La sua partenza è la prova di una grande intelligenza e di superiorità intellettuale. Egli ha un animo nobile.
Le nostre anime fluttuano nel gran mare dell’essere e sono destinate a incontri dovuti al caso e al tempo propizio che possono durare per sempre o finire.
La mia storia con Tommaso è finita perché finito è il mio passato; mi sento interamente conquistato dalla tua deliziosa persona. Abbi fiducia in me; anche se capisco quanto sia difficile per te. Fatti guidare dal cuore.
Ti amo con un amore primigenio. Non vedo l’ora di rivederti; non posso più vivere senza di te. Se verrai all’appuntamento, di cui in seguito ti comunicherò tempo e luogo, significherà che anche tu provi quello che provo io. Mi sostiene il pensare che la buona sorte è dalla nostra parte;essa, infatti, ha disposto che noi continuassimo a camminare insieme dopo tanto dolore. Ti stringo forte sul cuore.

Un bacio
Dario


Dario s’addormentò all’alba, quando già sentiva i rumori che la madre faceva in cucina. Era sempre stata mattiniera.
Il saperla sveglia smorzò tutta l’ansia della notte. Si sentì protetto e si abbandonò al sonno.

*

Tommaso lesse e rilesse la lettera di Dario. Fu preso da una spossatezza spirituale; era sfinito. Le parole di Dario erano la conferma di quanto aveva temuto e non aveva potuto evitare.
Aveva perduto il suo amore, l’amico e il compagno d’elezione ed aveva la consapevolezza che era inutile lottare.Glielo aveva portato via una ragazza che aveva dalla sua parte la forza del destino.Del suo destino nemico, avverso fin dalla nascita. I suoi genitori lo avevano affidato consensualmente ad una vecchia zia, insensibile ed autoritaria, poiché, essendo attori di teatro, erano sempre in giro; spesso all’estero. La loro mancanza aveva segnato irrimediabilmente la sua fanciullezza.
Due scoperte tracciarono il cammino della sua vita: la prima, meravigliosa, quando capì di avere un vero e proprio talento per il disegno, che da allora gli riempì gli occhi di splendide linee e colori; la seconda, dolorosa e scioccante, quando scoprì la sua diversità. Quest’ultima gli parve una ulteriore, definitiva sconfitta. Per fortuna, però, la sua bravura nell’ideare, progettare, rappresentare gli alleviò la pena: nel mondo non c’è solo il buio delle avversità, ma anche la luce della bellezza. I genitori, quasi a voler compensare il vuoto della loro assenza, erano molto generosi con lui economicamente, così egli potè frequentare il corso di studi superiori presso l’Accademia delle Arti in Francia e conseguire il prestigioso attestato di design. Da qui la svolta che lo ripagò delle delusioni che lo avevano ferito profondamente. Tornato in Italia, trovò lavoro e si affermò con successo.
In seguito, la presenza di Dario nella sua vita aveva aperto la porta alla gioia. Era vero; negli ultimi anni era stato felice come mai.
Poi, l’infarto. Che sia maledetto!
Di nuovo solo, in un paese straniero senza più la volontà di rimediare alla sua esistenza in frantumi.
Aveva avuto molte stagioni di pianto ed aveva dovuto indossare la maschera della efficienza e della imperturbabilità e continuare il viaggio faticoso. Ora non aveva più energie; non riusciva già da un pezzo a nutrire alcuna speranza, né lo allettava la possibilità di un incontro catartico.
Con la morte nel cuore decise tutto in poco tempo. Rispose a Dario complimentandosi con lui: il suo avvenire sarebbe stato sereno e prospero accanto a Dida, che egli aveva imparato ad apprezzare per le sue molteplici doti, tra le quali colpivano la tenacia, la serietà e una certa sensibilità dolente che la rendeva particolare.
Stava per trasferirsi in un’altra città del Brasile per esigenze lavorative e non sarebbe più tornato in Italia. Sempre avrebbe conservato il ricordo dei giorni trascorsi insieme e della loro dolce convivenza. Senza ombra di rancore lo salutava e gli raccomandava di stare attento alla salute che è il bene più prezioso.Un ricordo affettuoso a Dida.
Scrisse, poi, al suo capo e gli comunicò le sue dimissioni spiegando che, essendosi innamorato del Brasile e volendo rimanervi, non sarebbe più rientrato in Italia. Avrebbe, però, inviato i bozzetti eseguiti fino a quel momento. Ringraziava tutti per averlo accolto così familiarmente.
Si recò dal portiere e gli dette quanto gli doveva a saldo del contratto d’affitto, dicendogli:
“Le sono grato per la sua accoglienza. Sono stato davvero a mio agio nella sua casa così luminosa e confortevole. Purtroppo, per ragioni di lavoro devo lasciare al più presto Buenos Aires per molti mesi, quindi, l’appartamento è libero già da domani.”
Si abbracciarono calorosamente e il portiere gli augurò buona fortuna.
Tommaso radunò tutte le sue cose, riempiendo due grosse valigie. Da ultimo, telefonò ad un tassista e gli chiese se era disponibile per un viaggio abbastanza lungo. Non c’erano limiti per quanto riguardava il prezzo. Accettò. Lo invitò, quindi, a passare da lui per informarlo sulla meta e per prendere i necessari accordi.
Ignacio, un giovane sui trentacinque anni, giunse puntualissimo alle ore 19. Aveva uno sguardo intelligente e mostrava una evidente curiosità di conoscere il cliente che, a quanto aveva capito, gli offriva la possibilità di un ottimo guadagno.
Tommaso gli disse che era un ingegnere idraulico e che doveva effettuare degli studi sulle cascate. Voleva essere accompagnato presso una delle numerosissime cascate del Rio Paranà, comunque, a quella che Ignacio riteneva fosse più facilmente raggiungibile. Non era necessario che lo aspettasse per il ritorno poiché avrebbe avvisato una squadra di tecnici, con i quali si sarebbe accampato per i mesi utili alle ricerche. Dopo aver ascoltato piuttosto distrattamente l’autista sui minuziosi particolari del percorso, aggiunse che, prima di uscire da Buenos Aires, desiderava recarsi nella parrocchia del quartiere delle favelas per consegnare al parroco le due valigie che aveva già preparato. Avrebbe portato con sé solo una capiente borsa con gli appunti e lo stretto necessario per la sua permanenza.. L’autista gli chiese una somma che gli sembrò onesta ed egli lo pagò in anticipo senza discutere.
Una volta solo, dal denaro che aveva prelevato dal suo conto, estinguendolo, tolse quello per il viaggio e il restante pensò di lasciarlo alla parrocchia. Non aveva nessuno a cui inviarlo. I suoi genitori erano morti anni addietro in un incidente di macchina; anche la zia Adele, che lo aveva cresciuto senza affetto, era morta. Non aveva altri parenti.
Esausto, si distese sul letto e chiuse gli occhi.
Sempre aveva ammirato le cascate. Era attratto dalla forza dell’acqua che cade a strapiombo in fondo alla roccia ed esplode rombando con forza. Poi, disintegrata in miriadi di particelle, sale verso l’alto e s’allarga formando una candida spuma vaporosa.
Tommaso, spinto da uno sconfinato desiderio di purezza, sarebbe finito avvolto in quella fresca incredibile nuvola bianca.

*

“Carissimo Dario, la trovo proprio bene. L’aria della sua città e lo stare insieme alla sua famiglia le hanno giovato. Dagli esami non emerge nulla di allarmante, anzi, i dati sono confortanti. Deve continuare la cura e tra quattro mesi ci rivedremo. E’ sottinteso che, qualora avesse bisogno di me, comunque di noi, non ha che da contattarci. Le sarà ancora più facile, dal momento che, come mi ha detto, si trasferirà a Milano con il suo lavoro.”
“Dottor Ferri, non mi stancherò mai di ringraziarla per quanto ha fatto per me. Le devo la mia seconda vita che spero mi riserbi sorprese più piacevoli rispetto alla prima.”
“Sarò felice per lei. Rimangono confermate le sue dimissioni per le undici. Ha il tempo di prepararsi e di salutare gli amici. Arrivederci.”
Si strinsero la mano e il dottore si allontanò per poi sparire nella lunga corsia.
Il giorno prima Dario aveva telefonato a Dida, ma non era in casa. Allora, senza perdersi d’animo, aveva detto alla madre di essere Dario e l’aveva pregata di avvertire la figlia, che il giorno seguente, l’avrebbe aspettata alle dodici e mezzo al caffè Duomo.
“Signora, la ringrazio; sappia che io amo Dida con onestà e sincerità e non le procurerei mai un disinganno. Mi auguro di conoscerla quanto prima per esprimerle tutta la mia stima. Dida mi ha parlato spesso di lei ed io attraverso le sue parole ho imparato ad apprezzare le sue qualità. Mi saluti suo marito.”
Dario aveva parlato velocemente, tutto d’un fiato. Se si fosse fermato non avrebbe avuto il coraggio di dire quello che aveva detto.
Si avviò verso la camera 27, la stessa in cui aveva soggiornato per tanti mesi, e cominciò a raccogliere le sue cose. Non gli sembrava vero che tutto fosse finito. Stentava a convincersi di aver vinto il dolore che lo aveva accompagnato per anni e che lo aveva portato alla soglia della morte, scampata in extremis per volere del destino, finalmente benevolo nei suoi confronti. Anche se il prezzo era stato altissimo; l’aveva salvato la morte di Marcello.
Ahimè, Marcello! E se proprio lui, per vendicarsi perché gli aveva preso il cuore e l’amata, avesse interferito con il suo fantasma a slegare i sogni suoi e di Dida? Se la sua volontà fosse arrivata fino a loro per dividerli e annullare l’incanto del loro legame?
Si sarebbero spenti i colori del giorno e le ombre della notte sarebbero diventate più cupe. Per lui Dida era il conforto del raggio di sole dopo un cielo grigio di pioggia; il sollievo che si prova nel rivedere la luce dopo esser rimasti a lungo al buio.
Si ricordò di una volta in cui, in viaggio con la sua famiglia, fu preso dal terrore poiché il treno attraversava una galleria che sembrava non finisse mai. La mamma lo accostò a sé e lo carezzò dolcemente.
“Allora signor Corsini ci lascia così presto? Buon per lei”, disse Gabriella entrando nella camera.
“Gabriella, provo grande piacere nel rivederla. Questi due giorni sono trascorsi velocemente e, impegnato a sottopormi a tutti gli esami richiesti, non ho avuto il tempo di parlare un po’ con lei. Quanto mi hanno aiutato i suoi consigli e la sua esperienza! Le confido che all’uscita dovrei incontrarmi con Dida; ma, sono in apprensione perché temo che non venga.”
“Questa, poi! Non mi sorprende affatto che vi rivediate. Se penso con quanta sollecitudine l’ ha assistito e a come di giorno in giorno cresceva il suo interesse, non ho dubbi che è legata a lei più di quanto crede. E’ una creatura di rara dolcezza e di onestà scrupolosa. Sono certa che non la deluderà..”
Interruppero il loro discorso gli altri infermieri che entrarono per salutare Dario, il quale, vedendoli, non nascose le lacrime di commozione.
“Non così”, disse Paolo, l’infermiere di fiducia. “Ora deve pensare ad essere felice e a godersi la vita.”
Lo abbracciarono affettuosamente; quindi, ad uno ad uno lasciarono la camera e tornarono ai loro compiti.
Dario si sedette sulla sponda del letto. Un sottile sgomento lo prese. E se Dida non si fosse recata all’appuntamento? Non riusciva ad immaginare la vita senza di lei.
Rimase perplesso per un po’; poi, si scosse energicamente; si alzò, prese le sue cose e s’avviò verso l’uscita.
Per esorcizzare le sue paure si impose di credere che Dida si stesse già preparando per raggiungerlo e che Marcello non avrebbe potuto rinnegare la dolce circostanza che il suo cuore continuava a battere per l’innamorata e che mai l’avrebbe fatta soffrire. Si convinse, perciò, che invece di ostacolarlo lo avrebbe aiutato
Quel giorno nessuna nube avrebbe dovuto oscurare la sua speranza di felicità.
Si soffermò all’accettazione per sbrigare la pratica che lo riguardava e uscì.
Era la prima volta, da quando era stato ricoverato, che poteva andare in giro per Milano. Aveva spesso sognato quel momento e fu lieto che si fosse avverato.
Fermò un taxi. Fu fortunato: era vuoto.
“Mi porti al Duomo.” Il tassista assentì con un cenno della testa, senza parlare.
Era un uomo sui cinquant’anni, certamente vissuti male, poiché sul viso aveva i segni di giorni penosi e negli occhi una vaga malinconia.
Dario guardava dal finestrino avido di cogliere i particolari più salienti di ciò che vedeva. La gente era tanta e sembrava essere dominata da una grande fretta. Giunsero a Piazza Duomo; pagò il tassista che accennò ad un saluto con indifferenza. Durante il tragitto non aveva aperto bocca, tant’è che Dario si era guardato bene dal chiedergli qualche delucidazione. Non gli era toccata una guida amabile.
Si fermò ad ammirare la struttura che s’innalzava in tutta la sua mole; era estasiato dinanzi a tanta bellezza e fu quasi accecato dai lampi di sole che si riflettevano sulla facciata. Gli sembrò che non potesse essere opera umana, ma che fosse calato, magari nottetempo, dal cielo e poggiato sul terreno senza fondamenta.
Percorse un breve tratto di strada ed entrò nel Duomo, dove regnava un silenzio sospeso e l’aria era pregna dell’odore d’incenso. Probabilmente in mattinata si era svolta una funzione importante anche perché l’altare era addobbato con molti fiori.
Dario pensò che non fosse così tutti i giorni. Girò lo sguardo intorno ed in alto e fu colpito dalla magnificenza e grandiosità delle navate e dagli altissimi pilastri a fascio, recanti tabernacoli scolpiti al posto dei capitelli.
Si sedette su una panca vicina alla porta; si sentiva piccolo piccolo e provò una strana sensazione di impotenza.
Non poteva trattenersi molto poiché era quasi l’ora in cui avrebbe dovuto incontrare Dida.
Si alzò ed uscì. Guardò in alto; il cielo era limpido, rassicurante. Sapeva di rinascita.

*

Dida era in agitazione. Erano capitate tante cose. Le lettere che aveva ricevuto da Dario, specie la seconda, l’avevano commossa e turbata insieme.
La sua dichiarazione d’amore, che ella aveva desiderato ricevere già da tempo, ora in qualche modo la spaventava. La sua confessione non l’aveva sorpresa; in ospedale aveva capito la natura del legame che lo univa a Tommaso e ne aveva seguito le vicende fino alla conclusione; quando aveva compreso che tra loro nulla era più come prima.
E se, poi…
Un dubbio sottile offuscava la sua gioia. Ma, rileggendo la lettera le sembrava che la sua preoccupazione fosse infondata; le parole erano sincere e poteva fidarsi pienamente.
Alla mamma che le aveva riferito con premura il messaggio di Dario, certa di farle piacere, si limitò a rispondere che ci avrebbe pensato l’indomani. La mamma considerò che quella figlia non la capiva più e questa riflessione le produsse inquietudine e rammarico. Dida, cogliendo l’espressione della madre, si intristì al pensiero di quanta pena le procurava.
Si mise a letto, ma la tensione la soffocava; da un lato liete eventualità si affacciavano alla sua mente: con Dario sarebbe stata davvero felice; tra loro s’era creata un’indescrivibile malia; poi, d’improvviso, la paura di un futuro incerto la agitava. Aveva bisogno di aiuto. Era tanto stanca.
Il ricordo di Marcello si impose: le sue mani delicatissime nel carezzarla; il suo sorriso dolcissimo; le sue spalle così forti e protettive. “Oh! Marcello dove sei? Com’è stata triste la nostra sorte!”sussurrò, mentre si rigirava nel letto senza dormire.
Doveva riposarsi, voleva farlo, ma non riusciva a rilassarsi; a fermare la sua mente in fermento, benché ella respirasse profondamente nel tentativo di staccarsi dalla realtà e lasciarsi prendere dal sonno. Per molto tempo rimase vigile e attenta al minimo fruscio; poi, finalmente si addormentò.
Sognò Marcello. La sua immagine era sfumata nei contorni, quasi eterea. Le sembrò che le volesse dire qualcosa ed ella, che era rimasta in un cono d’ombra, gli si avvicinò. Egli, allora, guardandola profondamente negli occhi le disse: ”Va’. Non temere.”
Avrebbe voluto chiedergli tante cose, ma scomparve in una nebbia sottile.
Si svegliò di soprassalto: era sudata e un respiro affannoso le gonfiava il petto. Ripensò al sogno e al viso rassicurante di Marcello.
Si ricordò di quando andava a prenderla la sera all’uscita della pasticceria; com’era pieno di speranze e come era affascinato dalla vita! Discutevano e ridevano…ridevano e discutevano…
Si riaddormentò che era quasi l’alba. La madre entrò nella camera per svegliarla:
“Suvvia, Dida, qualcuno ti aspetta. Sono quasi le dieci.”
Dida aprì gli occhi. La realtà la investì con la sua urgenza. Non volle far colazione e cominciò subito a prepararsi.
Indossò un grazioso abitino a righe bianche e blu e al collo mise le perle della mamma; raccolse i capelli leggermente indietro sostenendoli con due fermagli in tinta. Completò la sua toilette con un soprabito blu a vita alta che le donava molto.
Era deliziosa.
La madre si era offerta di aiutarla e le girava intorno.
Martina, così si chiamava la madre di Dida, era una persona amabile nella sua semplicità. La sua vita era trascorsa senza grandi emozioni né contrasti. Appena diciottenne si era sposata col suo Gustavo che aveva dodici anni più di lei e forse per questo si era sempre sentita protetta, addirittura coccolata. Non aveva voluto continuare gli studi dopo aver conseguito il diploma magistrale e, pienamente appagata dopo la nascita di Dida, viveva nella sua casa come in un guscio. Le piacevano la moda e le tendenze del momento, perciò, curava il suo abbigliamento e in generale il suo aspetto; però, senza affettazione od ostentazione.
Il cinema la intrigava e seguiva con interesse le vicende che riguardavano i divi. Era solita dire che mai avrebbe tradito il marito, ma asseriva, con un pizzico di civetteria, quasi per gioco, che un pensierino lo avrebbe fatto solo per Sean Connery. Rideva, poi, nel costatare l’effetto che la sua dichiarazione produceva e si scherniva. Non amava affrontare con accanimento le problematiche, ma esprimeva il suo parere con pacatezza, eludendo qualsiasi forma di coinvolgimento. Il marito la accusava di essere superficiale ed ella gli rispondeva che il suo era buonsenso che le aveva evitato molti impicci e amarezze. Era un po’ una filosofa del quotidiano. I suoi punti di riferimento ineludibili erano la famiglia e la fede, che le era stata inculcata dalla madre, fervente cattolica. Lo scorrere sereno della sua esistenza era durato fino alla tragedia che aveva colpito Dida.
Da allora era diventata inconsolabile perché inconsolabile era Dida e a nulla valevano le attenzioni del marito. Era vitale per lei seguire il cammino della figlia ed aveva perduto la spensieratezza che la rendeva gradita agli altri. Si preoccupava solo della figlia, che aveva tanto sofferto, e sperava vivamente che ritrovasse l’entusiasmo per un nuovo progetto di vita. Dario gli era sembrato sincero e si augurava che il loro incontro potesse concludersi nel migliore dei modi.
Ella ignorava l’esperienza passata di Dario; Dida glielo aveva taciuto, poiché era sicura che la madre non avrebbe capito; non avrebbe approvato.
Chiusa nel rigore della sua moralità, e senza conoscere tutti i risvolti della vicenda e la sensibilità di Dario, non avrebbe accettato né le sarebbe stato possibile penetrare nei segreti del suo animo e scoprire quanto fosse cambiato. Dida, invece, era sicura che era diventato un altro e che le sue scelte erano diverse.
Martina augurò a Dida di divertirsi e le consigliò di essere se stessa.
Dida sull’uscio si fermò; ebbe un attimo di esitazione, poi, di corsa scese le scale.
Uscì dal portone e si avviò verso la macchina.
Dario, intanto, guardava nervosamente l’orologio. S’era seduto al tavolo del bar in un punto strategico da cui poteva vedere l’arrivo di Dida.
Tutto era lontano dalla sua mente: il suo passato di furia, la sua fanciullezza, la scuola, le figure torbide del suo traviamento, il suo legame con Tommaso.
Contava solo Dida. Non l’aveva cercata; l’aveva incontrata sul suo cammino, talvolta l’aveva temuta. Ed ora l’amava perdutamente.
Con tutta la sua persona era teso a scorgerla tra la folla. Il suo cuore gli scoppiava nell’attesa.
“Eccola, è lei. E’ venuta.”
Nel vederla così leggiadra, così radiosa di fronte alle incognite del futuro, fu preso dal timore di procurarle dolore.
“E se il passato ritorna mio malgrado e distrugge il nostro amore? Non è giusto per Dida; le voglio troppo bene per deluderla. Non posso legarla a me; non posso permettere che la sua giovinezza e i suoi sogni siano spezzati da una decisione sbagliata. Forse abbiamo bisogno di più tempo; forse è necessario chiarire i nostri sentimenti al di fuori delle emotività che hanno caratterizzato la nostra storia.”
Si sentì confuso ed ebbe l’impulso di alzarsi. Si diresse verso la cassiera e le chiese dove fosse la toilette. Vi entrò. Era solo.
La sua era una fuga causata da un vero e proprio attacco di panico. Si guardò allo specchio e scoprì di essere pallidissimo. Fissò a lungo la sua immagine riflessa, quasi illudendosi che essa potesse aiutarlo.
Intanto Dida era arrivata in prossimità dei tavoli del bar e non vide Dario; vide, invece, su uno di essi un bicchiere con dell’ aperitivo lasciato a metà come se qualcuno avesse dovuto allontanarsi in fretta. Dario non c’era.
Fu sorpresa, ma era serena. La sua incertezza, le sue perplessità si fecero prepotenti. Decise, quindi, di allontanarsi. Non era ancora pronta per affrontare una nuova esperienza. Le ombre della vita di Dario la turbavano e non riusciva ad essere certa di ciò che desiderava veramente. Gli avrebbe scritto per confessargli i suoi stati d’animo.
Già il giorno prima una strana sensazione, una specie di insoddisfazione, le aveva impedito di godere appieno di quell’appuntamento, anche se provava un forte trasporto per Dario e avrebbe tanto voluto parlargli. Poi, il sogno in cui Marcello la invitava a rivedere Dario aveva attenuato il suo smarrimento fino a convincerla a seguire il suo consiglio.
Dario era ancora nella toilette in preda al turbamento che lo aveva spinto a lasciare il luogo stabilito. Finalmente, come per incanto, una calma inattesa si impossessò di lui ed egli cominciò a riflettere. Non poteva più sfuggire alla sorte. Forse Dida era un dono di Marcello insieme al suo cuore perché la proteggesse. La vita è un’avventura e bisogna avere il coraggio di viverla fino in fondo. Oramai non riusciva a soffocare la dolcezza che l’avvolgeva quando pensava a lei; quando la guardava; quando le parlava
O Dida, Dida, amabile creatura! Se fosse fuggito non avrebbe potuto un domani perdonare la sua viltà nel sottrarsi alla sua vista.
Uscì di corsa e tornò al tavolo che aveva occupato. Dida non c’era; non c’era.
Un senso di vuoto e di sconfitta lo prese. Aveva perso un’altra volta ed era disperato. Intanto, continuava a guardare in tutte le direzioni.
Dida sentì come un richiamo che la riportava a pochi minuti prima; a quando piena di promesse andava verso Dario. Si fermò soprappensiero.
“Avrò sempre il rimorso di non aver colto ciò che la vita mi offre per ridarmi quanto mi ha tolto. Forse, un compenso. Mi chiederò: “E se avessi accettato, se avessi…Ho bisogno di confrontarmi con Dario; di leggere nei suoi occhi la profondità del suo affetto; di capire cos’è la trepidazione che mi prende quando sono vicina a lui. Un comune destino ci lega. Le nostre strade si sono incontrate e sarebbe bello percorrerle insieme.”
Doveva sapere perché non c’era e cos’era successo; non le rimaneva che tornare al posto convenuto. Si avviò di corsa; all’improvviso le apparve la snella ed elegante figura di Dario. Si alzò sulle punte dei piedi e lo salutò con la mano. Egli guardava freneticamente a destra e a sinistra; certamente cercava lei. Come aveva potuto dubitare di lui e di se stessa?
Dario la vide da lontano e le andò incontro con lo slancio di chi rimuove un’angoscia opprimente.
Nell’attimo in cui i loro sguardi si incrociarono svanirono tutte le paure e ognuno lesse negli occhi dell’altro i propri sentimenti.
La baciò con ardore. La morbidezza delle sue labbra lo sconvolse; gli fece provare una sensazione nuova e dolcissima. Adorava Dida sopra ogni cosa e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di portargliela via.
Guardandola appassionatamente negli occhi le disse:
” Insieme ce la faremo. Insieme riusciremo ad essere felici.”
Nel pronunziare queste parole, le cinse la vita e la sollevò da terra.
Dida fu presa da un forte senso di tenerezza e si strinse a lui. Poi, piegò la testa all’indietro e si abbandonò ad una dolcissima risata liberatoria.
Dario pagò il conto; quindi, prese Dida per mano e si mescolarono alla folla che animava Piazza Duomo al tiepido sole di primavera.

 

 

 

 

 

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