Francesco giace sfinito
e febbricitante nelle carceri perugine. È quasi l’alba. Da alcune
notti ode richiami e voci indistinte. Anche ora è destato dal sonno.
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VOCI |
Francesco, Francesco, apri gli occhi alla luce
del giorno e della grazia.
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FRANCESCO |
Ancora voi! Siate maledette voci d’inferno, voci
di angoscia e dannazione. Lasciatemi alla mia tribolazione e al mio
abbandono. |
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VOCI |
Francesco, è per volontà del Padre che ti
facciamo giungere le nostre parole. Le nostre invocazioni. |
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FRANCESCO |
Quale padre? Certo non il mio. Possano
appiccargli il fuoco alle sostanze, giacché non paga il mio
riscatto. Che aspetta? Che mi facciano morire di stenti e
mortificazioni?
E voi, andate via. Lasciatemi al sonno che talvolta mi consola con
immagini leggiadre, che non trovano riscontro in questa cella
disgustosa dove il lezzo assale le narici e lo stomaco. |
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VOCI |
Eri abituato agli agi e alle sfrontatezze. Sappi
che questa penitenza giova alla tua anima. |
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FRANCESCO |
Perché mi provocate? Ditemi di voi in modo che io conosca la vostra
appartenenza. Certo non mi siete amici.
La febbre mi fa ardere le tempie e la vostra intromissione non
contribuisce ad acquietarmi. A volte mi sembra un brutto sogno che
io mi trovi qui e aspetto di svegliarmi da un momento all’altro e di
trovarmi nella mia camera da letto dove tutto è confortevole.
Le lenzuola di tela di prima scelta, che mio padre, l’esperto mercante
Pietro di Bernardone, (che il diavolo se lo porti!) fa venire
dall’Olanda, profumano di lavanda, che in sacchetti la buona madre,
monna Pica, con premura mette nella biancheria fresca di bucato.
Il catino che serve per lavarmi splende tanto è lucido di pulizia.
Spesso qualche fantesca compiacente si fermava a tenermi compagnia e
io ben volentieri le davo prova della mia virilità. Me ne ricordo
una che si concesse... |
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VOCI |
Per carità di Dio, Francesco! Pur nel tuo stato di degrado persisti
nell’errore, non c’è rimedio alla tua impudenza. |
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FRANCESCO |
Chi siete mai che condannate me, un giovane che ha goduto delle
gioie proprie della sua età. Volesse il cielo che potessi farlo
ancora!
Io non faccio diniego di amare il gioco, vari trastulli, e tra questi
preferisco il perlustrare il corpo femminile, sia esso di qualche
pulzella tenera nella sua ingenuità e allo stesso tempo assai
desiderabile perché vogliosa di conoscere le delizie dell’amore, o
anche di donna non più giovane, ma esperta, che sa tutto quanto
basta per appagare in pieno la mia foga. |
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VOCI |
Ora basta, Francesco. Non siamo da te per ascoltare le tue perfide
confessioni. Siamo indignati.
Pensavamo che le privazioni e la sofferenza avessero piegato la tua
alterigia e ti avessero spinto a rinnegare i tuoi costumi
licenziosi. Noi torneremo dal Padre nostro e tuo, che ti ama e ha
tanto a cuore la tua salvezza. Tu, intanto, pensa che i piaceri
terreni irretiscono lo spirito e gli impediscono di volare alto nei
Cieli dov’è la sua vera patria. |
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FRANCESCO |
Ancora mi parlate del padre. Ma a quale padre vi riferite? Io ne ho
uno più attaccato al denaro che a me che sono suo figlio e sono
caduto in disgrazia. Lo sconfesso in eterno; né torno sui miei
passi. Basterebbe che intervenisse con la sua borsa per affrancarmi
da questa infamia; da questa mortificazione. |
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VOCI |
E il Padre che è nei Cieli che ci ha inviato a te. Egli nella sua
infinita misericordia ti ha scelto, Francesco, e vuole che tu
percorra un nuovo cammino terreno perché possa trovarlo. Ha le
braccia aperte all’incontro; sta a te trovare la strada che conduce
a Lui. |
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FRANCESCO |
Mi ha scelto? E per cosa? |
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Le voci non rispondono. Si sono dileguate. Francesco, frastornato,
ripensa a quanto è avvenuto. A quanto ha udito. |
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FRANCESCO |
“Il Padre celeste,”hanno detto. Il Padre che dimora nei Cieli
penserebbe a me, e perché mai?
Ricordi antichi occupano la mia mente. Mi sovviene di quando don
Sebastiano, il buon parroco della Chiesa di San Giorgio, mi parlava
della Creazione del mondo, della Trinità e di come Dio avesse
mandato Gesù Cristo, suo Figlio, per redimerci dal peccato. Mi
invitava a seguirlo nei suoi discorsi; dove mai sono finiti i suoi
insegnamenti? |
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Entra il carceriere. Lancia ai prigionieri del pane stantio e posa una
brocca di acqua rilevando la vuota. |
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CARCERIERE |
Che il diavolo vi porti via con sé al più presto.
Di certo sei tu, Francesco di messer Pietro, che farnetichi. La febbre
ti ha fatto ciarlare per molto tempo. Se lo farai ancora giuro sui
miei figlioli che entro in cella e ti assesto un colpo sulla testa.
Ho da dormire io che lavoro tutto il giorno e non giaccio come voi
senza far nulla. |
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FRANCESCO |
Oh, dimmi! Oltre alla mia, hai sentito altre voci? |
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CARCERIERE |
Che te sei malato è un conto; ma non sapevo fossi anche matto. Ma di
che voci parli? |
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FRANCESCO |
Chiama il dottore; il mio amico Ubaldo ha bisogno di unguenti per la
ferita e di bende pulite. C’è pericolo che la gamba vada in
cancrena. Se ci aiuterai, ti prometto che quando uscirò da questo
carcere immondo ti ricompenserò a dovere. Mio padre è molto ricco e
non mi mancano certo i denari. |
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CARCERIERE |
Son quasi sette mesi che mandi avanti gli stessi discorsi e
promesse; se davvero il babbo tuo ha sostanze e beni, come tu dici,
perché non paga il riscatto e pone fine alla tua prigionia? Ora
basta. Ci rivedremo più tardi, se è stabilito che vi porti da
mangiare. |
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Il carceriere esce. Francesco si rivolge a Ubaldo, suo compagno d’armi
e di scorribande giovanili. |
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FRANCESCO |
Ubaldo, ho da dirti che da più notti odo delle voci che mi parlano di
Cielo e mi invitano a pentirmi della mia passata dissolutezza. Non
che mi lasci sopraffare, ma avverto un certo turbamento, come un
rodimento nell’anima. |
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UBALDO |
Francesco, la mia preoccupazione per te cresce; la febbre ti consuma,
ti fa vaneggiare e rende reali voci e apparizioni inconsistenti.
Cerca di dar riposo al tuo corpo e alla tua mente. |
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FRANCESCO |
Come è grande il tuo affetto! Nelle tue
condizioni così gravi sei in ansia per me. Io sto bene; la febbre va
e viene; è il meno che possa capitare a chi è costretto a vivere in
questo luridume, con poco cibo e acqua quanto basta per smorzare la
sete. Deve darci pensiero la tua ferita davvero perniciosa che non
si rimargina per mancanza di cure.
Che notti di baldoria abbiamo trascorso insieme
e quante giovinette hanno scaldato i nostri sensi! Torneremo mai a
godere come prima?
O è nostro destino marcire in questa spregevole
e vile prigione insieme ai topi e ai vermi che la infestano? |
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UBALDO |
Rassegnati. Se accetterai con minor rabbia
questa nostra avventura tragica e sfortunata ti parrà più
sopportabile e patirai meno.
Abbi fiducia. Presto finirà il nostro tormento.
Un bel mattino rivedremo la luce del giorno, i verdi prati che
circondano la nostra Assisi, le fonti doviziose che scorrono lungo i
pendii.
Allora tutto questo ci parrà un incubo passato,
una storia conclusa.
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FRANCESCO |
Voglia così la nostra sorte! Per ora non vedo
scampo, non uno spiraglio di salvezza. Ahimè, quale fine miseranda!
Siano maledetti i Perugini e il desiderio di gloria che ci ha spinto
ad affrontarli.
Ed io
che avevo sognato per me le imprese gloriose dei paladini della
tradizione cortese che la buona madre mi narrava da piccolo in
lingua provenzale!
La delusione è forte, e provo nel cuore amarezza e impotenza che
certamente sono la causa del mio male. Anch’io, caro Ubaldo, mi
auguro che finisca al più presto questa tortura insostenibile,
questa abiezione mortale.
Mio padre, con il suo carico di orgoglio e di vanità, approntò per me
un’armatura lucente, una gualdrappa lussuosa, poiché sperava che
nella difesa di Assisi e del suo popolo mi coprissi di gloria e
fossi fatto nobile cavaliere. |
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UBALDO |
Non
per questo messer Pietro è da biasimare. Molti la pensano come tuo
padre; quelli che come lui si posson permettere quanto ha sempre
dato a te e a tuo fratello e di molto e di più. |
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FRANCESCO |
Non per amore, ma per apparire. Che se fosse stato per amore ora, in
questa mia calamità, avrebbe sborsato qualsiasi somma pur di vedermi
libero.
Io non penso che uscir6 vivo da questo inferno. Troppo grande è
l’afflizione, troppo grandi le difficoltà e nessun amico nel
territorio nemico.
Dovessi ritornare sano e salvo ad Assisi, mai più mi imbarcherò in
avventure dissennate e non per codardia, ma per aver subito torti
gravissimi da parte di chi non mi ama perché non può e da par
te di chi dovrebbe amarmi per obblighi di natura e di cuore ed è
invece sordo ad ogni appello. |
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Verso sera, dopo un altro giorno di ignobile prigionia, Francesco è in
preda ad una vivissima angoscia. |
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VOCI |
Eccoci, Francesco, accanto a te per confortarti e per parlarti di
carità. La corte celeste ti e vicina perché tu sei caro al Padre, il
Re dei Cieli, tuo e nostro Signore e Signore dell’universo. |
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FRANCESCO |
Ancora voi! Come pensate di soccorrermi? Come pensate di spezzare le
robuste grate di ferro che legano la mia vita qui dentro? Come
pensate di farmi uscire da questa cella di dolore e restituirmi al
sole? Questo è ciò che mi necessita, non il vostro inutile
blaterare. Andate via!
Che un sonno profondo sopraggiunga ed estenui la mia resistenza;
opprima le mie palpebre e io dimentichi questo presente così amaro. |
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VOCI |
Pensa, Francesco, a quanti patiscono fame, stenti e privazioni fin
dalla nascita. Agli orfani, ai diseredati, a quanti non hanno mai
goduto un che minimo agio; che non hanno dignità di uomini e sono
esposti ad ogni tipo di violenza e di oltraggio.
Pensa ai poveri, agli sventurati, agli ultimi. |
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FRANCESCO |
Perché dovrei pensarci io? Perché non il Padre celeste, Signore
dell’universo che voi poc’anzi avete nominato? E a me chi pensa?
Come posso io, tanto sciagurato, pensare agli altri? E, poi, ad
ognuno il proprio destino. Pure io ora ne sceglierei un altro di
maggior comodo, che mi assicurasse per prima cosa il più grande bene
del mondo: la libertà. |
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CARCERIERE |
O tu, ti avverto per l’ultima volta, cessa codesto tuo parlare che
rimbomba in questo budello infuocato. Io ho il modo per farti tacere
e dormire per lunga pezza. Giuro sulla mia vita sconsiderata che lo
metterò in pratica se non la pianti. |
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VOCI |
Non preoccuparti, Francesco, noi faremo in modo che egli non oda le
nostre parole e le tue risposte. Da qui puoi convincerti che siamo
potenze del Cielo. Sentirai solo tu ciò che diremo. Dio non
preordina tutto nella vita degli uomini. Ognuno traccia la propria
strada; delinea progetti sulla base delle proprie inclinazioni;
traligna o si redime.
Egli guarda dall’alto i suoi figli, ma non toglie loro il libero
arbitrio. Essi possono seguire il bene o il male, la redenzione o la
dannazione, la rinunzia o il vizio. |
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FRANCESCO |
Questa è bella! E perché non a tutti le condizioni ideali per un
cammino di rettitudine e di virtù? Perché non a tutti una felice
dimora sulla terra sì che possano pensare al Cielo?
Perché Egli che può tutto non annulla la sofferenza, la disparità,
l’inganno e tutte le innumerevoli brutture che deturpano il mondo
degli uomini? |
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VOCI |
Perché sei così lontano dalla dottrina? Da tempo hai trascurato la
parola di Dio; chi o cosa ti ha portato così lontano da Lui? Eppure
è tanto dolce ascoltarlo, sentire il suo conforto e la sua
vicinanza. Egli aveva creato un mondo di delizie, senza peccato; i
primi uomini hanno tramato contro se stessi, hanno disobbedito al
Padre ed hanno gettato la loro discendenza nel baratro della
condanna. |
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CARCERIERE |
Bravo Francesco! Non ti si sente più. Domani per premiarti ti
procurerò bende pulite per il tuo compagno e acqua chiara per lavare
la sua ferita.
Cos’è mai il raggio di luce che splende nella tua cella e divide
l’oscurità? Boh!... sarà l’effetto del vino; stasera ne ho bevuto di
soverchio. |
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Francesco si rivolge alle strane voci che lo tormentano. |
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FRANCESCO |
Il guardiano non ode più quanto diciamo e vede una fascia luminosa
che taglia il buio fitto di questa immonda topaia. Venite davvero
dal Cielo o tutto è frutto di una magia diabolica? |
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CORO |
Angeli o demoni? Creature scese dall’alto o abitatori delle profonde
cavità infernali? Le voci lacerano il petto di Francesco: rapinano
la mente, le tolgono fermezza. Sono parole di grazia, inviti di
Cielo che gli aprono insolite strade d’amore o ingannevoli echi per
sprofondano nell’orrendo abisso della perdizione? Forse è il delirio
che gli porta la febbre forse è l’inganno del buio della cella;
forse il suo pensiero si finge suoni e visioni che incantano i suoi
occhi. Non più ridenti alle lusinghe della passione ma rossi e
cisposi al chiuso d’ogni luce. |
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FRANCESCO |
Sono disposto ad ascoltarvi; ma, vi prego, abbiate pietà di me che
sono afflitto e allo stremo. Siate più espliciti. Ditemi cosa volete
che io faccia, sempre che sia in grado di farlo così lontano dal
mondo. Non ho voglia né forza di seguire discorsi vaghi e astratte
congetture.
Perché il Padre celeste ha scelto me? Io non l’ho più incontrato dalla
mia adolescenza; né sono disposto a rinunzie e sacrifici se mai
uscirò vivo da questo inferno. |
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VOCI |
Quali le soddisfazioni della tua vita dissipata? Di’ il vero, dopo le
notti di baldoria hai sentito talvolta l’amaro in gola e il vuoto
nel cuore? Rifletti e ricorda.
È l’alba e noi dobbiamo andare. Torneremo. |
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FRANCESCO |
Ancora un momento. Sono certo ormai che siete potenze ultraterrene. Mi
affido al vostro potere, sempre che non sia quello demoniaco. Fate
che esca dalle tenebre della mia condizione. |
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Francesco non ha risposta e teme che la sua implorazione non sia stata
ascoltata. La febbre è alta ed ha bisogno di bere. A fatica s’alza
per prendere la brocca, ma cade. Dopo un po’ Ubaldo, risvegliandosi,
allo stento chiarore che penetra nella cella, lo vede riverso a
terra tra cenci e sporcizia. |
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UBALDO |
Francesco, quale proposito crudele il tuo? Hai deciso di porre fine ai
tuoi giorni? Cerca di levarti in piedi; io non posso soccorrerti per
via della mia grave ferita alla gamba. O Dio benedetto, non credo
che il mio amico vedrà il tramonto di questa giornata.
Guardie, guardie, aiuto! |
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Una guardia accorre. Ubaldo manifesta il suo timore. |
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GUARDIA |
Niente paura! Non è moribondo; la verità è che dorme come un ghiro.
Basterà che gli buttiamo dell’acqua fresca e lo vedrai scuotersi e
saltellare. |
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S’affaccia, quindi, alla porta e ordina al carceriere di portare un
catino di acqua. Questi arriva in un baleno. |
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CARCERIERE |
Gliela butto sul viso o sul corpo? |
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GUARDIA |
Che bisogno c’è che mi chiedi. Di certo sul viso; son gli occhi che
bisogna risvegliare. Poi, s’adagerà sul letto e si vedrà cosa si può
fare per dar pace a lui e a noi perché non se ne può più con questo
prigioniero. |
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Prendendo di forza il catino dalle mani del carceriere, versa l’acqua
sul viso di Francesco che accenna a muoversi. |
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UBALDO |
Francesco, per l’amor di Dio, non darla vinta alla sfortuna. Suvvia!
Tornerai a splendere tra i giovani di Assisi e le fanciulle,
affascinate dalle tue doti, riprenderanno a far mille moine per
attirare la tua attenzione |
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CARCERIERE |
Guarda te, che balordo! Ti paion discorsi questi da fare a un
derelitto.
Solleviamolo da terra. Voi, signora guardia, lo piglierete per i piedi
e io per il capo. |
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Con impensata cautela prendono Francesco e lo poggiano sullo squallido
giaciglio. |
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FRANCESCO |
Fate in modo che io parli con qualcuno che conta, con qualche persona
importante che può convincere mio padre a venire a patti per la mia
libertà. Ve ne prego, prima che sia troppo tardi. |
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I due mostrano vero rincrescimento per la disperazione in cui versa
Francesco e si guardano dubbiosi e incerti sul da farsi. |
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GUARDIA |
Per ora riposati ch’hai assorbito di troppo l’umido e il fetore di
questo antro malsano. Noi si vedrà cosa si potrà fare. Ce la
metteremo la buona volontà, poi, la decisione verrà dall’alto, da
dove vengono gli ordini per noi e per voi. Noi non siamo che le
ultime ruote del carro, che di per sé non possono camminare. |
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Escono sbattendo la
porta. Francesco chiude gli occhi esausto. Una luce intensa gli
appare e dentro di essa gli sembra di vedere Gesù Cristo Crocifisso
che gronda sangue. Gli sembra ancora che da ogni goccia del suo
sangue si rigenerino uomini, bambini, donne velate e non, ladri
miserandi, malfattori di ogni specie e d’ogni banda. Tutt’a un
tratto dalla bocca del Cristo esce un invocazione”Francesco,
Francesco, sii anima benedetta in nome mio. Aiutami a sanare il
mondo, a convertire i nostri fratelli. Ama la tua sofferenza come io
ho amato la mia per riscattare voi in obbedienza al Padre mio.”
Dopo alcune ore la guardia ritorna nella cella per avere notizie di
Francesco. |
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GUARDIA |
Ehi tu, che fa il tuo amico? Non l’ho più sentito lamentare, né
gridare. |
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UBALDO |
E' tutto il giorno che dorme. Lasciamolo riposare. Piuttosto, che
nuove ci sono? Sarà possibile che parli con qualcuno in grado di
risolvere il suo caso? |
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GUARDIA |
Che credi che sia solo lui affidato a noi? O non ci sono forse celle
piene di gente che sta male, che chiede assistenza; piagata, senza
più nome, né decenza, coperta di rogna, di croste e di sangue? Vuoi
che ti dica altro; che ti racconti le loro pene e le nostre che
siamo vicini a voi per dovere e per condanna. Ci son tanti mestieri
da vivere e la sorte ci ha assegnato il più sudicio e ingrato che
esiste. Dannazione!
Io non so usare altri mezzi di persuasione che la frusta, e non ho
altro sfogo che le bestemmie. Ora basta in questo buco maledetto:
troppo ci avete arrecato fastidio e danno. Né chiamate perché non vi
risponderemo. Il tuo amico che ti sta tanto a cuore sarà libero
quando lo vorranno quelli che decidono la sorte degli sciagurati che
son chiusi qua dentro. |
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La guardia va via borbottando. |
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CORO |
Non anima perversa, ma violenta che non conobbe mai amore né pietà.
Erano in dieci in casa e il padre, un misero ciabattino, che
lavorava al borgo Santo Eustachio, tornava la sera pieno di vino e
di rancore con pochi soldi e pronto a dar legnate. Era cresciuto
nell’ira e nel terrore; solo la madre, logora d’inedia lunga e di
miseria, gli passava talvolta la mano tra i capelli; ma presto morì
e fu un giorno di vento e di tempesta. Fu allora che la famiglia si
spezzò, si disperse e ognuno provò a vivere per sé. A lui un amico
disse che cercavano guardie per i carcerati della rocca alta. Aveva
diciotto anni ora cinquanta: anni vissuti tra le imprecazioni e le
torture degli sventurati prigionieri. Nel suo mestiere abietto,
spudorato, la vita, propria o altrui, non conta nulla. Sempre al
buio in quelle luride spelonche, scavate nella roccia, dove l’umido
trasuda dalle pareti e c’è puzzo di macero e di muffa. Nessuno mai
gli ha detto che c’è un’altra vita da vivere, in terra o in cielo;
al di fuori di quel lago immenso di pianto e di dolore. |
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|
Francesco si risveglia.
Nel carcere regna il caos tra le richieste dei detenuti, le urla
delle guardie infuriate e i lamenti prolungati dei feriti e degli
ammalati. |
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FRANCESCO |
Ubaldo mio, nel sonno ero altrove, in un luogo insolito a vista di
Cristo sulla croce. Grondava sangue e mi chiamava al suo amore e
all’amore del prossimo. Ero afflitto dalla sua sofferenza e come
sospeso; mi pareva che da un momento all’altro si sarebbe dissolto
ogni dubbio e io sarei venuto a conoscenza della verità; avrei
penetrato l’essenza del suo invito, avrei compreso il suo richiamo.
Invece, eccomi qua, lercio e maleodorante, pieno di punture di insetti
di ogni specie che mi spingono a grattarmi senza posa, tanto che
sono coperto di piaghe puzzolenti e ripugnanti. Non sopporto più
questo vilipendio alla mia persona e alla mia dignità.
E tu, come stai? La tua gamba lacera e contusa ha trovato sollievo
dall’ultimo lavaggio? |
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UBALDO |
Finalmente ti sei destato! Vedo che il sonno ha giovato alla tua
persona. Anche io soffro meno dopo che la ferita è stata pulita. |
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|
FRANCESCO |
Che un esercito armato di amici e conoscenti venga qui, sconfigga i
fetidi perugini, le loro difese e s’avvicini alla rocca, la assalti,
sì che essa dirupi e si squarci. Allora noi usciremo alla luce del
sole con gli altri carcerati e ci uniremo ai vincitori.
Chi mai potrà davvero venire in nostro soccorso? A proposito non odo
più le voci; il tuo giudizio corrisponde al vero. La loro presenza
era frutto del delirio febbrile. Ora mi sento rinfrancato ed esse
sono scomparse. Meglio così. Mi opprimevano il cuore e mi
sollecitavano al bene come se io fossi libero di scegliere. Sono
chiuso in questo pozzo di perfidia dove le ore sono lente a passare
e pesano nella conta del dolore.
Un senso forte di ribellione mi prende alla gola. Basta, Ubaldo,
basta. Dobbiamo trovare una via d’uscita o è meglio trovare morte
immediata, che spezzi ogni speranza di salvezza. |
|
|
UBALDO |
Calmati, Francesco, non farti vincere dalla rabbia e dallo sconforto.
Forse dovremmo pregare invece di imprecare.
Forse abbiamo a nostro danno perduto il fervore devoto della
fanciullezza e l’inclinazione ad affidarci alla preghiera e
all’osservanza dei comandamenti. |
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FRANCESCO |
Non è questo il luogo e il tempo per reminiscenze troppo lontane.
Non ho lo stato d’animo per tornare alla preghiera; mi sento
abbandonato da tutti, siano uomini o potenze del cielo. Queste
ultime non credo che interverranno per salvare un peccatore.
Siamo perduti; per noi non c e via di scampo. |
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Francesco si agita, cammina su e giù nella cella; grida, parla, alza
in aria i pugni. A nulla valgono le parole di Ubaldo che lo invitano
alla calma e alla prudenza. |
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CORO |
Come quando il vento di tramontana gonfiandosi per gli umori gelidi
dell’aria soffia violento e scuote le cime degli alberi ne spezza i
rami, divelle i frutti ad essi legati che cadono a terra
spaccandosi, e l’erba si scompiglia, si piega e perde il vigore.
Ulula nel bosco e sembra un gigante che emetta la voce dalla bocca
ampia e deforme; gli animali trepidi trovano riparo nei fossi, nelle
tane ben note, nei tronchi e restano immobili mentre il loro cuore
visibilmente batte all’impazzata in attesa che finisca la brutta
furia che ha sconvolto la loro quiete. Così, con pari impeto la
collera invade Francesco; in lui s’alza una tempesta che oltraggia e
spazza via dal petto ogni virtù. Angeli tutti, santa milizia di
nostro Signore, allontanate le insidie di Satana, il Nemico; le
vostre spade lucenti con le punte di fuoco proteggano Francesco sì
che diventi servo di Cristo, e viva rinnovato nel suo amore. Angeli
tutti, santa milizia del Signore, allontanate le insidie di Satana,
il Nemico. |
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FRANCESCO |
Perché mi trovo in uno stato così indegno?
Io non sono un nobile né un insigne cavaliere; ma messer Pietro di
Bernardone è uno scaltro e avido mercante di stoffe comuni e
pregiate, riscattatosi, ormai, dai suoi ingenerosi natali per aver
accumulato gran copia di ricchezze.
Quale trista punizione? Quale malefica iattura?
Ricordo che un giorno lontano incontrai nel contado di Assisi, centro
dell’Umbria verde, una vecchia sdentata che gracchiando mi disse:
“Francesco, tu non sei destinato a questa terra. Sei fatto di cielo e
perdizione, ma cambierà. Soffrirai molto, aspra sarà la lotta e dopo
si apriranno le porte dell’animo tuo alla salvezza. Vedo eretta una
scala di luce che ti porterà in alto, nel Paradiso, dove c’è pace e
santità.” |
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CORO |
Forse era una maga e lo aveva stregato.
Ahimè! Quale sorte lo attende? Quando? Come? Aveva peccato, sì,
peccato per superbia, per alterigia, per eccesso di vizi e aveva
perso, o dimenticato?, l’innocenza della fanciullezza. Sarebbe
tornata nel suo cuore? L’ora è triste. È pieno d’odio, in balia di
forze malvagie che gli fanno maledire il creato e il suo Creatore. È
privato della libertà e non sopporta le catene. Francesco pentiti e
stuta l’ira, il rancore; scegli la via del perdono, la via del
ritorno al Padre. Egli ha mandato gli angeli a tua consolazione; non
negarti il Paradiso: cedi all’amore di Dio. Sia alta gloria a Lui in
saecula saeculorum. |
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