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R. Zaza Padula

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.

Francesco

di  Messer  Pietro  di  Bernardone

 

Rachele Padula Zaza
 

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A T T O    S E C O N D O
 

Il pontefice Innocenzo III mette a capo delle sue truppe il Conte Gualtiero di Brienne per risolvere con la forza la controversia con i regnanti svevi a proposito del Regno di Sicilia. Per cause complesse la discordia si estende prendendo proporzioni vastissime.
Il Conte Gualtiero trasforma ogni battaglia affrontata in vittoria, destando entusiasmo in tutte le città italiane, dove cavalieri e soldati si arruolano per andare al suo seguito. Anche ad Assisi un nobile, di nome Gentile dei Paleari, prepara in difesa del Papa una spedizione militare nelle Puglie, alla quale Francesco palesa l’intenzione di partecipare.
Un mattino Monna Pica e Pietro di Bernardone parlano della decisione del figlio con due stati d’animo diversi.

 

MONNA PICA

Temo per la sua salute. S’è ormai ristabilito e non è più debole come nei mesi scorsi, ma non vorrei che la fatica del viaggio e l’ansia del combattimento procurino in lui una ricaduta che potrebbe essergli fatale.

   
MESSER PIETRO La vostra non altro è che la sollecitudine che spinge naturalmente le madri a proteggere i propri figli, anche se giovani adulti come Francesco. Non dimenticate che ha venticinque anni e che, ultimamente, ha ripreso la sua vita gaudente. Ciò presuppone che egli abbia riacquistato le forze.
   
MONNA PICA Le vostre parole mi confortano; io, però, talvolta vedo in lui una malinconia come di chi è alla ricerca di un indizio che gli indichi il percorso.
Forse per effetto della sua lunga malattia, mi pare che egli non aderisca alle sue scelte, alle occupazioni, anche a quelle più piacevoli, con lo stesso trasporto, con lo stesso fervore di una volta.
   
MESSER PIETRO Le vostre solite farneticazioni! Vi piace vedere in tutti e dappertutto il bisogno di aiuto e comprensione. E la vostra acuta sensibilità a portarvi a questo.
Francesco e tornato forte come un tempo, anche se non vanno dimenticate le due prove terribili che ha dovuto affrontare: il carcere e la malattia che lo ha portato alle soglie della morte. La partecipazione alla spedizione insieme con altri giovani non gli potrà fare che bene e a noi e alla nostra famiglia porterà lustro.
Non vi sfugga a questo proposito la nobiltà della causa e la possibilità che egli sia fatto cavaliere.
   
MONNA PICA Quanto mi dite mi arreca sollievo, ma non mi toglie del tutto la preoccupazione dal cuore al pensiero di vederlo partire un’altra volta incontro a pericoli e ad incognite di ogni genere.
   
MESSER PIETRO L’assistenza che gli avete offerto durante la malattia è stata determinante per la sua guarigione. Ho apprezzato la vostra dedizione e la vostra resistenza per notti e giorni interi al suo capezzale.
Ora, però, vi ordino di non trasmettergli la vostra apprensione e le vostre paure. E un uomo, ormai, e voi lo trattate come se fosse ancora un fragile adolescente. Questa nuova avventura lo fortificherà, siatene certa.
Vi prego, infine, di non piangere alla sua partenza; le vostre lacrime potrebbero indebolire la sua volontà e fiaccare il suo nobile slancio. Controllate il vostro senso di protezione che non può e non deve eccedere.
   
MONNA PICA Io mi atterrò al vostro volere; non potete, però, impedire che io trepidi per il mio figliolo. A me pare che sia predestinato ad azioni che non sono quelle che si compiono sui campi di battaglia.
   
Assisi è in subbuglio. I giovani più ardimentosi nelle loro armature lucenti sfilano osannati dalla folla. Sospiri, lacrime, esortazioni li accompagnano.
   
UBALDO Francesco, ho nel cuore una indicibile tristezza perché non sono dei vostri e non sono accanto a te. Ma, come ben sai, la ferita alla gamba mal curata ha procurato danni gravissimi; sono diventato zoppo.
   
FRANCESCO Tutto ciò mi addolora. Dammi qualcosa di tuo da indossare sì che mi parrà di averti con me.
   
UBALDO Eccoti il mio pugnale; ti sarà utile in un attacco ravvicinato. Riguardati e copriti di gloria.
   
FRANCESCO Questa volta è diverso. Nella lotta contro i malfidi Perugini partecipai con tutto me stesso, spinto dal desiderio di emulare le gesta degli eroi dei racconti cortesi. Ora, invece, ho bisogno di colmare il vuoto che sento nella mia anima; in essa avverto una mancanza e al tempo stesso un richiamo che viene da lontano.
Ho bisogno di sapere quello che voglio essere veramente: un uomo d’armi, un mercante, un pendigiorno, un sognatore... La malattia mi ha cambiato, anche se ho cercato con tutte le mie forze di apparire quello di prima.
   
UBALDO A me non sfuggiva che un rovello occupava la tua mente. Ti auguro che i tuoi silenzi tornino lieti di parole, che il sorriso torni a splendere sulle tue labbra e illumini le persone che ti amano.
   
CORO Viva il Papa e il nostro capitano!
Noi partiamo in difesa della fede noi partiamo in aiuto della Chiesa.
Viva il Papa e il nostro capitano!
Ci riscaldi il caro ricordo dell’addio durante le marce aspre e faticose nei luoghi selvaggi e sconosciuti. Viva il Papa e il nostro capitano!
Francesco inebriato si lascia andare:
lo trascinano, lo abbracciano festosi lo spingono con forza, lo chiamano. Come quando per un brusco malore si perde coscienza, quasi si fosse lontani dall’ora presente, in assenza d’aria e di vita, in uno sperdimento; così il figlio del ricco messer Pietro risponde ai saluti, tiene al trotto il suo cavallo, ma si sente smarrito, perduto in una fitta nebbia che gli copre la via. Madonna del pellegrino stagli vicina dovrà molto soffrire, ha bisogno di te. Segna la strada a questo figlio in pena. Nelle ore di sgomento dagli una mano infondigli coraggio quando avrà paura, sii a lui il bastone nodoso del viandante l’ombra degli alberi nella calura di luglio la carezza della madre a chi è sofferente.
   
Il fitto drappello di armati esce dalla porta orientale in direzione di Foligno per poi prendere la Via Flaminia che li avrebbe condotti, passando per Roma, nelle terre di Puglia. Verso sera arrivano a Spoleto dove si accampano.
Francesco riposa accanto alla sua armatura. All’improvviso gli appare un globo luminosissimo ed egli per la meraviglia sussulta.
   
FRANCESCO Misericordia, misericordia!
   
Il globo roteando su se stesso si fa più incandescente e col suo bagliore quasi acceca Francesco, che, per tutta la notte, è estasiato da quell’essenza di luce che si dilegua all’annunzio del mattino.
Da oriente si diffonde un chiarore che porta l’alba. Il chiasso dell’accampamento lo distoglie e lo fa tornare all’urgenza del presente. Un tremore scuote tutta la sua persona.
   
FRANCESCO Sento nel cuore un tumulto che mi serra la gola; l’emozione fortissima che mi lega nasce dalla certezza che non è stato un sogno fallace. Io ho visto.., ho sentito... Sia gloria a te, Dio della misericordia! Aiutami! Non posso più aspettare, né le circostanze me lo consentono.
   
Con la testa tra le mani rimane a lungo assorto nei suoi pensieri. E come un forestiero che, giunto ad un bivio, seduto su una pietra miliare, deve decidere quale strada percorrere e ha timore di sbagliare. Nessuno può soccorrere Francesco; è solo con se stesso, unico arbitro della sua scelta.
Questa è la condizione più sofferta.
   
CORO Francesco ha deciso: tornerà ad Assisi per trovare la via che lo condurrà a Dio.
Quale potrà essere nella inquietudine della sua esistenza; nelle tenebre fitte della sua vita spirituale? Egli così povero di dottrina e poco perseverante nella fede? Non lo sa, né lo immagina, ma sa per certo che deve tornare ad Assisi; non può servire i padroni della guerra; le sue opere siano a lode dell’Onnipotente in un mondo di pace. Era partito in difesa del Papa Innocenzo per riannodare le fila della sua vita oscurata, spezzata dalla lunga, perniciosa malattia. Voleva essere di nuovo com’era prima, aperto e fiducioso all’incanto del futuro. Cos’è successo a Francesco nella notte di Spoleto, durante il bivacco, mentre nel campo tutti dormivano prostrati dalla stanchezza e dall’ansia degli accadimenti? Cos’è successo a Francesco il giovane figlio dell’abile mercante Pietro di Bernardone? Nessuno conoscerà mai il segreto della notte di Spoleto, la notte dell’illuminazione, quando Francesco è stato rapito di luce.
Angeli tutti, santa milizia del Signore, allontanate le insidie di Satana, il Nemico; le vostre spade lucenti con le punte di fuoco proteggano Francesco sì che diventi servo di Cristo, e viva rinnovato nel suo amore.
Angeli tutti, santa milizia del signore, allontanate le insidie di Satana, il Nemico.
   
Fervono i preparativi per riprendere la marcia verso Roma. Gli amici chiamano Francesco e lo invitano a indossare l’armatura.
   
JACOPO Francesco che hai? Mi sembri preso da un sortilegio. I tuoi occhi guardano lontano; in essi c'è uno strano stupore. Hai dormito male? Forse un sogno ha impressionato la tua mente? Animo! Non perdere tempo: siamo già quasi pronti per ripartire.
   
FRANCESCO Andate e Dio protegga il vostro cammino. Io non vi seguirò, ma tornerò ad Assisi dove mi attende una prova più acerba di quella cui andate incontro voi.
   
I compagni restano increduli e sorpresi di fronte alla decisione di Francesco. Questi senza alcuna esitazione comunica a tutti e al capitano il suo proposito di tornare indietro. Seguono alle sue parole dileggio e insulti.
   
UN FANTE La tua codardia è ingiustificabile. Troppo bene vivi ad Assisi tra agi ed impertinenze.
   
UN CAVALIERE Ad un signorino come te non si addicono le fatiche della guerra. Va’ pure; non ti vogliamo con noi.
   
JACOPO Tacete! Forse è il ricordo della sfortunata avventura contro i Perugini a incutergli ripensamenti e timore. Francesco, difendi il tuo onore; non lasciare che ti giudichino con tanta malignità e ti offendano.
   
Francesco senza rispondere s’allontana sul suo cavallo tra le risa generali dei suoi compagni d’arme. Ha il cuore in subbuglio. Giunge nella sua città esausto e affamato. Il padre che è nel fondaco lo vede da lontano e si fa sulla soglia ad aspettarlo.
   
MESSER PIETRO O tu che fai in Assisi? Come mai sei qui? Ti ha assalito di nuovo la febbre maligna?
   
FRANCESCO Non posso proseguire. Mi ha fermato un potere sovrumano. Ho bisogno di stare solo ore e giorni per capire qual è la strada giusta da percorrere.
   
MESSER PIETRO Tu hai bisogno di star solo per gozzovigliare secondo la tua bassa inclinazione.
Monna Pica, accorrete, venite a vedere come il vostro figliolo prediletto s’è coperto di gloria!
Hai infangato il nostro nome; non sei che un vile disertore.
Ed io che ho lavorato senza sosta per darti dignità! Che tu sia maledetto!
   
Monna Pica accorre alle grida del marito e resta sorpresa e amareggiata nel vedere Francesco in uno stato così miserando. Teme che egli sia stato preso nuovamente dal morbo che lo aveva portato alle soglie della morte.
   
MONNA PICA Messer Pietro, tacete, calmate la vostra furia. Non vedete come è ridotto il nostro Francesco? È privo di forze, stanco, impolverato ed ha il viso rigato dal pianto.
A me basta sapere che non è preso dal male di cui è stato vittima mesi fa. Diamogli ristoro, poi, ci
racconterà con calma cosa gli è successo.
   
MESSER PIETRO Non voglio più vederlo, né sapere di lui. L’hanno visto attraversare la città così malconcio e tutti, ormai, ridono del nostro “eroe”. Ha deciso di disonorare la nostra famiglia, non ha rispetto né pietà di noi: di voi che gli avete dato la vita e di me che mi sono logorato per assicurargli tutto il benessere possibile.
Sia bandito dalla mia vista.
   
Messer Pietro si allontana indignato maledicendo il giorno e l’ora in cui era venuto al mondo quel dannato figliolo.
   
FRANCESCO Madre, sono sul punto di perdere i sensi; ho bisogno di cibo e di riposo. Sappiate che la mia defezione non mi è stata dettata da vigliaccheria. Vero è che non posso servire due padroni.
Credetemi, vorrei con tutto il cuore essere quello che voi sognavate e quello che mio padre vorrebbe che io fossi. Pensate mai che voglia per gusto farvi tanto soffrire e soffrire io stesso? Tutto è così incerto e doloroso.
   
MONNA PICA Francesco mio, sangue del mio sangue, come potrei condannarti? Nel mio cuore provo sollievo nel saperti al sicuro e sento che hai agito non per mancanza di coraggio, ma secondo un disegno di cui mi sfuggono i contorni. Ora, per carità tua e nostra, cerca di calmanti.
   
FRANCESCO Il richiamo del cielo ha annullato ogni altro desiderio; mi ha spogliato di me stesso e non mi dà pace né refrigerio perché la scelta di voler appartenere al Signore va al di là dei limiti umani. Tutto questo mi accora e mi toglie impeto e vigoria.
Ho paura del dopo, madre mia, ho paura del dopo.
   
MONNA PICA Che il Signore della luce ti illumini. Dovrai affrontare un nemico ben più temibile che sui campi di battaglia. E un nemico insidioso, sempre in agguato a corrompere le coscienze e a corrodere gli spiriti. È Satana il tuo nemico!
Abbi fede! Il Padre celeste che ti ha chiamato non ti lascerà solo nella lotta.
Io, dal canto mio, sento che non ti ho perso né ti perderò. Se Lui ti vuole, sia fatta la sua volontà.
   
FRANCESCO Forse un giorno...
   
MONNA PICA Basta così, amato figlio. Ora bisogna provvedere a rifocillarti. Lascia il cavallo allo stalliere e seguimi.
   
Riavutosi fisicamente Francesco è di nuovo combattuto: da un lato i banchetti, i festini lo attirano, dall’altro egli si rende conto che non prova lo stesso piacere di un tempo, anzi spesso è assalito da un fastidio che diviene sempre più insopportabile.
   
FRANCESCO Dio Onnipotente, hai invaso la mia anima, hai distrutto i miei desideri, le mie aspirazioni, le mie inclinazioni; nulla è rimasto di ciò che ero.
Tutto si è dissolto: la gioia al risveglio senza angoscia col solo proposito di godere ogni minuto della giornata; la frenesia che mi prendeva nell’organizzare ogni specie di divertimento; la banda dei miei amici sempre pronti ad assecondarmi e a condividere ogni nuovo trastullo. Niente è più così; niente mi appaga.
Sento nell’anima uno struggimento che mi dilania; nella mente un assillo che mi attira e mi impaura. Non posso più continuare a dibattermi; mi arrendo al tuo volere, Dio delle vittorie. Sì, rinunzio a quanto mi teneva avvinto ai piaceri, alle attrazioni mondane; ma tu abbi pietà del mio tormento.
Dove sei? Dove posso incontrarti? Come? Quando?
   
CORO Francesco frena il tuo grave affanno; ricordati che a Spoleto il tuo Signore ti ha invitato a scavare nel tuo cuore. Occorrono giorni lunghi e ore e spazi per vederlo nell’altezza del suo trono; assai difficile è la conquista del Cielo. Come un naufrago che nei flutti scuri nuota con forza per non andare a fondo, finalmente esce dall’acqua e approda sulla riva agognata da lontano; sospira prova sollievo e gode dell’esser salvo; così tu esulta per essere al pericolo scampato: eri sull’orlo della perdizione, senza Dio al tuo fianco, ora è vicino a te. Immergiti in Lui, nella sua mite parola.
Cercalo nelle sue creature, negli alberi maestosi, nelle punteggiate coccinelle nelle variegate farfalle, nell’erba verde nei fiori e nelle nuvole bianche o scure di tempesta, nell’infida rete del ragno.
Ascoltalo nella vecchia canzone del vento nel canto del fiume che scorre tra gli argini; ascoltalo nel devoto silenzio dell’anima tua.
   
Passano i giorni e Francesco avverte sempre più insistente l’esigenza di stare solo. Comincia, perciò, a frequentare i luoghi solitari che si trovano attorno ad Assisi per pregare. Esce da Porta Moiano, così vicina alla sua abitazione, e sale sulle falde del Subasio. Quando ha poco tempo a sua disposizione, attraverso scorciatoie conosciute, raggiunge ben presto il bosco della valle centrale vicino a Santa Maria degli Angeli. Vagando attraverso le valli e i boschi, Francesco trova una grotta, probabilmente un antico sepolcro, che egli elegge a suo rifugio spirituale.
   
FRANCESCO  Eccomi a te, Signore, sono pronto ad accoglierti. Nessun indizio, però, mi è venuto da te dopo giorni e notti di preghiera. Talvolta lo strazio dell’attesa mi fa urlare e piangere.
Quando vedrò il tuo volto? Quando ti sentirò vicino?
Lazzaro era tuo amico e lo risuscitasti; fa’ che anch’io, reso degno della tua amicizia per tua benevolenza, risorga dal peccato a vita nuova.
Forse le mie preghiere sono semplici; più che preghiere sono ardenti implorazioni. Non merito ancona il dono della tua presenza?
Mi sento come un fuscello di paglia trasportato dal vento; nessuno, vedendolo volteggiare, sa se si fermerà e dove. Forse pecco di alterigia e presunzione nel volerti cercare senza il sostegno della Chiesa; senza la guida dei religiosi.
Oh! sentire il caldo dell’amore che unisce il Padre e il Figlio nella fiamma dello Spirito Santo.
   
Francesco è in ginocchio. Si dispera; è preda di un tremito convulso che gli lega le parole. Si stende allora sull’umido pavimento della roccia e guarda nel vuoto. Passano le ore. Riavutosi invoca ancora il Signore.
   
FRANCESCO Mi hai chiamato ed io, anche se a fatica liberandomi dalle passioni terrene che mi tenevano avvinto, ti ho risposto. Nulla più mi attira se non la solitudine che nutre la speranza della tua venuta.
Signore, ascolta la voce di un tuo umile servo, che ardentemente desidera solo respirare, vivere, pensare nella sfera della tua volontà.
Annulla quanto è rimasto in me dei vincoli antichi; di giorno in giorno la distanza che mi separa da te sminuisca fino a svanire, sì che, alfine, possa godere della tua visione.
   
Un tramonto di fuoco infiamma tutto l’occidente. Messer Pietro di Bernardone scorge da lontano la sagoma del figlio che lentamente cammina sulla via del ritorno. Preso da stizza e rabbia si rivolge a Monna Pica che è con lui sul verone.
   
MESSER PIETRO Eccolo che ritorna dalle sue gite nei campi e nei boschi. Ed io sono solo al banco, perché Agnolo, per grazia di Dio un figlio normale e attivo!, è per paesi a trattare nei mercati.
   
MONNA PICA Suvvia, messer Pietro! Un po’ di comprensione! Noi uomini non nasciamo punto eguali; crescendo, ancor più ci differenziamo l’uno dall’altro, e non solo nell’aspetto fisico. Francesco e diverso da tutti gli altri, Francesco ha qualcosa...
   
MESSER PIETRO Vi dico io cos’ha Francesco. Non ha voglia di far niente; gli piace bighellonare da mattina a sera senza il pensiero di come guadagnarsi il pane. Vi assicuro che se continua così gli impedirò di accostarsi alla mia tavola. Non voglio parassiti nella mia casa.
   
MONNA PICA Non dite così: siete suo padre. Che mai sarà quella sua voglia di starsene solo, di uscire ogni giorno dalla città e raggiungere luoghi inaccessibili e romiti? Che sarà di lui?
Quando lo vedo con lo sguardo assente, perso nel vuoto, alla ricerca di quello che non ha ancora trovato, provo una pena intima e profonda. Vorrei poterlo aiutare, ma non so come.
Durante la malattia spesso mi apriva il cuore, ora, invece, non mi comunica più i suoi pensieri; anzi, tace, guardandomi smarrito. Non mi resta che raccomandare a Dio la sua vita.
Secondo le sue rivelazioni Dio gliel’ha chiesta ed egli gliel’ha data. Che Egli guidi il cammino della sua anima.
   
MESSER PIETRO Fandonie! Speculazioni! Fantasie!
Se di buon mattino, levatosi dal letto, si ponesse al lavoro con lena; se pensasse a formarsi una famiglia e a darci dei nipoti che non son mai troppi; se mi seguisse per qualche tempo nei miei viaggi per apprender l’arte della mercatura, di certo le ubbie che ha si leverebber tutte.
Ogni volta che lo vedo mi vien voglia di prenderlo a legnate, grande e grosso com'è.
Che dirvi, poi, delle mortificazioni che ho da subire dai compagni di lavoro, dagli amici, dalla gente che viene a bottega; sorridendo mi chiedon tutti” Che ne è di Francesco, il vostro figliolo più piccolo? Non lo si vede che all’albe e ai tramonti. Io vi dico a pieno cuore che nostro figlio è un pazzo e, se anche non lo è di fatto, ha scelto di vivere come un pazzo. Io non provo compassione, ma sdegno e corruccio. Non so davvero codesta storia come andrà a finire.
E voi non gli date corda con carezze e altre sdolcinature. Dissuadetelo, invece, sconfortatelo dal perseguire la strada che ha intrapreso.
   
MONNA PICA Io sono inquieta per lui, per voi, per la nostra famiglia. Che mai vorrà il Signore dalla nostra casa: cosa chiede a noi attraverso Francesco?
   
MESSER PIETRO Basta! Basta! Col vostro straparlare mi fate confusione. Di certo il Signore non vuole che egli non rispetti il padre e la madre e si burli di tutto il popolo di Assisi. Non oso maledirlo ancora, l’ho fatto tante volte!, e non voglio oltre esacerbarmi l’animo.
Ogni padre accarezza un sogno per ciascuno dei figli: ad uno assegna il successo nel campo degli affari; per l’altro, cui piace il mare, immagina un futuro di navigatore; a quello che ama lo studio augura che si affermi nella nobile arte delle lettere, della filosofia, delle scienze.
A me, invece, è negato ogni sogno per Francesco che é un figlio perduto.
   
MONNA PICA Messer Pietro non vi crucciate. Chiedetevi, piuttosto, se non sia più giusto che siano i figli a scegliere al di là dei sogni dei propri genitori. Io non so.. .forse...
Comunque, Francesco non e né pazzo, né disamorato. Francesco non è più nostro, è di Dio.
   
Di buonora Ubaldo accompagna Francesco nel suo eremo. Questi non ama confidare a nessuno le sue esperienze, ma Ubaldo conosce il segreto del suo peregrinare, perciò, ha deciso di condurlo con se.
Giungono alla grotta e, mentre Francesco entra, il suo amico resta fuori ad aspettarlo. Ode lamenti, suppliche disperate e prova una grande pietà. Dopo alcune ore Francesco lo raggiunge.
   
UBALDO Com’è grande la tua tribolazione! E visibile nel tuo aspetto un’acuta sofferenza. Che senso ha questo tuo isolarti? Questa tua fuga dal mondo? Perché le tue palpebre sono così tanto arrossate e gonfie? Il maledetto carcere perugino t’ha segnato; dopo quella esperienza non sei stato più lo stesso.
   
FRANCESCO Ahimè! Non trovo il Signore. Con tutto me stesso voglio essere suo, ma non so come arrivare a Lui. Sono mesi che lo invoco, ma nessun segno mi ha dato. Questo mi porta talvolta a disperare di vederlo; penso che la mia sia una vacua illusione.
In tanto affanno, però, ho scoperto la gioia di vivere a contatto della natura e provo una benefica pace nello scoprire la straordinaria varietà delle sue creature, anche le più piccole.
È questa, forse, la strada per giungere al loro e al nostro Creatore?
   
Francesco e Ubaldo prendono silenziosi la via del ritorno. Ciascuno porta con sé le emozioni di quella giornata: il primo la delusione di un incontro ancora una volta mancato, l’altro il dispiacere di veder soffrire il suo amico, il più caro tra tanti, e di non essere in grado di comprendere fino in fondo la causa del suo sconforto per poterlo consolare.
Trascorre del tempo da questo episodio. In un mattino di sole Monna Pica e Francesco sono a colloquio.
   
MONNA PICA Messer Pietro è in viaggio per affari; sei, perciò, più libero di aprire il tuo cuore a me che condivido la tua pena. Dimmi, che esito ha questo tuo ramingare? Questo tuo straniamento che mi pare non ti dia la serenità alla quale aspiri? Le tue veglie mi segnano l’anima, il tuo pianto mi inonda il cuore.
   
FRANCESCO Madre, quant’è grande il mio strazio! Il richiamo di nostro Signore mi ha scaldato e infiammato, ma non riesco ad elevarmi a Lui. So che devo cercarlo nel silenzio della mia anima; l’ho pregato nell’oscurità delle notti, nel chiarore delle albe, ma nessuna manifestazione mi ha arrecato conforto. Non un alito del suo amore; non un soffio della sua magnificenza.
Ormai una fiacchezza m’invade e ho paura di essere condannato ad una vita priva di gioia e piena di tormento. Ad essere incompleto, a metà tra terra e cielo. Sono disposto a morire pur di vedere per un attimo il santo volto di Dio.
   
MONNA PICA Non così, Francesco, non così. Ah, se potessi, ti prenderei per mano e ti condurrei al cospetto del Padre nostro che è nei cieli e gli chiederei di dare a me la tua angoscia!
   
FRANCESCO Addirittura un giorno, preso da irrefrenabile sgomento, gli gridai che se non avesse lenito la mia pena, se non avesse illuminato la mia mente ancora così lontana dalla verità, avrei ripreso le mie abitudini balorde; mi sarei fatto beffe di lui e della sua Chiesa.
Tornato in me, fu tanto forte il disgusto della protervia e della insolenza, che mi avevano portato ad offendere la maestà del nostro Creatore e Signore, che costernato piansi per tre giorni, battendomi il petto con la coscienza di aver peccato gravemente e, cosa più dolorosa, con il timore di aver perduto il favore del Cielo e di aver annullato il percorso già fatto, le scelte avviate.
   
MONNA PICA Dio non ti abbandonerà. Confida che Egli nella sua potenza ti verrà in soccorso perché tu possa superare gli ostacoli che ti dividono da Lui.
   
FRANCESCO Voglia l’Onnipotente che le tue parole siano esaudite. Nell’attesa io non ho più lacrime. Nei momenti più bui delle mie giornate sono preso dal furore e rimpiango i miei anni passati, quelli in cui tra bagordi e sollazzi trascorrevo le ore senza altro pensiero che quello di inventare nuove e allettanti occasioni di divertimento.
Ho la tentazione di maledire l’ora, il giorno, il mese del mio eccezionale contatto col divino che mi ha cambiato la vita. Nulla è più come prima e mi struggo. A volte mi convinco di essere pazzo, come gli altri ritengono, e che tutto è frutto di oscure allucinazioni.
Poi, mi pento; chiedo perdono al Signore per la mia debolezza e ricomincio a sperare e con la speranza, miracolosamente, torna in me un rinnovato desiderio di riprendere la strada come viandante di Dio.
   
MONNA PICA Che dure prove ti ha riservato la sorte! La tensione che tiene legata la tua anima ti allontana dalle necessità quotidiane. Non mangi; sei smagrito; sei debilitato.
Io non posso distoglierti dalla tua ricerca, né tu lo accetteresti; a tua consolazione, posso soltanto invitarti a pensare a quanto sarà grande la gioia dopo questa tua insopportabile sofferenza.
Che le ali di Dio ti coprano e ti proteggano.
   
Durante il suo vagare Francesco si trova nella chiesetta di San Damiano, coperta d’edera verde, da tempo abbandonata. Ne è custode un vecchio sacerdote. In essa è conservato un crocifisso bizantino: un crocifisso diverso, che non esprime dolore, non suscita compassione, ma fiducia e devozione Ha gli occhi neri, totalmente aperti, dai quali traspaiono dolcezza e maestà. Francesco rimane a lungo assorto di fronte ad esso. E proprio qui si fa chiaro il suo cammino mistico.
   
FRANCESCO Cristo Gesù, ti sento vicino. Non cosi il Padre tuo sul suo trono circondato dagli angeli, irraggiungibile dalla mia miseria. Tu, uomo come noi, hai patito il più vile tradimento della storia; ci hai amato senza che ti amassimo; ci hai salvato dalla dannazione eterna. Hai assentito al Padre sacrificando te stesso e nello spasimo della morte feroce, mentre il sangue scorreva dai fori dei piedi e delle mani, dalle giunture spezzate, lungo il viso, lo hai invocato con le parole d’amore più belle dai primordi ad oggi “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Mai, noi uomini, i tuoi assassini, abbiamo avuto un dono più alto, un’intercessione più accorata.
E intanto il cielo si oscurava. Lo strazio della tua agonia fu atroce; finalmente un gemito lungo, certamente una preghiera, un rendimento di grazie, e reclinasti il capo. Le sacre scritture si erano compiute e aveva inizio la nostra salvazione.
Gesù Cristo beato ferito nel costato, che solo amore hai dato, aiutami ad annullarmi nel Padre tuo. Aiutami a placare la mia sete di Cielo.
   
Una luce intensa lo avvolge. Francesco ode una voce soprannaturale.
   
LA VOCE DI GESÙ Francesco, fratello mio diletto, salva i tuoi fratelli e la mia Chiesa.
   
Francesco perde i sensi. Al risveglio, per la prima volta, dopo tanto tempo, una pace dolce, ineffabile domina il suo cuore, la sua mente, il suo respiro.
   
FRANCESCO Dio mio, per tua grazia, ho compreso come arrivare a te. E attraverso il Figlio tuo, Gesù Cristo Salvatore; attraverso il suo esempio di carità, di povertà e attraverso la sua offerta estrema, totale.
Pesterò le sue orme. I miei più cari fratelli saranno i poveri, gli afflitti, i perseguitati, i diseredati, gli oppressi, i malati, i lebbrosi. Spezzerò ogni legame che mi vincola alla società degli uomini per rinascere nel nome tuo, distruggendo ogni tratto dell’antico Francesco.
La mia gratitudine per avermi scelto a tuo servo non si estinguerà mai; finché vivrò loderò la tua misericordia, la tua magnificenza e la creazione nella varietà delle sue creature. Predicherò la purezza del Vangelo perché la Chiesa ritorni alla innocenza delle sue origini, quand’era forte della presenza di Gesù e degli apostoli santi.
   
CORO Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Come quando in una stanza ch’era buia entra la luce e d’improvviso splende la trasparenza dell’acqua nella brocca, la sacralità del pane sulla madia, il giallo delle margherite appena colte, così nell’animo di Francesco ch’era scuro di tristezza, bagnato di dolore irrompe il divino e ogni sentimento s’addolcisce: l’ira dilegua, lo spirito si consola, si smorza la paura e prendono corpo e colore il verde della speranza, il bianco della fede, il rosso della carità; mentre una quiete intensa avvolge lui, il mendicante di Dio, che finalmente, dopo notti di oscurità senza luna né stelle, L’ha trovato e ora s’abbandona al caldo del suo amore e al ristoro dell’approdo.
   
FRANCESCO Signore, allontana ogni ansia o dubbio dal mio animo, infondimi il coraggio nell’affrontare le prove non facili che mi attendono. Fa’ che sia certo del viaggio, forte e pietoso nel soccorrere, fecondo di opere per il prossimo; perseverante nella rinuncia, sempre, come in questo momento, in cui la meravigliosa scoperta della luce, che mi toglie dalle tenebre della ignoranza e dello sgomento, mi inonda d’amore.
Serviti di me, mio Dio. Che io sia per tutta la vita strumento della tua volontà.
   
CORO Un canto soave si spande tutt’intorno tra l’erbe, i fiori e le nuvole passeggere. Un’aria pura, rarefatta circonda lieve la chiesetta di San Damiano e il vento, che sfiora appena i teneri rami e le foglie, sembra sia mosso dalle ali degli angeli. Francesco ha una strana luce negli occhi; trepida, non più per lo spasimo antico, ma per una gioia nuova che gl’invade l’animo, dall’altezza del cielo benedetta: gioia di Paradiso viva nel miracolo del Cristo, che gli ha parlato e lo ha confortato.
   
FRANCESCO Cristo Gesù voglio portare le tue ferite voglio sopportare l’umiliazione del dileggio degli sputi inverecondi, della corona di spine appuntite e la irrisione dello scettro di canna. Voglio sopportare il peso della croce dove fosti inchiodato dall’orrore del peccato.
Gesù voglio essere tuo fratello nel dolore.
   
  Francesco è trasfigurato. Guarda in alto mentre un pianto di devozione gli sgorga dagli occhi e appanna la sua vista. Di fronte al crocifisso, nella chiesetta di San Damiano, ha avuto la folgorazione, che aveva spasmodicamente cercata attraverso ore, giorni, anni trascorsi nella nebbia della sconsolazione; un sospiro profondo gli fa chiudere le palpebre e gli libera l’anima da un groppo, un groviglio di struggimento e paure, di rimpianti, di ossequi, di dolorose attese. Nulla più conta: è nato alla grazia, viva e vivificante, ed ha chiaro il senso della missione affidatagli da Dio.
Si avvia felice verso Assisi. Ogni intenzione gli appare miracolosamente tracciata, senza tentennamenti o irresolutezze. Appena giunto si sarebbe privato degli abiti ed avrebbe indossato il saio della penitenza e del perdono. Avrebbe rifiutato ogni bene materiale e sarebbe vissuto di carità.
Di tanto in tanto si ferma per riprendere fiato: l’emozione è tanta e gli solleva il petto. La natura che lo circonda è testimone della sua prodigiosa trasformazione.
   
CORO Oh, meraviglia! Da Francesco accorrono gli insetti lucidi come il pulviscolo dell’aria al raggio di sole del mattino, la tortora rosata, la marmotta che al più lieve fruscio s’intana, il rospo con gli anelli scuri sul dorso nodoso, il falchetto che vola nell’azzurro roteando largo, la viscida lumaca che a luglio dopo la pioggia s’attacca alle stoppie gialle e dondola nel vuoto. Egli li accoglie, ne ammira la forma, il colore e inneggia al Creatore per la loro perfezione. Anch’egli è creatura libera e volteggia e canta; nei suoi occhi pieni di sorpresa ride il paradiso. Dopo un viaggio aspro e doloroso è tornato puro come quando ingenuo fanciullo correva in chiesa al dolce richiamo delle campane e sentiva una gioia limpida scendergli nel cuore. Angeli tutti, santa milizia di nostro Signore, avete vinto le insidie di Satana, il Nemico; le vostre spade lucenti con le punte di fuoco proteggano Francesco sì che, divenuto servo di Cristo, viva sempre al caldo del suo amore.
   

 

 

 

 

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