Ed io lo seguirei nell’abisso
senza paura delle tenebre, dei demoniaci
mostri o d’incontrar Plutone irato
nè Proserpina rapita al sole. Con lui,
come Francesca con Paolo, affronterei
la bufera che avvita i lussuriosi,
senza rimpianti, nè lacrime nè dolore e dolce
compagnia mi sanano gli amanti
antichi, d’ogni tempo, i perduti d’amore,
ognuno in eterno legato all’altro
fino a che legge divina li farà vorticare.
Madre mia, dolce madre amorosa,
sono da tutti accusata di turpe leggerezza,
almeno voi concedetemi ch’io v’apra il cuore
e voi aprite il vostro per grazia e per pietà
alle parole d’una figlia infelice
rapita senza difesa dalla mala ventura.
Io vi giuro su quanto ho di più caro,
sul capo del mio piccolo Emanuele,
che mi pesa fino allo strazio tradire Carlo,
per il quale nutro delicato affetto fraterno,
e oscurare con la mia colpa il casato dici
D’Avalos
cui mi lega forte orgoglio d’appartenenza.
Ho lottato; in tante notti scure di paura,
insonne, ho chiesto alla Vergine Maria,
ch’io sono indegna di nominare,
di salvarmi dalla furia che mi possiede,
di aiutarmi a sfuggire all’incantamento
che m’attanaglia il cuore, di darmi
la forza di obliare le ore di passione
intensamente vissute, ahimè sconsiderata!,
con colui che voi giudicate scellerato
malefico, infido, ma che è per me
l’alba e il tramonto, il nuvolo e il sereno
l’aria che respiro, il palpito del cuore,
il cibo, l’acqua, il profumo aspro del bosco
e quello soave dei prati fioriti a primavera.
Al vederlo s’accendono i miei occhi
come l’oriente al sorgere del sole
la sua voce m’avvolge, m’infiamma, mi colora,
mi nutre di fervide speranze e annulla
la nobiltà di ogni mio sano proposito.
Non così in principio: furono capriccio
sfida, lusinga a spingermi alla conquista
del bel Carafa, idolo dei salotti:
il gioco amoroso assai m’affascinava
come in passato, quando la preda vinta
abbandonavo ai sospiri senza pietà,
quando gli sguardi languidi al mio passaggio
degli amanti delusi mi faceano sorridere
paga della vittoria su nobili cavalieri,
giovani arditi, insigni menti virili,
tutti sottomessi alle mie grazie. Poveri leoni
ruggenti in pecore mansuete tramutati!
Era forse sopito desiderio di vendetta?
Esperta nell’arte dell‘ammaliare,
l’unica che avessi appreso da quando,
ancora ignara giovinetta, venni sottratta
ai giochi spensierati, ai sogni, alle invenzioni
della fantasia, e data in sposa al nobile
padre della dolce Beatrice, affidata
ora alle vostre cure d’ava premurosa,
scoprii gli insoliti costumi coniugali:
il giacere sul letto alle voglie maschili
e imparai a far tacere il cuore, a premere
il petto quando era gonfio di sospiri,
a ingoiare le lacrime che a volte,
inaspettate, lentamente mi rigavano il volto.
Insistenti mi tornavano in mente le parole che voi
e le sollecite dame e la nutrice mi diceste
nel giorno che mi preparaste a nozze:
.tuo marito è signore e padrone, è bene
che tu ne accontenti le brame...". |