Home Page

Artisti Lucani

Guest Book

Collaborazione

R. Zaza Padula

le OPERE

Potenza

.


per amare ORAZIO

 

Rachele Padula Zaza
 

<<  Precedente

INDICE

Successivo  >>

 

L'incontro tra Orazio e Mecenate

Virgilio ed Orazio passeggiano conversando piacevolmente. Orazio è ansioso di essere presentato a Mecenate; teme di non andargli a genio per le sue origini modeste e per il suo passato repubblicano. Era l’anno 38 a. C.

Virgilio
Qualcuno si avvicina a noi. Mi pare un servo di Mecenate.

Servo
Mecenate, il mio eccelso padrone, vi riceverà le prossime idi all’ora sesta.

Virglio
Caro Orazio, sei visibilmente emozionato. Io e Vario Rufo gli abbiamo parlato di te elogiando la tua poesia e la nobiltà del tuo spirito; gli abbiamo, inoltre, rivelato le tristi vicende che hanno segnato la tua vita. Animo! Vuole conoscerti.

Così lo stesso poeta descrive il prestigioso incontro con il magnanimo cavaliere.

...O Mecenate, nello scegliere gli amici, tu sei, non dirò per vantarmi, ben guardingo; ed io, se t’ho per amico, non debbo ringraziare la fortuna. Un giorno degli amici la perla, Virgilio, e Vario Rufo dopo di lui, ti parlarono di me.
Quando giunsi al tuo cospetto, poche parole dicendo e stentate perché la soggezione m’avea tappato la bocca, non ti dissi che ero nato da un padre illustre o che avevo tali tenute da farci le gite a cavallo, ma ti dissi ciò che realmente io ero. Tu rispondesti poche parole, come è tuo costume...

Satire I- VI. 50/60

Mecenate
Ehm!…Vedrò…Intanto mi congedo da voi. Vi farò sapere.

Alcuni giorni dopo essere stato ricevuto da Mecenate, Orazio conversa con Vairo e Virgilio.

Orazio
Cari amici, siamo soli e posso apertamente dare sfogo ai miei pensieri. Il mio non è desiderio di gloria, di successo, ma la mia emozione nasce dall’essere stato ammesso alla presenza di un uomo di cui ammiro le qualità spirituali e civili; egli è l’esempio di come la ricchezza e il potere possano servire al bene comune, all’esercizio dell’onestà e della giustizia, alla ricerca del bello nella vita  e nell’arte, intesa quest’ultima come la più alta espressione dell’animo umano. Vogliano i Numi che io gli vada a genio, che apprezzi i miei scritti, che gli sia piaciuta la mia persona sì che possa entrare nel ristretto numero dei suoi eletti!

Vario
Non ho dubbi che il tuo desiderio presto sarà appagato.

Virgilio
Sono certo, e gli Dei mi saranno testimoni, che pochi giorni passeranno e Orazio sarà insieme con noi fra gli intimi di Mecenate.

Passarono, invece, ben nove mesi!

Orazio
...Trascorrono nove mesi, mi mandi a chiamare e mi inviti che io sia degli amici. Caro Mecenate, ed io faccio gran conto di questo. Che seppi andare a genio a te che ben sai distinguere l’onesto dal furbo e ti piacqui non per la nobiltà di mio padre, povero liberto, ma per la purezza della mia vita e dei miei sentimenti...

Satire I- VI. 61/64

 

Mecenate
Orazio, sii pure dei nostri. Roma e il principe Augusto nella difficile impresa della ricostruzione della pace hanno bisogno di spiriti insigni che illuminino le coscienze con le loro opere e con il loro esempio. Pertanto, non può esserci uomo più degno di te che ha già sofferto amare delusioni e alterne vicende della vita.

Orazio
Nobile cavaliere, alla gioia che mi deriva per esserti riuscito gradito fanno riscontro l’esitazione e il turbamento propri di chi è chiamato ad un compito alto e teme di deludere le aspettative.

Mecenate
Io voglio che i miei amici formino una schiera eletta di uomini che abbiano nobili e comuni propositi e sappiano conservare la franchezza del loro cuore e grande indipendenza di pensiero.

Orazio è con Lalage e continua il racconto della sua vita secondo la promessa fattale il giorno prima.

Lalage
Mi accorgo che la commozione ti fa tremare la voce e rivela che il legame che ti unisce a Mecenate è profondo e unico: esso è fondato sull’amicizia, sulla devozione, sulla stima.

Orazio
Mecenate di giorno in giorno diventava sempre più, oltre che il benefattore, il confidente, l’ispiratore di molti miei comportamenti. Sempre più la mia anima veniva conquistata dalla sua. Certamente egli ha fatto sì che io superassi la crisi esistenziale in cui mi dibattevo; l’incontro con lui mi ha ridato fiducia in me stesso, nella mia sorte e in quella di Roma.

...O Mecenate, progenie di re etruschi, o mia difesa e mio dolce amore...

Questi sono i primi due versi dell’ode II del libro I che Orazio dedicò appunto a Mecenate.
Nell’ode XI del libro IV, invece, il poeta celebra il giorno natale del suo amico.

 

Fillide cara, ho un botticello di vino albano
vecchio più di nov’anni, nel mio orto
c’è verde apio per intesser corone
e molta edera perché splendenti

siano i tuoi capelli annodati;
la mia casa ride d’argenti e l’altare
cinto di pura verbena aspetta che
lo bagni sangue d’immolato agnello;

tutta la schiera è in faccende
corrono qua e là garzoni e ancelle
e le fiamme guizzano aggirando
il fumo nero in vortici larghi.

Perché tu sappia a quale gioia vieni
sappi che devi celebrare le idi
che a mezzo tagliano aprile
il mese sacro a Venere Marina;

giorno per me solenne, più sacro,
quasi, del mio stesso dì natale
giacché da esso Mecenate comincia
a noverar gli anni affluenti.

Odi IV - XI. 1/20

 

Lalage
Grande onore viene a te dall’essere degli intimi di Mecenate, anzi quello con cui ha stabilito un rapporto di più profonda intesa.

Orazio
Certo, mi pare di toccare il cielo con un dito, ma, purtroppo, la nostra familiarità attira su di me gli strali dell’invidia, che, a mio parere, è tra i vizi umani il più esecrabile. Quando io e Mecenate camminiamo per le strade di Roma suscitiamo curiosità e sentimenti di varia natura tra la folla, specialmente indirizzati verso di me.

I commenti nei riguardi di Orazio, di seguito riportati, sono ricavati liberamente dalla sesta satira del libro secondo, e mettono in luce come la rivoluzione che si andava compiendo, quella che apriva agli ordini nuovi l'ascesa politica e sociale, non era ancora accettata e capita non solo dai nobiles, i discendenti dalle famiglie patrizie cui spettavano per tradizione onori e cariche, ma dai più, dal popolo, spinto da invidia nei confronti del poeta.

“Guardate, guardate, vi prego, cosa Giove offre alla nostra vista! Un provinciale, questo Orazio, figlio di un liberto, ex scrivano, s’accompagna con Mecenate.
che virtù avrà mai? Ma lo avete visto. Piccolo di statura, tarchiato e un po’ tozzo. Ha, inoltre, gli occhi cisposi.
figlio della fortuna! Sei, davvero, nato con la camicia!
Orazio, Roscio ti prega che tu lo assista domani al Puteale, il sacro luogo del Foro.
o Quinto, procura che Mecenate metta il sigillo a queste tabelle.
Cesare i campi che ha promesso ai soldati li darà in Sicilia o nel continente? Tu devi saperlo: Bazzichi i Numi!”

Orazio
Talvolta, mia cara Lalage, quando giungo al lugubre Esquilino mi saltano ai fianchi, mi assillano, mi riempiono la testa con cento beghe.
Ti voglio raccontare un episodio davvero divertente.

L'episodio cui Orazio fa riferimento è l'argomento della notissima satira nona del libro primo.

Me ne andavo a caso per la via Sacra, pensando come al solito a non so quali inezie, quando un tale che conoscevo soltanto per nome mi venne incontro e presami la mano, mi disse: ” Come stai, mio dolcissimo amico?” “Benone, per adesso, e ti auguro ogni bene.”. Poiché mi seguiva , aggiunsi: “Desideri qualcosa?” “ Dovresti conoscermi: sono un letterato”.
“Quand’è così, la mia stima cresce per te”.
Cercando invano di liberarmi di lui, ora camminavo in fretta, ora mi fermavo, ora sussurravo non so che al mio servo, mentre il sudore mi calava giù fino alle calcagna.
“O te fortunato per il tuo cervello o Bolano” dicevo io tra me mentre lui parlava a diritto e a traverso e lodava i quartieri della città, ed io zitto.
“Crepi dal desiderio di filartela, l’ho visto da un pezzo; ma non mi scappi, no, dovunque tu vada io verrò con te”.-“Ascolta, non c’è bisogno che tu faccia un sì gran giro con me; devo recarmi a far visita a un tale che tu non conosci, è ammalato e abita lontano, presso i giardini di Cesare, di là dal Tevere”.-“Non ho niente da fare, né sono pigro: ti seguo fin là”.
Abbassai le orecchie, come fa l’asinello quando gli mettono sul dorso una soma troppo pesante e s’avvilisce. Ed ecco che ricominciò:
“Se mi conosco bene, non dovresti tenere in conto più di me l’amico tuo Visco, né Vario. Chi potrebbe, infatti, scrivere più versi e più alla svelta di me? Chi sa con maggiore grazia danzare? Se canto, perfino Ermogene si strugge di invidia”.
Era questo il momento per interromperlo.
“Hai tu una madre, un parente a cui sia cara la tua vita?” “No, nessuno, tutti li ho seppelliti.” “Fortunati! Io solo ti resto. Finisci la tua opera, giacché mi sovrasta un triste destino che una vecchia Sabina, scuotendo l’urna profetica, mi predisse quand’ero ancora ragazzo.”Né i terribili veleni, né la spada nemica, né tarda podagra, né polmonite ti torranno di mezzo, bensì un ciarlone quando sarà giunta l’ora: evita, se avrai senno, la gente loquace.”
Si era giunti al tempio di Vesta e già era trascorsa la quarta parte del giorno e lui doveva recarsi, citato, in tribunale e avrebbe perso la lite se non ci fosse andato.
“Se mi vuoi bene, assistimi per un po’ in giudizio.” “Che mi colga un malanno se ho la forza di restare a lungo fermo in piedi o se conosco un’acca di diritto; devo, inoltre, affrettarmi dove tu sai.” “Sono incerto cosa debba fare, se lasciare te o la causa”.-“Me, se mi dai retta”.-“No, non lo faro”.
E cominciò a precedermi, ed io, poiché è difficile resistere ai vincitori, gli andai dietro.
“Mecenate con te come si comporta? Che uomo saggio! Nessuno ha saputo meglio sfruttare la fortuna. Avresti un grande aiuto da me se volessi raccomandargli quest’uomo; saprei farti da spalla. Vorrei rimanere qui secco, se non ti fossi già sbarazzato di tutti i rivali”.-“Non viviamo là nel modo che tu immagini. Non c’è casa più pura di quella, né più lontana da questi intrighi; non mi nuoce che alcuno sia più ricco di me o un altro più dotto: c’è posto per tutti”.-“Tu mi dici una gran cosa, appena credibile”.-“Pure, è proprio così”.-“Accresci il mio desiderio di avvicinarmi a lui”.-“Ma basta solo che tu lo voglia, potrai conquistarlo con i tuoi meriti; ed egli è tale che può essere vinto: per questo rende i primi approcci difficili”.-“Io non mi sgomento, corromperò i servi con regali, respinto oggi, non mi darò per vinto, spierò le occasioni propizie, gli andrò incontro nei crocevia, gli starò alle calcagna: nulla concede la vita ai mortali senza grande fatica”.
Così blaterava, quand’ecco venirmi incontro Fusco Aristio, mio amico diletto, che assai bene doveva conoscere quell’importuno. Ci fermammo.
“Donde vieni e dove vai?”
Così domandò ed io risposi e intanto cominciavo a tirarlo per la toga, a stringergli le braccia, che restavano insensibili, a fare cenni con gli occhi, perché mi salvasse. Ma quello, maligno burlone, fingeva di non capire ridendo ed io mi struggevo di bile. Gli dissi”M’avevi parlato, certamente, di qualcosa che volevi dirmi in segreto?” “Sì, lo ricordo bene, ma te ne parerò in un momento migliore, oggi è sabato trenta: vorresti mancar di rispetto ai circoncisi ebrei”?-“Non ho questi scrupoli”.-“Io sì, invece, sono un po’ superstizioso, uno dei tanti. Scusami, te ne parlerò un’altra volta”.
Proprio per me doveva spuntare un giorno così funesto! Quel birbone di Fusco scappò, lasciandomi sotto il coltello. Ma, per fortuna, spuntò per caso l’avversario che lo aveva citato in giudizio.
“Canaglia,dove scappi? E tu che lo accompagni vuoi che ti prenda a testimonio”.
Porsi senz’altro l’orecchio secondo l’uso e mi feci trascinare in giudizio. Strilli da un lato, strilli dall’altro: da tutte le parti corre la folla: e così, per grazia di Apollo, fui salvo!

Satire I- IX

 

La satira si conclude con un crescendo di situazioni che mostrano come al poeta non mancasse una speciale vis comica, che in seguito temperò in pacata ironia. D’altronde Orazio, dopo il periodo concitato della sua giovinezza, le cui passioni trovarono sfogo negli Epodi, era alla ricerca di un equilibrio che lo aiutasse a distillare il suo dolore, a vivere moderatamente e a raggiungere una sorridente saggezza che lo spingesse a credere che niente vi era che non fosse controllabile. Questa nuova condizione spirituale portò il poeta all’accettazione del destino umano, irrevocabile, e a pensose riflessioni: sul fluire inesorabile del tempo, sulla morte che avrebbe avvolto tutti, ricchi e potenti, sulla precarietà dei beni terreni, che nella sua poesia assumevano il carattere di colloquio amicale. Egli non predicava consigliava, non si ergeva a maestro di morale, ma condivideva e confortava. Per questo è amato ancora oggi ed è considerato maestro di vita.

...Giudizio! Libera a tempo il cavallo che invecchia, affinché alla fine non cada e ansimi destando il riso. Perciò ora trascuro i versi e le altre inezie e medito e indago che cosa sia il vero e l'onesto e sono tutto in ciò; conservo e raccolgo quelle cose di cui un domani possa servirmi...

...Se non puoi raggiungere in acutezza Linceo nella vista, non per questo, essendo cisposo, rifiuterai di ungerti col collirio: se disperi di avere i muscoli dell'invitto Glicone, non per questo non vorrai difendere il corpo dalla gotta...

.... Nessuno è tanto invidioso, iracondo, accidioso, beone, donnaiolo, rozzo che non possa migliorare, purchè docile presti l'orecchio all'insegnamento. La prima virtù è fuggire il vizio, la prima saggezza l'essere privo di follia...

...Il saggio è inferiore solo a Giove, è ricco, libero, onorato, bello, infine, re dei re, soprattutto sano se non quando lo molesta il catarro gastrico...

Epistole I-I. 8/12, 28/31, 38/42, 106/108

 

...Chi ben comincia è alla metà dell'opera: animo! Osa rinsavire; incomincia. Colui che rimanda il tempo di vivere rettamente fa come il contadino che aspetta che il cessi di scorrere; esso, invece, scorre e scorrerà veloce per sempre...

...A chi sempre desidera e teme, la casa e i beni danno tanto piacere quanto le tele dipinte ad un cieco, i fomenti all'ammalato di podagra, il suono della cetra alle orecchie dolenti per il cerume accumulato. Se il vaso non è ben pulito qualunque cosa ci versi inacidisce...

Epistole I-II. 40/43, 51/54

 

...Colui che una volta si accorge quanto le cose abbandonate siano superiori alle cose desiderate ritorni presto indietro e riprenda le cose abbandonate. È giusto che ognuno faccia il passo secondo la gamba,

Epistole I-VII. 96/98

 

...Beato io chiamo chi vive in campagna, tu quello che vive in città: colui a cui piace la condizione altrui, ha certamente in odio la propria. L'uno e l'altro da stolto accusa a torto il luogo che non ha colpa: è in colpa l'ani- mo che non riesce a sfuggire a se stesso...

...Quel certo Orazio che sfoggiava toghe eleganti e lucen- ti capelli, quello di cui sai che piacque senza fare doni alla rapace Cinara, quello che sai fu bevitore del chiaro falerno fin da mezzogiorno: ora gli basta un parco pranzo e un sonno sull'erba vicino al ruscello. Né mi vergogno di aver giocato, mi vergognerei se il gioco non avessi smesso a tempo...

Epistole I-XIV. 10/13, 32/36

 

Se ti conosco bene, o onestissimo Lollio, essendoti professato amico di un potente, temi di passare per un adulatore. Come una matrona sarà diversa e dissimile da una sgualdrina, così l'amico sarà diverso dall'infido adulatore...

Epistole I- XVIII. 1/4

 

...A me che scrivo cose originali piacerebbe essere letto da occhi nobili e da nobili mani essere tenuto. Vorresti sapere perché, invece, l'ingrato lettore in casa ami e lodi i miei libretti e fuori dall'uscio malvagiamente li disprezzi. Io non cerco l'appoggio della plebe volubile con le spese di pranzi o col dono di una logora veste, né mi degno di frequentare i pulpiti e i raduni dei pedanti: ecco perché sono in lacrime...

Epistole I-XIX. 34/41

 

Lalage
Hai mai più incontrato lo scocciatore?

Orazio
Per mia fortuna non ho alcuna notizia di lui. Capisco che ti sia divertita, però, puoi ben comprendere come certe situazioni siano assillanti ed anche mortificanti.

Lalage
Ora comprendo perché tu preferisca allontanarti dall’Urbe per godere la quiete della campagna. Vedo che il sole è alto, è già l’ora sesta; è bene che cominci a provvedere alla cena. Voglio raccogliere del mirto, dell’edera e fiori novelli per abbellire il nostro simposio. Vieni…

Orazio
Sì. Ti raggiungerò tra poco.
Che silenzio!…Che pace! Quando penso al clamore di Roma, apprezzo maggiormente questa tranquillità e mi è di grande conforto cogliere la vita della natura nei suoi molteplici aspetti: dallo sciogliersi delle nevi a primavera, quando spira il Favonio, alla rosa che tarda a sbocciare, ai pergolati ombrosi che ristorano nella calura estiva, alle lepri fuggitive…
Tutto questo lo devo ancora a te, mio caro Mecenate, alla tua munificenza, giacché hai voluto farmi dono di questa villa in Sabina.
“Era il mio sogno: un pezzo di terra modesto, ove vi fosse un orto e una fonte d’acqua sorgiva vicino alla casa, e, inoltre, un piccolo tratto di bosco. I numi mi hanno concesso di più e di meglio: e così sia, O Mercurio, sacro figliuolo di Maia, null’altro ti chiedo se non che questi doni tu renda duraturi.”

Satire II –VI. 1/5

Vergine Dea, custode di monti e di boschi,
che proteggi, tre volte invocata,
le giovani spose nei travagli del parto
e le strappi alla morte, o Diana triforme,

sia tuo questo pino che alla mia villa
dà ombra; sì che io lieto possa ogni anno
offrirgli il sangue d'un piccolo cinghiale
che già si prepara a colpire di fianco.

Odi III-XXII

 

Il dono di una villa in Sabina, presso Mandela, nel 31 a. C. rappresentò per Orazio la felicità. Apprezzabile l’intuito di Mecenate che non giudicò eccessivo attendere sette anni prima di donargliela. Volle, cioè, essere certo che la scelta di un quieto asilo campestre fosse realmente condivisa dal poeta. Nell'epistola sedicesima del libro primo egli così descrive il suo podere:

Perché tu non mi chieda, ottimo Quinzio, se il mio fon- do col terreno arato nutra il padrone o lo renda ricco con le bacche d'olivo, o con i frutteti e i prati e con gli olmi rivestiti di viti, ti sarà descritta nei particolari la forma e la posizione del campo. Immagina una valle entro una larga fila di monti, piena d'ombra, ma tale che il sole spuntando ne illumina il lato destro, e al tramonto col carro fuggente ne rischiara il sinistro: loda, per- tanto, l'esposizione. Cosa diresti se sapessi che generose macchie offrono rubiconde corniole con prugne, che la quercia e il leccio elargiscono al bestiame ghiande in abbondanza e al padrone molta ombra. Potresti dire che Taranto sia trasportata lì vicino con i suoi boschi. E vi scorre una degna di dare nome ad un ruscello, sa- lutare per il ammalato capo e per il ventre, tale che più puro e più gelido non scorre l'Ebro attraverso la Tracia. Questo rifugio ombroso, soave e, se già lo credi ameno, mi conserva sano a te nella stagione settembrina...

Epistole I-XVI. 1/16

 

Il sentimento della natura è uno dei motivi ispiratori più insistiti nella lirica oraziana: il poeta con l'occhio di chi è affascinato da ciò che lo circonda e con grande immediatezza di percezione coglie scene e spettacoli naturali traducendoli in immagini piene di risalto e luminosità. Bellissima l'ode tredicesima del libro terzo.

O fonte Bandusia più trasparente del vetro,
abbondanti fiori siano offerti a te e dolce vino,
domani io ti sacrificherò un tenero capretto,
che la fronte rigonfia per le nascenti corna

destina invano a lotte amorose.
Infatti la giovane prole del lascivo
gregge, ahimè! domani pur tingerà
col rosso suo sangue le tue gelide acque.

Le infuocate ore della perfida Canicola
non tolgono a te il fresco amabile
con cui ristori le pecore erranti
e i buoi stanchi di tirar l’aratro.

Posto avrai anche tu tra le celebri fonti
dacché il mio verso celebra il verde leccio
che sovrasta all’alta roccia, donde
quasi cantando le tue acque zampillano.

Odi III-XIII

 

Orazio celebra la fonte Bandusia che da una bolla del 1103 di Papa Pasquale II e da tradizioni locali sappiamo essere sita nei pressi di Venosa, paese natale del poeta. I commentatori ritengono che l’ode sia stata composta in occasione delle Fontanalia - feste sacre alle fonti, che cadevano il 13 ottobre, durante le quali le sorgenti e i pozzi si incoronavano di fiori.

Orazio raggiunge Lalage e gli amici per l’intima cena annunziata.

 

Settimio
Orazio, è sempre piacevole sedere alla tua tavola. I ceci e le lagane erano squisiti.

Flavio
E che dire del capretto!

Settimio
Il merito va tutto a Lalage, che è un’ottima cuoca.

Orazio
E’ la mia ninfa dolce e ridente.

Quintilio
Mentre beviamo, raccontaci di te; qualche episodio della tua vita così intensa e ricca di incontri.

Lalage
Mi piacerebbe sapere del viaggio da Roma a Brindisi che hai fatto insieme con Mecenate ed altri amici.

Orazio
Nella primavera del 37 a. C. partecipai al viaggio di Mecenate a Brindisi per il rinnovo dell’accordo tra Antonio ed Ottaviano, allora arbitri del mondo romano. Partito da Roma in compagnia del retore Eliodoro, mi incontrai, poi, ad Anxur, la rocca di Terracina, con Mecenate, Cocceio Nerva e Fonteio Capitone, legato di Antonio, e a Sinuessa con Plozio Tucca, Virgilio e Vario, il quale per ragioni di salute ci lasciò una volta giunti a Canosa. Il viaggio durò all’incirca quindici giorni durante i quali mi capitò di tutto: locande disagevoli, osti imbroglioni, ridicoli letterati di provincia, fanciulle menzognere, credenze superstiziose e così via. Sarebbe troppo lungo parlarvi di tutte le avventure e le disavventure vissute. Esse costituiscono l’argomento della V satira del libro I che sto scrivendo.

In tutta la satira è evidente l'atteggiamento distaccato e ironico del poeta spiritualmente lontano dai maneggi politici; egli è, inoltre, dubbioso sulla validità dell'eventuale accordo tra Antonio e Ottaviano. Il suo disagio è fortunatamente attenuato dal sollievo di trovarsi con gli amici, le anime più preziose della terra: Mecenate, Virgilio e Vario, e dalla nostalgica gioia di rivedere i contorni dei monti della Puglia così vicini alla sua Venosa. Brindisi pose fine al viaggio e alla sua satira. Interessante negli ultimi versi la irrisione di Orazio sul miracolo di Egnazia: gl'incensi, cioè, bruciavano senza fiamma sulla soglia del tempio.

...Ci creda il giudeo Apella, io no, so, così ho sentito dire, che gli Dei trascorrono la loro esistenza sereni, incuranti, e se la natura opera qualche prodigio, non sono essi corrucciati a scaraventarlo giù dall'alto cielo...

Satire I-V. 101/104

 

Con queste parole Orazio sfiora appena la dottrina epicurea, tanto cara a Lucrezio: gli Dei, se pure esistono, non si interessano affatto degli uomini che sono, quindi, terribilmente soli e la natura è un mistero spesso avverso, sempre impenetrabile.

Flavio
Grande è la curiosità che hai suscitato in noi con il tuo racconto. Aspettiamo con ansia di leggere la satira quando l’avrai completata. Abbiamo la fortuna di avere te come amico; sappi che quando sei qui con noi le ore trascorrono gradite e piene di richiami, quando, invece, ci lasci ci assale un tedio fastidioso: ci mancano le tue parole e la tua voce. Tu sei come una finestra aperta sul mondo; il lavoro dei campi a noi non ha concesso spazi per dedicarci alle lettere o alle scienze, ed è, perciò, che attraverso te noi viviamo esperienze singolari legate ai luoghi dove fervono le attività politiche e culturali. Te ne siamo grati.

Orazio
E’ il momento di salutarci. Domani, sarò già a Roma dove mi attendono molti impegni. Nel cuore mi porto, o amici, il ricordo di queste cene serene in vostra compagnia. Mi auguro di ritornare presto.

...O mia villa quando ti rivedrò? Quando mi sarà concesso, ora leggendo i libri di antichi autori, ora dormendo o trascorrendo inerte le ore, dimenticare dolcemente la vita affannosa?

Satire II-VI, 60/65   

 

Lalage
Ho preparato una piccola anfora di vino mescolato con l’acqua limpida della fonte, del formaggio e del pane nero, sì che possa ristorarti. Nel cesto c’è anche un vasetto di miele e una focaccia dolce.

Orazio
Grazie, Lalage. Amici, gli Dei, abitatori dell’alto Olimpo, proteggano me nel cammino e voi nelle vostre occupazioni.

 

 

 

 

[ Mailing List ] [ Home ] [ Scrivimi ]