L'incontro tra Orazio e Mecenate
Virgilio ed Orazio
passeggiano conversando piacevolmente. Orazio è ansioso di essere
presentato a Mecenate; teme di non andargli a genio per le sue origini
modeste e per il suo passato repubblicano. Era l’anno 38 a. C.
Virgilio
Qualcuno si avvicina a noi. Mi pare un servo di Mecenate.
Servo
Mecenate, il mio eccelso padrone, vi riceverà le prossime idi
all’ora sesta.
Virglio
Caro Orazio, sei visibilmente emozionato. Io e Vario Rufo gli
abbiamo parlato di te elogiando la tua poesia e la nobiltà del tuo
spirito; gli abbiamo, inoltre, rivelato le tristi vicende che hanno
segnato la tua vita. Animo! Vuole conoscerti.
Così lo stesso poeta descrive
il prestigioso incontro con il magnanimo cavaliere.
...O Mecenate, nello scegliere
gli amici, tu sei, non dirò per vantarmi, ben guardingo; ed io, se t’ho
per amico, non debbo ringraziare la fortuna. Un giorno degli amici la
perla, Virgilio, e Vario Rufo dopo di lui, ti parlarono di me.
Quando giunsi al tuo cospetto, poche parole dicendo e stentate perché la
soggezione m’avea tappato la bocca, non ti dissi che ero nato da un
padre illustre o che avevo tali tenute da farci le gite a cavallo, ma ti
dissi ciò che realmente io ero. Tu rispondesti poche parole, come è tuo
costume...
Satire I- VI. 50/60
Mecenate
Ehm!…Vedrò…Intanto mi congedo da voi. Vi farò sapere.
Alcuni giorni dopo essere
stato ricevuto da Mecenate, Orazio conversa con Vairo e Virgilio.
Orazio
Cari amici, siamo soli e posso apertamente dare sfogo ai miei
pensieri. Il mio non è desiderio di gloria, di successo, ma la mia
emozione nasce dall’essere stato ammesso alla presenza di un uomo di cui
ammiro le qualità spirituali e civili; egli è l’esempio di come la
ricchezza e il potere possano servire al bene comune, all’esercizio
dell’onestà e della giustizia, alla ricerca del bello nella vita e
nell’arte, intesa quest’ultima come la più alta espressione dell’animo
umano. Vogliano i Numi che io gli vada a genio, che apprezzi i miei
scritti, che gli sia piaciuta la mia persona sì che possa entrare nel
ristretto numero dei suoi eletti!
Vario
Non ho dubbi che il tuo desiderio presto sarà appagato.
Virgilio
Sono certo, e gli Dei mi saranno testimoni, che pochi giorni
passeranno e Orazio sarà insieme con noi fra gli intimi di Mecenate.
Passarono, invece, ben nove
mesi!
Orazio
...Trascorrono nove mesi, mi mandi a chiamare e mi inviti che io sia
degli amici. Caro Mecenate, ed io faccio gran conto di questo. Che seppi
andare a genio a te che ben sai distinguere l’onesto dal furbo e ti
piacqui non per la nobiltà di mio padre, povero liberto, ma per la
purezza della mia vita e dei miei sentimenti...
Satire I- VI. 61/64
Mecenate
Orazio, sii pure dei nostri. Roma e il principe Augusto nella
difficile impresa della ricostruzione della pace hanno bisogno di
spiriti insigni che illuminino le coscienze con le loro opere e con il
loro esempio. Pertanto, non può esserci uomo più degno di te che ha già
sofferto amare delusioni e alterne vicende della vita.
Orazio
Nobile cavaliere, alla gioia che mi deriva per esserti riuscito
gradito fanno riscontro l’esitazione e il turbamento propri di chi è
chiamato ad un compito alto e teme di deludere le aspettative.
Mecenate
Io voglio che i miei amici formino una schiera eletta di uomini che
abbiano nobili e comuni propositi e sappiano conservare la franchezza
del loro cuore e grande indipendenza di pensiero.
Orazio è con Lalage e
continua il racconto della sua vita secondo la promessa fattale il
giorno prima.
Lalage
Mi accorgo che la commozione ti fa tremare la voce e rivela che il
legame che ti unisce a Mecenate è profondo e unico: esso è fondato
sull’amicizia, sulla devozione, sulla stima.
Orazio
Mecenate di giorno in giorno diventava sempre più, oltre che il
benefattore, il confidente, l’ispiratore di molti miei comportamenti.
Sempre più la mia anima veniva conquistata dalla sua. Certamente egli ha
fatto sì che io superassi la crisi esistenziale in cui mi dibattevo;
l’incontro con lui mi ha ridato fiducia in me stesso, nella mia sorte e
in quella di Roma.
...O Mecenate, progenie di re
etruschi, o mia difesa e mio dolce amore...
Questi sono i primi due versi
dell’ode II del libro I che Orazio dedicò appunto a
Mecenate.
Nell’ode XI del libro IV, invece, il poeta celebra il giorno natale del
suo amico.
Fillide cara, ho un botticello di vino albano
vecchio più di nov’anni, nel mio orto
c’è verde apio per intesser corone
e molta edera perché splendenti
siano i tuoi capelli annodati;
la mia casa ride d’argenti e l’altare
cinto di pura verbena aspetta che
lo bagni sangue d’immolato agnello;
tutta la schiera è in faccende
corrono qua e là garzoni e ancelle
e le fiamme guizzano aggirando
il fumo nero in vortici larghi.
Perché tu sappia a quale gioia vieni
sappi che devi celebrare le idi
che a mezzo tagliano aprile
il mese sacro a Venere Marina;
giorno per me solenne, più sacro,
quasi, del mio stesso dì natale
giacché da esso Mecenate comincia
a noverar gli anni affluenti.
Odi IV - XI. 1/20
Lalage
Grande onore viene a te dall’essere degli intimi di Mecenate, anzi
quello con cui ha stabilito un rapporto di più profonda intesa.
Orazio
Certo, mi pare di toccare il cielo con un dito, ma, purtroppo, la
nostra familiarità attira su di me gli strali dell’invidia, che, a mio
parere, è tra i vizi umani il più esecrabile. Quando io e Mecenate
camminiamo per le strade di Roma suscitiamo curiosità e sentimenti di
varia natura tra la folla, specialmente indirizzati verso di me.
I commenti nei riguardi di
Orazio, di seguito riportati, sono ricavati liberamente dalla sesta
satira del libro secondo, e mettono in luce come la rivoluzione che si
andava compiendo, quella che apriva agli ordini nuovi l'ascesa politica
e sociale, non era ancora accettata e capita non solo dai nobiles, i
discendenti dalle famiglie patrizie cui spettavano per tradizione onori
e cariche, ma dai più, dal popolo, spinto da invidia nei confronti del
poeta.
“Guardate, guardate, vi prego,
cosa Giove offre alla nostra vista! Un provinciale, questo Orazio,
figlio di un liberto, ex scrivano, s’accompagna con Mecenate.
che virtù avrà mai? Ma lo avete visto. Piccolo di statura, tarchiato e
un po’ tozzo. Ha, inoltre, gli occhi cisposi.
figlio della fortuna! Sei, davvero, nato con la camicia!
Orazio, Roscio ti prega che tu lo assista domani al Puteale, il sacro
luogo del Foro.
o Quinto, procura che Mecenate metta il sigillo a queste tabelle.
Cesare i campi che ha promesso ai soldati li darà in Sicilia o nel
continente? Tu devi saperlo: Bazzichi i Numi!”
Orazio
Talvolta, mia cara Lalage, quando giungo al lugubre Esquilino mi
saltano ai fianchi, mi assillano, mi riempiono la testa con cento beghe.
Ti voglio raccontare un episodio davvero divertente.
L'episodio cui Orazio fa
riferimento è l'argomento della notissima satira nona del libro primo.
Me ne andavo a caso per la via
Sacra, pensando come al solito a non so quali inezie, quando un tale che
conoscevo soltanto per nome mi venne incontro e presami la mano, mi
disse: ” Come stai, mio dolcissimo amico?” “Benone, per adesso, e ti
auguro ogni bene.”. Poiché mi seguiva , aggiunsi: “Desideri qualcosa?” “
Dovresti conoscermi: sono un letterato”.
“Quand’è così, la mia stima cresce per te”.
Cercando invano di liberarmi di lui, ora camminavo in fretta, ora mi
fermavo, ora sussurravo non so che al mio servo, mentre il sudore mi
calava giù fino alle calcagna.
“O te fortunato per il tuo cervello o Bolano” dicevo io tra me mentre
lui parlava a diritto e a traverso e lodava i quartieri della città, ed
io zitto.
“Crepi dal desiderio di filartela, l’ho visto da un pezzo; ma non mi
scappi, no, dovunque tu vada io verrò con te”.-“Ascolta, non c’è bisogno
che tu faccia un sì gran giro con me; devo recarmi a far visita a un
tale che tu non conosci, è ammalato e abita lontano, presso i giardini
di Cesare, di là dal Tevere”.-“Non ho niente da fare, né sono pigro: ti
seguo fin là”.
Abbassai le orecchie, come fa l’asinello quando gli mettono sul dorso
una soma troppo pesante e s’avvilisce. Ed ecco che ricominciò:
“Se mi conosco bene, non dovresti tenere in conto più di me l’amico tuo
Visco, né Vario. Chi potrebbe, infatti, scrivere più versi e più alla
svelta di me? Chi sa con maggiore grazia danzare? Se canto, perfino
Ermogene si strugge di invidia”.
Era questo il momento per interromperlo.
“Hai tu una madre, un parente a cui sia cara la tua vita?” “No, nessuno,
tutti li ho seppelliti.” “Fortunati! Io solo ti resto. Finisci la tua
opera, giacché mi sovrasta un triste destino che una vecchia Sabina,
scuotendo l’urna profetica, mi predisse quand’ero ancora ragazzo.”Né i
terribili veleni, né la spada nemica, né tarda podagra, né polmonite ti
torranno di mezzo, bensì un ciarlone quando sarà giunta l’ora: evita, se
avrai senno, la gente loquace.”
Si era giunti al tempio di Vesta e già era trascorsa la quarta parte del
giorno e lui doveva recarsi, citato, in tribunale e avrebbe perso la
lite se non ci fosse andato.
“Se mi vuoi bene, assistimi per un po’ in giudizio.” “Che mi colga un
malanno se ho la forza di restare a lungo fermo in piedi o se conosco
un’acca di diritto; devo, inoltre, affrettarmi dove tu sai.” “Sono
incerto cosa debba fare, se lasciare te o la causa”.-“Me, se mi dai
retta”.-“No, non lo faro”.
E cominciò a precedermi, ed io, poiché è difficile resistere ai
vincitori, gli andai dietro.
“Mecenate con te come si comporta? Che uomo saggio! Nessuno ha saputo
meglio sfruttare la fortuna. Avresti un grande aiuto da me se volessi
raccomandargli quest’uomo; saprei farti da spalla. Vorrei rimanere qui
secco, se non ti fossi già sbarazzato di tutti i rivali”.-“Non viviamo
là nel modo che tu immagini. Non c’è casa più pura di quella, né più
lontana da questi intrighi; non mi nuoce che alcuno sia più ricco di me
o un altro più dotto: c’è posto per tutti”.-“Tu mi dici una gran cosa,
appena credibile”.-“Pure, è proprio così”.-“Accresci il mio desiderio di
avvicinarmi a lui”.-“Ma basta solo che tu lo voglia, potrai conquistarlo
con i tuoi meriti; ed egli è tale che può essere vinto: per questo rende
i primi approcci difficili”.-“Io non mi sgomento, corromperò i servi con
regali, respinto oggi, non mi darò per vinto, spierò le occasioni
propizie, gli andrò incontro nei crocevia, gli starò alle calcagna:
nulla concede la vita ai mortali senza grande fatica”.
Così blaterava, quand’ecco venirmi incontro Fusco Aristio, mio amico
diletto, che assai bene doveva conoscere quell’importuno. Ci fermammo.
“Donde vieni e dove vai?”
Così domandò ed io risposi e intanto cominciavo a tirarlo per la toga, a
stringergli le braccia, che restavano insensibili, a fare cenni con gli
occhi, perché mi salvasse. Ma quello, maligno burlone, fingeva di non
capire ridendo ed io mi struggevo di bile. Gli dissi”M’avevi parlato,
certamente, di qualcosa che volevi dirmi in segreto?” “Sì, lo ricordo
bene, ma te ne parerò in un momento migliore, oggi è sabato trenta:
vorresti mancar di rispetto ai circoncisi ebrei”?-“Non ho questi
scrupoli”.-“Io sì, invece, sono un po’ superstizioso, uno dei tanti.
Scusami, te ne parlerò un’altra volta”.
Proprio per me doveva spuntare un giorno così funesto! Quel birbone di
Fusco scappò, lasciandomi sotto il coltello. Ma, per fortuna, spuntò per
caso l’avversario che lo aveva citato in giudizio.
“Canaglia,dove scappi? E tu che lo accompagni vuoi che ti prenda a
testimonio”.
Porsi senz’altro l’orecchio secondo l’uso e mi feci trascinare in
giudizio. Strilli da un lato, strilli dall’altro: da tutte le parti
corre la folla: e così, per grazia di Apollo, fui salvo!
Satire I- IX
La satira si conclude con un
crescendo di situazioni che mostrano come al poeta non mancasse una
speciale vis comica, che in seguito temperò in pacata ironia. D’altronde
Orazio, dopo il periodo concitato della sua giovinezza, le cui passioni
trovarono sfogo negli Epodi, era alla ricerca di un equilibrio che lo
aiutasse a distillare il suo dolore, a vivere moderatamente e a
raggiungere una sorridente saggezza che lo spingesse a credere che
niente vi era che non fosse controllabile. Questa nuova condizione
spirituale portò il poeta all’accettazione del destino umano,
irrevocabile, e a pensose riflessioni: sul fluire inesorabile del tempo,
sulla morte che avrebbe avvolto tutti, ricchi e potenti, sulla
precarietà dei beni terreni, che nella sua poesia assumevano il
carattere di colloquio amicale. Egli non predicava consigliava, non si
ergeva a maestro di morale, ma condivideva e confortava. Per questo è
amato ancora oggi ed è considerato maestro di vita.
...Giudizio! Libera a tempo il
cavallo che invecchia, affinché alla fine non cada e ansimi destando il
riso. Perciò ora trascuro i versi e le altre inezie e medito e indago
che cosa sia il vero e l'onesto e sono tutto in ciò; conservo e raccolgo
quelle cose di cui un domani possa servirmi...
...Se non puoi raggiungere in acutezza Linceo nella vista, non per
questo, essendo cisposo, rifiuterai di ungerti col collirio: se disperi
di avere i muscoli dell'invitto Glicone, non per questo non vorrai
difendere il corpo dalla gotta...
.... Nessuno è tanto invidioso, iracondo, accidioso, beone, donnaiolo,
rozzo che non possa migliorare, purchè docile presti l'orecchio
all'insegnamento. La prima virtù è fuggire il vizio, la prima saggezza
l'essere privo di follia...
...Il saggio è inferiore solo a Giove, è ricco, libero, onorato, bello,
infine, re dei re, soprattutto sano se non quando lo molesta il catarro
gastrico...
Epistole I-I. 8/12, 28/31, 38/42,
106/108
...Chi ben comincia è alla metà
dell'opera: animo! Osa rinsavire; incomincia. Colui che rimanda il tempo
di vivere rettamente fa come il contadino che aspetta che il cessi di
scorrere; esso, invece, scorre e scorrerà veloce per sempre...
...A chi sempre desidera e teme, la casa e i beni danno tanto piacere
quanto le tele dipinte ad un cieco, i fomenti all'ammalato di podagra,
il suono della cetra alle orecchie dolenti per il cerume accumulato. Se
il vaso non è ben pulito qualunque cosa ci versi inacidisce...
Epistole I-II. 40/43, 51/54
...Colui che una volta si
accorge quanto le cose abbandonate siano superiori alle cose desiderate
ritorni presto indietro e riprenda le cose abbandonate. È giusto che
ognuno faccia il passo secondo la gamba,
Epistole I-VII. 96/98
...Beato io chiamo chi vive in
campagna, tu quello che vive in città: colui a cui piace la condizione
altrui, ha certamente in odio la propria. L'uno e l'altro da stolto
accusa a torto il luogo che non ha colpa: è in colpa l'ani- mo che non
riesce a sfuggire a se stesso...
...Quel certo Orazio che sfoggiava toghe eleganti e lucen- ti capelli,
quello di cui sai che piacque senza fare doni alla rapace Cinara, quello
che sai fu bevitore del chiaro falerno fin da mezzogiorno: ora gli basta
un parco pranzo e un sonno sull'erba vicino al ruscello. Né mi vergogno
di aver giocato, mi vergognerei se il gioco non avessi smesso a tempo...
Epistole I-XIV. 10/13, 32/36
Se ti conosco bene, o
onestissimo Lollio, essendoti professato amico di un potente, temi di
passare per un adulatore. Come una matrona sarà diversa e dissimile da
una sgualdrina, così l'amico sarà diverso dall'infido adulatore...
Epistole I- XVIII. 1/4
...A me che scrivo cose
originali piacerebbe essere letto da occhi nobili e da nobili mani
essere tenuto. Vorresti sapere perché, invece, l'ingrato lettore in casa
ami e lodi i miei libretti e fuori dall'uscio malvagiamente li
disprezzi. Io non cerco l'appoggio della plebe volubile con le spese di
pranzi o col dono di una logora veste, né mi degno di frequentare i
pulpiti e i raduni dei pedanti: ecco perché sono in lacrime...
Epistole I-XIX. 34/41
Lalage
Hai mai più incontrato lo scocciatore?
Orazio
Per mia fortuna non ho alcuna notizia di lui. Capisco che ti sia
divertita, però, puoi ben comprendere come certe situazioni siano
assillanti ed anche mortificanti.
Lalage
Ora comprendo perché tu preferisca allontanarti dall’Urbe per godere
la quiete della campagna. Vedo che il sole è alto, è già l’ora sesta; è
bene che cominci a provvedere alla cena. Voglio raccogliere del mirto,
dell’edera e fiori novelli per abbellire il nostro simposio. Vieni…
Orazio
Sì. Ti raggiungerò tra poco.
Che silenzio!…Che pace! Quando penso al clamore di Roma, apprezzo
maggiormente questa tranquillità e mi è di grande conforto cogliere la
vita della natura nei suoi molteplici aspetti: dallo sciogliersi delle
nevi a primavera, quando spira il Favonio, alla rosa che tarda a
sbocciare, ai pergolati ombrosi che ristorano nella calura estiva, alle
lepri fuggitive…
Tutto questo lo devo ancora a te, mio caro Mecenate, alla tua
munificenza, giacché hai voluto farmi dono di questa villa in Sabina.
“Era il mio sogno: un pezzo di terra modesto, ove vi fosse un orto e una
fonte d’acqua sorgiva vicino alla casa, e, inoltre, un piccolo tratto di
bosco. I numi mi hanno concesso di più e di meglio: e così sia, O
Mercurio, sacro figliuolo di Maia, null’altro ti chiedo se non che
questi doni tu renda duraturi.”
Satire II –VI. 1/5
Vergine Dea, custode di monti e di boschi,
che proteggi, tre volte invocata,
le giovani spose nei travagli del parto
e le strappi alla morte, o Diana triforme,
sia tuo questo pino che alla mia villa
dà ombra; sì che io lieto possa ogni anno
offrirgli il sangue d'un piccolo cinghiale
che già si prepara a colpire di fianco.
Odi III-XXII
Il dono di una villa in
Sabina, presso Mandela, nel 31 a. C. rappresentò per Orazio la felicità.
Apprezzabile l’intuito di Mecenate che non giudicò eccessivo attendere
sette anni prima di donargliela. Volle, cioè, essere certo che la scelta
di un quieto asilo campestre fosse realmente condivisa dal poeta.
Nell'epistola sedicesima del libro primo egli così descrive il suo
podere:
Perché tu non mi chieda, ottimo
Quinzio, se il mio fon- do col terreno arato nutra il padrone o lo renda
ricco con le bacche d'olivo, o con i frutteti e i prati e con gli olmi
rivestiti di viti, ti sarà descritta nei particolari la forma e la
posizione del campo. Immagina una valle entro una larga fila di monti,
piena d'ombra, ma tale che il sole spuntando ne illumina il lato destro,
e al tramonto col carro fuggente ne rischiara il sinistro: loda, per-
tanto, l'esposizione. Cosa diresti se sapessi che generose macchie
offrono rubiconde corniole con prugne, che la quercia e il leccio
elargiscono al bestiame ghiande in abbondanza e al padrone molta ombra.
Potresti dire che Taranto sia trasportata lì vicino con i suoi boschi. E
vi scorre una degna di dare nome ad un ruscello, sa- lutare per il
ammalato capo e per il ventre, tale che più puro e più gelido non scorre
l'Ebro attraverso la Tracia. Questo rifugio ombroso, soave e, se già lo
credi ameno, mi conserva sano a te nella stagione settembrina...
Epistole I-XVI. 1/16
Il sentimento della natura è
uno dei motivi ispiratori più insistiti nella lirica oraziana: il poeta
con l'occhio di chi è affascinato da ciò che lo circonda e con grande
immediatezza di percezione coglie scene e spettacoli naturali
traducendoli in immagini piene di risalto e luminosità. Bellissima l'ode
tredicesima del libro terzo.
O fonte Bandusia più trasparente del vetro,
abbondanti fiori siano offerti a te e dolce vino,
domani io ti sacrificherò un tenero capretto,
che la fronte rigonfia per le nascenti corna
destina invano a lotte amorose.
Infatti la giovane prole del lascivo
gregge, ahimè! domani pur tingerà
col rosso suo sangue le tue gelide acque.
Le infuocate ore della perfida Canicola
non tolgono a te il fresco amabile
con cui ristori le pecore erranti
e i buoi stanchi di tirar l’aratro.
Posto avrai anche tu tra le celebri fonti
dacché il mio verso celebra il verde leccio
che sovrasta all’alta roccia, donde
quasi cantando le tue acque zampillano.
Odi III-XIII
Orazio celebra la fonte
Bandusia che da una bolla del 1103 di Papa Pasquale II e da tradizioni
locali sappiamo essere sita nei pressi di Venosa, paese natale del
poeta. I commentatori ritengono che l’ode sia stata composta in
occasione delle Fontanalia - feste sacre alle fonti, che cadevano il 13
ottobre, durante le quali le sorgenti e i pozzi si incoronavano di
fiori.
Orazio raggiunge Lalage e gli
amici per l’intima cena annunziata.
Settimio
Orazio, è sempre piacevole sedere alla tua tavola. I ceci e le
lagane erano squisiti.
Flavio
E che dire del capretto!
Settimio
Il merito va tutto a Lalage, che è un’ottima cuoca.
Orazio
E’ la mia ninfa dolce e ridente.
Quintilio
Mentre beviamo, raccontaci di te; qualche episodio della tua vita
così intensa e ricca di incontri.
Lalage
Mi piacerebbe sapere del viaggio da Roma a Brindisi che hai fatto
insieme con Mecenate ed altri amici.
Orazio
Nella primavera del 37 a. C. partecipai al viaggio di Mecenate a
Brindisi per il rinnovo dell’accordo tra Antonio ed Ottaviano, allora
arbitri del mondo romano. Partito da Roma in compagnia del retore
Eliodoro, mi incontrai, poi, ad Anxur, la rocca di Terracina, con
Mecenate, Cocceio Nerva e Fonteio Capitone, legato di Antonio, e a
Sinuessa con Plozio Tucca, Virgilio e Vario, il quale per ragioni di
salute ci lasciò una volta giunti a Canosa. Il viaggio durò all’incirca
quindici giorni durante i quali mi capitò di tutto: locande disagevoli,
osti imbroglioni, ridicoli letterati di provincia, fanciulle menzognere,
credenze superstiziose e così via. Sarebbe troppo lungo parlarvi di
tutte le avventure e le disavventure vissute. Esse costituiscono
l’argomento della V satira del libro I che sto scrivendo.
In tutta la satira è evidente
l'atteggiamento distaccato e ironico del poeta spiritualmente lontano
dai maneggi politici; egli è, inoltre, dubbioso sulla validità
dell'eventuale accordo tra Antonio e Ottaviano. Il suo disagio è
fortunatamente attenuato dal sollievo di trovarsi con gli amici, le
anime più preziose della terra: Mecenate, Virgilio e Vario, e dalla
nostalgica gioia di rivedere i contorni dei monti della Puglia così
vicini alla sua Venosa. Brindisi pose fine al viaggio e alla sua satira.
Interessante negli ultimi versi la irrisione di Orazio sul miracolo di
Egnazia: gl'incensi, cioè, bruciavano senza fiamma sulla soglia del
tempio.
...Ci creda il giudeo Apella, io no, so, così ho sentito dire, che gli
Dei trascorrono la loro esistenza sereni, incuranti, e se la natura
opera qualche prodigio, non sono essi corrucciati a scaraventarlo giù
dall'alto cielo...
Satire I-V. 101/104
Con queste parole Orazio sfiora appena la
dottrina epicurea, tanto cara a Lucrezio: gli Dei, se pure esistono, non
si interessano affatto degli uomini che sono, quindi, terribilmente soli
e la natura è un mistero spesso avverso, sempre impenetrabile.
Flavio
Grande è la curiosità che hai suscitato in noi con il tuo racconto.
Aspettiamo con ansia di leggere la satira quando l’avrai completata.
Abbiamo la fortuna di avere te come amico; sappi che quando sei qui con
noi le ore trascorrono gradite e piene di richiami, quando, invece, ci
lasci ci assale un tedio fastidioso: ci mancano le tue parole e la tua
voce. Tu sei come una finestra aperta sul mondo; il lavoro dei campi a
noi non ha concesso spazi per dedicarci alle lettere o alle scienze, ed
è, perciò, che attraverso te noi viviamo esperienze singolari legate ai
luoghi dove fervono le attività politiche e culturali. Te ne siamo
grati.
Orazio
E’ il momento di salutarci. Domani, sarò già a Roma dove mi
attendono molti impegni. Nel cuore mi porto, o amici, il ricordo di
queste cene serene in vostra compagnia. Mi auguro di ritornare presto.
...O mia villa quando ti
rivedrò? Quando mi sarà concesso, ora leggendo i libri di antichi
autori, ora dormendo o trascorrendo inerte le ore, dimenticare
dolcemente la vita affannosa?
Satire II-VI, 60/65
Lalage
Ho preparato una piccola anfora di vino mescolato con l’acqua
limpida della fonte, del formaggio e del pane nero, sì che possa
ristorarti. Nel cesto c’è anche un vasetto di miele e una focaccia
dolce.
Orazio
Grazie, Lalage. Amici, gli Dei, abitatori dell’alto Olimpo,
proteggano me nel cammino e voi nelle vostre occupazioni. |