"Godo, mio
buon Orazio, nel vederti sereno"
Virgilio
Godo, mio buon Orazio, nel vederti sereno. Mi pare che senza
vanagloria, provi intima soddisfazione che i tuoi scritti, verso i quali
ti ha spinto la dura necessità, ti procurino, qui a Roma, consensi ed
amicizie.
Orazio
Ti mentirei, Virgilio, se negassi che, senza mai lasciarmi
travolgere, il fascino della fama mi sta conquistando. Che il mio nome
sia noto mi rende orgoglioso, specie in ricordo di mio padre che ha
fatto grandissimi sacrifici per assicurarmi una istruzione degna dei
figli dei cavalieri. Sono felice di non deluderlo.
Vario
E’ umano, amici miei, il compiacersi del proprio talento. Orazio, mi
pare che tu stia cambiando: dici di rallegrarti di essere famoso, ma,
poi, rifuggi dalle riunioni mondane e ti tieni lontano dal fermento
della vita cittadina.
Orazio
Proprio così; l’aspirazione ad una vita sobria e semplice sta avendo
il sopravvento nelle mie scelte e la moderazione diviene sempre più per
me sostanza di vita e di poesia. Questa nuova condizione spirituale mi
porta a penose riflessioni sul fluire inesorabile del tempo, sulla morte
che avvolge tutti, ricchi e potenti, sulla precarietà dei beni terreni.
Virgilio
La tempesta è ormai lontana e tu così bene l’hai fermata nei libri
degli Epodi e delle Satire; ora il tuo canto, depurato dalle passioni
immediate, si compone in immagini di maggiore serenità e luminosità. E’
necessario che ora tu , libero dai ricordi dolorosi, ti affidi a ciò che
ti serba l’ora futura con animo pacificato.
Orazio
Tra le ombre che avvolgono le vicende umane, di fronte alla morte
cui nessuno può sfuggire, di fronte al fato cui soccombono gli stessi
dei, io penso che, in fin dei conti, non ci resta che godere il
presente.
Vedi come il Soratte domina bianco
d’alta neve; nelle selve i rami cedono
alla fatica di resistere al peso,
più non scorrono i fiumi per il gelo.
Allontana il freddo, o Taliarco,
con tanta legna sul fuoco,
versa copioso dall’anfora sabina
un saporoso vino di quattr’anni.
Lascia che gli Dei si curino del dopo.
Quand’essi vogliano placare i venti
in lotta sulla distesa del mare,
torna quiete per i cipressi e gli orni.
Non chiedere cosa ti porti il futuro;
se pure la sorte ti concederà
il domani, ritienilo un guadagno
e godi fra danze e dolci amori
finché è lontana vecchiezza fastidiosa.
Ora si ricerchi il campo Marzio e in piazza
si rinnovino i trepidi sussurri
sul far della notte, alle solite ore,
ora il complice riso ti sveli l’angolo
ove s’asconde la tua fanciulla
alla quale strapperai il pegno dal polso
o dal dito che lentamente s’abbandona.
Odi I – IX
A Roma Orazio e i suoi amici
Virgilio e Vario Rufo continuano a conversare interrogandosi sul valore
della vita della quale Orazio, nei suoi scritti, si va manifestando
sempre più maestro e consigliere.
Vario
Delle gioie del presente la più preziosa è quella che si prova nel
riunirsi con amici, quelli veri, cui ci legano affinità spirituali.
...O notti, o cene degne dei Numi, quando io mi ristoro dinanzi al
focolare con gli intimi. Ciascuno senza norme balorde, semplicemente
vuota i bicchieri più o meno c olmi secondo il suo gusto. E poi si
ragiona non delle case e le ville degli altri e neppure se Lepre balli o
non balli bene, bensì discutiamo di cose che ci riguardano più da
vicino, che è danno ignorare: se la felicità conseguano gli uomini con
le ricchezze, oppure con la virtù: da cosa siam tratti all’amicizia, se
dai meriti o dall’interesse: quale sia l’essenza e l’eccellenza del
bene...
Satire II-VI. 65/76
Il motivo simposiaco, il banchettare con gli
amici, è, in Orazio, tutt’uno con quello legato al sentimento
dell’amicizia: cosa sarebbe il simposio senza amici?
Orazio
L’amicizia è davvero dono degli Dei. E’ tornato dalla Spagna Plozio
Numida: si offra agli Dei il sacrificio di ringraziamento, si beva senza
misura!
Abbia questo bel giorno un segno candido né vi sia freno al mescere
anfore e al piede nella danza salia. Anche Pompeo Varo è tornato dopo
tante dolorose vicende: si gratifichino gli Dei e si beva all’ombra
dell’alloro. Sono le calende di Marzo. Voglio celebrare l’annuale
sacrificio a Bacco per lo scampato pericolo. Anni fa stavo per essere
schiacciato da un tronco. Caro Mecenate, ti invito a partecipare alla
mia gioia.
Ti chiedi stupito cosa faccia io celibe
nelle calende di marzo, cosa vogliono
i fiori e la cassetta piena d’incenso
e il carbone sulla verde zolla, tu dotto
nel conversare nell’una e nell’altra lingua?
Quasi schiacciato dalla caduta di un tronco
grato nel cuore, feci voto a Bacco
d’un lieto convito e un bianco capro.
E sia. Questo giorno festivo, al tornare
d’ogni anno, libererà dalla pece
un orcio che a prendere fumo
cominciò dal consolato di Tullio.
O Mecenate, vuota cento bicchieri
per il tuo salvo amico, lascia che ardano
le vigili lucerne fino all’alba
e ira e chiasso restino lontani.
Lascia gli impegni pubblici dell’Urbe!
l’esercito del dacio Cortisone è sconfitto
i Parti lottano tra loro e si procurano
lutti con le loro stesse armi;
il Cantaro è domato, il vecchio nemico
ispano giace avvinto in catene;
lo Scita, gli archi allentati,
pensa di abbandonare i nostri territori.
Quando sarai da me, privato cittadino,
non ti cruccino le necessità del popolo
lieto goditi i doni del presente
e tralascia i tuoi gravi pensieri!
Odi- III- VIII
Il simposio oraziano, oltre
che occasione per rinsaldare i vincoli di amicizia, è rito di grazia e
di bellezza. Il poeta condanna chiasso, tumulto orgiastico e invita
piuttosto a gustare in piena serenità cibi semplici, vino genuino, a
dimenticare gli affanni e a godere l’armonia e la magia di un incontro
speciale, sacro, al quale presiedono venere e le Grazie, rappresentate
dalla fanciulla invitata ad allietarlo con la sua bellezza.
Come meglio trascorrerò questo giorno
festivo, sacro a Nettuno? O Lide, sollecita,
spilla il Cecubo riposto, fa cadere
ti prego, la difesa della tua saggezza.
Il meriggio volge al tramonto, lo senti,
e tu, come se possibile sia fermare il giorno,
indugi a trarre giù dal ripostiglio l’anfora
immota fin dal consolato di Bibulo?
Ci alterneremo: io canterò Nettuno
e le verdi chiome delle Nereidi
tu risponderai cantando sulla curva lira
Latona e le veloci frecce di Diana
poi, Venere splendida che regna su Cnido
e sulle Cicladi lucenti, e che Pafo
visita con gli aggiogati cigni. Infine
converrà con dolce melodia celebrar la notte.
Odi III– XXVIII
Lide è la stessa fanciulla a cui Orazio si
rivolge nell’ode XI del libro II.
Tralascia di chiedere, o Quinzio Irpinio,
cosa ordiscano i bellicosi Cantari
e gli Sciti( li divide il mare);
non trepidare così per questa vita
che ti chiede poche cose. Fugge via la dolce
giovinezza e con essa la grazia, e viene la triste
vecchiaia che si porta via con la canizie
i facili amori e il compiacente sonno!
Non sempre uguale è lo splendor dei fiori a
primavera
né con lo stesso volto rosseggiar vedi la luna.
Perché l’impari animo tuo affatichi
dietro gli immutabili pensiero dell’eterno?
Perché, piuttosto, non ci stendiamo a caso
sotto il platano alto o sotto un pino
e beviamo dimentichi, c’è ancor concesso,
coi capelli bianchi profumati di rose
e stillanti prezioso nardo orientale?
Il dolce Evio dissipa gli aspri affanni.
Qual servo smorzerà l’ardore del falerno
con l’acqua del rivo che scorre?
Chi trarrà dalla sua casa l’etera Lide
così poco volgare? Orsù, dille che venga presto
con la sua lira d’avorio e, come fosse una spartana,
con i capelli dietro raccolti in un bel nodo.
Odi II – XI
Nell'ode undecima del libro
quarto, sopra trascritta, Orazio ricorda agli amici che è il compleanno
di Mecenate e per festeggiarlo sono pronti un botticello di vino albano,
che ha superato i nove anni, apio per le corone e tanta edera perché
risplendano i capelli annodati della bella Fillide. E nell'ode
dodicesima del libro quarto si rivolge a Virgilio dicendogli che, se
vorrà gustare del vino, dovrà meritarlo portando un vasetto di delicato
profumo: il nardo. Il simposio oraziano è, quindi, anche trionfo di
fiori e di profumi.
Ricordati di conservare l’animo
sereno nelle avversità e libero
da smodata letizia nella prosperità
perché, o Dellio, tu sei destinato a morire,
sia che sia vissuto sempre nella mestizia
sia che, invece, steso in prati isolati
abbia goduto nel bere il più vecchio
vino falerno nei giorni festivi.
Qui dove l’alto pino e l’argenteo pioppo
amano intrecciare ombre ospitali
e l’acqua rapida s’affatica
in fuga nel tortuoso ruscelletto
qui fa portare profumi e vini
e le amene rose dalla vita così breve,
finché t’è concesso dalla sorte
dall’età e dal filo delle tre sorelle.
Dovrai lasciare la casa, dovrai lasciare
i pascoli acquistati, la villa che il biondo
Tevere bagna e un erede avrà
tutte le ricchezze che hai accumulate!
Sia tu ricco dalla stirpe d’Inaco
disceso, o povero e di oscuro ceto,
ed abiti sotto il cielo, nulla importa,
sarai vittima dell’Erebo crudele.
Tutti veniamo accalcati in uno stesso luogo,
per tutti nell’urna s’agita la sorte;
destinata ad uscire più presto o più tardi
e ad imbarcarci per l’eterno esilio!
Odi II – III
Rifuggo, o fanciullo, dal lusso orientale
né amo corone legate coi fili di tiglio;
cessa dal cercare in qual luogo
s’attardi a sbocciare la rosa.
Non m’importa che tu, premuroso,
aggiunga fiori al semplice mirto:
il mirto ben s’addice a te che mesci
e a me che bevo sotto ombrosa vite.
Odi II – XXXVIII
Nella IV satira del libro II
Orazio da alcuni consigli al perfetto padrone di casa. Sia che il
convito si svolga all’aperto, sia nel chiuso delle sale, è necessario
rispettare alcune regole fondamentali per la sua buona riuscita, specie
per quanto attiene alla pulizia.
...Si prova grande nausea allo
stomaco quando qualche valletto, dopo aver rubato e leccato la carne con
le mani unte tocca le coppe, oppure quando si vede un disgustoso
sudiciume nel fondo di un calice antico. Quanto mai costerà qualche
scopa ordinaria, uno straccio, un po’ di segatura? Ma, intanto, se
trascuri questi accorgimenti, quanta vergogna! Sul serio pensi di poter
spazzare i pavimenti con una scopa sporca o coprire con fodere lorde la
porpora dei divani, dimenticando che quanto minore spesa e cura
richiedono queste piccole cose, tanto il trascurarle umilia molto più
che la mancanza di ciò che si può pretendere soltanto dai ricchi...
Satire II - IV. 78/87
Se ti degni di adagiarti a
banchetto sui divani di Archia, né ti sgomenta un pranzetto di ortaggi
in un piatto modesto, da me, Torquato, a vespro ti attendo. Da un pezzo
la fiamma già brilla e tutte le suppellettili sono state lavate. Dal
canto mio, e con piacere, affido a me il compito che il divano sia ben
spolverato, che il tovagliolo non ti faccia arricciare il naso e la
coppa e il piatto ti servano da specchio, e, cosa più importante, che
siano tutti amici fidati sì che nessuno spifferi fuori ciò che si
dice...
Epistole I-V. 1/3,7,21/26
Il simposio oraziano trova,
poi, la sua significazione più profonda nell’altro motivo che è
l’essenza di tanta ispirazione per il poeta: il motivo epicureo.
Orazio conversa amabilmente con alcuni amici proprio su questo tema.
Quinzio
Certo la filosofia epicurea per molti di noi ha assunto il valore di
rifugio contro le amarezze della vita.
Pompeo
Anche per me è rimedio contro le passioni.
Flavio
A me, invece, riesce difficile il distacco dal vivere intensamente
emozioni, impegni, anche se così facendo vado incontro a delusioni. Che
ne pensi, Orazio?
Orazio
Tu sei il più giovane tra noi ed è naturale che affronti la vita con
totale partecipazione. Per molti di noi, al contrario, l’insegnamento
epicureo è stato un punto di arrivo, dopo il filtro di tante dolorose
esperienze.
Marzio
Certamente, non è facile reprimere le passioni e arrivare a
conquistare l’imperturbabilità.
Torquato
Io penso che Epicureo nella sua filosofia abbia principalmente
tenuto in considerazione l’aspirazione umana dell’opportunità di godere
quanto più è possibile di fronte all’ineluttabilità della morte, fine di
ogni cosa.
Flavio
Proprio così, Torquato, la morte è l’unica certezza per l’uomo.
Quindi…
Quinzio
Una volta entrati nel regno di Plutone, una notte profonda ci
avvolgerà, senza risveglio.
La neve s’è disciolta, ritornano
l’erbe
sui prati e sui rami le foglie;
tutta la terra si rinnova e i fiumi
già meno gonfi lambiscono lenti le rive.
La Grazia con le sorelle e le
ninfe,
osa guidare senza veli le danze,
ma l’anno è fugace e l’ora, che i giorni felici
consuma, non ti concedono eterne illusioni.
Con lo zefiro muore l’inverno e
alla primavera
segue l’estate, anch’essa destinata a finire
con i frutti e le biade d’autunno,
poi, ecco rapido riappare l’inerte inverno.
Pure i mesi veloci riportano la
bella stagione:
noi, invece, giunti là dove dimora
il pio Enea e il ricco Tullo con Anco
non più torneremo, saremo polvere e ombre.
Chi sa se alla somma dell’oggi
gli Dei supremi
vorranno aggiungere il domani?
Sfuggirà alle avide mani dell’erede
tutto quanto non avrai concesso ai beni dell’animo.
Una volta che sarai caduto e di
te Minosse
abbia dato il solenne giudizio,
non nobiltà di stirpe, non abilità oratoria
non la pietà, o Torquato, ti restituiranno alla vita;
né, infatti, Diana può liberare
il casto Ippolito
dalle tenebre infernali, e neppure
Teseo può spezzare presso il fiume Lete
le catene che avvincono il caro Piritoo.
Odi IV – VII
Flavio
Sono affascinato dal nostro conversare e l’ode di Orazio ha
suscitato in me profonda emozione. Ora, però, voglio chiedervi qual è la
migliore opportunità per l’uomo di godere di fronte alla morte
inevitabile.
Orazio
Quella di cogliere la gioia che il giorno ci offre senza illuderci
con speranze troppo lunghe per una vita così breve. Né ci è lecito
conoscere il futuro che è in mano agli Dei.
Primavera ritorna e l'aspro
inverno scioglie il favonio
le macchine spingono in mare le navi finora a secco,
il gregge lascia l'ovile, il contadino il fuoco,
né più bianchi di brina sono i prati.
Venere citerea intreccia danze al chiaror della luna
e le Grazie e le armoniose ninfe battono il ritmo
con alterno piede, mentre tra i bagliori
Vulcano rivisita le officine dei Ciclopi.
Cingiamo di verde mirto il capo lucido d'unguenti
e coi fiori sbocciati dalle morbide zolle;
ora s'immoli a Fauno negli ombrosi boschi
un'agnella o, se lo preferisca, un capretto.
La pallida morte, ahimè!, incombe sulle misere case
e sui palazzi dei re. Mio beato Sestio,
la fugace vita nega lunghe trame di speranze:
presto t'avvolgerà la misteriosa notte dei morti
e la squallida casa di Plutone, ove, una volta giunto,
non sarai eletto re del convito, né potrai mirare
il tenero Licida, ch'ora accende i giovani tutti
e tra breve scalderà il petto delle vergini.
Odi I-IV
...Qualunque ora felice il Nume
a te avrà concesso, accoglila con mano riconoscente, né mai rimandare al
futuro le gioie della vita: sì che in qualunque luogo sia stato tu possa
dire che hai vissuto volentieri: infatti se la ragione e la prudenza
portano via gli affanni, non li toglie il luogo che domina un'ampia
distesa di mare, quelli che fuggono oltremare non cambiano animo, ma il
cielo. Ci travaglia una faticosa inerzia, cerchiamo di vivere bene. Ciò
che cerchi è qui, magari ad Ulubra, se non ti manca un animo
equilibrato.
Epistole I-XI. 22/30
... Tra speranze ed affanni, ira
e timori, fa' conto che que- sto giorno sia per te l'ultimo, il domani
inatteso soprag- giungerà gradito. Quando vuoi ridere, visita me grasso
e nitido maiale del gregge di Epicureo, con la pelle ben curata.
Epistole I-IV. 12/16
O Leuconoe, mia cara, non chiedere( non è lecito
saperlo) qual termine
abbiano a me e a te gli Dei assegnato, e non consultare ansiosa
le cabale caldee. Quanto meglio è accettare ciò che verrà
sia che Giove ci conceda numerosi inverni, sia invece l’ultimo
questo che ora il Tirreno burrascoso affatica contro le rocce.
Sii saggia, assapora il vino e tronca speranze troppo lunghe
nel breve spazio della vita. Mentre parliamo il tempo invidioso
avrà rapito l’attimo soave: godi l’oggi non affidare attese al domani.
Odi I-XI
L'espressione carpe diem non
nasce, come alcuni han no interpretato da uno sfrenato, quasi
licenzioso, desiderio di godere, frutto di un superficiale edonismo:
nasce piuttosto dalla malinconica certezza del poeta della evanescenza
delle gioie umane, dal suo invito ad abbandonarci alla magia dell'
attimo fuggente e a non nutrire speranze troppo lunghe e ardite. Su
tutti incombe il domani oscuro e minaccioso, come il Tirreno in tempesta
che frange la sua furia sulle coste e che fa da sfondo suggestivo
all'ode, quindi, è bene essere saggi e accettare il termine inevitabile
assegnato dagli Dei alla nostra vicenda terrena.
Quinzio
Carpe diem! Godiamo l’oggi: il domani è pur sempre un guadagno.
Pompeo
E godiamo soprattutto gli anni lucenti della giovinezza finché è
lontana la irriverente vecchiaia.
Marzio
O giovane Tullio, ti vedo turbato, non vorrei che tu ricavassi da
quanto abbiamo detto posizioni sbagliate, e cioè o di eccessivo
godimento o di estremo distacco.
Flavio
E’ vero Marzio. Hai colto nel segno. Questi sono i due aspetti del
problema.
Pompeo
Orazio, tu sai che per noi sei il filosofo del quotidiano, pertanto,
rispondi, ti prego, al giovane Tullio perché la sua scelta di vita sia
attenta.
Quinzio
Sì, è giusto che lo faccia tu, Orazio, e non solo per il giovane
Tullio. Tu nelle tue satire hai, con moralismo garbato, affrontato
l’essenza della felicità umana. Parlane. Ti ascoltiamo.
Orazio
Vi ringrazio per la grande stima che mi tributate, forse
immeritata.Io ho sempre voluto essere l’amico che consiglia, mai il
maestro pedante che condanna. Questa, a mio parere, è la via da seguire
per vivere saggiamente. Bisogna nutrire un amore controllato per le
cose, che ci tenga lontano da qualsiasi estremo, sì che la passione
diventi amore, l’ingordigia sobrietà, il terrore sano timore,
l’estetismo gusto della bellezza. Insomma, trovare il giusto mezzo in
cui comporre gli estremi.
Tullio
Tu come ci sei riuscito?
Quinzio
La prima maestra è la vita. E tu, Tullio, hai vissuto ancora poco.
Il vivere saggiamente, poi, non è di tutti, ma di coloro che
s’interrogano sui veri valori, non trascurando di assimilare gli
insegnamenti dei padri.
Orazio
Sì. Così si prepara l’animo ad affrontare ciò che la vita offre. Non
bisogna né esaltarsi nella buona sorte né avvilirsi nella cattiva. Anzi,
proprio nelle disgrazie devi mostrarti più forte: l’animo ben preparato
spera nella sorte contraria e teme nella propizia.
Licinio mio, più saggiamente vivrai
se a sempre resti al largo in alto mare
o se temendo la furia delle onde
rasenti troppo la costa insidiosa.
E’, invece, preziosa l’aurea mediocrità
se la scegli eviterai sia lo squallore
del triste tugurio che lo splendore
della reggia dagli altri invidiata.
Gli alti pini sono più spesso
sconvolti dai venti, con più grave rovina
cadono le torri elevate, i fulmini
violenti s’abbattono sulle cime dei monti.
L’animo ben preparato nutre speranze
nella sorte contraria e teme nella propizia.
Giove porta i desolati inverni
e Giove stesso poi li allontana.
Se l’ora presente è triste, non così
sarà la futura: non sempre Apollo
tende l’arco, talvolta egli con la cetra
risveglia al canto il silenzio delle muse.
Nelle disgrazie mostrati paziente,
animoso e da saggio avvolgi le vele
quando un vento amico, forte
soffiando, troppo le tenda e le gonfi.
Odi II – X
Orazio,
oltre che artefice accurato e poeta sensibile, appare nelle sue opere
l’amabile conversatore che si fa apprezzare per il tono pacato con cui
espone il significato che egli assegna a quelle che ritiene le giuste
scelte di vita. Noi rimaniamo affascinati dalle sue riflessioni che
appaiono attualissime giacché, oggi più che mai, l’uomo, sacrificando
ogni dimensione umana alla sua esistenza, pare apprezzare sempre più i
beni materiali e dimenticare i valori dello spirito. |