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R. Zaza Padula

le OPERE

Potenza

.


per amare ORAZIO

 

Rachele Padula Zaza
 

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INDICE

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A pranzo da Nasidierno il riccaccio

 

Fundanio
Carissimo Orazio, qual buon vento ti porta?

Orazio
Hai tratto giovamento dal pranzo di Nasidieno il riccaccio? Ieri a me che ti cercavo perché pranzassi con me, mi fu detto che fin dal mezzogiorno eri presso di lui a bere . E’il nuovo anfitrione, cui le ricchezze accumulate permettono frequentemente di organizzare conviti con personaggi importanti della nostra epoca.

Fundanio
Mai nella mia vita ho tratto uguale giovamento. E’ stata una esperienza assai divertente.

Orazio
Dimmi, se non ti è di peso, quale pietanza vi è stata offerta per prima.

Fundanio
Un cinghiale lucano e per contorno raperonzoli, lattuga, radicchi, salamoia, mosto di Coo, cose tali da eccitare lo stomaco svogliato.

Orazio
Ho voglia di sapere i nomi dei commensali che hanno allietato il piacevole banchetto.

Fundanio
Eravamo in parecchi: nel divano a sinistra a capo tavola io, vicino a me Visco Turio e vicino a lui Vario: al posto d’onore, nel divano centrale, Mecenate e con lui Vibidio e Servilio Balatrone, che egli aveva condotto con sé come ombre, infine, nel divano più basso a destra Nasidieno, il padrone di casa, tra Nomentano e Porcio.

Il dialogo tra Orazio e Fundanio, tratto liberamente dalla satira VIII del libro II, tende, attraverso una scelta di interessanti  riferimenti di un percorso eno-gastronomico, a far conoscere usi e costumi del tempo e del poeta.

Nasidieno
Amici, il cinghiale che state gustando è stato preso mentre spirava un leggero scirocco. Così, la carne è più tenera e saporita. Alcone sei davvero un servo pigro; insieme a Idaspe pulisci la mensa di acero con uno straccio di porpora e raccogli gli avanzi che possono infastidire gli ospiti. Portate, poi, del vino, del Cecubo o del vino di Chio. Mecenate, se ti piace di più l’Albano o il Falerno, ne abbiamo dell’uno e dell’altro.

Vario
Guardate con quanta avidità mangia Porcio! Riesce a inghiottire una focaccia intera in un solo boccone.

Visco
Gli uccelli, le conchiglie, i pesci, questi filetti di passero e rombo che stiamo mangiando, hanno un sapore particolare, insolito.

Vario
E’ vero, così elaborati non ne ho mai mangiati.

Nomentano
A me il compito di svelare questo segreto: in effetti, sono preparati con l’aggiunta di intrugli, salse e spezie sì che è difficile scoprire il sapore originario. Il cuoco è veramente apprezzabile se è riuscito così bene a mescolare i sapori. Sappiate, poi, che le mele diventano rosse se colte alla luna calante.

Balatrone
Alcone, sii sollecito, mesci il vino, non ti far vincere dal sonno. Vibidio, beviamo; si beva a uffa! E tu, Nasidieno, non impallidire, non temere, lo sopportiamo bene il tuo vino. Te ne lasciamo nel fumarium.

Nasidieno
La verità è che i grandi bevitori, quale tu sei Balatrone, mi fanno paura per due motivi. Primo perché, in preda all’ebbrezza, sparlano di tutto e di tutti; secondo perché i vini forti rendono insensibili i palati raffinati.

Vibidio
Non ti preoccupare, noi abbiamo palati resistenti al vino. E’ una questione di abitudine. Non è così, Balatrone?

Balatrone
Verissimo. E il dio Bacco ne è testimone.

Nasidieno
Contenetevi, amici, gustate piuttosto questa murena spampanata, contornata da granchi galleggianti in una salsa speciale. La murena è stata pescata gravida, è più buona; dopo il parto, invece, la carne diviene meno pregiata.

Vario
Veramente ottima. Come è stata preparata la salsa?

Nasidieno
Olio puro di Venafro, salamoia con sugo di pesce spagnolo, vino italiano di cinque anni; poi, mentre essa bolle, niente lega bene come il vino di Chio, pepe bianco e aceto. Io, e sono stato il primo a farlo, uso aggiungere cavoli verdi ed enule amare. Curtillo, invece, ricci di mare senza lavarli. Perché, a suo dire, più di ogni salamoia, vale la schiuma dei frutti di mare. Amici, è arrivato il momento di presentarvi il mio  nuovo ospite Cornelio, che viene dal Ponto e non conosce i nostri usi e costumi a tavola. Anzi, vorrei che gliene parlaste.

Mecenate
Ben volentieri. Originariamente a Roma il piatto nazionale era costituito da una specie di polenta di farro, chiamata puls, alla quale si aggiungevano comunissimi alimenti, tra cui primeggiavano i legumi. Solo in giorni eccezionali era servita la carne; il pane stesso non era in uso, in seguito, invece, è diventato di largo consumo. Negli ultimi secoli della Repubblica fino ad oggi, per imitazione dei Greci e dal momento che i mercati delle città sono ricchi di prodotti vari e raffinati, soprattutto orientali, mentre i contadini e i poveri di Roma hanno continuato a nutrirsi molto modestamente come in origine, sulla mensa dei ricchi sono comparsi piatti svariati e ghiottonerie le più squisite come queste che stiamo gustando a casa di Nasidieno.

Vario
E’ proprio vero. La modesta cena delle origini si è trasformata in un incontro quasi quotidiano con gli amici intorno alla mensa, che si protrae fino a sera o addirittura nella notte e non solo per gustare cibi raffinati ma anche per trattenersi a conversare o ad assistere a declamazioni di versi e a spettacoli di vario genere.

Porcio
Gli antichi romani mangiavano tre volte: la colazione della mattina (ientaculum), il pranzo a metà giornata (cena) e il desinare della sera (vesperna). Col tempo la colazione e il pranzo sono diventati spuntini con cibi freddi e poco elaborati, mentre la cena è diventata il pranzo solenne, un vero e proprio banchetto. In inverno si usa imbandirla all’ora ottava (cioè le quattordici), in estate all’ora nona ( alle quindici).

Vario
Il pranzo, attualmente, si suddivide in tre momenti: la gustatio, la cena e le secundae mensae. La gustatio, detta anche promulsis perché si beve il mulsum, un vivo leggero corretto col miele, consiste in vivande stuzzicanti: uova (da cui il detto ab ovo usque ad mala, che allude all’inizio e alla fine del pranzo), legumi, lattughe, cavoli, rape, asparagi, olive, porri, funghi, ostriche, pesci salati ecc. 

Porcio
La cena è caratterizzata da una o più portate (fercula) consistenti in carni di ogni genere, variamente cucinate; talvolta anche pesci. Seguono le secundae mensae, durante le quali si offrono frutta, dolci col miele e cibi che suscitano la sete. Quindi, ha inizio la commissatio, cioè i brindisi guidati da un simposiarca, cioè il re del convito, l’arbiter bibendi, il quale fissa le qualità dei vini e in quale proporzione devono essere mescolati con l’acqua: una proporzione che, mai inferiore ad un terzo può raggiungere i quattro quinti. Il vino, altrimenti, è troppo aspro per essere bevuto liscio e di solito anche torbido, sicchè si usa mescolarlo con l’acqua; a seconda o raffreddata con la neve o preventivamente riscaldata.

Rufo
Per Giove! E’ caduto il soffitto!

Fundanio
In verità, caro Orazio, era caduto il baldacchino. Quello che è accaduto dopo te lo lascio immaginare. A stento riuscivamo a soffocare le risate nei tovaglioli. Nasidieno per porre riparo ha fatto arrivare altri cibi, ma noi, senza nemmeno assaggiarli, lo abbiamo piantato e siamo scappati come se Canidia, la fattucchiera, ci avesse appestati col suo fiato.

Orazio nella satira VIII del libro II si dilunga sul numero e sull’abbondanza delle portate per prendere in giro Nasidieno e, come lui, i nuovi arricchiti, i quali pensavano che, ostentando la loro opulenza, potessero far dimenticare la loro zoticheria.
Così, pure, per sviluppare il tema della condanna dell’ingordigia, nella satira IV del libro II egli elenca una serie di precetti culinari in derisione di quanti trattavano l’arte della cucina con la stessa serietà dei discorsi filosofici. Eccovi il gustoso dialogo che si svolge nella satira appena citata, tra Cazio e Orazio. Cazio è un filosofo epicureo che guarda ai piaceri della tavola come al sommo della felicità umana.

Orazio
Cazio, amico mio, donde vieni e dove vai?

Cazio
Non posso fermarmi perché devo fissare nella mente dei nuovi precetti che oscureranno quelli di Pitagora, Socrate e Platone.  

Orazio
Oh! Ti chiedo scusa se, con le mie domande, ti ho distolto dai tuoi pensieri. Forse il momento è poco opportuno. Ma tu, che sei tanto buono, perdona.

Cazio
La verità è che io cercavo di tenere tutto quanto a memoria. Sono concetti sottili e anche la forma che li esprime deve essere sottile. Non ti pare?

Orazio
Certo. Dimmi, piuttosto, il nome dell’autore di questi precetti. E’ romano o straniero?

Cazio
Ti riferirò solo i precetti, non ti rivelerò il nome dell'autore. Dunque, il cavolo che nasce nei campi è più dolce di quello che nasce in prossimità della città: non c’è cosa più scipita di un orto troppo annacquato. Ricordati di porre sulla mensa le uova bislunghe perché sono più bianche e di gusto più fine delle rotonde. Inoltre, i gusci callosi contengono il pulcino maschio. La natura dei funghi prataioli è ottima, fidarsi degli altri è un errore. Se il vino Marsico risulterà torbido, esponilo a ciel sereno: l’aria notturna lo renderà più limpido e annullerà l’odore sgradevole. Se tu, invece, lo filtrassi, perderebbe il suo sapore. Sbagli di grosso se tu lasci tremila sesterzi in pescheria e, poi, costringi in una pentola piccola e inadatta i pesci, che, invece, hanno bisogno di spazio per essere ben cucinati.

Orazio
Sono tutt’orecchi. Non dimenticherò nulla di quanto mi hai consigliato. Tu conosci davvero le norme del vivere beato!

Cazio
Ti lascio, Orazio, con l’augurio di stare in buona salute.

Orazio
A proposito, quali precetti puoi darmi perché io goda di ottima salute. Proprio l’altro giorno Trebazio mi ha suggerito un rimedio contro l’insonnia.” Tre volte attraversi il Tevere a nuoto chi vuole dormire profondamente. E un po’ di vino in corpo si trovi sul far della notte”. Non credo che tu, così sapiente, non abbia alcun consiglio da darmi se il ventre si indurisce.

Cazio
Ebbene, se il ventre si indurisce e si incanta varranno a rimuovere gli intoppi i datteri di mare, i mitili e le piccole foglie del romice, e non manchi il vino bianco di Coo.
Ti do altri due consigli: se vuoi trascorrere l’estate in buona salute, concludi il pranzo con more. Devi, però, staccarle tu stesso dalla siepe prima che il sole scotti. Inoltre, se qualcuno degli amici sta male per aver bevuto troppo, potrai farlo ristabilire con gamberi arrosto e lumache africane; infatti, la lattuga, che molti usano come rimedio, non serve giacché galleggia sullo stomaco acido di vino.

Orazio
Più ti ascolto, più desidero conoscere chi è tanto saggio. Mi aiuterai a conoscere l’autore di questi precetti.

Cazio
E’ tempo che vada, però, prima di lasciarti ti affido quest’altra norma: col prosciutto e la salsiccia potrai stuzzicare chi ha poco appetito, dopo di che egli vorrà che tu gli faccia venire dalla bettola qualunque piatto stiano cuocendo. Addio, Orazio.

Naturalmente l’autore è lo stesso Cazio e Orazio si diverte a irridere la sua reticente falsa modestia. L’arte del poeta lucano è davvero senza tempo se insieme con lui ci divertiamo anche noi dopo duemila anni. Dalle sue opere è possibile ricavare, oltre a profonde tematiche, notizie e curiosità della vita quotidiana del suo tempo, che sembrano di poco conto, ma sono utili a ricostruire alcuni aspetti della civiltà del popolo romano.
Il giorno dopo il convito svoltosi a casa di Nasidieno, Balatrone  e Fundanio in casa di Mecenate conversano amabilmente e ricordano ridendo quanto è avvenuto al crollo del baldacchino.

Fundanio.
Or dunque alziamo i calici e inneggiamo a Bacco. E’ arrivato Orazio.

Orazio
Salute a tutti. Mi unisco a voi in questo allegro brindisi. Attenti, però, che l’uso del vino non sia smodato. Bacco è pur sempre il Dio venerabile e discreto, il nume tutelare dell’amicizia. Resti per noi sempre fonte pura di virtù e di pace dell’anima.

Balatrone
Sì, hai ragione, Orazio, ma convieni con me che è inebriante annullarsi nel vino.

Orazio
No, non mi pare proprio. Chi beve senza misura è un barbaro: io, invece, vi invito a non perdere il controllo, a mitigare i clamori e a rimanere con i gomiti ben saldi sulla mensa. Se noi beviamo moderatamente, infatti, il vino darà i suoi benefici effetti.

Nata con me sotto il consolato di Manlio
antica anfora, sia che susciti alterchi
facezie o risse e insani amori
o rendi più facile il sonno,

qualunque sia il titolo per cui tieni in serbo
lo scelto Massico, orsù discendi,
degna di  essere rimossa in un fausto giorno;
Corvino comanda il vino più gradevole.

Questi, benché imbevuto di dialoghi socratici,
non è così arcigno da disprezzarti;
si narra che anche il vecchio Catone
abbia spesso attinto calore dal vino.

Tu infondi soave stimolo al genio
troppo spesso restio; tu col gioioso
Bacco manifesti dei sapienti gli affanni
e i loro segreti disegni;

dai speranza agl’inquieti spiriti
e vigore e ardimento concedi al povero
che dopo aver bevuto non teme né tiare
d’irati re né armi di guerrieri.

Odi III- XXI

 

Mecenate
E’ molto significativa la tua ode, ma, mi piace anche a proposito ricordare quanto hai scritto nell’Epistola V a Torquato:

...L’ebbrezza quali porte non apre? Manifesta segreti, appaga le speranze, spinge il vile a combattere, libera gli animi dagli affanni, dà estro agli artisti. Chi non resero eloquente i calici generosi? A chi non dà sollievo, pur nelle ristrettezze della povertà?

Epistole I-V. 16/20

 

Ed ancora nell'epistola quindicesima del libro primo così scrivi:

...Nel mio podere posso sopportare e tollerare qualsiasi vino, ma quando giungo al mare lo cerco generoso e dolce, che scacci gli affanni, che scorra nelle vene e nell'animo con abbondanti speranze, mi sciolga la lingua e mi renda gradito come fossi giovane a un'amica lucana...

Epistole I-XV. 17/21

 

Orazio
Mecenate carissimo mi incuriosisce molto che tu abbia accettato l’invito di Nasidieno che ha ricchezze e fortuna recenti.

Mecenate
E’ l’ordine nuovo dei tempi: il nuovo governo ha le sue ragioni di essere nella borghesia alta, media e piccola.

Orazio
La tua visione delle cose è lungimirante, perciò mi affascina.

 L’arma della satira serve ad Orazio per colpire, ma con sorridente bonomia, i vizi e le debolezze degli uomini. Egli chiamò le satire ”sermones” ed esse stanno a mezzo tra il ragionamento fatto all’angolo della strada e la felice creazione poetica. Indimenticabili alcune situazioni comiche che spesso si concludono in gustosissime battute.
Nella satira I del libro II Orazio in un dialogo con il suo amico Trebazio difende l’essenza delle sue satire:

…ma questa mia penna non aggredirà mai per prima essere vivente e come una spada infilata nella guaina mi difenderà; perché impugnarla fino a quando sono al sicuro da perfidi assassini? O Giove, padre e signore, sia consunta dalla ruggine la freccia nella sua faretra; né alcuno nuoccia me desideroso di pace. Però a colui che mi irrita io grido:”E’ meglio non toccarmi”. Costui piangerà calde lagrime e sarà deriso in tutta la città...

Trebazio
…Pure, senti un consiglio:” Bada di non avere qualche noia perché trasgredisci le sante leggi. Una di esse prescrive: chi scrive satire infami a dileggio altrui, è soggetto a processo e sentenza.

Orazio
Questo avverrà per chi le scrive infami, ma quando uno le scrive a fin di bene, ed ottiene finanche l’elogio di Cesare? Quando chi scrive colpisce un uomo degno di infamia, è un galantuomo?

Trebazio
In questo caso gli stessi codici scoppiano per le risate, e tu non sei condannato.

Satire II-I. 80/87

 

A conclusione, può dirsi che Orazio, anche per quanto riguarda i cosiddetti piaceri della tavola, consiglia la moderazione. A lui bastano cibi semplici purchè riesca a conservare la serenità d’animo. In più passi delle sue opere si esprime in tal senso:

A Mecenate


Lascia il palazzo così vicino alle ardue
nubi, abbandona l’opulenza e tralascia
di ammirare il fumo e lo sfarzo
e il chiasso della beata Roma!

Piace ai ricchi cambiare: un pranzetto frugale
in una casa modesta di poveri
senza baldacchini e coperte di porpora
spesso ha rasserenato una fronte preoccupata.

Odi III-XXIX. 9/16

 

Cosa chiede il poeta ad Apollo cui è stato
consacrato un tempio? Cosa invoca al Dio
versando vino nuovo dall'ampia coppa?
Non le floride messi della fertile Sardegna,

non i pingui armenti dell'affocata
Calabria, non dell'India l'oro e l'avorio
non i campi che il silenzioso Liri
bagna con le sue acque tranquille.

Con falce calena potino le viti
coloro ai quali fortuna le assegnò,
in calici d'oro asciughi i vini, scambiati
con merce di Siria, il ricco mercante

assai amato dagli stessi Dei, se illeso
tre e quattro volte all'anno rivede
l'Atlantico furioso. Io mi nutro di olive
di cicoria e di leggere malve.

Ti prego, figlio di Latona, fa' che io
ancor sano goda dei beni presenti
integra conservi la mente, non sia turpe
vecchiezza e la consoli il canto!

Odi I-XXXI

 

In un passo della VI satira del libro I egli ci dà l’esempio di una poesia umanamente serena e commossa nel ritratto che fa di se stesso. Così descrive la sua giornata:

 ...Dovunque mi piace gironzolo solo soletto, mi informo a quanto vanno le verze ed il farro, mi aggiro verso sera tra le chiacchiere del Circo e spesso fino al Foro, mi fermo vicino agli indovini e, poi, mi ritiro a casa, al mio piatto di porri, di ceci e di lagane. Tre ragazzi mi servono la cena: un tavolino di marmo sostiene il boccale, due coppe, una saliera ordinaria, un vasetto, suppellettile della Campania. Poi, me ne vedo a dormire senza il pensiero di dovermi svegliare di buon’ora per recarmi sotto la statua di Marsia per gli affari. Sto a letto fino alle dieci: poi, gironzolo un po’, zitto zitto, o scrivo o leggo come mi aggrada, mi ungo di olio. Ma quando il sole, divenuto più cocente, mi avverte che è l’ora del bagno lascio il campo e il gioco della palla. Faccio colazione senza ingordigia, ma solo per evitare che la pancia rimanga vuota per tutta la giornata, mi godo in casa un piacevole ozio...

Satire I-VI. 111/127

 

"In medio stat virtus". Il giusto mezzo, quindi, sta tra chi come Avidieno, per avarizia, mangia ulive secche di cinque anni e corniole di macchia e non mesce mai il vino che non sia diventato aceto e un olio da voltare lo stomaco tanto maleodora, e Nasidieno che allestisce una cena che anticipa quella di Trimalchione descritta da Petronio nel Satyricon. Mediocritas aurea in Orazio per i suoi toni pacati senza affettazone, per la cura del verso senza alessandrinismi, per la sua moralità mai cattedratica e pedantesca. Per il suo vigile amore per le cose, le gioie quotidiane e per gli spettacoli della natura; per la sua religiosità senza ansie e timori. Aurea medio- critas nella sua arte, giacché mai questa sfocia nel dramma e nella tragedia, né tantomeno nella esagerata comicità del grottesco. Aurea mediocritas cui il poeta giunse attraverso la condivisione di istanze filosofiche antiche, ma sempre assimilate dalla sua originalissima personalità attenta al momento storico in cui visse.
"Nel mezzo è la virtù": la massima in cui si compendia l'atteggiamento esistenziale di tutti quelli che scelgono di vivere in pace con se stessi.

 

 

 

 

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