IL DUCA RUGGIERO
Ignoriamo l’anno e le
circostanze che hanno indotto la famiglia Sanseverino a scegliere Albano
come sode ducale. Dal materiale a disposizione riteniamo che il
passaggio di proprietà e l’insediamento del Duca siano da collocarsi tra
il 1687-1688. L’istrumento notarile redatto su pergamena il 28 novembre
1688 ci rende noto che Domenico de Ruggiero acquistò il palazzo, a cui
verrà aggiunto in seguito l’epiteto ducale29, e dei fondi
dalla magnifica Marzia Biscotti. della città di Potenza, vedova di
Giovanni Battista Cianciulli. Il prezioso documento elenca
minuziosamente, come in una sequenza fotografica, tutti i locali del
fabbricato: scala. sala, camere, cellaro, avanti porta, "cortiglio”,
cantina con la cisterna, tre stalle una bottega ecc. Nel certificato del
bilancio comunale, datato primo marzo 1693, il paese risulta essere
nuovamente feudo dell’ill.mo Principe di Bisignano, e, per la prima
volta, viene nominato il Duca, a favore del quale l'Università versa,
annualmente, una cospicua somma:
"Più si devono all'Ill.mo
Duca di detta Terra per li fiscali in feudo ann: docati cento novanta
due”30.
Il suo nome ci viene fornito da mons. Antonio Zavarroni, Vescovo di
Tricarico. Il Prelato, a proposito della disputa secolare tra la Chiesa
Cattedrale di Tricarico e i Principi Sanseverino per il possesso delle
terre di Montemurro e Armento, scrive: "la causa viene risvegliata
un’altra volta da D. Domenico di Ruggiero Duca di Albano verso l'anno
1700 contro mons. Leopardi"31.
Il primo Duca fu certamente
D. Domenico Ruggiero e ciò è suffragato da due lapidi affisse sulla
parete d’ingresso alla sagrestia della Chiesa Madre. Le iscrizioni
funebri ci forniscono anche le generalità ed il nucleo familiare del II
e III Duca.
Il II Duca di Albano fu,
quindi, Geronimo Ruggiero, patrizio salernitano, figlio di Domenico.
Mori il 23 novembre 1724, all’età di 33 anni.
Il III Duca fu Antanio
Gaetano Ruggiero, fratello di Geronimo. Mori il 14 febbraio 1755,
all'età di 62 anni. Dal Libro VII dei Baitezzati, apprendiamo che nacque
in Albano il 2 giugno 1691, e gli furono imposti i nomi Matteo, Gaetano,
Candido, Antonio.
Riportiame le due iscrizioni
funebri. con relativa traduzione:
A Geronimo Rogerio
patrizio salernitano secondo Duca degli Albanesi - figlio di Domenico e
di Elisabetta Ioveni - nata dagli antichi signori di Santangelo presto
Fasanella - famosa al di sopra della sua età - per la finezza dei
costumi, per la (sna) giustizia, - per ogni genere di virtù - il quale
dalla moglie Vittoria Piccolella - non avendo avuto figli - morì nel 33°
anno dello sua vita - il 23 novembre 1724 - la madre Elisabetta - i
fratelli germani Antonio e Bernardino - affinché con onore fossero
composte le ceneri - con lacrime posero.
(A Dio Ottimo Massimo) -
Ad Antonio Gaetano Rogerio - patrizio salernitano - terzo Duca di Albano
- perché in vita fu ornamento della patria - colonna della casa -
delizia dei cittadini - i figli Domenico, Vincenzo, Geronimo e Francesco
addolorati - posero queste ricordo del suo animo pio - mori nel 62° anno
di età - il giorno 14 febbraio 1755 dell’era cristiana.
Ad Antonio Gaetano Ruggiero
successe, nel 1755, il figlio cedetto Vincenzo, avendo rinunciato alla
carica di Duca di Albano il primogenito Dnmenico, Marchese dei Monti. La
notizie è attinta da un atto notarile stipulato a Napoli nel 1757 e
custodito nell’Archivio di Stato di Potenza. In esso, si legge che
l’illustre sig. D. Vincenzo di Ruggiero, Duca di Albano, affittò in
perpetuo al sig. D. Giuseppe Rendina, Barone di Campomaggiome, la Difesa
Macchia. Trascriviamo uno stralcio del documento in grado di fornire
preziosi particolari sulle circostanze della successione e qualche dato
sulla contrada Macchia, terra che, per motivi di confine è ancora aggi
soggetta a dinpute tra i cittadini dei due Comuni.
Il giorno 2 ottobre
1757. Napoli...
Nella nostra presenza
costituiti l,Ill(ust)re Duca Sig. D. Vincenzo di Ruggiero utile Padrone
della Terra di Albano, Figlio legitimo, e naturale, ed Erede ex
Testamento, et Codicillis del quondam (del fu) D. Antonio di Ruggiero
olim Duca di Albano, stante la rinuncia e rifiuta fatta a beneficio di
d(ett)o Sig. Duca D. Vincenzo, dall'Ill.re Sig. Marchese de Monti D.
Domenico di Ruggiero Figlio Primogenito del predetto Ill.re Duca D.
Antonio,
così dichiarato in vigor di Decreto di
Preambolo interposto per la G. C(orte) della Vic(ari)a a 13 Maggio 1755,
presso l’Attuario Cenatiempo, copia del quale per me si conserva
nell’Istromento per me rogato a 16 del mese di Giugno del corrente Anno,
e ne fo piena fede, il quale Sig: Duca D. Vincenzo agge, ed interviene
alle cose infrascritte per se, suoi Eredi, e successori da una parte. Ed
il Rev(eren)do Sig: D. Ferdinando Abbate Rendina Agente, e Procuratore
Gen(era)le del Sig: D. Giuseppe Rendina, utile Padrone del Feudo di
Campomaggiore suo Nipote... dall’altra parte.
...il d(ett)o Sig: Duca D. Vincenzo, affittò, e
diede in affitto a d(ett)o Sig: Barone D. Giuseppe Rendina.. la sua
Difesa Feudale, nominata la Macchia, compresa in essa la vigna, ed
oliveto... qualè è di capacità di tomola Duecento quarantatre, e
stuppelli sei, sita, e posta in tenimento di Albano... “32.
Oltre alle informazioni tratte dal citato strumento
notarile, non siamo in grado di fornire altri dettagli sulla vita del
Sig. Vincenzo di Ruggiero, IV Duca di Albano. E' noto anche il nome
dell’ultimo Duca, forse il V, il quale per le leggi eversive della
feudalità, viene contraddistinto, nella Sentenza n. 1, con gli
appellativi l’ex-feudatario sig. Antonio Ruggiero. Stando alla
consuetudine praticata nel sud di tramandare ai nipoti il nome del
nonno, dovremmo dedurre che, nello scorcio del Settecento, al IV Duca
sia succeduto il sig. Antonio, nipote di Antonio Gaetano Ruggiero, morto
nel 1755.
La consultazione di altri documenti esistenti
nell’archivio parrocchiale non ha aggiunto nulla di nuovo a ciò che
sapevamo. Tra i libri dei Defunti abbiamo rinvenuto, però, qualche
particolare in più sul decesso del Il e III Duca. Gli altri non vengono
menzionati: saranno certamente morti fuori del nostro territorio.
Riportiamo anche questi due documenti, sottolineando che vi è
discordanza, sul giorno del decesso, tra i registri dei Defunti e le
lapidi. Riteniamo attendibile la data riferita dagli atti parrocchiali,
poiché le annotazioni procedono in ordine cronologico.
“Il giorno 21 del mese di Novembre 1724. Albano.
L’Illustrissimo ed Eccellentissimo Padrone Signor
Geronimo de Rugerio Duca e Barone di questa predetta Terra rese
improvvisamente l’anima a Dio, tuttavia, pochi giorni prima, si era
confessato e ristorato con la Sacra Comunione, fu tumulato con grande
onoranza e magnificenza in questa Matrice e Arcipretale Chiesa, nel
sepolcro privato della Cappella Divina Maria del Rosario, al lato
dell’altare della medesima Cappella, e in fede
D. Giovanni Battista Martino Arciprete”.
“Il giorno 16 del mese di Marzo 1755, in Albano.
L’Illustrissimo ed Eccellentissimo Duca di questa
predetta Terra di Albano Signor Antonio Ruggiero, di anni 62 circa,
confessatosi e ristoratosi con la Sacra Comunione e fortificatosi con
l’unzione del Sacro Olio, morì in seno alla Sacra Romana Chiesa, alle
ore 10 di sera, del giorno, mese, anno suddetti, e fu tumulato il giorno
17, nel sepolcro privato, della Cappella del SS. Rosario, dentro questa
Matrice Chiesa Parrocchiale di questa predetta Terra di Albano, e in
fede
Dottore e Protonotaro D. Bartolomeo Adamo
Arciprete”.
Il II e III Duca furono, quindi, seppelliti nel
sepolcro privato della Cappella S. Maria del Rosario, nella Matrice
Arcipretale Chiesa della Terra di Albano. Le annotazioni sul decesso,
funerale e sepoltura di Geronimo e Antonio Ruggiero, ci hanno spinti a
consultare i libri dei Defunti, per conoscere le norme prescritte dalla
consuetudine nel seppellire i cadaveri. Dalla lettura sono scaturiti
particolari abbastanza interessanti che hanno permesso di formulare
alcune considerazioni.
Prima della costruzione del Camposanto fuori del
centro abitato, in ottemperanza all’editto napoleonico di Saint Cloud
del 1806, i cadaveri venivano seppelliti nella Chiesa Madre o nella
sepoltura comune, detta Cimiterio. Le famiglie gentilizie o possidenti
avevano sepolcri privati intorno ai dodici altari che ornavano l’interno
della Chiesa Parrocchiale. Nelle annotazioni sui morti sono riportati
anche i nomi dei proprietari e la denominazione del sepolcro: Cappella
S. Maria della Neve, del SS. Sacramento, del Crocifisso,
dell’Annunciazione, di S. Pietro, di S. Biagio ecc. Il Clero, invece,
veniva tumulato nella sepoltura dei sacerdoti, davanti alla gradinata in
pietra dell’Altare Maggiore. Per gli altri esisteva una fossa sepolcrale
comune, ubicata presso l’antico ingresso della Chiesa Madre, dove sorge
l’attuale Canonica. I bambini fino a otto anni circa venivano seppelliti
nella
“sepoltura dei fanciulli della Matrice Chiesa”. Poiché durante i
lavori di scavo o riattazione di edifici sono stati rinvenuti scheletri
in pubbliche piazze, nelle strade, in campagna o addirittura nei muri
delle case, riteniamo che essi appartenessero a famiglie nullatenenti
che non potevano pagare il canone richiesto per la loro sepoltura nella
fossa sepolcrale comune, oppure a coloro che non avevano ricevuto il
conforto dei Sacramenti e non avevano assolto al Precetto Pasquale.
Quest’ultima ipotesi è suffragata dalla seguente annotazione riportata
dal Libro dei Defunti:
“Nel giorno 18 luglio 1760 in Albano.
Savina Gentile di anni 20 circa, figlia del
vedovo Gerardo Gentile, è morta improvvisamente, e poiché si è trovato
d’aver adempiuto al Precetto Pasquale, e visse cristianamente, perciò è
stata sepolta in questa Matrice Chiesa Parrocchiale, nella sepoltura
comune, e in fede
D. Bartolomeo Adamo Arciprete”.
Nei libri dei Defunti sono riportati, infatti,
soltanto i nominativi di coloro che “vissero cristianamente” o
che si erano confessati e comunicati almeno a Pasqua. Tutti gli altri,
compresi coloro che passavano all’altra vita in seguito a fatti di
sangue, non avevano l’onore di essere scritti nei registri dei morti33.
In determinate circostanze, la sepoltura dei
cadaveri fuori del centro abitato era dettata da fattori di ordine
pratico e di prevenzione di malattie contagiose. I familiari di coloro
che morivano nei casolari di campagna, per evitare spese di trasporto,
inumavano, talvolta, i loro cari nella cappella più vicina. Durante le
epidemie, i cadaveri, a prescindere dal ceto sociale di appartenenza,
trovavano riposo in fosse pubbliche scavate a debita distanza dalle
abitazioni. Quest’ultimo provvedimento era disciplinato da norme
igienico-sanitarie volte a salvaguardare lo stato di salute dei
cittadini. Nel 1656-57, per scongiurare la peste, furono utilizzate
delle fosse sepolcrali “fuori le mura”; delle due vittime del
colera del 1837, una venne inumata “ai piedi del monte sopra la vigna
di Pasquale Setaro”,
l’altra “sul vertice del colle sopra la sorgente detta volgarmente
la Matina”.
La consultazione dei registri dei Defunti ha
permesso anche di conoscere l’anno di “inaugurazione” del Camposanto: 4
luglio 1872.
Siamo notevolmente in ritardo rispetto all’editto
napoleonico di Saint Cloud (1806) e alla costruzione del Cimitero a
Campomaggiore (1844-1845).
Giacché siamo in tema di morti e cimiteri, riteniamo
doveroso terminare con il riferimento ad un memoriale scritto da mano
ignota, sull’ultima pagina del Libro XII dei Defunti (1817-46). Data
l’importanza dell’avvenimento, l’anonimo traduttore del testo, scritto
probabilmente in inglese, trasmette ai posteri una notizia dell’epoca,
sotto il titolo “A Memoria immortale”. Il documento tratta del
patto stipulato tra l’Ammiraglio della Flotta di S.M. Britannica, Sir
Edoardo Barone Ermouth, e il Dey del Regno di Algeri, alfine di abolire
la schiavitù dei Cristiani, prigionieri di guerra. La data dell’accordo,
28 Agosto 1816 (sesto giorno della Luna Shaval dell’Egira 1231), mette
in risalto gli sforzi compiuti dall’Inghilterra, sensibile ai problemi
umani, di porre fine al millenario fenomeno della schiavitù. Nel
memoriale leggiamo: “In vista del vivo interessamento che S.A.R. il
Principe Reggente d’Inghilterra manifestò per l’abolizione della
schiavitù dei Cristiani, S.A. il Dey di Algieri in prova del sincero suo
desiderio di conservare inviolabilmente gli amichevoli suoi rapporti con
la Gran Brettagna, e del profondo suo rispetto verso le Potenze Europee,
dichiara, che in caso di futura Guerra, con alcune delle sud(ett)e,
nissun prigioniero sarà ridotto in schiavitù, ma verran trattati con
tutta l’umanità come prigionieri di guerra, fin tanto che possano essere
cambiati regolarmente, secondo l’uso Europeo; ed in fine delle ostilità
dovran essere restituiti senza riscatto ai rispettivi loro paesi. L’uso
di condannare alla schiavitù i prigionieri di guerra Cristiani è con le
presenti formalmente, e per sempre abolito”.
Il manoscritto in questione, benché non citi la
fonte, potrebbe rivestire notevole importanza storica, qualora non
fossero giunte, fino ai nostri giorni, altre notizie a riguardo. Va
sottolineato, inoltre, che siamo notevolmente in anticipo rispetto alla
dichiarazione di abolizione della schiavitù promulgata, nel 1863, da
Abramo Lincoln.
29 APA,
Serie Sesta, n. 3. Riportiamo il prezzo in ducati dei locali menzionati
nel documento: cantina con cisterna e avanti porta: due. 40; cellaro
sotto la sala: duc. 20; prima stalla: duc. 12; seconda stalla: duc. 12;
dispensola: duc. 12; primo mezano: duc. 10; secondo mezano: duc. 5; sala
con la scala: duc. 30; camera sotto la scala: duc. 15; camera nella
sala: duc. 18; seconda camera: duc. 18; camerone sopra la cantina: duc.
17; camera permutata con l’arciprete Moles: duc. 6; sottano: duc, 10;
l’altra stalla con soprano: duc. 27; botega col soprano fuor il
cortiglio: duc. 22; ecortiglio: duc. 13; totale: duc. 287. Il settore
ovest del fabbricato apparteneva, forse, alla famiglia Moles.
30 APA, Serie Quarta, n.
2.
31 A.
ZAVARRONI, Op.
Cit.,
pag. V.
32 ASP, Atti Demaniali Albano, b. 553, fasc. 66,
pag. 91 ss.
33 Il primo riferimento ad un decesso provocato
da atto violento risale al 9 febbraio 1782, allorché un sacerdote della
Terra di Albano fu colpito mortalmente al ventre da una schioppettata.
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