Home Page

Artisti Lucani

Guest Book

Collaborazione

Home Libro

le fotografie

Albano di Lucania


 

<< precedente

ALBANO DI LUCANIA
a cura di Mario Scelzi

successivo >>

 

MAGIA POPOLARE

La miseria, l’analfabetismo, l’isolamento geografico, l’oppressione dei signorotti locali ecc, sono i fattori principali che hanno spinto la popolazione a rifugiarsi in un mondo trascendentale e magico. La tecnica e la civiltà hanno apportato benefici anche in Albano, ma sopravvivono, sebbene in forma ridotta, le pratiche magiche. Millenarie tradizioni e credenze non si sradicano facilmente, perché favorite da precarie forme di assistenza sociale, dalla presenza di una economia agricola antiquata, da una prospettiva incerta del futuro, da una mentalità ancorata a vecchi sistemi.

La povertà, tragica e ossessionante, è stata per secoli la nota dominante della vita sociale del paese. Gli abitanti, in prevalenza agricoltori, pastori, giornalieri, dominati da poche famiglie benestanti, vivevano in pietose ristrettezze economiche: per sopravvivere erano costretti a nutrirsi anche di erbe, bacche, ghiande abbrustolite, elemosina. Si ritenevano fortunati quando prelevavano pochi legumi da un unico piatto grande, il “vacillott”, poggiato su uno sgabello. Erano poveri, ma dovevano ugualmente pagare tributi e gabelle da cui erano esenti i nobili e il clero. Per assolvere ai doveri di cittadini, erano spesso costretti a vendere all’asta, in pubbliche piazze, mobili, arnesi agricoli, un litro d’olio, animali sequestrati dall’esattore. Convivevano con maiali, asini, galline, in pochi metri quadrati delimitati da un pavimento in terra battuta, da muri saldati con fango, sotto un soffitto di travi ricoperte con lastre di pietra. È difficile immaginare lo squallore che regnava in quei tuguri resi più cupi dal fumo, da mosche e zanzare, dalla mancanza di servizi igienici.

— Voi state in braccio alla Madonna! — ci ha detto in un’intervista una vecchietta, rievocando i tempi della sua grama giovinezza.

L’analfabetismo toccava punte altissime, sia per noncuranza dei governi centrali e sia perché i bambini, scalzi e cenciosi, aiutavano i genitori nei lavori agricoli o custodivano il gregge tra i dirupi. Era interesse delle classi privilegiate mantenere il popolo nell’ignoranza, affinché non sapesse discernere i diritti dai doveri, la giustizia dall’ingiustizia, o prendesse coscienza dello stato miserabile in cui versava.

Le prepotenze, le vessazioni, i soprusi di alcuni nobili e latifondisti andavano al di là di ogni sentimento umano. Ogni mattina, una massa di contadini, allineata dinanzi ai portali ornati con modanature e maschere intimanti sottomissione, implorava lavoro. Venivano scelti i più robusti, i più laboriosi, coloro che si accontentavano di un pugno di fave o avevano mogli e figlie attraenti. Gli scartati dovevano arrangiarsi, morire di inedia con la mano tesa nell’atto di chiedere un’offerta.

L’unica libertà che aveva il contadino consisteva nel desiderio inconscio di liberarsi dalla schiavitù, evadere da una realtà opprimente, senza la prospettiva di un avvenire migliore. Soltanto la magia gli avrebbe consentito di sanare le ataviche piaghe della miseria, di proteggersi dall’ignoto, dalle avverse forze astrali e terrestri, dalla paura. Per difendersi dalla potenza del negativo nella vita quotidiana, ha creato e tramandato formule e pratiche magiche: scongiuri per allontanare la grandine, la siccità, la tempesta; filtri per conquistare il cuore della persona amata; talismani contro il malocchio o l’invidia; malefici per soggiogare, con l’aiuto di potenze infernali evocate, la volontà altrui; far contrarre malattie; abbreviare la vita.

Secondo l’ingenua credenza contadina, l’universo era governato da forze arcane che non potevano essere spiegate con la ragione o con la scienza. Tutto era dominato da elementi contrapposti che si attraevano e si respingevano: Dio e il diavolo, il bene e il male, la vita e la morte, la vigoria fisica e la malattia. Soltanto il mago, mediante fluidi magnetici e poteri extrasensoriali, pratiche e formule misteriose, poteva debellare le forze ostili della natura; e l’uomo ricorreva a lui per ricevere un antidoto contro le sciagure, le paure dell’ignoto, le frustrazioni della vita. La magia popolare, arcaica e irrazionale, priva di fondamenti dottrinali e filosofici, è diventata, nell’arco della storia, fenomeno di massa che ha interessato e interessa ancora oggi, in forma molto ridotta, tutti i settori e le fasi dell’esistenza. Gli uomini, gli animali, la natura, la nascita, il matrimonio, la morte, fanno parte del mondo magico; con amuleti, formule e riti si possono annullare le influenze negative che limitano l’autonomia della persona nel fisico e nella psiche.

Quando ci è stato proposto di analizzare il fenomeno della magia nel nostro ambiente, abbiamo accettato con entusiasmo, perché il mondo dell’adolescente è popolato da fate, streghe, eroi, miti e leggende. Inoltre condividiamo il pensiero di Rousseau: “Le antiche usanze alle quali è collegato il nostro cuore e il nostro sentimento, sono un autentico tesoro che, una volta perduto, non si trova più”. Allorché abbiamo cercato di concretizzare sul piano operativo le fasi della ricerca, ci siamo trovati di fronte a un muro di diffidenza, di ostilità, di “non ricordo”, di “queste cose sono contrarie alla religione”. Una vecchietta, dopo averci cordialmente ospitati, quando apprese l’argomento dell’intervista, dolente di non poter esaudire la nostra richiesta e contrariata per il tema da affrontare, ci pregò di ritornare il giorno successivo.

— Adesso è sera; — disse — non si parla di certe cose quando è buio. E poi sono cose contrarie alla religione. Tornate domani, dopo pranzo, quando c’è il sole.

L’indomani tornammo all’ora stabilita e da alcuni particolari notammo che ci attendeva: il tavolo era stato addobbato con immagini sacre e statue di Santi. Non ci siamo arresi, né sfiduciati: unendo intuito e tatto ad una ferrea volontà, siamo riusciti ad accumulare il materiale che ci ha permesso di condurre in porto, nei limiti delle nostre possibilità, la stesura della presente relazione. Abbiamo diviso il lavoro in due parti: magia bianca e magia nera. La prima indica i mezzi per difendersi dal malocchio, dalla fattura, dall’invidia, dalle malattie; la seconda, offensiva, ha come tema il diavolo, le fattucchiere, il sangue, la morte.

 

 

MAGIA BIANCA

 

La più comune forma di magia è la fascinazione, detta in dialetto “malucch’ “, "fattur’", “pigghiata d’ucch’ “, “affasc’n’ “, malocchio, fattura, presa d’occhio, fascino. È chiamata pure “u mal’ vint’ “, il cattivo vento, un’erba mortifera per gli ovini. Essa è provocata da una forza occulta e maligna, oppure dallo sguardo di un fascinatore invidioso della bellezza, salute, felicità di un’altra persona che risulta la vittima. Il colpito dal malocchio avverte sonnolenza, spossatezza, vertigini, mal di capo accompagnato da conati di vomito. Anche le capacità intellettive sono inibite, sicché si perde l’autonomia della persona, né si è in grado di esprimere un giudizio o operare una scelta. Nelle forme più gravi, quando la fattura è praticata con un cerimoniale votato al male, il soggetto risulta spiritato, invasato dal demonio, affetto da malattie gravi che possono determinare la morte.

L’influsso della forza occulta e maligna può essere provocato involontariamente anche con un semplice complimento. Per allontanare il maleficio, si ricorre a espressioni e saluti particolari che fanno parte del linguaggio quotidiano. Quando si rivolge un complimento a un bambino si dice “b’n’dich’ “, benedica, che è l’abbreviazione della formula “Dio lo (la) benedica”, o “ca bona sort’ “, con la buona fortuna, per dimostrare che l’atto o la parola di saluto e d’augurio è sincero, privo di invidia.

Chi entra in un locale dove si impasta la farina per il pane, si prepara la salsa, il salame, il vino ecc. pronuncia il saluto auspicale “San Martin’ l’accresc’ “, San Martino, protettore dell’abbondanza, lo faccia prosperare, o “b’n’dich’ “. La massaia intenta alle faccende casalinghe accetta il buon augurio e risponde: “Ben v’nut’ e favorisc’ “, ben venuto e favorisci.

Al bambino che starnuta si dice: “Crisc’ sant’ “, cresci santo; se fa il ruttino dopo la pappa, si aggiunge: “Sanzaredd”, senza resa, per buona fortuna; senza questo augurio stenterebbe nella crescita.

Sugli ingredienti per preparare la pasta di casa, il pane, il formaggio ecc. si tracciano tre segni di croce e si dice: “Cresci pasta mia come le mani di Sant’Anastasia”. Alla Santa furono tagliate le mani, ma il Signore gliele fece ricrescere.

Nei casi suddetti si tratta di formule e gesti propiziatori che servono ad allontanare le malattie, le sventure, la povertà. Le mamme, anche se il bambino “crepa di salute”, gli affibbiano sempre qualche malanno o asseriscono che “non si può tenere”, per eccessiva vivacità. Si guardano bene dall’esprimere giudizi positivi inerenti la salute del piccolo per timore che, invidiato, possa essere preso dal malocchio. Per lo stesso motivo, forse, molte persone interpongono nelle conversazioni lagne, piagnistei, afflizioni, riguardanti la loro salute o gli affari di famiglia: per credenza popolare, chi risulta colpito da sventure non può essere affascinato, o, almeno, si crea uno scudo protettivo.

È convinzione che alcuni individui, iettatori, fattucchieri, incantatori, siano dotati di poteri malefici. Ad Albano si dice che i portatori di malocchio hanno le sopracciglia unite. Per premunirsi dal cattivo influsso che si sprigiona attraverso gli occhi, si ricorre al “toccamento” di ferro, corna, genitali maschili ecc. Si ritiene che alcuni oggetti siano dotati di forze che neutralizzano i malefici. La capacità difensiva aumenta se si tratta di chiodo o ferro da cavallo. Quando una persona è colpita improvvisamente da dolor di capo ostinato e violento, si cerca di individuare se la causa è di natura magica o biologica. Si versano in una bacinella piena d’acqua alcune gocce di olio: se l’olio si spande, significa che è stato effettuato il malocchio, se invece resta unita, si tratta di malessere naturale. In caso di fascinazione ci si reca da un operatore specializzato che pratica la “razione”. In Albano vi sono molte donne capaci di togliere il malocchio, in quanto si tratta di un procedimento facile e sbrigativo. L’intervento, praticato nel passato, su larga scala, viene effettuato, con decrescente frequenza, dal sesso debole.

L’operatrice (chi toglie il malocchio non è considerato fattucchiere) si immerge in uno stato di concentrazione ipnotica, traccia, col pollice destro, a guida di massaggio, segni di croce sulla fronte del paziente e recita una delle seguenti formule:

Crist’ t’ fasc’ e Crist’ t’ sfasc’, tuglit’ malucch’ da ‘sta fasc’, dui t’o ffend’n’ tre t’ d’fend’n’ Padr’, Figl’ e Spir’t’ Sant’.

 

(Cristo ti fascia e Cristo ti sfascia, togliti malocchio da ‘sta fascia, due ti offendono tre ti difendono Padre, Figlio e Spirito Santo).

 

Seguono un Pater, un’Ave, un Gloria.

 

Ucch con trucch’, fa’ scoppià l’ucch’ a chi t’ù pres’ a d’ucch’.

 

(Occhio, controcchio, fa’ scoppiare l’occhio a chi ti ha preso ad occhio)

 

Seguono un Pater, un’Ave, un Gloria.

 

Ucchiatur’ a chi t’à aducchiat’, tre Sant’ t’ànn’ aiutat~ Padr’, Figl’ e Spir’t’ Sant ‘Sta ucchiatur’ nunn ànn’aggè nand; io t’ tucch’, Dio t’ san’

‘sta carn’ batt’zzat’. Fugg’ legn’ trist’ cà t’ cacc’ Gis’ Crist~

 

(Occhiatura a chi ti ha adocchiato,

tre Santi ti hanno aiutato:

Padre, Figlio e Spirito Santo. Questa occhiatura

non deve andare avanti; io ti tocco, Dio ti guarisce questa carne battezzata. Fuggi legno tristo che ti caccia Gesù Cristo).

 

Seguono un Pater, un’Ave, un Gloria.

 

Nel corso della recitazione, l’operatrice sbadiglia e soffre in rapporto all’entità del malocchio che può essere “leggero” o “forte”. Il paziente, suggestionato la imita sforzandosi di espellere le forze ostili che lo dominano. Allontanata l’invidia, si commenta il rituale, si spiattella il nome del probabile fascinatore e tutto ritorna nella normalità.

Altre donne seguono un procedimento diverso per operare la sfascinazione. Versano tre pizzichi di sale in poca acqua calda, vi bagnano il pollice e poi, recitando la formula, tracciano segni di croce sulla bocca, sugli occhi, sulla fronte del fatturato. Debellato il malocchio, gettano l’acqua per la strada, affinché gli agenti maligni si impossessino di cani e gatti che passano di là. Non tutte eseguono gli stessi gesti nel momento in cui si recita la formula. Vengono tracciati col pollice segni di croce sulla bocca, sul naso, sugli occhi, sulla fronte; qualcuna traccia col coltello croci dalla fronte alla nuca e poi, approssimativamente, da un orecchio all’altro. Ci hanno raccontato che intorno al Cinquanta, una vecchia, oltre alle formule, sottometteva il paziente a intensi massaggi praticati sulla fronte e sulle spalle, con la mano bagnata di saliva.

Il momento in cui avviene lo sbadiglio si rivela determinante per conoscere il sesso del fascinatore. Se l’operatrice sbadiglia al Pater, si tratta di un uomo; se sbadiglia all’Ave, è una donna.

Alcune volte la “presa d’occhio forte” può coinvolgere le persone che entrano occasionalmente nel luogo dove si sta effettuando la sfascinazione. Teresa B. ci ha riferito: “... Mentre (l’operatrice) mi stava togliendo la fattura, entrò Maria che, senza essere a conoscenza della ‘razione’ in corso, incominciò improvvisamente a sbadigliare e avvertì un brivido attraversarle il corpo. Sentì pure delle fitte sulla fronte. La stessa cosa accadde a Rosa, venuta anche lei per caso in quel locale. Dopo la recita della formula e i consueti gesti, tutto passò. Si trattava di un fascino ‘forte’ che mi portavo addosso da parecchi giorni”.

Quando una persona dorme per un certo periodo di tempo col fascino, può essere soggetta a sbalzi repentini di febbre e allora occorre che il malocchio venga tolto da due, tre donne diverse che operano, a turno, altrettante “razioni”.

Dall’indagine effettuata tra i diversi strati sociali di Albano, risulta che circa la metà della popolazione crede in forze occulte capaci di influire negativamente sul fisico o sulla psiche degli individui. Il risultato della ricerca non deve scandalizzare chi si ritiene immune da credenze superstiziose, in quanto, direttamente o indirettamente, ne siamo tutti coinvolti. La stessa fede nuziale, che trae origine dal mondo pagano, non è altro che un talismano per preservare la coppia dalle insidie della vita, un simbolo di affetto, di fedeltà, di impegno nella parola data, e la sua perdita è considerata presagio di sventura.

Abbiamo cercato, talvolta, di demolire le prove addotte dai “credenti”, ma ci siamo trovati di fronte a fenomeni a cui non abbiamo saputo dare una spiegazione. Un signore, durante una conversazione-dibattito, ci ha detto:

— Ammettiamo che il malocchio avvenga per autosuggestione; ammettiamo che l’emicrania possa essere combattuta con un semplice massaggio praticato sulla fronte o con l’imposizione sul capo di una mano che sprigioni fluidi terapeutici; ma come si fa a non credere ad alcuni fenomeni di chiaroveggenza, di premonizione, di telepatia, di telecinesi, riferiti quotidianamente dalla stampa? Vi sono individui capaci di contorcere a distanza oggetti in metallo. Lo stesso discorso vale per i fattucchieri che, per invidia, odio o cattiveria, riescono a soggiogare la volontà altrui, a causare malattie e disgrazie anche da lontano. La mia bambina, un giorno, dormiva beata nella culla. Improvvisamente incominciò a piangere, a strillare, a dimenarsi. Il viso le si era gonfiato e il respiro era diventato affannoso. Mi fece passare mezz’ora d’inferno. Ritornò serena e sorridente quando, con un pretesto, feci allontanare una vecchia sospetta che si era fermata a discutere con alcune amiche sotto la mia casa. Due giorni dopo si ripeté lo stesso dramma. Affacciatomi alla finestra, vidi la solita donna intenta a chiacchierare. Lei, inconsciamente o intenzionalmente, si era vendicata su mia figlia, perché il giorno prima rimproverai i suoi nipoti che schiamazzavano davanti alla mia casa.

Per sapere se una persona scomparsa ritornerà, se un malato grave deve guarire o morire, si interroga, a mezzogiorno o a mezzanotte, “l’Angelo della bona nova”. Una o più donne, in un crocevia o al centro di una piazza che abbia tre o quattro vie di uscita, simboleggianti rispettivamente la SS. Trinità o la Croce, recitano tre Credo, tre Pater, tre Ave pronunciando tre volte lo scongiuro: “Angelo della bona nova, dammi notizia del caro...” Poi attendono il messaggio richiesto. Sono segni nefasti un rumore inconsueto, il verso lamentoso di un animale, il rintocco lugubre di una campana; la luce fioca di una stella. Sarà favorevole un canto melodioso, una musica dolce, il mormorio di una preghiera, il tintinnio festoso di un campanello.

La gravidanza, il parto, la prima infanzia e il matrimonio sono accompagnati, in tutto il loro corso, da superstizioni e pratiche magiche. Durante la gravidanza, la futura madre deve osservare numerose prescrizioni se desidera che il parto abbia esito felice. Ogni atto e pieno di insidie e lei deve sapersi destreggiare tra divieti e pericoli. Per evitare che il nascituro presenti macchie cutanee, deve essere appagata ogni “voglia” riguardante l’alimentazione. Un’anziana informatrice consiglia alle gestanti soggette a minaccia di aborto di portare intorno alla vita una fune ruvida ricavata da un otre per olio. È possibile, inoltre, conoscere anticipatamente il sesso del nascituro osservando il ventre della madre: se si presenta appuntito, sarà maschio; se è arrotondato e dilatato sui fianchi, sarà femmina.

Il bambino è un essere indifeso, fragile, peciò ha bisogno di protezione e di contromisure permanenti contro le forze occulte della natura e dell’uomo. Le anziane raccontano che, in mancanza di una levatrice ufficiale, anni addietro venivano chiamate le donne più esperte, le famose “mammane”, per assistere le partorienti. Per consuetudine le stesse diventavano comari e rappresentavano uno scudo protettivo contro le insidie del male. Subito dopo la nascita “battezzavano” il bambino in forma privata, per immunizzarlo dalla fascinazione. Infatti, nella formula contro il malocchio, si scaccia il fascino in nome della SS. Trinità e del battesimo. Nella culla o nelle vicinanze collocavano forbici, coltelli, ferri da cavallo, falci, scuri, immagini sacre. Ancora oggi qualcuno conserva questa usanza, ma si tende a sostituire gli oggetti ingombranti con spille a forma di croce, si allaccia al polso sinistro un bracciale intrecciato con filo nero o si confeziona l’abitino. Quest’ultimo è un sacchettino rettangolare o a cuore, confezionato con stoffa. Contiene figurine di Madonne e Santi, un pizzico di sale, zucchero, qualche chicco di grano, polvere di ferro, palle di piombo sparate, frammenti di corna, ossi di riccio.

Un’usanza ormai tramontata stabiliva di far tagliare per la prima volta le unghie al neonato da una persona che sarebbe diventata comare. Prima del taglio si inserivano nelle manine dei soldi. Anticamente, scarseggiando la moneta, le future madrine regalavano dolci, taralli, fichi secchi, giuggiole. Il legame di companatico acquisito con il taglio delle unghie, veniva spesso riconfermato e ufficializzato col battesimo o cresima.

La prima uscita è accompagnata da consuetudini ancora oggi osservate. Quando il bambino viene portato per la prima volta a casa di amici o parenti, questi per dimostrare che la visita è gradita, gli depongono un pizzico di zucchero sulle labbra. L’atto simboleggia l’augurio che il bambino, crescendo, possa ritornare da solo.

La caduta dei dentini da latte è legata ad un particolare cerimoniale. Essi vengono buttati nel fuoco o sul tetto della casa, per evitare che possa essere preso e fatturato da agenti maligni. Il lancio deve essere accompagnato dalla formula:

Luna vecch’ e luna nov’, pìggh’t’ u dint’ vecch’

e damm’ u dint’ nuv’.

 

(Luna vecchia e luna nuova, prenditi il dente vecchio

e dammi il dente nuovo).

 

Senza questo rituale, i denti spunteranno storti e saranno facile preda della carie. Talvolta il primo dentino, incastrato in un castone d’oro applicato ad una collana, diventa un amuleto per allontanare le sventure e il malocchio.

Nel passato la fantasia popolare si è sbizzarrita nello escogitare cure terapeutiche per combattere malattie infantili. Le stesse cure, estese agli adulti e talora anche ad animali, raggiungono, secondo la testimonianza di alcuni, risultati sorprendenti. Per lo più si tratta di rimedi ingenui, primitivi, talvolta irrealizzabili e poco igienici, ma rappresentano un incentivo per scrollarsi di dosso il fatalismo, la miseria, la forza ostile della natura. È risaputo che in medicina vale spesso più una parola di conforto, una pillola confezionata con mollica di pane che la terapia proposta da medici insigni. Ribadiamo che, oggi, i medicamenti, i rimedi, le formule per combattere le malattie fanno parte di una tradizione popolare legata ai ricordi. Gli “interventi magici” per debellare alcuni malanni fisici vengono trascritti per puro amore di cronaca e di storia. Delle seguenti cure, alcune sono state fornite dalla signora Pasqualina Molinari, altre le abbiamo reperite, non senza difficoltà, tra il popolo.

Per combattere i vermi, si pesta dell’aglio, lo si mescola con acqua fino ad ottenere una poltiglia compatta e poi la si spande sopra una fascia di stoffa che sarà applicata sullo stomaco. La puzza dell’aglio e l’efficacia dello scongiuro faranno fuggire i vermi. Lo stesso risultato si ottiene con una collana di agli collocata al collo. In seguito, posando la mano destra sul ventre del paziente, si dice:

Lun’dì sant’, mart’dì sant’, mercul’dì sant; giov’dì san't v’n’rdì sant sab’t’ sant; d’mmen’ch’ d’ Pasqu’ e u verm’ ‘nderr’ casch’.

 

(Lunedì santo, martedì santo, mercoledì santo, giovedì santo, venerdì santo, sabato santo, domenica di Pasqua e il verme in terra casca).

 

Seguono un Pater, un’Ave, un Gloria.

 

Per curare il mal di pancia si scrosta il nerofumo da tre anelli della catena del focolare. La polvere, mescolata con latte e filtrata sarà fatta bere al bambino. Sollevandolo, poi, con le gambe e tenendolo con la testa in giù bisogna scuoterlo energicamente. In seguito si deve massaggiare delicatamente con la mano destra la pancia del bambino, pronunciando contemporaneamente la formula:

Sant’ Pitr’ da Rom’ v’nia tutt’ ‘mbuss’ cà chiovìa;

sup’ a nu fasc’ d’ sarament’

pass’ u d’lor’ d’panz’

e u mal’ d’ ventr’.

 

(San Pietro da Roma veniva tutto bagnato perché pioveva; sopra un fascio di sarmenti

passa il dolore di pancia e il mal di ventre).

 

Seguono un Pater, un’Ave, un Gloria.

 

La distrofia alimentare, detta “scocchiacani”, si contrae quando la madre, in stato di gestazione, vede cani che si accoppiano o passa sulle loro impronte. Il bambino presenta pallore, disappetenza, disturbi intestinali, addome voluminoso. Per curarla bisogna spalmare sul corpo l’unguento ottenuto dal lardo riscaldato. Il bambino sarà, poi, ravvolto con fasce che non saranno mai cambiate. L’operazione, ripetuta tre volte, va accompagnata dalla formula:

Fugg’ vint’ trist’

cà t’arriv’ u sangu’ d’ Crist’, u sangu’ d’ Crist t’è arr’vat’ vint’ trist’ s’ n’è scappat N’du nom’ du Padr’, du Figl’ e du Spir’t’ Sant’~

 

(Fuggi vento triste perché ti arriva il sangue di Cristo, il sangue di Cristo ti è arrivato vento triste se n’è scappato. In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo).

 

Seguono un Credo e un Pater.

 

L’itterizia si contrae quando si orina di fronte all’arcobaleno da cui si assorbe il colore giallo. Per liberarsi dai pigmenti biliari presenti nel sangue, bisogna passare, per tre mattine consecutive, all’alba, senza rivolgere parola a nessuno, sotto tre archi in muratura, ripetendo ad ogni arco per tre volte lo scongiuro:

Bon giorn’ cumpà arch’, t’agg’ annutt’ u mal’ d’ l’arch’. Pìggh’t’ u mal’ d’ l’arch’, bon giorn’, cumpà arch’.

 

(Buon giorno, compare arco, ti ho portato il male dell’arco. Pigliati il male dell’arco, buon giorno, compare arco).

 

Seguono un Pater, un’Ave, un Gloria.

 

Il   rimedio contro la scottatura consiste nel passare sulla ferita un anello d’argento. Si spalma poi del fango misto a olio, si ricopre con una fascia la superficie cutanea interessata e si dice:

Cil’ pin't mar’ tint

carn’ scur’ e carn’ cott’

d’vent’ crud’~

U cil’ t’è s’pal

u mar’p’confin’

e a carn’ d’vent’ finì

 

(Cielo dipinto, mare tinto, carne cruda e carne cotta diventa cruda. Il cielo ti fa da siepe, il mare da confine e la carne diventa fine).

 

A chiusura si recitano un Pater e un Gloria.

 

Per curare la bronchite, si riscalda un pezzo di lardo ravvolto in tre fogli di carta oleata. Il grasso sciolto sarà somministrato tre volte al giorno con un cucchiaino. La carta sarà collocata sul petto e sulle spalle del bambino. L’operazione va ripetuta nove volte.

In caso di ingrossamento della milza, bisogna incidere la corteccia di una giovane pianta di noce, seguendo la forma del piede destro appoggiato sul tronco. Durante l’operazione non si deve calpestare la propria impronta. La suoletta ricavata dalla scorza sarà applicata sull’organo dolente.

Per curare “u mal’ di spalle” contraddistinto dalla presenza di dolori articolari, muscolari e ossei, si spalma sulla parte interessata della ruta soffritta nell’olio. L’applicazione va accompagnata dalla formula:

Ruta mia, rut’, addù stai surd’ e mut’ io t’ vegn’ a salutà. Addù t’ mitt’ addà sanà.

 

(Ruta mia, ruta, dove stai sorda e muta io ti vengo a salutare. Dove ti metto deve sanare).

 

Dopo aver ricoperto le spalle con un panno di lana, si recitano un Pater, un’Ave, un Gloria.

 

Se il bambino è sempre affamato è segno che la madre, durante la gravidanza, ha mangiato carne di animale azzannato dal lupo. Per eliminare la malattia bisogna portare il bambino in un forno pieno di pane. Tenendolo sollevato presso l’apertura, si dice tre volte:

Abbign’t’ lup’, ta mamm’ è puttan’, t’assir è cornut.

 

(Saziati lupo, tua madre è puttana, tuo padre è cornuto).

 

Altre formule magiche praticate nel nostro ambiente sono riportate da Damiano Pipino6 nella monografia “Albano di Lucania”. Le trascriviamo integralmente:

“Per a risibl’ (erisìpela), posando la mano sulla parte affetta del male, si dice: San t’e risabi a si rossa cumm a na rosa e pung’ cumma a na spina; numm’ tucquà cu pann’ d’ lana e no ca frunn’ d’auliv~ Gisé Crist’ e sant’Nicola si jè siribl’ innzala fora. Sant’ Rocc’ la sua prighiera fugg’ la risibl, fugg’ la risib1’. Nun turnà cchiu qua in nom’ d’ Padr’, d’ figliuol’ e d’ Spirit’ San t’, scafugg’ sta brutta fruschcula d’nanzi’. Segue il Credo. Va recitato tre volte e prima del sorgere del sole o al tramontare di esso, altrimenti l’effetto sarà contrario.

 

Per u pil’ alla menn’ (mastite), si dice: Simm’ ggint’ all’acqua a funtan’ e 1 ‘aggia acchiat’ a Sant’ Bastian; tre palme d’ mus’ e tre palm d’ nas’ amm’ ridut’ e surridut’ e abbe (meraviglia) di me v’at’ faciut’; vuli calà nu triz’ (capello) e vuli ggè alla funtan’amm’ ridut’e surridut’, ma abbe d’ te nun’amm faciut’, voli salì nu trizz’ ‘nta li vostr’ trezz’. Segue un Padre nostro, un’Ave Maria ed un Gloria al Padre. Dopo la paziente deve portare attaccato all’indumento che copre il petto a gorg’ du ricc’ (osso della mascella del riccio), altrimenti ricade nella malattia.

 

Per ‘a scocchiacani; (distrofia dei lattanti), si prendono sei pezzi di foglia di elbèboro bianco e nero, che usano chiamare a radica d’u puurc’ (la radice del maiale), formano tre crocette e ne posano una dietro la nuca del paziente, l’altra sul bacino e l’altra sotto i piedi. Si precisa che l’elleboro bianco dicono che è femminile e va usato per i maschi, quello nero è maschile e va usato per le femmine. Dopo di che si dice: Fugg’ vient’ trist’ ca t’arriva u sang’ d’ Cris't u sang’ d’ Crist’ t’è arrivat’ vient’ trist’ se n’è scappat’, in nomi du Padre, du lu Figliuol’ e d’ lu Spirit’ Sant’ scocchiacani nun và cchiù nant’~ Segue un Credo ed un Padre nostro”.

 

Il fidanzamento e il matrimonio, due tappe fondamentali della vita, non sono prive di tradizioni magiche. Si alternano, a seconda dei casi, magia bianca e magia nera, l’una per difendersi dall’invidia e dal malocchio e l’altra per conquistare il cuore della persona amata. La magia nera ha come campo di azione l’orrore, il demonio, il sangue, la morte. Per quanto concerne l’amore, si pratica la magia nera anche quando si cerca di interferire, tramite filtri e fatture, sulla volontà e sulla libertà altrui, per soggiogarle e piegarle a proprio vantaggio.

 

La ragazza, oggi, gode di maggiore libertà e indipendenza; si è emancipata, sebbene l’ambiente ostacoli in parte il desiderio di realizzarsi come donna. Il matrimonio non è più imposto dai genitori, non è considerato un contratto tra due famiglie, come avveniva di sovente nel passato, quando i consuoceri, senza che gli interessati ne fossero a conoscenza, stendevano un regolare contratto, alla pari di merce, case o terreni. Nel contratto rogato l’8 febbraio 1806 dal notaio Prospero Albano si legge: “... il felice matrimonio.., s’ha da contrarre tra la d(ett)a Maria Saraceno ex una, ed il d(ett)o Donato (d’Anzi) ex alt(r)a... secondo l’antico uso e consuetudine di questa T(er)ra”7. In una società rigidamente patriarcale, la scelta e l’impegno assunto dai “boss”, padri, erano indiscutibili: i malcapitati “promessi sposi” eseguivano le disposizioni imposte, per non correre il rischio d’essere diseredati. Protagonisti e vicende a parte, v’è una sorprendente corrispondenza tra la frase del contratto “il felice matrimonio s’ha da contrarre” e l’ordine impartito dai bravi a don Abbondio “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”. I tempi e alcune tradizioni, per fortuna, stanno evolvendosi. La ragazza esce, passeggia, assiste a spettacoli, è libera di scegliersi il compagno della vita. È falso quando si dice che l’unica occasione per uscire cade nei giorni festivi, allorché si reca in chiesa dove non può alzare nemmeno gli occhi. Le fatture amorose sono un ricordo, perché non occorre far uso di filtri per richiamare l’attenzione e far notare il proprio fascino. Il filtro d’amore veniva usato per conquistare il cuore dell’amato ricalcitrante o che era stato “soffiato” da una rivale. Esso era costituito da bevande o dolci a cui si aggiungevano vari ingredienti: trifoglio, edera, capelli, peli e quasi sempre gocce di sangue. Quest’ultimo, simbolo della vita, era considerato particolarmente efficace per conquistare e “legare” definitivamente a sé il cuore desiderato. L’intruglio o pasta si portava in chiesa per essere consacrato al momento dell’elevazione dell’ostia. Nessuno, tantomeno il prete, doveva vedere il filtro, altrimenti si sarebbe ottenuto l’effetto contrario. Si cercava, poi, di far bere o mangiare il preparato alla persona amata.

Durante la visita ad amici o parenti, il rifiuto delle bevande offerte è considerato un atto di scortesia e, talvolta, un affronto. Si deve accettare, per dimostrare di non temere di essere fatturati. Questa è, forse, l’ipotesi più plausibile per cui molte persone insistono, affinché l’ospite non se ne vada senza consumare qualcosa.

Le ragazze, in attesa del matrimonio, interpellano la “frunn’ d’ l’amor’ “, la foglia dell’amore, per sapere se il sogno della vita si realizzerà. Collocano sul braccio sinistro o sul petto una foglia e se l’epidermide si tinge di rosa, è segno che il desiderio sarà appagato. La pianta suddetta ha proprietà orticanti e tossiche, sicché si rischia di contrarre pericolose infiammazioni accompagnate da febbre.

Per localizzare l’abitazione del futuro sposo, si interroga la coccinella, chiamata in dialetto “San Nicola”. La si posa sul polpastrello dell’anulare sinistro e si dice:

San N’cola, abbol’, abbol’,

qual è a via d’ l’amor’?

 

(San Nicola, vola, vola,

qual è la via dell’amore?).

 

La direzione presa dal coleottero nello spiccare il volo svelerà il segreto.

 

Dal fidanzamento fino al matrimonio bisogna portare addosso un rametto di trifoglio. Quando ci assale il dubbio di essere abbandonati dall’amato, si pronuncia la formula:

Frunn’ d’ l’amor’ fatt’ a cor’

er’m’ amic’ e mo simm’ amor~

 

(Foglia dell’amore fatta a cuore,

eravamo amici ed ora siamo amore).

 

Per eludere l’invidia, il fascino, le forze ostili della natura, oltre ad osservare precise norme, si ricorre ad alcuni espedienti nel periodo del matrimonio. Il letto dovrà essere preparato soltanto dalle suocere; la sposa dovrà essere agghindata dalla sarta, dalla madre e dalla suocera. Nella camera da letto, dietro la porta, tra le coperte e sotto il letto, si collocano forbici, falci, coltelli, cartucce, setacci, chiodi, scope, spille a croce. Il “fascino” perderà tempo a contare i fili di saggina della scopa e, con l’arrivo dell’alba, desisterà dall’operare il male. Per lo stesso motivo si collocano in un angolo ciocche di capelli che, però, dovranno essere abbondanti. Le forbici saranno sistemate aperte, per essere pronte a tagliare la gola al malocchio. Il setaccio, con i suoi numerosi e stretti forellini, impedirà il passaggio agli enti maligni.

Talune pratiche magiche sopravvivono non per convinzione, ma per tradizioni ataviche e rappresentano il grido di riscatto del povero che attende la sospirata redenzione.

 

MAGIA NERA

 

Nella cultura popolare, il demonio, sempre presente in tutte le attività umane, può presentarsi sotto forma di animale, di spirito, di tempesta, di fuoco, o per mezzo di maghi e fattucchiere che gli hanno venduto l’anima. L’unico suo intento è fare del male, adoperando stratagemmi preparati con astuzia. Il contadino, però, adotta delle contromisure per prevenire l’inganno e le disgrazie: pronuncia scongiuri, invoca Santi, asperge acqua benedetta, traccia segni di croce. Il pericolo, costantemente in agguato, deve essere evitato, ricorrendo di volta in volta a rimedi protettivi tramandati dagli antenati.

Nella seconda parte della ricerca sulla magia, parlando di demonio, maghi, fattucchiere, tesori nascosti, ci riferiamo ad avvenimenti, luoghi, persone che fanno, ormai, parte del passato. Adoperiamo il presente storico esclusivamente per rendere incisivo e scorrevole il discorso.

I venduti al demonio, detti “masciari” o “masciare”, a seconda se sono uomini o donne, in cambio dell’anima ottengono poteri straordinari: possono far insorgere malattie, procurare dolori, causare la morte, distruggere un raccolto, determinare il crollo di una casa. La gente li teme e li tiene lontani, adoperando opportuni antidoti. I masciari, ogni venerdì, si mantengono in contatto, partecipando a convegni notturni tenuti nei boschi e nelle grotte; si radunano in pubbliche piazze, soprattutto quando imperversa un temporale. Si recano all’appuntamento a dorso di cani, caproni o di altri animali, secondo la testimonianza di alcuni informatoci. Durante la riunione coordinano un piano di azione, per procurare danni e disgrazie al genere umano e poi si dedicano a danze e festini. Ritornati a casa prima dell’alba, riprendono le attività di stregoneria.

Ogni masciaro, quando ritiene prossima l’ora della morte, trasmette i suoi poteri malefici ad un’altra persona, con una cerimonia di iniziazione a base di sangue e di giuramenti di fedeltà al demonio. I poteri si trasmettono pure con una stretta di mano tra un individuo qualsiasi e lo stregone che si trova in fin di vita. Riferiamo un episodio raccontatoci da Maria Adamo, omettendo il nome della protagonista per non ledere la dignità dei discendenti.

“Antonia P., famosa fattucchiera, stando per morire, espresse il desiderio di fare due passi per la stanza. Le donne presenti cercarono di soddisfare il suo ultimo desiderio, ma si guardavano bene dal farsi prendere la mano. La masciara, invece, insisteva:

— Non così, non tenetemi per le spalle! Datemi la mano, stringetela alla mia!

Nessuno acconsentiva alle sue implorazioni, ad eccezione della figlia che cercava di esaudire la volontà della madre, ma veniva sempre respinta:

— Tu no, tu no, vattene! Non tocca a te!

Morì senza poter trasmettere i suoi poteri magici. L’agonia fu accompagnata da fenomeni spaventosi: rumore di catene, guaiti di cani, rintocchi di campane a martello. Dal pavimento si spnigionavano fiamme e la scopa cominciò a danzare da sola sul pavimento”.

Il demonio può anche far assumere ad un uomo le sembianze di lupo mannaro. I nati a mezzanotte di Natale, in stato di sonnambulismo ipnotico, escono di casa e si avviano per le strade del paese. Ad ogni passo avviene una lenta, ma inesorabile trasformazione: il corpo si ricopre di pelame nero, la testa si dilata, la bocca si allunga, i denti diventano lunghi e taglienti. Le unghie delle mani e dei piedi si trasformano in artigli. L’uomo-lupo, fornito di odorato e udito finissimi, può avvertire a distanza la presenza di un essere umano e allora si avventa sulla preda per dilaniarla. Preferisce unirsi a lupi che, spinti dalla fame, scendono dai monti e si avventurano presso le porte degli abitanti in cerca di cibo. Prima dell’alba ritorna nella propria casa dove riprende progressivamente l’aspetto di prima. Si narra che un uomo, conoscendo il suo triste destino di lupo-mannaro, ordinò alla moglie di non aprire mai prima della terza bussata. Disgraziatamente la donna dimenticò l’avvertimento e, una notte, aprì l’uscio al secondo tocco. Fu dilaniata dal marito-lupo che ritornava da una delle tante sortite notturne. Il giorno dopo fu trovata straziata davanti alla casa. Purtroppo anche il marito concluse tragicamente l’avventura: quando riacquistò le sembianze umane, capì d’aver ucciso la consorte e per la pena si suicidò. Accanto ai due cadaveri furono rinvenuti peli di lupo e solchi di artigli sul legno della porta. Si conoscono anche i nomi di questi sventurati esseri umani. Chi si imbatte di notte in un licantropo, può salvarsi soltanto se ha la prontezza di pronunciare lo scongiuro:

Osc’ è sab’t’ sant’,

pall’ d’ chiumb’ ‘nda l’arecch’ lor’.

 

(Oggi è sabato santo, palle di piombo nelle orecchie loro).

 

I masciari che fino a pochi anni fa seminavano il terrore tra la popolazione ora sono scomparsi. Di loro rimane il triste ricordo di esseri votati al male, che usavano mille stratagemmi per introdursi furtivamente nelle case di notte, onde compiere fatture e misfatti. Qualche contadino si premunisce ancora collocando dietro alle porte e alle finestre scope, forbici, ciocche di capelli, setacci, spille incrociate, ferri da cavallo, acqua santa. Ogni momento della sua esistenza è soggetta a pericolo, per cui deve ricorrere a molteplici mezzi di prevenzione seguiti da formule magiche.

Ad Albano, parlando di persone dotate di poteri nefasti, si usa quasi sempre il femminile, le masciare. Esse vengono immaginate vecchie, pallide, magre, vestite di nero e con lo sguardo maligno. Raramente a questa categoria appartengono gli uomini. Ciò è dovuto al ruolo che ha coperto la donna nel passato, in seno alla società e alla famiglia. Il suo compito era di accudire alle faccende casalinghe, aiutare il marito nei lavori campestri e allevare figli. Non doveva occuparsi di politica, di affari, di attualità. Doveva ubbidire ciecamente agli ordini del marito chiamato “boss”, cioè padrone assoluto della casa e della famiglia. Anche il termine “t’assi r”, tuo signore, tuo padre, è molto eloquente. Per la madre, invece, si usa il semplice appellativo “ta mamm”, tua madre. L’unica possibilità per la donna di evadere da una realtà opprimente era di dedicarsi alla magia, che le avrebbe permesso di sognare una vita migliore e di vendicarsi contro la società che la considerava non un essere umano, ma schiava.

Vengono additati diversi metodi per conoscere le masciare che turbano la nostra esistenza. Esse sono sempre in agguato, si rendono invisibili e costituiscono un perenne pericolo per l’uomo. Prima di mangiare, di bere, e all’inizio del lavoro, il contadino, una volta, per chiedere protezione e per scongiurare le disgrazie, rendeva grazie al Signore dicendo: “Laudam’ Dio”, lodiamo Dio. Il mietitore, accingendosi alla falciatura, se loda Dio, riuscirà ad imprigionare gli spiriti malvagi tra le reste. Le spighe cadute sotto il primo colpo di falce, dovranno essere intrecciate in modo da formare una croce e conservate in casa. Si porteranno in chiesa il giorno di Pasqua. Durante la messa, le fattucchiere, ancora legate alle spighe, smanieranno e invocheranno il portatore di uscire. Non bisogna, però, farsi convincere dalle suppliche. All’elevazione dell’ostia assumeranno fattezze umane e saranno riconosciute. Si può conseguire lo stesso risultato con pezzetti di formaggio staccati con i denti durante la quaresima e portati in chiesa a Pasqua.

Talvolta le masciare, eludendo le contromisure prese dal contadino, si avvicinano al letto e immobilizzano il dormiente. Si avvertono allora acuti dolori di pancia, di stomaco e si registra una progressiva perdita della facoltà motoria e psichica. L’unico mezzo per allontanare le streghe consiste nell’invocare la Madonna del Carmine. Il paziente che riesce ad afferrarne una per i capelli, se desidera riconoscenla, non deve mai allentare la presa. In questo caso la fattucchiera dirà:

—           Che hai in mano? Bisogna rispondere:

—            Ferro e acciaio, ti tengo stretta fino a giorno chiaro. Se la risposta sarà un’altra, la masciara svanirà tra le tenebre dicendo:

Anch ‘s’ m’ string ‘pi capidd’, io m’ n’ sfil’ com’  n ‘angidd” (Anche se mi tieni per i capelli, io me ne sfilo come un’anguilla). Se il malato avrà la forza di non mollare la stretta, la masciara sarà riconosciuta al primo chiarore dell’alba.

Per non permettere alle fattucchiere di molestare il sonno ai bambini, mettendoli a letto, bisogna pronunciare i seguenti versetti che presentano alcune reminiscenze latine:

Crist’ è nat Crist’ è nat da ‘na Verg’n’ s’è ‘ncarnat’, com’ a nomo fatt’ s’est, Verb’ ‘n carn’ fatt’ m’est.

 

(Cristo è nato, Cristo è nato, da una Vergine si è incarnato, come a un uomo si è fatto, Verbo in carne si è fatto per me).

 

Anche la seguente ninna-nanna ha il sapore di uno scongiuro contro le forze malefiche delle streghe:

Ninna nì, ninna vol’ ‘mbracc’ t’ ten’ San N’col’. San N'col’ nun vulìa menn’, vulìa cart’, calamai e penn’. San N’col’ a panch’ scr’vìa, scr’vìa u nom’ d’ ‘stu figl’ mio. Ninna vol’, ninna cant; b’cchir’ d’or’ chien’ d’acqua sant~ d’acqu’ n’ vulìa ‘na stizz’ p’ bagnà à frond’ a ‘stu b’blizz’. D’acqua sant’ n’ vulìa ‘na fond’ p’ m’tt’rill’ ‘nfrond a ‘stu ch’lomb~

Famm’ a ninna ‘nda nach’ a vint’

i zuch’ son’ d’or’, a nach’ è d’argint’.

 

(Ninna nì, ninna vola, in braccio ti tiene San Nicola. San Nicola non voleva menna, voleva carta, calamaio e penna. San Nicola alla panca scriveva, scriveva il nome di questo figlio mio. Ninna vola, ninna canta, bicchieri d’oro pieni di acqua santa; d’acqua ne vorrei una stilla per bagnare la fronte a questa bellezza. D’acqua ne vorrei una fonte per metterla in fronte a questo colombo. Fammi la ninna nella naca a vento, le funi son d’oro, la naca è d’argento).

 

Le anime votate al male si servono di fatture, per far insorgere malattie, procurare dolori atroci, determinare la morte. A seconda dei casi, si parla di “fattura a patimento” e “fattura a morte”. Per colpire una persona o per sottometterne la volontà, si adoperano filtri o parti del suo corpo: capelli, frammenti di abiti, fotografie. Questi oggetti possono essere legati ad un rospo che viene buttato sulla casa della persona odiata. Si crede che con la morte della bestia, cesserà di vivere anche il nemico. Un altro tipo di fattura consiste nel trafiggere con spilli o aghi un animale o una bambola. L’atto del trafiggimento si trasmetterà all’essere umano, provocando malattie, dolori, morte. Tre nodi fatti su una corda saranno sufficienti per soffocare un individuo. Soltanto gli stregoni sono capaci di fare o disfare una magia. E gli Albanesi, fino a pochi anni fa, si affidavano frequentemente alle cure dei maghi, temuti e venerati come esseri dotati del potere di togliere la vita o di trovare una panacea a tutti i mali.

Famoso mago della zona è stato zio Giuseppe Ferramosca che dimorava in un casolare di campagna presso il “ponte della Vecchia”. Le persone mature lo ricordano come un uomo dotato di straordinari poteri terapeutici, del dono della chiaroveggenza e della premonizione; i giovani come un vecchio che sfruttava la fama di mago, per abbindolare le belle contadinotte.

Non di rado i contadini si recavano dai maghi di Genzano, Oppido, Tricarico, Potenza. Per dimostrare quanto i maghi fossero temuti, venerati e talvolta assetati di quattrini, riportiamo un avvenimento narratoci da Maria Adamo; tralasciamo i nomi dei protagonisti che non amano essere nominati in faccende di fatture.

“Le masciare erano cattive. Sentite questa capitata ad una mia vicina di casa. N. M. stava andando a fare una visita ad un’amica e portava con sé il bambino. In un vicolo incontrò una masciara. Volendola scansare, cercò di cambiare strada, ma non fu possibile, per mancanza di vie laterali. Per evitare che il bambino venisse fatturato, lo coprì con uno scialle, ma l’espediente risultò inefficace. La masciara la guardò con occhi maligni e disse:

— Se vuoi bene a tuo figlio, devi darmi un piatto di fave.

A quei tempi c’era la miseria; in casa non c’era mai niente; tutti erano poveri. La contadina che era veramente povera, rispose che non ne aveva. La masciara aggiunse:

— Giacchè non mi vuoi accontentare, ti ricorderai per sempre di me.

Il   giorno stesso il bambino cominciò a star male. Poi peggiorò. Rifiutava il latte, aveva la febbre, era diventato come un filo. Era stato fatturato. Per togliere la fattura bisognava andare da un’altra masciara. La madre andò con la cavalcatura a Oppido. Portò soltanto una maglia del bambino. Era sufficiente portare soltanto una cosa che apparteneva al bambino. Il mago appena guardò la maglia, disse:

— Il bambino è stato bruciato! Ti hanno chiesto delle fave, ma tu ti sei rifiutata di darle. Per togliere la fattura ci vogliono soldi. E chiese non so quanti soldi che quella poveretta non aveva. La madre supplicò il mago di fare un’opera di carità, di aiutare un’anima innocente. Il mago rispose:

— Lo salverei lo stesso, ma non posso. Il bambino è stato bruciato a morte.

La contadina, tornata a casa, trovò il figlio privo di vita”.

Oggi la fede nei maghi, guaritori o santoni, come li chiamano alcuni, è scemata di molto, tuttavia si ricorre ad essi quando una malattia si protrae nel tempo e le cure dei medici specialisti risultano inefficaci. Qualcuno si reca anche lontano, attratto da nomi altisonanti, seguiti da epiteti misteriosi e allettanti. Al ritorno elogia e propaganda, in gran segreto, le virtù terapeutiche del mago, le sue capacità di leggere il pensiero e di predire il futuro. Così la credenza nella magia continua a sussistere, anche se in forme e modi diversi. La magia popolare, arcaica e primitiva di Albano, si trasforma, altrove, in “magia scientifica”, magia praticata esclusivamente per lucro.

Secondo la leggenda, molti tesori sarebbero custoditi dagli spiriti maligni, presso le tante rocche che costellano il territorio di Albano. Altri tesori, frutto di estorsioni e saccheggi, sarebbero stati nascosti dai briganti in grotte, tronchi d’albero o in luoghi inaccessibili. Chi vuole appropriarsene, deve quasi sempre sacrificare sul posto uno o più bambini. Si tratta per lo più di tesori imprendibili e rappresentano il sogno dei poveri che vorrebbero riscattare una vita di miseria e di sofferenze.

Il “munacidd”, un folletto irrequieto e bizzarro, ma non malvagio, è legato alla leggenda dei tesori. I piccoli, di indole semplice e sincera, non ancora assillati da problemi economici, lo cercano, per il carattere giulivo e per la capacità di proporre nuovi e affascinanti trastulli. I grandi, invece, tentano inutilmente di sottrargli il cappuccio rosso, nella speranza che egli, per riaverlo, sveli dove è custodito un tesoro. Per questo motivo il folletto si dimostra dispettoso e vendicativo con le persone mature, socievole e affabile con i piccini. Nella fantasia popolare, il “munacidd” simboleggia l’onestà, la lealtà, la vita spensierata, priva di intrighi e sotterfugi, e non sono poche le persone anziane che rievocano con nostalgia i tempi della loro infanzia, quando trascorrevano ore felici in sua compagnia.

Si narra che la Roccia dell’Ischio, un maestoso monolito distante appena un chilometro dal paese custodisca un vitello d’oro, monete e tanti gioielli. La porta della spelonca, invisibile per tutto l’anno, si apre nell’attimo della consacrazione dell’ostia, durante la messa di mezzanotte, a Natale. Rimane aperta fino all’alba. Chi desidera impossessarsi del tesoro, deve sacrificare al diavolo la vita di “un’anima innocente”. Senza l’uccisione del bambino, chi entra, rimane imprigionato e viene inghiottito nelle viscere della terra. Bisogna seguire la stessa prassi, per appropriarsi del tesoro nascosto in altre località.

Riferiamo il tentativo effettuato da tre uomini di Albano per impossessarsi del tesoro della Rocca di Cognato, così come ci è stato raccontato da zia Antonia Molinani.

“Mio padre ha avuto il coraggio di sfidare la brutta bestia che custodisce il tesoro. Ma non c’è riuscito. Si è salvato per miracolo. Partirono in tre: lui, si chiamava Gerardo; don Nicola Cecere, un prete, e un certo Giuseppe, detto il Calabrese. Naturalmente non potevano mica uccidere un bambino, e così portarono una capra. Prima di partire, la battezzarono. Fecero queste cose di chiesa per sconfiggere meglio la brutta bestia. La roccia si aprì proprio a mezzanotte. Entrarono in una galleria illuminata come se fosse giorno. Al centro della grotta più grande, apparvero tre mucchi di soldi, gioielli, bracciali, collane. Stavano per prendere il tesoro, quando dalla terra si sprigionarono delle fiamme. In mezzo spuntò la brutta bestia. Appena vide la capra, l’afferrò per la barbetta del mento e si mise a scuoterla urlando:

— Dovevate portarmi l’anima di un bambino e non una capra! Adesso verrete con me!.

Mio padre terrorizzato invocò la Madonna del Carmine. Al nome della Madonna, la brutta bestia sparì, accompagnata da un boato. Cosa avvenne poi, nessuno ha saputo ripeterlo. Il giorno dopo tutti e tre si trovarono separati l’uno dall’altro, a chilometri di distanza. Ritornarono a casa dopo quattro giorni”.

Le masciare, il lupo mannaro, le fatture stanno diventando un ricordo, ma la lotta contro le tempeste è ancora sentita, perché una violenta grandinata potrebbe distruggere il duro e paziente lavoro di un anno. I temporali da noi non sono rari. Il clima mediterraneo è capriccioso, imprevedibile: a lunghi periodi di siccità, seguono violente tempeste che recano più danni che benefici. Il contadino deve lottare continuamente contro le avverse forze della natura pilotate da demoni e da streghe che volteggiano tra nembi, sopra una scopa. Appena il cielo si ricopre di nuvole minacciose e l’aria è squarciata da lampi, pronuncia scongiuri e colloca davanti alla porta attrezzi antitempesta. Qualsiasi arnese agricolo, disposto a croce, è sufficiente ad allontanare il pericolo: due falci, due zappe, un treppiede infuocato, con i sostegni rivolti al cielo. La facilità con cui abbiamo reperito le formule dimostra che erano e, forse, sono ritenute ancora valide le pratiche magiche, per fermare le tempeste. Trascriviamo due scongiuri:

Io t’ scongiur’

n’du nom’ du Padr’, du Figl’ e du Spir’t’ Sant’ (tre volte). Non son’ io ch’ t’ scongiur'

ma n’du nom’ du Padr’, du Figl’ e du Spir’t’ Sant’.

Tu si stat’ n’du birn’ e vincitor’ si stat’.

Quann’ sint’ u nom’ mio tre vot’, com’ t’acch’, t’ai f’rmà.

Palm’ b’n’dett iurn’ d’ fes't

fa’ sparisc’ trun’ e t’mpest'

Vattìnn’ n’da nu vosch’ scur’,

nun fa’ dann’ a campagn’

e nè a criatur’

N’du nom’ du Padr', du Figl’

e du Spir’t’ Sant’.

 

(Io ti scongiuro, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Tu sei stato all’inferno e vincitore sei stato. Quando senti il nome mio tre volte, come ti trovi, ti devi fermare. Palma benedetta, giorno di festa, fa’ scomparire tuoni e tempesta. Vattene in un bosco oscuro, non far danni alla campagna e né a creatura).

 

Seguono un Pater, un’Ave, un Gloria.

 

Svigl’t’, San Giorg; non dorm’ cchiù,’ ca vegg’ tre nuv’l’ apparisc' un d’acqu’ e un d’ vint’, ‘n’at’ d’ fort’ mal’ timp’. Tu ch’ vai sup’ a nu cavadd’ iangh’, firm’ a brigl, non ggè cchiù nand’. L’ cummann’ u Padr’, u Figl’ e u Spir’t’ San't

a cort’ c’lest’ tutta quant.

 

(Svegliati, San Giorgio, non più dormire, che vedo tre nuvole comparire:

una di acqua e una di vento, un altra di forte male tempo. Tu che vai sul cavallo bianco, ferma la briglia, non andar più avanti. Lo comanda il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, la corte celeste tutta quanta).

 

Seguono un Pater, un’Ave, un Gloria.

 

Le masciare adoperano spesso i loro poteri paranormali, per prelevare i bambini dalla culla e collocarli in luoghi pericolosi. I genitori, la mattina, li rinvengono nel focolare, sotto il letto, nella cantina, nei tini. Anche i grandi vengono colpiti da malefici e al risveglio si ritrovano legati con una corda al letto. Il fenomeno può interessare tutto il corpo o soltanto braccia e gambe. Qualcuno s’è risvegliato con una fune intorno al collo, altri circondati da quattro candele disposte agli angoli del letto. Qualsiasi fenomeno magico può protrarsi nel tempo e, per eliminare la fattura, occorre l’intervento d’un fattucchiere. Le masciare, per lasciare un segno del loro passaggio, intrecciano code e criniere di cavalli o annodano il vello delle pecore. Molte fanciulle, prima del matrimonio, trovano tagliuzzata la veste nuziale o parte del corredo. L’opera del diavolo o delle streghe si manifesta in mille altri modi, su persone, cose, animali. E la gente nutre un sacro terrore per tutto ciò che non rientra nell’ordine logico della natura.

Oggi, questi fenomeni fanno parte del passato, ma perdura il timore di essere fatturati. Con l’installazione dell’energia elettrica, con l’avvento dei mass-media, con la scomparsa dell’analfabetismo, non si vedono più, intorno al focolare o tra le coperte, spettri e masciare. Le famiglie non sono più composte di dieci o più membri; una coppia di sposi mette al mondo massimo tre, quattro figli, sicché non si colloca, inconsciamente, nel focolare o in cantina il figlio indesiderato. Nessuno si ritrova legato con una corda al proprio letto: la vita è diventata così frenetica che manca il tempo per pensare e trasformarsi in autolesionisti. Per la strada non circolano più licantropi; la veste nuziale rimane intatta. Il matrimonio non è più un contratto tra due famiglie: le ragazze sono libere di scegliersi il compagno della vita, perciò non si armano di forbici, per disapprovare l’imposizione dei genitori. Una vecchietta a cui abbiamo chiesto perché oggi non sì verificano fenomeni di stregoneria, ha risposto:

— È stato il Papa che ha fatto l’Anno Santo. Però potrebbero venire tempi peggiori.

Il progresso della scienza e della tecnica ha spazzato tante credenze e tradizioni e ci sta privando della libertà di aspirare, per mezzo della magia, ad un mondo migliore, fatto di sogni e, magari, di chimere. Oggi si rischia di non cantare più la ninna-nanna al bimbo che sta per addormentarsi.


6  P. DAMIANO, op. cit., pagg. 47-48-49.

7  APA, Serie Prima, n. 2.

 

 

Home

la peste del 1656-57

il Duca Ruggiero

Albanesi "rei di stato"

fotografie magia popolare comparizio dell'Annunziata documenti

 

 

[ Home ]    [ Scrivici ]

 


.

.


.

.