Dove la terra finisce
"i lucani in Cile"
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I lucani partiti negli anni ‘50-’60 verso la città di Santiago hanno
intrapreso prevalentemente attività nel settore dei generi
alimentari e nella ristorazione, collocandosi in un ceto medio tra i
più benestanti dell’America latina. Mano a mano che essi e i propri
figli acquisivano livelli di studio superiori si sono aperte anche
migliori opportunità di inserimento in fasce dirigenziali della
società cilena.
Non stupisce quindi che nei più drammatici frangenti della recente
storia di questo Paese essi si siano preoccupati di una possibile
perdita, o erosione, dei traguardi cui erano faticosamente
pervenuti. In molti testimoniano disagi nell’attività commerciale
durante gli anni tra il 1971 e il 1973.
“En el
tiempo de la Unidad Popular de Salvador Allende, tuvimos a punto de
perder el
negocio, porque los empleados
se querian quedar con el
y no habian mercaderias pura poder trabajar habriamos el negocio pocas
horas”
(Felice Abiuso Famularo).
“Tra il ‘70 e il ‘73 non si poteva lavorare, non c’era merce da
vendere, neanche il pane”
(Rocco G. Natalino D’Aloia, Ana Rosa Caputo, Rocco G. Moles Lavanga,
Donato Iannuzzi).
“Non c’era merce e c’era il mercato nero”
(Domenico Martiniello).
“Io ero in Iquique e il coprifuoco
ci ha rovinato nel nostro lavoro” (Michele Viola Pisani).
Dialogando sui brevi anni del governo Allende e sul colpo di stato
militare, l’espressione più ricorrente
è: “rischiavamo l’isolamento come Cuba”;
molti si astengono da un qualunque giudizio, positivo o negativo.
Filippo Giordano Contini, operaio in un'officina meccanica
(finché per un infortunio sul lavoro gli si è spezzato il braccio
sinistro) è più esplicito:
“Non mi sono iscritto a nessun partito, per questo sto vivo...
Vero?...”
Non manca tuttavia, tra i più giovani, chi afferma che niente può
giustificare il ricorso alla violenza fisica sistematica, com’è
avvenuto negli anni della dittatura
(“Nunca mas! “,
ci dicono, ‘mai più’)95,
e chi avverte i nuovi problemi aperti dal liberalismo economico.
“Pinochet un dittatore? Ma no,
porfavooor! “,
dice con enfasi Rocco Inserrato nel suo studio che si
affaccia su Avenida il de Septiembre... e definisce “eccessi” quelli
che per noi sono state violazioni gravi dei diritti umani.
Presidente della Federazione dei Lucani del Cile, Rocco è ingegnere,
docente all’Università Cattolica di Santiago e consulente di
Progettazione presso il Ministero delle Opere Pubbliche dal 1982.
Nonché, aggiungiamo noi, uno degli otto fratelli
Inserrato
che, con le proprie famiglie, costituiscono già un nutrito nucleo
di lucani a Santiago. Questi i fratelli:
E’ proprio Antonio che ci parla delle vicende della sua famiglia.
"Mio padre Michele e suo fratello Rocco
partirono
da Tolve per il Cile nel 1938 insieme a mia nonna, Mariantonia D’Aloia, per raggiungere il nonno che era qui dal 1923. Lui, il nonno, tra
il 1905 e il 1910 aveva lavorato nelle miniere degli Stati Uniti. Là erano nate mia madre e una zia. Poi era
tornato in Italia finché nel ‘23 volle tentare ancora. Partì solo:
analfabeta, credette di imbarcarsi per
l
‘Argentina e invece sbarcò a
VaIparoìso96.
Si ritrovò in Cile a a fare il distributore di pane; poi aprì un
negozio di generi alimentari. Al paese rimase mia madre, Raffaella
Mussuto. Papà era ‘vaccaro’, mamma casalinga. I primi tempi hanno
vissuto male, si lavorava tutto il giorno e si guadagnava poco, solo
per mangiare. Per questo decisero di emigrare. Nel ‘47 partì dal
paese anche mio fratello più
grande,
Nicola, con un cugino, Vito Iannuzzi. Ma mio cugino Vito
non si abituava all’estero,
voleva ritornare a Tolve.
Diceva che voleva
mangiare pane e cipolla, però vivere al paese. Ancora più tardi (era forse il 1954) partirono Gerardo e Agata.
Ormai metà della famiglia era in Cile e metà in Italia. Sicché il 18 marzo 1955 siamo partiti: mia madre,
con i miei fratelli Maria Carmela, Lucia, Vito, Rocco e io. Un mese dopo eravamo a
Valpuraíso. Mamma si adattò a fare mille lavori: far da mangiare, lavare, stirare, fare pulizie ecc.
Rocco tentava sempre di scappare, voleva tornarsene in Italia. Nel 1969 abbiamo perso nostro padre e io dovetti lavorare di giorno e
studiare di notte per laurearmi
in
ingegneria. Poi, da ingegnere, ho vinto una borsa di studio
dall’Ambasciata d’Italia e sono stato due anni a Roma, tra il 1981
e il 1983, per un corso di
specializzazione all’università.
Nel frattempo
a Roma ebbi anche un ‘offerta di
lavoro,
ma sono tornato a Santiago perché a quel punto avevo nostalgia della
famiglia lasciata in Cile! Tornato a Santiago, invece, non trovai un lavoro adeguato e mi adattai
ad aiutare mio fratello Gerardo miei ristorante,finché non fui
assunto da una società d’informatica, per la quale sono andato a
lavorare anche
a Città del Messico e a San Paolo del Brasile. Avrei potuto accettare un lavoro per la Chilectra’, una ditta statale per l'energia elettrica, ma avrei dovuto rinunciare alla cittadinanza italiana e prendere quella cilena. Non ho voluto farlo. Oggi collabora con mio fratello Rocco in progetti d’ingegneria civile.”
95
In Iquique i lucani ricordano quattro conoscenti fucilati e
alcuni
desaparecidos. 96 A chi scrive risultano non poche testimonianze, dirette e indirette, di imbarchi ‘sbagliati’. Sarebbe interessante rilevare su più ampia scala i casi di destinazioni 'ufficiali’ diverse da quelle reali. L’aspetto è probabilmente da collegarsi alle provvigioni percepite dai 'vettori’, i procacciatori di emigranti per conto delle compagnie di navigazione. Cfr. anche il I° voI, della presente collana, M. Schirone, Quelli dal volto brullo: I lucani nel inondo, cit., p. 34.
La testimonianza di Antonio offre numerosi spunti di riflessione. La
nostalgia è sempre e solo per il paese d’origine? Oppure,
radicandoci altrove, ci sentiamo anche di altri luoghi? E dunque
l’identità
ce la costruiamo
nel corso della nostra storia, individuale e collettiva, non è un
marchio d’origine, ma evolve di pari passo con le nostre vicende.
Per questo, per molti emigrati, tante volte ‘rimpatriare’ ha lo
stesso sapore di una nuova partenza. Così come la terra che ci
ospita assume anch’essa una nuova
identità:
è quella fatta
delle diverse presenze che agiscono e collaborano alla ricchezza e
allo sviluppo di quel paese. Non ci si può rinchiudere nella
nostalgia delle proprie ‘radici’ senza far sviluppare la chioma
dell’albero, né viceversa. Pena, stavolta sì, una crisi d’identità
determinata dallo
spaesamento.
Antonio ha provato
la nostalgia del Cile, dove ormai stava formando la sua vita, e poco
dopo ha dovuto decidere se rinunciare alla cittadinanza italiana,
scegliendo di mantenerla, nonostante le difficoltà. Gerardo
ha iniziato la sua vita a Santiago distribuendo carbone a domicilio,
poi s’è caricato addosso i sacchi di frutta dalle quattro di notte
per
rivenderli al mercato.
“Quando abbiamo cominciato a lavorare in generi alimentari c’era
ostilità, ci dicevano che eravamo venuti a togliere il
lavoro.
Quando chiudevamo il negozio ci prendevano a sassate sulla
porta. Una volta
è sembrata quasi una guerra civile, perché sono arrivati una ventina
di carabinieri a difenderci e a spiegare di non disturbarci
“. Il primo passo in un ristorante è stato come lavapiatti. Oggi è
orgoglioso del suo
Ristorante San Marco,
veneto solo nel nome per via dei gestori precedenti, ma in cui si
mangia alla lucana. Il suo rammarico è “di non aver vissuto la
gioventù, si doveva soltanto lavorare
“.
Agata,
arrivata a 15 anni
a casa della nonna, ha aiutato i fratelli nella vendita del latte.
Non ha avuto il tempo di coltivare amicizie, Agata, perché
“lavoravo molto,
trasportava casse piene di bottiglie di
latte da un negozio
all’altro, sui pullman
o viceversa”,
dice. Lo ha fatto fino a venti anni; poi ha aiutato i fratelli e i
cugini a pulire, lavare, cucinare, stirare.., e la madre a tirare su
gli altri sette fratelli. Perché lei è la terza, ma la prima delle
figlie femmine.
A lungo prive di amiche per la difficoltà della lingua sono rimaste
anche Lucia e Maria Carmela.
“Ci dicevano che eravamo scappati dalla
guerra, che eravamo dei morti di fame . Anche
loro hanno aiutato i fratelli.
Le vicende dei fratelli Inserrato sono simili a quelle degli altri
lucani partiti per il Cile nel dopoguerra. Molti di essi, arrivati
nella capitale cilena aprirono una rivendita di generi alimentari,
dopo aver provato l’esperienza di venditori di pane o latte. Così
riferiscono Nicola Maria
Albano Glisci97
(sarto); Rocco Natalino
Frontuto (pastore), Rocco Giuseppe
Natalino D’Aloia (contadino),
Donato Iannuzzi Mussuto (“vaccaro”),
Nicola Maria Inserrato Becce
(meccanico a Potenza); tutti di Tolve. “Repartidor de agua
y
pan
“, commerciante in generi alimentari e poi gestore di ristorante è
stata la trafila vissuta da
Rocco Vaccarella Cervellino, agricoltore di Oppido con
una lunga esperienza di emigrazione in Argentina, mentre suo padre
aveva lavorato in Iquique nei primi anni del Novecento. Ricorda gli
inizi difficili “con muchos problemas”, gli scarsi
guadagni
(“alcanzaba apenas para vivir”),
soprattutto le incomprensioni
por el
idioma”
(per la lingua), ma
“cuanda se incendio el
negocio, nos ayudaron mucho los vecinas y amigos chilenos
“. “Vendedor de vinos ( Viña Santa Cruz)” e di
generi alimentari è l’attività di
Rocco
Lancellotti Scima, di Oppido, e aggiunge
“que hemos tenido muchos altos
y basos “. Domenico Martiniello,
barbiere a Tolve:
“Ho fatto
cento mestieri, ho venduto pane, latte, ghiaccio, sono stato
al
mattatoio".
Ha anche svolto volontariato per 57 anni presso i
Bomberos
de ‘
"La Cisterna
“. Oggi e ristoratore del “San Carlo”, una pensione-ristorante a sud
della capitale, in un quartiere della buona borghesia abitato da
italiani.
Vito Abbruzzese Armiento
(falegname) e Rocco Giuseppe
Moles Lavanga (contadino) iniziarono come piccoli commercianti
in frutta e verdura. Prima del Cile, Vito aveva alle spalle
un’esperienza di sei anni in Argentina; oggi gestisce un ristorante.
Rocco dice di essersi trovato
"male, abbastanza sacrificato”
all’inizio.
Ristoratore è anche Lorenzo Damone Fiore, che a Tolve faceva il fabbroferraio.
L’oppidese
Gerardo Baccelliere da
“campesino
“è diventato
ristoratore; in seguito ha aperto una lavanderia. Rocce Donato Mussuto D’Aloia (contadino, Tolve) trovò lavoro come distributore di pane grazie ad un amico, Matteo Rienzi, che vendeva ghiaccio. Pasquale Miranda Luongo (coltivatore diretto, Oppido), in Cile da 50 anni, è stato “panadera, empleado de un tio en su panaderia “, poi “fabricante de calzado” e oggi “vendedorde calzado”. Diverse le attività provate anche da Giuseppe Scelsi (Oppido), “peluquero (parrucchiere, barbiere) y comerciante “.
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