Dove la terra finisce
"i lucani in Cile"

 

 

PARTE III°  -  I LUCANI A SANTIAGO - Maria Schirone
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I lucani a Santiago - 1° I lucani a Santiago - 2° I lucani a Santiago - 3°
I lucani a Santiago - 4°

Ana Rosa Caputo Becce (contadina a Tolve) aprì una "bottega"; ricorda i primi tempi molto difficili, quando trovò una casa in affitto e piccolissima” dove stava tutta la famiglia, “un soup a l’aute si mangiava peggio che in Italia: “un quarto di carne doveva bastare per sei persone

La precarietà della prima abitazione è stato il problema di tutti. Forse i più fortunati sono stati coloro che hanno potuto contare sull’ospitalità di parenti e amici; gli altri ricordano “case in legno”, “molto modeste”, “piccolissime, molto costose”. “Cadeva da sé”, dice Gerardo Inserrato; una baracca” (R.G. Moles). "Una casa di canne, in affitto, mia moglie piangeva tutti i giorni. In un letto a una piazza e mezza dovevamo dormire in quattro.” (D. Vaccarella R.).

Primi tempi difficili anche per Donato Moles, partito ragazzo da Tolve nel ‘58. “Ho vissuto il primo anno presso parenti lavorando senza paga; ho fatta poi il cassiere per quattro anni prima di aprire una rivendita di alimentari. Nei 1971 sono rientrato in Italia: di nuovo senza lavoro, ho dovuto emigrare in Germania. Là sono rimasto circa due anni, poi ancora in Italia, in provincia di Lucca, dove mi hanno fatta lavorare senza contributi  . E il rientro a Santiago.

Tra i numerosi lucani oggi residenti nella capitale, oriundi di Tolve e Oppido, fa quasi eccezione a sé Gennaro Ancarola, di Calvello, partito nell’immedato primo dopoguerra (1916 o ‘17) all’età di 18 anni, via Argentina. Gennaro andava a raggiungere Vincenzo De Grazia, suo compaesano che, con la famiglia, dopo aver tentato la fortuna in Argentina, era riuscito ad avviare l’attività commerciale in generi alimentari a La Serena (450 km. a nord di Santiago, sulla costa), affermandosi nel settore di import-export di prodotti italiani. Anche a Gennaro l’esperienza andò bene. Oggi i figli e i nipoti sono ottimamente inseriti nella società cilena. Tra di essi, Isabella è presidente della Corte d’Appello di La Serena; Gaetano Pietro è ingegnere forestale e gestisce il “Centro Commerciale Ancarola”, mentre sua figlia Francesca, nipote di Gennaro, si è affermata nel mondo della musica quale cantante e compositrice98.

Molti sono anche coloro che provengono dalle precedenti esperienze di Iquique o Pica, cioè da quell’area desertica che ha fatto fare ‘le ossa’ alle generazioni arrivate prima dell’ultima guerra. Sono per lo più originari di Oppido Lucano99.

Pablo Polidoro Viola (contadino, Oppido) ha 88 anni quasi interamente vissuti in Cile, essendo arrivato nel 1920 a Iquique con sua madre per raggiungere il padre Canio, che distribuiva pane ai minatori. Durante la crisi mineraria degli anni ‘30 la famiglia si trasferì a Santiago (1932), dove Pablo trovò lavoro prima come commesso in un negozio di stoffe, poi come meccanico.

Michele Viola Pisani (contadino, Oppido) aveva lavorato dapprima a Iquique nella panetteria del fratello Salvatore; oggi, a Santiago, è imprenditore di giochi elettronici.

Mescolando il dialetto lucano con termini italiani e spagnoli, Giuseppe Donato Simonniello Di Mare sgrana la sua storia di contadino. Nel 1926, dopo 45 giorni di navigazione, raggiunse il padre, che si trovava dal 1912 a Iquique a vendere acqua. Mestiere che praticò anche lui: si alzava col papà prima dell’alba e con la carretta andava alla sorgente ad alcuni chilometri dalla città; e poi a distribuire l’acqua casa per casa per pochi centesimi. Ma nel 1930 la disoccupazione dilagante spinse anche la sua famiglia verso la capitale, in una stanza in affitto. Sicché Donato si adattò ad altri lavori: calzolaio, autista di taxi... “Io non sono mai andata a scuola e, se ho imparato a leggere e a scribacchiare qualcosa, lo devo al mio sforzo personale. Da bambini bisognava andare in campagna a pascolare le pecore a a fare qualche lavoro nei fazzoletti di terra arida intorno a Oppido. Qualche ora la passavo pure dal calzolaio del paese, e lì ha imparato l’altra mestiere.” Quindi riprese in mano gli attrezzi del ciabattino, perfezionandosi fino a diventare un artigiano che in Santiago faceva le scarpe su misura. Ma “no he podido hacer fortuna, y estoy viejo ciego, y estoy conlas piernas malas"   (“Non ho potuto far fortuna, e sono vecchio, cieco, e ho le gambe malate”). Ma la memoria è vivissima. Oppido gli è rimasta un’immagine nitida, ferma ai tempi della partenza, settant’anni fa: il paese, i dintorni, Tolve, Potenza, la festa di Sant’Antonio... Non c’è più ritornato.

Anche Michele Avigliano Saluzzi, falegname di Oppido, partito all’età di 17 anni da Genova sulla nave “Orazio”, visse dapprima a Iquique dove suo padre vendeva vino. Trasferitosi nella capitale trovò lavoro in una fabbrica di mobili, e poi come venditore di tessuti alle dipendenze di proprietari genovesi. Finalmente fu in grado di comprare una “bottiglieria”, poi una trattoria. Oggi è pensionato. Ricorda che “nella fabbrica di mobili mi chiesero di comperare un martello di gomma, e io lo cercai tutto il giorno in posti sbagliati.., perché non parlavo spagnolo “.

 

98  Le notizie mi vengono cortesemente riferite da Gaetano Ancarola, nipote di Gennaro, e sua moglie Pina AvelIa, campana (ma tiene a sottolineare il suo interesse per le vicende dell’emigrazione lucana). Originaria di CalveIlo risulta essere anche la famiglia La. banca, residente in Santiago.

99  Per le vicende di Domenico Vaccarella Ragone, oggi residente a Santiago, v. il paragrafo relativo a Pica.

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Vito Carcuro Sannella (contadino), di origini genzanesi ma nato a Iquique (1905), dove il padre aveva svolto il duro lavoro di minatore del salnitro, aveva avviato l’attività commerciale nella città natale, esperienza proseguita poi a Santiago. Vito è una bella figura di contadino, antico e for te, dignitoso e fiero di una vita passata a scegliere il giusto delle cose, per sé e per la sua famiglia (il figlio Pedro è un affermato giornalista sportivo della TV di Stato). Oggi, all’età di 94 anni, rappresenta una di quelle testimonianze preziose, una fonte diretta per un secolo di storia vissuta. All’inizio del 1999 il sindaco di Genzano dottor Giovanni Pizzuti, tra i non molti sindaci sensibili all’altra metà dei propri concittadini, volle fare omaggio, a lui e ai numerosi emigrati genzanesi, di un saluto e un calendario-ricordo con le immagini del paese. Ebbene, per Vita Carcuro è stato un segno inaspettata di un legame reciproco, come di rado accade avvertire.

 

Meno numerosi risultano coloro che hanno potuto esercitare anche all’altro capo del mondo le abilità già acquisite. Come Sebastian De Vice Lancellotti e Giuseppe Soccorso, di Oppido, rispettivamente sarto e barbiere, sia al paese che a Santiago. “La guerra ci aveva distrutto le famiglie — dice la moglie di Giuseppe, Maria Di Bono —, così siamo venuti in terra straniera, non solo per raggiungere i mariti, ma per lavorare amiche noi e per aiutare ad affrontare le difficoltà dei primi tempi"100.

 

 

Il legame culturale con l’Italia

 

La passione per l’opera lirica l’aveva portata con sé fino in Cile, Salvatore Viola, e ne era incantato: “De las tradiciones, la más fuerte era la ópera, le encantaba, tenia muchos discos con libros que contaban la trama. El sentaba a las hermanas de mi mamá, que eran pequeilas, y las hacía escuchar los discas, y ies explicaba de que se trataba la historia.

Tanta era su afición, que hace poco un amigo de él, qué tenía un espacio en la radio, le dedicón un programa sobre ópera”101, racconta la figlia Valeria. Anche questo è un modo di ‘appartenere’ alla propria terra.

 

100 Altri lucani residenti in Santiago: Victor Abbruzzese, Rocco Albano, Roberto Baccelliere, Duilio Bolsi, Clementina e Vincenzo Fatigante, Rosa Matera, da Tolve (l’informazione mi è stata gentilmente fornita da Luciana Moles); fam. Motta (idem, dalI’ing. Antonio Motta), Emilia Giralda Tribuzio, da Pignola (elenchi AIRE).

101 Delle tradizioni, la più forte era l’opera [ il melodramma], lo incantava, aveva molti dischi con libri che ne raccontavano la trama. Li faceva sentire ai fratelli di mia madre, che erano piccoli, li lasciava ascoltare e spiegava loro di che trattava la storia. Tanto ne era appassionato che qualche tempo fa un suo amico, che gestiva uno spazio alla radio, gli dedicò un programma sul melodramma.

 

Il legame con l’Italia, l’attaccamento alla regione d’origine, lasciata tanti anni fa o mai conosciuta, si esprime in modi che talvolta fanno pensare a una trasfigurazione di tipo ‘mitologico’, immagini che si sono caricate nel tempo di una summa di ricordi, racconti. emozioni, aspettative, sì da rendere parenti e luoghi lontani, visioni immaginifiche, più che immagini reali.

E i giovani, e chi non c’è più tornato, cosa sanno della Basilicata, come immaginano che sia, oggi? “I miei nipoti, che non ci sono stati, se la immaginano come un insieme di paesi sulle colline, come l‘hanno vista nelle cartoline” (Antonio Inserrato). “E’ una regione con gente calda come la gente del sud, paesi con delle case antiche...” (Elias Cantillana, 15 anni). “Come una grande collina” (Iannuzzi). “I giovani sanno quello che hanno imparato alla scuola italiana e quello che hanno ascoltata da noi” (Rocce Moles). “Nos imaginantas un pueblo muy bello pero no muy moderna” (Rocce Vaccarella). “Un paese pieno di nostalgia “, è la risposta un po’ sognante di Felice Abiuso. “Si, conocen las tradiciones del puebla, les gustan y tratan de continuarlas equi” (Pasquale Miranda). “Le gustan las costumbres de la Basilicata” (Donato Simonniello). “Me gustaria mucho ir a la Basilicata” (Baccelliere).

Chi può, mantiene una certa corrispondenza epistolare con il paese lontano, contatti telefonici ecc. Gran parte degli intervistati segue almeno RAI International e, quando è possibile, la stampa italiana. “Cerchiamo di tenerci informati sull‘Italia con tutti i mezzi a disposizione” (Maria Di Bene). “Con la RAI l'informazione è migliorata notevolmente — dice Antonio Macrì, vicesegretario del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE). “Va forse discussa per la qualità, ma ora abbiamo cinque telegiornali al giorno. Ci preoccupa molto piuttosto l'immagine di ritorno: anche Rai International in questo non ci aiuta, perché non ‘entriamo’ nelle reti nazionali, in Italia non ci vede nessuno. Tutto rimane ‘in famiglia’, ben lontano dagli occhi e dalle orecchie di chi trascura gli emigrati. ... E’ l'indifferenza della gente in Italia che ci preoccupa... 102,

E’ vero: stampa e TV solo occasionalmente si occupano degli italiani all’estero. Di recente se ne è occupata la terza rete RAI, nell’ottima serie mattutina de “La storia siamo noi “, ma con vecchi filmati di repertorio sugli emigranti degli anni ‘60. Inoltre, nessuna rete nazionale garantisce quelle ‘finestre’ sulle realtà specifiche. Non si tratta di diffondere notizie di folklore locale. Si tratta di poter conoscere le reciproche trasformazioni in atto. Come evolve l’entità e la qualità degli italiani nel mondo; come evolvono le regioni d’origine.

Le sedi regionali della RAI, ad esempio, potrebbero offrire a cadenze regolari spazi riguardanti i propri corregionali all’estero. Attualmente tranne poche eccezioni legate a iniziative di particolare rilievo — tutta l’informazione ignora l’altra metà della Basilicata.

Eppure le ragioni di una riconnessione tra italiani fuori e dentro i confini amministrativi dell’Italia possono rivestire interessi anche più ampi:

“Solo ora — continua Antonio Macrì — si sta comprendendo come la rete dei nostri connazionali all’estero sia una forza potenziale: import/export, joint ventures... L’esportazione italiana è più forte nei paesi con una grassa presenza di emigrati...”

Ma che significa essere italiano, oggi? Parlare la lingua italiana? Avere il passaporto italiano? Risponde il viceconsole d’Italia Enrico Lombardi Solari: “Molto più di questo. L’aspetto legale del passaporto o del certificato di nazionalità non è rilevante. Più importante è sentirsi italiani, come sentimento interiore e spontaneo per i milioni di discendenti che vivono in tutti gli angoli del mondo. Vuoi dire avvertire il legame con la terra dei nonni e dei bisnonni. Basti vedere con quale partecipazione emotiva i discendenti seguono gli eventi dell'Italia nelle manifestazioni sportive mondiali “.

“Ci chiamano americani di cognome italico, siamo figli di Colombo e Vespucci — dice Antonio Inserrato, che ricorda l’affermazione della poetessa Gabriela Mistral: “Italia es una de las tres madres de America del Sur: las otras dos son la raza india y Espana “.

“Soy italiana porque mis padres lo erano y como ellos nací en Lagonegro”: questo è il semplice sentimento che ha mosso qualche anno fa Maria Dora Perea da un capo all’altro del mondo, da Iquique a Lagonegro. “Era muy pequena cuando abandonamos el suelo natal. Vivo en Chile y crecien Chile que me ha dado todo, albergando siempre en mi corazón estos dos carinos immensos a la tierra que dejé y a la que adopté. Miles de interragantes se agolpaban en mi mente y aprim fan mi garganta: Cómo serà mi pueblo?... Vendrán a recibirnos los parientes?... Nos reconosceremos?... Cómo seràá la casa en que nací?... Bien, allá vamos Lagonegro “.

E partì: "Emoción immensa! No fue un viaje cualquiera... Volver a la tierra amada, caminar per sus calles, buscar familiares, estrechar lazos”’103.

 

102 Intervista rilasciata al periodico ‘Presenza”, quindicinale della Comunità Italiana in Cile, anno XXX n. 534.

‘103 Sono italiana perché lo erano i miei genitori e come loro nacqui a Lagonegro. Ero in molto piccola quando lasciammo il suolo natale. Sono vissuta e cresciuta in Cile che  mi ha dato tutto, albergando sempre nel mio cuore i due grandi affetti, per la terra che lasciai e per quella che mi adottò. Mille interrogativi si affollavano nella mia mente e opprimevano la mia gola: come saranno i miei compaesani? Vorranno ricevermi i parenti? Ci riconosceremo? Come sarò la casa in cui nacqui?... Bene, andiamo a Lagonegro.” “Emozione immensa! Non fu un viaggio qualunque... Tornare alla terra amata, camminare tra i vicoli, incontrare i familiari, stringere legami. “ In “Andiamo! “, rivista dell’ Asociación Lucana Región Norte de Chile, Iquique, n. 4, 1998.

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