Dove la terra finisce
"i lucani in Cile"

 

 

PARTE III°  -  I LUCANI A SANTIAGO - Maria Schirone
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I lucani a Santiago - 1° I lucani a Santiago - 2° I lucani a Santiago - 3°
I lucani a Santiago - 4° le immagini

Ancora Valeria Viola ci dice che “como Iquique era tan pequeno, todas las personas se conocian, y todos los italianos se reunían, y cuando llegaba alguien de Italia, todas se enterabamm y lo invitaban a las casas. Mi padre siempre invitaba a la gente que vea de Italia, le gustaba mucho conacer las noticias de allá, como iba la politica y ese tipa de cosas... .

"Poiché lquique era piccola, tutti si conoscevano tra loro, e tutti gli italiani si riunivano, e quando arrivava qualcuno dall’Italia, tutti venivano a saperlo e lo invitavano alle proprie case. Mio padre sempre invitava chi veniva dall’Italia, gli piaceva molto conoscere le notizie di là, come andava la politica, questo tipo di cose...”

 

Sensibile alla realtà delle diverse presenze che hanno contribuito negli anni all’attuale volto di Iquique, l’Alcalde (sindaco) Jorge Soria Quiroga ha in animo di dedicare una delle strade che portano alla costa, alla ‘storia delle identità’. Secondo il progetto, le piazze che incrociano testimonierebbero, in ordine cronologico, le civiltà precolombiane, quindi le immigrazioni: cinese, genovese, lucana, ciascuna con un significativo segno della propria presenza.

Sensibilità reciproca, giacché la Regione Basilicata ha di recente approvato alcune leggi che mostrano una nuova attenzione ai lucani che vivono fuori del territorio regionale. Una di queste istituisce la ‘GIORNATA DEI LUCANI NEL MONDO’105 fissata al 22 maggio, data di approvazione dello Statuto regionale (anno 1971), che a partire da questo anno in corso (1999) unisce idealmente tutti i lucani ovunque si trovino e soprattutto fa sentire la reciprocità di un legame, sentimento che troppo spesso, oltre i confini amministrativi, viene avvertito come unilaterale.

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105 L. regionale n. 10 del 6 aprile 1999

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Inoltre, la Commissione Regionale dei Lucani nel Mondo, come articolazione della Regione Basilicata, di concerto con la Deputazione di Storia Patria, ha promosso un paziente lavoro di ricerca per la creazione di una banca dati relativa alle “Fonti per la storia dell’emigrazione della Basilicata"106. Il corpo principale è costituito da un archivio anagrafico che contiene nomi, data di nascita, paesi di provenienza e di destinazione, mestieri degli emigrati a partire dal 1861; dati desunti dai registri dei passaporti conservati nell’Archivio di Stato di Potenza. Purtroppo sono andate perdute le registrazioni di un trentennio fondamentale, tra il 1871 e il 1900. Sarà necessario quindi integrare i dati con quelli conservati in altri archivi: quelli dei porti di Napoli e Genova e quelli dei porti di arrivo. La banca dati conterrà anche schede informative e collegamenti con i siti Internet dell’Archivio centrale dello Stato, dell’Archivio Storico diplomatico del Ministero degli Esteri, della Federazione Italiana Lavoratori Emigrati e Famiglie (FILEF) e del Centro Studi Emigrazione (Congregazione degli Scalabriniani). Inoltre, alcune pagine sono dedicate alle fotografie, alle tradizioni e feste popolari, ad una galleria di brevi biografie di emigranti, che si siano o no affermati con successo. Che va ad aggiungersi alla raccolta di testimonianze orali le quali danno voce nel tempo presente alle tante storie di uomini e donne che rischierebbero, invece, l’anonimato e il risucchio in meri dati numerici e statistici.

 

Avere ben chiare le proprie radici significa sapere come collocare se stessi, in un preciso quadro di riferimento culturale. “La comunità italiana in Cile — ha scritto l’On. Lamberto Dini ha saputo acquisire il rispetta e l’ammirazione di tutti conservando allo stesso tempo la ricchezza della cultura e delle tradizioni dei nastro Paese”’107. In questo senso vanno gli intenti delle Associazioni lucane di realizzare corsi d’italiano, mostre sulla Basilicata e l’Italia108, rievocare gastronomia e danze regionali, feste patronali e così via. Anche coloro che hanno perso dimestichezza con la lingua italiana conoscono l’inno nazionale e considerano il 2 giugno tra le ‘proprie’ feste, accanto alle feste patronali dei rispettivi paesi d’origine:

San Rocca, Sant’Antonio, San Nicola...

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106 A cura di M. Ostuni, A. Meneghini, per I’ASPz, DSP, CRLM. (ricerca in corso).

107 Lettera del Ministro Lamberto Dini alla sig.ra Anna Odone, Presidente Com.It.Es. Cile, in Presenza, quindicinale della Comunità Italiana in Cile, 1° dic. 1998.

108  Di recente l’Associazione lucana Región Norte de Chile ha organizzato la mostra “Vistas de la Bella Italia”(giugno-luglio 1999) presso la sede dell’Academia de Idiomas del Norte.

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Ma tutto questo non basta. C’è, in quell’estremo lembo del mondo, il sentore di una perdita progressiva della componente culturale della propria famiglia ‘verticale’, nel senso delle generazioni. Prendiamo Iquique, dove non c’è né l’Istituto Italiano di Cultura109, né la sede consolare (c’è un viceconsole) e la lingua d’origine si va naturalmente perdendo. Qui i lucani (che, ricordiamo, rappresentano la seconda presenza italiana), avvertendo da tempo l’esigenza di un legame più ufficiale con il nostro paese, hanno chiesto l’apertura di una “Scuola Italiana”, per gl’italiani e per i cileni che vogliano apprenderne lingua e cultura110. “Al fin! Tendremos una Scuola! Recobraremos las amadas palabras y ci cantarino acento conque fueron mecidas nuestras cunas”, esulta Iris Di Caro111’’.

Che la dimestichezza con la lingua d’origine si sia persa è di per sé comprensibile e naturale, per chi è partito oltre mezzo secolo fa, e soprattutto per chi è oriundo italiano ma nativo cileno. Si noti che molti giovani, pur non parlando affatto né il dialetto lucano né l’italiano, comprendono abbastanza bene il senso di una conversazione, ancora di più se in dialetto, per una certa consuetudine all’ascolto di genitori e nonni in ambito familiare. Bisogna considerare che l’adattamento allo spagnolo è dovuto avvenire, in alcuni casi forzatamente anche in famiglia, per difendersi e difendere i propri figli dalle difficoltà e dall’emarginazione.

“Me hacian bromas porque hera extrangero” (“Mi prendevano in giro perché ero straniero”), ricorda Felice Abiuso.

“Non capivo il linguaggio che si parlava intorno a me. E’ stato duro impararlo! Non mi fu permesso di parlare il mio dialetto. Papà mi insegnava le parole e dovevo parlare lo spagnolo per bene in modo da non essere chiamata 'la gringa’ quando qualche mese dopo avrei cominciata a frequentare le elementari. Sia in Argentina che in Uruguay (e in Cile, n.d.A.) veniva e viene ancora chiamata ‘gringo’ lo straniero, in particolare l'italiano. E c’è un dramma di Florencio Sanchez (drammaturgo uruguaiano della fine dell’Ottocento, di origine italo-spagnola) che si intitola ‘La Gringa‘ e narra la storia di una famiglia italiana che ha una figlia, di nome Gringa, che latta per inserirsi nella società locale112.

Ce lo conferma Antonio Inserrato: “L’inserimento è stata difficile, sia per la lingua sia per la diffidenza dei cileni. Ancora bambino, preferivo rimanere in casa (per questo parlo benissimo il dialetto lucano) perché nel negozio sentivo i clienti che ci chiamavano ‘gringo e spatriati!”. E il fratello Gerardo ricorda i tentativi di fuga del fratello Rocco, che scappò all’ambasciata per rimpatriare: “Scappava senza saper parlare lo spagnolo. E neanch'io. Io chiamavo i carabinieri in italiano e loro non capivano niente “. Come spesso accade, la lingua segna una diversità che può rappresentare una frattura. “L’idioma è stato un ostacolo, sin quando abbiamo potuto farci capire. Ora tutti parliamo il castigliano, ma questo ci fa dimenticare la bella lingua italiana “, sottolinea con rammarico Maria Di Beno.

 

109 C’è la Casa degli Italiani, ma come associazione di volontariato. Se n’è parlato in precedenza: v. Iquique.

110 La richiesta è stata inoltrata alla Regione Basilicata che ne ha di recente approvato i criteri (1999), mentre il personale scolastico sarà individuato dal Ministero della Pubblica Istruzione per il tramite dell’Ambasciata d’Italia.

“Finalmente! Avremo una Scuola (d’italiano)! Recupereremo le amate parole e la musicalità dell’accento con cui fummo cullati.” Lettera agli iscritti dell’Associazione Lucana Region Norme, dic. 1998.

112 Testimonianza di Raffaella AteIla Reale, Mamma contadina, mamma cittadina..., racconto autobiografico, concorso letterario “Storie di donne lucane”, sez. Sud America, a cura delle Commissioni Regionali Pari Opportunità — Lucani nel Mondo, maggio 1999.

 

 

Feste patronali, tradizioni gastronomiche

«La festa di Sant’Antonio in Santiago cominciò per iniziativa di un gruppo di emigranti italiani di Oppido Lucano, che desideravano mantenere la ricorrenza del paese d’origine.»

Cos' ci racconta Teodoro Vaccarella, coordinatore del Comitato Sant’Antonio e presidente dell’Associazione lucana, insieme a Felice Abiuso e Paquale Miranda.

“Fui el fundador’ della festa di Sant’Antonio in Cile”, asserisce con orgoglio Giuseppe Scelsi, da 38 anni lontano da Oppido; ed era il 1986. «Il 13 giugno (1987) fu realizzata una festa con molto impegno e dedizione: si fece la ‘tredicina’ tutti i giorni durante i 13 giorni, nell’ultimo si celebrò una messa cantata con canti in italiano, tenuta dal parroco della parrocchia italiana padre Antonio Mascarello, e da un sacerdote originario di Oppido, padre Vincenzo Soccorso. I bambini più piccoli si vestirono da francescani e le bambine con costumi tipici della regione. Dopo la messa si fece una processione, poi una cena con piatti tipici e dolci regionali. Un gruppo di ragazzi si esibì in balli e in una rappresentazione teatrale sulle tradizioni di Oppido. Così com’è cominciata, si realizza ogni anno questa festa che per una volta riunisce tutti i lucani.»

“A Santiago tutti gli anni festeggiamo San Rocco e Sant’Antonio per le comunità originarie di Tolve e di Oppido, con la messa, la processione, i fuochi d’artificio, balli folklorici, naturalmente nella parrocchia italiana “, dice Antonio Inserrato, mentre Rocco Mussuto tiene a precisare che la prima festa di San Rocco è stata organizzata a casa sua.

“Noi siamo cresciuti insieme alla nonna, con lei abbiamo imparato le tradizioni. Apparteniamo al gruppo folklorico di San Rocco (Elias Cantillana, che ha vinto anche due festival della canzone italiana).

Naturalmente la festa di Sant’Antonio è più vissuta là dove la comunità di oppidesi è più numerosa, cioè a Iquique. “San Antonio de Padua es el Santo Patrono y protector del paese di Oppido Lucano y cada 13 de junio toda la camunidad oppidesa iquiquena se junta para recordar a sus ancestros y convivir de acuerdo a las costumbres, tradiciones y espiritú

patriotico que padres y abuelos supieron dejar como herencia113. E’ interessante notare come in queste occasioni i gesti della ritualità rimandino alla condizione dell’emigrato. Durante la messa, “el pan y el vino simbolizan la comunión de ideales de un pueblo antiguo, que al proyectarse hacía el futuro, se engrandece en el recuerdo114. E, nella festa del patrono, la comunità si incontra idealmente con i compaesani lontani diecimila chilometri.

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113 “Sant’Antonio da Padova è il santo patrono e protettore di Oppido L., e ogni 13 giugno tutta la comunità oppidese-iquiqueña si riunisce per ricordare le proprie origini e condividere usi, tradizioni e identità di nazione che i padri e i nonni seppero lasciare in eredità”, in “Oppido Lucano, un lejano pueblo de los Apeninos italianos, sus raices en Iquique y el dia de San Antonio”, Andiamo, cit., p. 5.

114 "Il pane e il vino simboleggiano la comunione ideale di un popolo antico, che nel proiettarsi verso il futuro si ingrandisce col ricordo del passato", in Andiamo, o. 4/98, cit., p. 48.

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Se le feste hanno la magia di unire terre tanto distanti, sapori e profumi possono evocare proustianamente memorie di generazioni. Certo ai piatti tipici lucani si è sostituita man mano la cucina cilena. Molte mogli sono cilene, e trattano la gastronomia lucana come stravaganza esotica.

Dal canto loro, solo all’arrivo in Cile i lucani hanno scoperto la commestibilità di alcuni cibi: “Existian cosas que mi mamá jamás había probado, como el maiz, que donde el vivía se lo daban a los cerdos, y aquí  es uno de los platos tipices. Aprendió a comer las cosas de acá, peró siempre modificaba las recetas, era muy complicado115.

Curioso è riconoscere le preparazioni regionali dietro nomi come souzitza (o sautciza), cauzone, probolone, schiccilo, scarpella, bacalao, fabe, oricciett', patate arraganate, cartidatt’, fogazze, mastachuelos... Le petolas di Natale sono “rosquillas triples de masa, banadas en miel”; la “focaccia di Oppidoè “pan con aceite de oliva, cebolla, tomate y queso rallado, muy surena “. Non manca le sanchic (il sanguinaccio), “pastel con la sangre del maiale con nueces, uvas, canela y azucar”, precisa Felice Abiuso.

Le tradizioni lucane? “E’' difficile spiegarlo, ma i figli le trovano divertenti” (Sebastian De Vice). “Pienso que las tradiciones hay que mantenerlas, tratar que no se olviden, ensenarlas a los jovenes” (“Penso che occorra mantenere le tradizioni, praticarle per non dimenticarle, insegnarle ai giovani") (Gerardo Baccelliere).

Questo che segue è il parere di Rocco Inserrato: “Nel 1978 abbiamo cominciato a costruire la nostra associazione in Cile attorno alla figura di un santo (San Rocco), per conservare la nostra identità, i nostri valori. Per far comprendere ai nostri figli che esiste una terra lontana, l’Italia. Noi vogliamo che loro siano italiani. Siamo ambasciatori dell’Italia; svolgiamo il nostro lavoro con sacrificio. Sono un docente universitario e chiedo che vengano intensificati gli scambi culturali. Ed anche tecnologici. Gli abitanti della Basilicata sono bravi nel lavorare la terra, e noi in Cile ne disponiamo di tantissima. Per questo vogliamo dei tecnici che ci istruiscano, e noi dal canta nostro cercheremo di pubblicizzare ai meglio il predotte lucano. Poi vogliamo cercare di divulgare soprattutto la lingua italiana. 116

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115 C’erano cose che mia madre non aveva mai provato, come il mais, che al suo paese si dava ai maiali, mentre qui è uno dei piatti tipici. imparò a mangiare le cose di qua, però sempre modificava le ricette, era molto complicato" (Valeria Viola).

116 Intervento alla conferenza “Da Emigranti a Cittadini”, Nova Siri, settembre 1997.

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Tante attenzioni servono a mantenere viva la propria ‘carta d’identità’, la definizione di una parte basilare della propria storia, come individui e come collettività di lucani. Ma, realisticamente, non più di questo. Per quasi tutti, il desiderio di tornare in Basilicata è un sentimento che attiene la sfera emotiva e che concretamente significa voler rivedere i luoghi, o conoscere quelli della propria famiglia, in modo comunque temporaneo. “Ci piacerebbe molto conoscere il paese dove siamo nati “, oppure “dove sono nati i nastri genitori”, è la risposta più frequente. Ai giovani come Gianni Corvalan e Gianfranco Da Ponte piace partecipare alle riunioni degli italiani perché i nonni sempre raccontavano loro dell’Italia. “La nostalgia dell'Italia non se ne va mai “, dice Vito Abbruzzese; “Il sangue tira — aggiunge in modo colorito Rocco Natalino però per viverci no”. Ed entrambi aggiungono: “Ormai siamo sistemati qua “.

Maria Di Beno esprime con molta razionalità il sentimento comune:

“No, non tornerei a vivere in Basilicata. Ci siamo molto abituati a vivere in Cile e dopo tanti anni non si ha nessuna voglia di ricominciare. Penso che tutto sia cambiato, sia perché le nuove generazioni hanno ‘un altro criterio’, e sia perché cambiare è necessario. Le tradizioni del paese d’origine sano state un po' dimenticate anche dagli italiani che stanno in Italia non è così? perché i cambiamenti, l’evoluzione, sono stati molto rapidi, e per questo le tradizioni sono rimaste solo un racconto. Al paese tornerei per rivivere un ricordo, per nostalgia..., ma non per restarci.”

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