Dove la terra finisce
"i lucani in Cile"
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Quest’ultimo libro di Maria Schirone, risultato di un lavoro sul
campo, arricchito da un prezioso corredo fotografico nel testo e in
appendice, si pone come continuazione naturale dei due volumi dati
alle stampe l’anno scorso, col titolo d’insieme:
Quelli dal volto bruno. Dove la Terra finisce: i lucani
in Cile è, in
particolare, la continuazione ideale del secondo di quei volumi:
I lucani in Belgio. I lucani in Cile,
però, ha una propria peculiarità che merita di essere evidenziata:
quella, non tanto ovvia, di aver fatto emergere e di aver dato voce
ad un’emigrazione minoritaria, sconosciuta ai più.
Quando si parla di emigrazione si pensa ai grandi Paesi e alle
grandi città: Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile, Germania,
Francia, Svizzera...; oppure: New York, Chicago, Berlino, Toronto,
Parigi, Berna, Buenos Aires, Sidney...
Invece non solo vi è anche un’emigrazione cilena, ma vi sono nostri
connazionali e corregionali a Iquique e a Pica: luoghi geografici
assenti dalla nostra memoria.
Eppure luoghi in cui vivono storie che ci appartengono, in cui
sopravvivono i nostri dialetti, le nostre tradizioni religiose e
quelle culinarie. Luoghi in cui vi sono persone che con noi
desiderano mantenere e consolidare il fragile filo della memoria, e
desiderano trasmetterla ai propri figli e ai propri nipoti; persone
che chiedono allo Stato italiano e alla Regione Basilicata di non
essere dimenticati; uomini e donne che, anche dopo diverse
generazioni, hanno continuato a conservare la cittadinanza italiana,
pur senza avere più interesse a tornare nel nostro Paese e a volte
con qualche danno personale (come nel caso dell’ingegnere Antonio
Inserrato) e che, con legittima insistenza, hanno sempre chiesto di
poter esercitare i propri diritti civili e politici di cittadini
italiani.
Una comunità particolare quella dei Lucani in Cile, per le attività
che in quella terra è stata capace di mettere in atto, per il
rispetto che è stata capace di conquistarsi e per le innovazioni che
è stata capace di portare.
Valga, per tutte, la realtà che Maria Schirone evidenzia per l’oasi
di Pica, in pieno deserto dell’Atacama:
“...
i lucani hanno reinventato le abilità contadine, le competenze
acquisite al paese e in famiglia prima della partenza e sono
diventati imprenditori della terra, vincendo sulla terra sconosciuta
e ostile.
[...]
si è dovuto selezionare la
terra, ‘lavarla’ con acqua potabile per estrarne tutti i sali e i
minerali, mescolarla con rena e guano. In questo modo, con la
tenacia dell’antico bracciante, il deserto ha reso una produzione
addirittura esportabile”.
Questo lavoro, che per metodo espositivo e per stile letterario
vuole essere ampiamente divulgativo, è prezioso anche per altre
cose: per l’impostazione complessiva, che inserisce la vita, le
speranze, i dolori e i successi dei nostri corregionali all’interno
di un quadro storico generale di riferimento, che a sua volta ne
chiarisce le motivazioni e ne spiega l’esistenza; per la
proposizione di “schede” fuori testo le quali — senza interrompere
il racconto — offrono la possibilità di approfondimenti; per
l’inserimento di passi poetici di grandi nomi come Neruda, o di
‘piccoli’ lucani come Antonio Maria Cervellino di Oppido, che danno
spessore e dignità ai sentimenti e alle nostalgie.
Infine, ma non per
importanza, per la partecipazione etica dell’autrice ai sacrifici e
ai successi dei lucani-cileni.
Caratteri che fanno di Maria Schirone una testimone dell’affetto e
della riconoscenza che tutti noi dobbiamo a questi nostri
concittadini nel mondo.
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"I lucani in Cile": .
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