CAPITOLO III
SPIRITUALITÀ GERARDINA
Stiamo dunque indifferentissimi in tutto, acciò sempre, in tutto, possiamo
fare la volontà di Dio, con quella somma purità d'intenzione che Dio vuole
da noi.
Attualità perenne di un carisma
Ogni uomo, creato dal cuore amoroso di Dio, ha insito nel suo stesso essere,
direi nella sua stessa carne, l'anelito all'unione con Dio. Impastato
d'amore, l'uomo tende consciamente o incosciamente alla fonte dell'amore che
è Dio. Gesù benedetto si è fatto vittima d'amore, ci trascina e ci
coinvolge.
A questa meravigliosa opera lavorano le Tre Divine Persone, in una sintonia
mirabile da conquistare i cuori più disposti, i cuori più semplici, che non
cercano grandi cose, ma solo Colui che è grande.
I santi sono coloro che si sono lasciati attrarre fortemente da questa
calamita d'amore e hanno seguito la scia lasciata da Gesù stesso. Essi, come
Gerardo, hanno compreso che nulla vale in contrapposizione con l'amore
sommo, il quale appaga ogni desiderio, ogni anelito che vibra nel cuore.
Perché un santo abbia influenza sui suoi fratelli di ogni tempo, è
necessario che la sua dottrina e la sua vita possano essere presi come
esempio e come aiuto nelle circostanze concrete dell'esistenza. Un santo è
una forza travolgente quando, oltre la sua mediazione, offre l'efficacia
dell'esempio che trascina e stimola a cercare in Cristo, unico mediatore fra
Dio e gli uomini, il senso radicale della vita.
Guardare Gerardo da questa angolatura, significa vederlo in quegli
atteggiamenti molto simili ai nostri, quando cerchiamo forza ed entusiasmo
nella nostra ascesa verso l'incontro con Dio. E Dio si fa allora più vicino,
sia per la mediazione del santo sia per lo stimolo nella fede, nella
speranza e nell'amore. Gerardo deve poter dire a noi come orientare la
nostra vita e come essere oggi un prolungamento della vita di Gesù per i
fratelli.
A questo tutti siamo chiamati per l'incorporazione a Cristo ricevuta nel
battesimo.
La bella volontà di Dio
Studiare la vita di un santo, è scoprire l'asse portante su cui poggia la
sua ascesa all'unione con Dio. Abbiamo visto che nella vita di Gerardo la
"bella volontà di Dio" lo conduceva nelle ardue vie della Croce di Cristo,
facendolo scendere verso i fratelli.
In questo nostro mondo tanto travagliato, ma anche così ricco di possibilità
di bene, quale potrà essere il ruolo di Gerardo? Quali esempi sono per noi
stimolanti affinché non ci attardiamo nelle cose di questo mondo, ma
solleviamo le ali verso cieli aperti? Egli si è fatto santo amando molto "il
suo caro Dio", ha amato molto "il nostro Caro amoroso Gesù" e ha amato molto
"Mamma Maria Santissima".
Questi tre grandi amori hanno caratterizzato la sua vita e lo hanno portato
ad amare i fratelli più bisognosi, non di solo pane, ma di perdono, di
misericordia, di amicizia, di consolazione e anche, all'occorrenza, di
miracoli.
Lo Spirito Santo a poco a poco aveva infiammato l'anima del piccolo Gerardo,
lo aveva innamorato di Gesù nell'Eucaristia, lo aveva spinto a considerare
Maria come sua fidanzata, a prendersi cura degli altri, ad amarli fortemente
in piena libertà di spirito. L'amore di Dio, se è vero, deve portare
all'amore dei fratelli, un amore che non si ripiega su se stesso, ma che
abbia le stesse motivazioni di Gesù: la salvezza e il bene della persona
umana nella concretezza della vita. È quindi conforme a chi cerca Dio
sentire il bisogno di amare nella piena libertà senza lasciarsi imbrigliare
il cuore. Guardando Gerardo in tutta la sua maturità, intendo sottolineare
le costanti della sua vita: sono richiami sempre validi per gli uomini del
nostro tempo.
Presenza di Dio
Gerardo è sempre in cerca della presenza di Dio, di un Dio non lontano, ma
che gli si fa incontro nelle varie circostanze. E poiché segno della
presenza di Dio è fare la sua volontà, Gerardo la cerca come una presenza di
fede e come una presenza d'amore. Per lui fare la volontà di Dio è il
segreto della sua libertà. Se così non fosse la mortificazione sarebbe un
assurdo e così ogni altra privazione o penitenza. Iddio Padre non vuole che
l'uomo soffra, ma la condizione creatasi mediante il peccato, porta come
conseguenza la sofferenza. Dio ci vuole felici, ma la felicità è una
conquista che l'uomo ottiene partecipando alle sofferenze di Cristo.
Ecco cosa dice Gerardo: "Io non mi sono ancora potuto far capace come
un'anima spirituale, consacrata al suo Dio possa mai ritrovare amarezza su
questa terra col non piacergli in tutto, sempre, la bella volontà di Dio,
essendo questa l'unica sostanza delle anime nostre... Stiamo dunque
indifferentissimi in tutto, acciò sempre,
in tutto, possiamo fare la volontà di Dio, con quella somma purità
d'intenzione che Dio vuole da noi".
In questa sesta lettera troviamo tutta la ricchezza che Gerardo offre alle
anime del nostro tempo, in cui si misconosce l'immenso valore del dono
totale di sè a Dio che ci permetterebbe di ricevere da lui quella
partecipazione alla vita divina offertaci da Cristo che in tutto ha compiuto
la volontà del Padre.
Magnanimità
È questa la piena libertà che Gerardo ha conquistato gradatamente, una
libertà che lo rende capace di donarsi a tutti. Se così non fosse Gerardo
conterebbe sulle sue qualità, sulla sua vita ascetica, sul suo lavoro, sulla
sua dedizione amorosa ai fratelli. Egli, invece, trova il suo centro nella
volontà di Dio che sulle prime crocifigge l'anima, ma dona come frutto il
dominio di sè e la gioia di appartenere pienamente a Cristo Divino Amante.
Quando il cuore è libero si verifica la capacità di amare pienamente Dio e,
in Lui, tutte le creature con lo stesso amore.
Infatti Gerardo senza alcun timore di mancare alla purezza della sua totale
donazione a Dio, potrà dire a Suor Michela, il 4 ottobre 1754, in un'altra
lettera queste parole:
"Non vi meravigliate del mio scrivere che vi fò così affezionato, perché vi
ha tre motivi, il primo è perché siete sposa di Gesù Cristo, e da tal io vi
stimo e venero; lo secondo è perchè siete figlia di Teresa mia cara e per
tal stima, che io ne ho, mi metterei lo sangue e la vita, per difendere
sempre e innalzare la gloria del mio caro Dio; lo terzo è perché siamo
fratello e sorella nel mio Signore, perché giustamente ci dobbiamo sempre
puramente amare in Dio".
Nelle espressioni di Gerardo si mettono in evidenza gli effetti acquisiti
nell'esercizio e nel dono dell'uniformità alla volontà di Dio: affidamento
di tutto l'essere umano nelle mani di Dio per realizzare ciò che dice S.
Paolo: "Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito" (I Cor. 6,
17).
Obbedienza
L'uomo diventa padrone di sè, nella misura in cui lascia che l'amore divino
invada il suo essere nelle circostanze della vita e negli incontri che essa
gli presenta. Dio si comunica attraverso molte mediazioni e per un religioso
tramite il superiore. Gerardo ne è convinto e scrive con il linguaggio del
suo tempo e della sua cultura: "La mia volontà stà tutta in mano dei miei
superiori... essi facciano che volino di me che io sono contento".
Nei Ricordi aggiunge "Mio Dio per l'amor tuo io obbedirò ai miei superiori
come mirassi e obedissi alla vostra stessa divina persona; e sarò come io
non fossi più mio, ma quello che voi stesso siete nell'intelletto e volontà
di chi mi comanda".
L'obbedienza diventa un omaggio immediato al divino volere. In Gerardo
assume e raggiunge una vera sublimazione e da virtù morale si evolve in
virtù teologale perché rappresenta l'omaggio di se al volere di Dio. I
superiori non sono più rappresentanti, ma sono per lui una manifestazione di
Dio stesso. L'ubbidienza diventa per lui peno occasione di miracoli.
Un giorno il superiore chiamò Gerardo e gli chiese se se la sentiva di
andare alla questua. Con grande sincerità il santo disse come si sentiva, ma
che in tutti i modi sarebbe andato allegramente. Dubitando però il superiore
che potesse farcela, gli pose una mano sulla fronte e pensò "Io voglio in
nome della SS. 7y-inità che passi bene (cioè che tu stia bene)". Al che
Gerardo: "Si, voglio star bene". Il superiore rimase attonito nel constatare
che gli avesse letto il pensiero.
Gerardo partì per la questua in tutte le zone della diocesi, costellando il
viaggio di miracoli, guarigioni, pace tra famiglie, conversioni
strepitose... anche se, per il grande strapazzo, il caldo e il lungo
camminare, la salute peggiorò fortemente.
Un'altra volta il p. Fiocchi mandò Gerardo a Lacedonia con una lettera. Gli
ordinò di prendere il cavallo ed il santo partì. Ma poco dopo il superiore
pensò: "Ah se fosse qui Gerardo! Ho dimenticato una cosa importante"! Non
passò molto tempo che intese bussare alla porta. Era Gerardo. "Ah sei tu,
che vuoi? chiese assai sorpreso, che cosa ti è successo"? "Nulla, lei mi
voleva ed eccomi qui". Fece una genuflessione davanti al superiore
porgendogli la lettera. Il p. Fiocchi, pieno di stupore, prese la lettera,
aggiunse quanto mancava e Gerardo ripartì.
Si confermò così nel padre sempre più la certezza della santità di questo
suo umile figlio. Di questi fatti ne avvenivano tanti. Non ultimo, (episodio
già riportato tra il Rettore Maggiore S. Alfonso e Gerardo al momento della
calunnia.
L'ubbidienza conduce Gerardo ad una povertà interiore senza limiti. Solo il
vero povero ubbidisce pienamente, perché sa di non possedersi e non vuole
possedere nulla. Solo Dio è la sua ricchezza!
Al n° 4 dei suoi Ricordi dirà: "Sarò poverissimo d'ogni piacere, cioè di mia
propria volontà, e ricco di ogni miseria".
Vita di preghiera
Ad un mondo che ha tanto bisogno di intimità con Dio, sia pure
incosciamente, Gerardo mostra la sua vita d'incessante preghiera.
Le sue lettere hanno delle continue esclamazioni e invocazioni alla Divina
Maestà. Il suo sguardo è fisso in Dio. Se qualcuno ritiene che l'intimità
con Dio sia un'alienazione da tutto e da tutti per un godimento personale,
ritrova in Gerardo che tale asserzione è solo frutto di mancanza
d'esperienza, perché chi si inabissa in Dio, si trova inabissato negli
uomini, ai quali dona quel Dio che possiede.
Egli non aveva responsabilità diretta, non essendo sacerdote, tuttavia per
volontà dei superiori, avvicinava molte persone, avendo così modo di operare
per loro, prodigi e miracoli per la potenza di Dio che gli aveva concesso il
dono di vedere chiaramente la realtà delle anime. Nei momenti della prova,
che per divino volere non gli sono mancati, egli sente ravvivare in sè non
solo la fede ma ancor più la speranza, che lo unisce fortemente al suo
Signore, facendogli pregustare quasi il possesso di Dio stesso. Gerardo si è
inserito nelle circostanze della vita con la fiducia e la semplicità di un
bambino, senza mai porsi il problema di come conciliare lo sviluppo della
sua personalità e le esigenze dell'obbedienza religiosa che per lui è stata
la croce su cui ha compiuto la propria immolazione.
La sua persona ha trovato la libertà piena, attingendo alla vera sorgente,
nell'esecuzione amorosa del volere di Dio, espressogli dai superiori e
insegna a noi tutti che possiamo trovare la vera serenità di spirito, di cui
oggi sentiamo fortemente il bisogno, solo se ci lasciamo condurre come lui,
dalla mano paterna di Dio.
Gerardo aveva i momenti privilegiati di preghiera in cui non raramente la
sua unione con Dio raggiungeva la visione estatica del trascendente, ma la
preghiera nella sua componente essenziale, dava consistenza a tutta la sua
vita.
Egli ci ha lasciato un'indicazione valida anche per i nostri giorni in cui
ci lamentiamo di non saper trovare il tempo per pregare. Così egli scrive
nel suo Regolamento: "veramente quanto si fa e si fa per Dio solo, tutto è
oratione".
Carità
L'essenza di ogni spiritualità è condensata nella carità. Se questo vale per
ogni santo, vale, in modo specifico per Gerardo.
La carità è anche il linguaggio più accessibile a questa nostra generazione
che, come asseriva Paolo VI, cerca più che i "maestri", i testimoni.
Quando Gerardo asserisce "Qui si sta facendo la volontà di Dio, come vuole
Dio e per quanto tempo piace a Dio", ci svela il segreto della vita
interiore, costruita su un amore semplice e forte, su una contemplazione del
Dio Amore che comunica alla sua creatura la vita e la salvezza e che esige,
come risposta, un abbandono totale.
In Gerardo l'obbedienza alla volontà di Dio, al di là di un aspetto ascetico
di rinuncia al proprio volere, ha una dimensione fortemente teologica e
mistica perchè centrata in Dio. Così egli scrive a sr. Battista della SS.
Trinità: "il centro del vero amore di Dio consiste ad essere in tutto data a
Dio e sempre e in tutto conformata al Suo divino volere e in colà fermarsi
per tutta l'eternità".
Forse, nella prima giovinezza, aveva accarezzato il sogno di una vita
eremitica fatta di solitudine contemplativa, ma la sua affermazione,
riportata dal p. Caione: " Io voglio solo Dio. E per Dio, non voglio Dio, ma
solo ciò che vuole Dio", ci dà, come in un gioco di parole, la chiave di
lettura del commento dello stesso p. Caione: "Egli amava la solitudine ed
era anima di orazione e di sublime contemplazione: e pure mandato dai
Superiori fuori casa, ci andava allegrissimamente, come se questa fosse la
sua vocazione".
La radice del suo interessamento, la sua passione per gli uomini suoi
fratelli, sta tutta qui.
In essi egli trova il suo Dio e sa amarli con uno stile personalissimo,
libero, concreto, universale. Può scrivere alle "sorelle" che ama in Cristo,
espressioni come quelle della lettera a Isabella Salvatore, l'ultima scritta
di proprio pugno a poca distanza dalla morte:
"Figlia mia cara, non vi potete immaginare quanto vi amo in Dio e quanto io
desidero la vostra eterna salute, perchè Dio benedetto vuole che io tenessi
un occhio particolare su della vostra persona. Ma sappiate, figlia
benedetta, che il mio affetto è purificato da ogni ardore di mondo. È un
affetto divinizzato in Dio... E come io amo voi, così amo tutte le creature
che amano Dio". La carità spirituale di Gerardo non si limita all'ambito dei
conventi o delle giovani da avviare ai monasteri; la stessa fraternità egli
usa con qualche sacerdote ammalato di scrupoli e che ricorreva alla sua
parola illuminata e rasserenatrice. Così scrive a don Gaetano Santorelli,
tentato di abbandonare il ministero della Confessione. "Le vostre angustie e
dubitazioni sono tutte arti del nemico infernale, il quale tratta di farvi
perdere la bella pace dell'anima. Su del continuo scrupolo che avete per la
Confessione, in verità vi dico che questo vostro rammarico è una gran
tentazione per farvi lasciare l'impiego in Dio, che vi fu destinato sin ab
eterno per vostro sommo profitto spirituale".
Dello stesso tono è la lettera a p. Francesco Gazzilli "Or via non più
temete, ma statevi allegramente, che Iddio è con vostra Reverenza e spero
che non sarà per lasciarvi" e con realismo e sano equilibrio aggiunge: "Che
se poi abbiamo qualche piccolo difetto e vi caschiamo, pensiamo che li santi
non furono puri spiriti in terra".
Era amico dei poveri, ma non rifiutava l'ospitalità delle famiglie
benestanti dalle quali otteneva anche aiuti per chi viveva nell'indigenza.
Si occupava principalmente delle loro condizioni spirituali.
Così a un gentiluomo rimasto anonimo e travagliato per vari "patimenti"
scrive: "lo Spirito Santo sia quello che vi faccia conoscere quanto più
dovreste patire per amore di chi tanto patì per amor nostro"; e un altro
gentiluomo in cerca di sistemazione e che sperava da Gerardo un aiuto presso
i potenti, viene da lui compreso e compatito: "io l'ho mandato a dire al
Duca... ma non ha comodo per ora di situarvi" e, con una punta sottile e
velata di rimprovero per una vita forse non esemplare, aggiunge: "Lasciate
fare a Dio: come voi vi porterete con Dio, così Dio vi aiuterà".
La carità profonda verso tutti non gli impedisce di essere forte di fronte
ai soprusì. A un giovane, figlio di una famiglia molto amica, rimprovera di
aver tentato di circuire una certa Caterina, consacrata a Dio nel mondo e
con espressioni che anticipano il tono di un fra Cristoforo nei Promessi
Sposi, esclama... '7e dico che ella è difesa da Dio e da me... E se sto
lontano, sappi che nessuna cosa è impossibile a Dio". La lettera si chiude
con un accenno pieno di fraterna comprensione pur nell'affermazione di una
verità ineludibile e tragica... "sai il bene che ti porto e poi ti avanzi a
tanto? Ma ti perdono perché fosti trasportato dalla vostra gioventù, poichè
chi sta in tale stato, non pensa l'inferno e l'infinita perdita di Dio".
I suoi "clienti" preferiti, tuttavia, si trovano "in quella massa di povera
gente" di cui ci parla il Ferrante, "formata da pecorai, vaccari,
braccianti", piccoli artigiani alle prese con i problemi quotidiani della
vita. Egli pur nella visione di fede della salvezza cristiana che guarda al
destino eterno dell'uomo, sapeva farsi prossimo e sentire come proprie le
necessità dei fratelli.
Prima di entrare nella Congregazione, distribuiva con facilità il poco che
guadagnava nel suo mestiere di sarto, era pronto ad aiutare chi era nel
bisogno fino ad offrire "la sua giamberga", da poco donatagli dallo zio
cappuccino.
In convento, come ci riferiscono numerose testimonianze prodotte nei
processi canonici, era sempre pronto a strappare i lavori più faticosi ai
confratelli per farsene carico, sempre disponibile a cedere i suoi abiti,
fino a starsene, anche d'inverno "tremando di freddo con la sola sottana e
camicia".
"In casa il peggio era sempre il suo: le peggiori stanze e più scomode, le
vesti più vecchie e più lacere, le peggiori biancherie e il letto
miserabile... Quando arrivavano in casa forestieri, e non c'era come
rimediare, il letto di Gerardo era pronto, ed egli, così come racconta il
padre Cafone, se ne andava a dormire dentro la Chiesa, dietro l'altare
maggiore".
Gaetano Trerrotola parla della cura particolare verso i malati e Antonio
Saporito ricorda l'episodio toccante di un eremita infermo, abbandonato da
tutti e che Gerardo assistette fino alla morte, incurante del fetore che
emanava da quel povero corpo in disfacimento.
Il p. Ripoli apprese dal p. Tannoia l'episodio sconcertante dell'armigero
del duca di Bovino (Foggia) che dopo aver malmenato il povero Gerardo, si
vide presentato da lui, agli occhi stupiti dei confratelli, nel convento di
Deliceto, come un benefattore degno di ricompensa per averlo soccorso in una
caduta da cavallo.
Ugualmente ammirati e quasi divertiti rimaniamo noi, al racconto di una
visita di Gerardo all'ospedale degli Incurabili, quando due pazzi, presi
dall'entusiasmo l'afferrarono così stretto che affatto non si poteva muovere
nè scappare dalle loro mani, mentre esclamavano: "Non ti vogliamo far
partire più da noi; noi non troviamo un altro che consoli come te". A stento
fu liberato da un altro energumeno che, dato uno scrollone, lo liberò dopo
averlo onorato col titolo di "medico dei pazzi".
Il colmo della sua carità si verificò nelle varie missioni di "questua"
richiestegli dai suoi Superiori, in cui miracoli e prodigi fiorivano sotto
quelle mani scarnite e diafane, quasi irreali ali impalpabili.
Nella terribile invernata del 1754, ultima della sua vita, è insignito a
Materdomini del titolo di portinaio col compito di distribuire l'elemosina
ed egli, felice, offre a piene mani pani, farina, cibi, vettovaglie, abiti
rimediati, tutto col disappunto dei confratelli che vedono saccheggiati
dispense, forni, cucine, pentole, ripostigli, mentre Gerardo, con un
serafico sorriso, li ammonisce ad avere soltanto "fede"; infatti la
Provvidenza, sotto gli occhi esterrefatti dei confratelli, a piene mani,
riempie dispense, forni, cucine, pentole e ripostigli e lui ... si permette
il lusso di andarsene in estasi nella portineria del convento davanti alla
folla rapita dei suoi amati poveri, al suono strimpellato di un povero cieco
che esegue il motivo composto da S. Alfonso e prediletto da Gerardo "il tuo
gusto e non il mio".
È veramente "il pazzerello di Gesù". Colui alla cui morte uno sciame di
poveri, secondo quanto ci riferisce Antonio da Cosimo, convenuti in quel
collegio, piangendo e singhiozzando facevano tenerezza nel ripetere ad ogni
passo: -Abbiamo perduto il nostro Padre! È morto il nostro Benefattore -.
Per questa sua carità così concreta, così spicciola, Gerardo rimane un
esempio luminoso per i nostri tempi, perché tutti possiamo inchinarci
davanti al "Dio di Gesù Cristo" "solo all'interno di un'esperienza umana,
integrale, personale e comunitaria, concreta e pratica nella quale la
consapevolezza della verità trovi riscontro nell'autenticità della vita",
come afferma al n. 9 il documento della Chiesa per gli anni '90:
"Evangelizzazione e testimonianza della carità".
La forza di persuasione di Gerardo nel condurre gli uomini di ogni tempo
sulla via della salvezza è "il volto umano" della carità autentica che
risplende nella sua umile persona, maceratasi al fuoco di quell'amore che
Cristo è venuto a portare sulla terra.
Attenzione premurosa mariale
L'elemento mariale che caratterizza la vita di tutto il popolo di Dio, segna
la strada per ripensare il valore della donna nella chiesa e consente di
evitare all'interno della chiesa, l'ineguaglianza di cui la donna soffre
nella società. Nella comunità cristiana Maria indica la strada per
l'affermazione dell'uguale dignità dell'uomo e della donna, nella diversità
di carismi e di servizi. L'elemento mariale esalta il significato della
femminilità invece di affievolire l'immagine della donna, nel tentativo di
abolire ogni differenza e complementarietà con quella dell'uomo.
Nella spiritualità di S. Gerardo c'è questo aspetto singolare e non meno
interessante: l'attenzione premurosa per la donna, riflesso della
spiritualità mariana. Giovanni Paolo 11, in apertura della lettera
apostolica sulla dignità e vocazione della donna, scrive: "la dignità della
donna e la sua vocazione, oggetto costante della riflessione umana e
cristiana, hanno assunto un rilievo tutto particolare negli anni più
recenti" (Mulieris Dignitatem n. 1).
Non può quindi non stupirci la stima e quasi la venerazione che Gerardo
nutre per la donna, in pieno clima giansenista e in un contesto sociale
arretrato, ai margini dei grandi movimenti culturali del tempo. Del resto
l'atteggiamento del nostro santo nei confronti della donna non aveva la sua
origine in nessuna ideologia, ma scaturiva dalla radice cristiana che da
sempre ha considerato Maria "Colei che assume in se stessa e abbraccia il
mistero della donna ... all'interno del mistero di Cristo (Mulieris
Dignitatem n. 11).
Certo Gerardo non conosceva questa difinizione così chiaramente espressa due
secoli dopo, ma nella sua semplicità, intuiva il legame che misteriosamente
legava Maria, assimilata a Cristo Crocifisso, alle donne che attraversarono
il cammino della sua vita. Sappiamo che a Madre Maria di Gesù aveva scritto:
"... l'unica ragione, che mi tocca al vivo del cuore, e che tutte voi spose
mi ricordate e rappresentate la Madre divina. Io in tale (condizione) vi
stimo" (16 aprile 1752).
Come per Gesù, il suo comportamento poteva costituire "una chiara novità
rispetto al costume allora dominante" (Mulieris Dignitatem n. 13) o
provocare lo stupore di chi "si meravigliava che stesse a parlare con una
donna" (Giovanni 4, 27).
L'attrazione di Gerardo per la donna era originata in gran parte dalla sua
stima per la vita religiosa, per cui incoraggiava e sosteneva le vocazioni,
e le giovani lo ripagavano facendo tesoro dei suoi consigli così efficaci da
far dire a S.E. mons. Vito Maio, Vescovo di Muro Lucano, che "valeva più una
"chiacchierella" di Fratel Gerardo che le stesse prediche dei Padri
Missionari".
Ricordiamo l'apostolato specifico che esercitò il santo nei monasteri delle
Domenicane di Corato, delle Benedettine di Atella e Calitri, delle Clarisse
di Muro Lucano, delle Teresiane di Ripacandida, delle Benedettine di Corato,
delle Clarisse di Melfi e del conservatorio del SS. Salvatore di Foggia ed
il grande fervore che fomentò per le vocazioni femminili, tanto da
affrontare quella dolorosa calunnia che pose il suggello alla sua santità.
Ma chi erano le donne concrete che Gerardo conobbe nella sua breve vita e
con le quali strinse relazioni di stima, di fraternità, di amicizia
spirituale?
Già si è fatto cenno di alcune di esse là dove si parla della venerazione di
Gerardo per la "bella volontà di Dio" e là dove si presentano le sue
intuizioni pedagogiche.
Sr Maria di Gesù era la priora del monastero delle Carmelitane Scalze di
Ripacandida la cui fondazione era stata voluta dallo zio della stessa sr
Maria.
Abbiamo già accennato alle vicende di questo monastero e alle sofferenze
causate dalle incomprensioni della stessa autorità ecclesiastica. Sr. Maria
era un'anima profondamente mistica, giudicata "visionaria" da chi non la
conosceva profondamente. Ci sono delle lettere piene di saggezza scritte da
S. Alfonso, il grande teologo moralista, che pongono nella luce esatta
questa creatura tormentata dal dubbio di essere idolatra di se stessa,
attratta nello stesso tempo da una forza divina irresistibile per cui
scrive: "Padre, fatemi la carità di consigliarmi e di farmi che non sia io
idolatra di me stessa, fatemi stare senza timore" (dicembre 1750) a cui S.
Alfonso risponde, rassicurando la suora e indicando la ragione della sua
assimilazione a Cristo dopo la Comunione, come effetto del Sacramento per
cui con s. Paolo si può esclamare: "Non sono io che vivo, ma è Cristo che
vive in me".
Nel periodo della prova per il monastero carmelitano quando il Vescovo dà
proibizione di qualunque contatto, nel gennaio 1752 S. Alfonso, dopo aver
espresso il suo rammarico per "i travagli" della comunità, esorta tutte le
suore a vedere la volontà di Dio nelle disposizioni del vescovo. Quanto al
problema specifico esposto più volte da sr. Maria, S. Alfonso vi mette fine
nella lettera del 28 marzo 1753 con alcune considerazioni altamente sagge:
"Per quello poi che mi soggiungete, che state con tanti timori e dubbi e che
tanti Padri vi chiamano illusa ed ingannata, mi consola più questo che se
sentissi che aveste risuscitato dieci morti. Tutto ciò mi assicura che non
siete illusa nè ingannata. Le illuse credono pienamente ai loro inganni. Ma
voi ne temete. Questo è segno che non siete illusa... Io vi assicuro che voi
nè ingannate, nè siete ingannata".
(questa è la figura di donna con la quale Gerardo vibrava all'unisono e alla
quale poteva scrivere: "Non vi è volta che io vado al Signore, in verità vi
dico, tante volte vi rimiro dentro al suo sacratissimo costato" (22 gennaio
1752).
E ancora: "O Dio, che somma contentezza avutami quest'oggi nell'interno! con
l'aver ricevuta la sua stimatissima, da me tanto bramata" (16 aprile 1752) e
nella stessa lettera rivela la radice dei suoi sentimenti: "Non vi
meravigliate se io vi scrivo così affezionato, essendo l'unica ragione che
da me veniate stimate per vere dilette spose di Gesù Cristo e per tale
(ragione) mi muove la divozione di conversare continuamente con voi" (Melfi
16 aprile 1752).
Nel periodo di prova per le carmelitane: "il zelantissimo vescovo di Meli,
come ci narra il p. Caione, sapendo benissimo il carteggio che passava tra
Gerardo e quelle buonissime religiose, forse per provare la virtù dell'uno e
delle altre, o per altri giustissimi fini, proibì a quelle che non avessero
più scritte lettere a chicchessia e anche a fratel Gerardo".
Questi scrisse una lettera (24 aprile 1752) in cui l'affetto che nutre per
sr. Maria e per le sue consorelle, è sublimato in una visione altissima di
fede: "Io mi dichiaro contentissimo che non mi scriva più, come anche dico
alle sorelle... e se il mio superiore non mi manda qualche volta, non serve
vedervi, poichè ci vedremo in Paradiso. E mentre che stiamo in terra, ci
vogliamo far santi con la volontà degli altri e non colla nostra".
Ma Gerardo alle sue sorelle nello spirito non rivolge solo parole di
incitamento, egli chiede soprattutto aiuto di preghiere in modo particolare
nei momenti in cui le prove interiori gli attanagliano lo spirito.
Innumerevoli sono i passi delle lettere a riguardo; a sr Maria nel maggio
1753 scriveva: " lo sto afflitto e sconsolato assai". L'11 luglio dello
stesso anno a sr Michela: " Io sto male"; il 21 luglio: "Io sto assai
afflitto". Nella lettera già citata dell'inverno-primavera 1753 lancia un
vero grido d'aiuto: "Madre mia, se non m'aiutate sono gran guai per me.
Perchè mi vedo tutto abbattuto e in un gran mare di confusione: quasi vicino
alla disperazione. Mi credo che per me non v'è più Dio, e la sua Divina
misericordia è finita per me... Se veramente vi sta la santa fede con voi,
ora è tempo di aiutarmi e pregare fortemente Dio per me miserabile".
La lettera è indirizzata a Madre Maria di Gesù, sua vera sorella spirituale,
di cui egli ammirava la levatura interiore, ma alla quale, in un momento di
fragilità umana per la sua mancata rielezione a priora, non esita di
scrivere: "Mi dite che adesso che non sarete priora, tutti si scorderanno di
Vostra Reverenza. Dio mio, e come lo potete dire? E se mai si scorderanno le
creature, non si scorderà di voi il Vostro Divino Sposo Gesù Cristo...
fatevi santa grande, perchè adesso avete più tempo di prima, perchè non
avrete tanti affanni come prima" (maggio 1753). Ma a Madre Michela che aveva
preso il posto di sr. Maria come priora, delicatamente scrive nel giugno
1753 "vi prego che vi sia nel cuore sr. Maria di Gesù e poichè ben sapete
che lei vi è stata madre dal principio e vi ha allattato con il latte
dell'amore di Dio".
Anche con Madre Michela Gerardo strinse vincoli di santa amicizia. A lei è
rivolta la mirabile lettera riportata in gran parte nel capitolo riguardante
la "pedagogia gerardina", a lei la toccante espressione: "siamo fratello e
sorella nel mio Signore perciò giustamente dobbiamo puramente amarci in
Dio"; a lei come altre volte a sr. Maria, egli chiede di dare l'obbedienza
alle figlie di ricordarsi di lui, nelle loro sante orazioni, anche a Lei
confida: "Io stò malissimamente. Pregate per me", ma nello stesso tempo
fraternamente la consola: "È certo che se io venissi così vi consolerei
perchè so le vostre pene. Non è niente: sopportatele allegramente c tutte
per Dio solo" (4 ottobre 1754).
Il p. Capone, curatore della raccolta delle lettere del nostro santo, dice
"Ma vi era un'altra grande personalità di suora con la quale ... camminava
nella immensità di Dio senza visiera: sr Maria Celeste Crostarosa".
Nata a Napoli il 31 ottobre 1696, era stata all'origine della fondazione
delle redentoriste e dei redentoristi; ispirata dall'alto aveva rivelato a
S. Alfonso la sua missione di fondatore. Non compresa dal direttore Mons.
Falcoia e spacciata anche lei come visionaria, era stata espulsa dal
monastero di Scala. In questa dimensione di scarsa stima, giunse a Foggia,
dove fondò il monastero del SS. Salvatore. In esso, secondo quanto scrive il
p. Caione "Gerardo vi teneva continuamente il cuore e vi si portava spesso
con licenza dei superiori, animando quelle religiose con i suoi fervorosi
discorsi all'acquisto delle più sode virtù e della regolare osservanza".
Purtroppo il carteggio tra sr. Maria Celeste e Gerardo è andato perduto, ad
eccezione di una lettera che è un elenco di indulgenze ottenute dal santo
per mediazione di un padre gesuita; essa, se mette in luce un aspetto della
pietà popolare del tempo, non aggiunge molto alla conoscenza di questa forte
personalità. Ne abbiamo uno spiraglio nella frase tramandataci dal Tannoia:
"Vediamoci in Dio, ove stiamo e viviamo e uniti amiamo quell'unico nostro
bene Gesù che tanto ci ama" che sr Maria Celeste avrebbe scritto a Gerardo
al tempo dell'isolamento a causa della calunnia.
Mi sono soffermato, su queste due figure perchè esse sono emblematiche per
la conoscenza della stima e della venerazione che Gerardo ha per la donna.
Il suo epistolario così efficace nella sua semplicità, riporta altre lettere
significative: a sr. Battista della SS. Trinità nella quale, sentendosi
assimilato a Cristo e come Lui divenuto peccato per la salvezza dei
peccatori, scrive una frase fortissima di sconcertante umiltà: "Pregate Dio
per me, perchè io non sono più uomo, ma son uomo trasformato in bestia,
perchè mi faccio vincere e levare dalle mie proprie passioni". Alla
giovanissima sr Maria Celeste dello Spirito Santo il 28 agosto 1754 da
Napoli, la città del canto, manda un libretto di canzoncine da lei
richiestogli, con la raccomandazione: "Cantate alla vostra cella acciò vi
facciate santa grande". Ad una religiosa anonima scrive: "Ciò che patite non
sono causa di tenerci afflitta, ma bensì. di farvi umiliare innanzi a Dio e
di farvi confidare maggiormente nella sua divina misericordia". E infine, a
pochi giorni prima della morte, rivolge a Isabella Salvadore una stupenda
lettera già altrove menzionata.
La stessa libertà di spirito evidenziata nelle lettere, Gerardo assumeva nel
contatto con le persone. Perciò, secondo quanto ci dicono i testimoni al
processo canonico, poteva dire con semplicità alla signora Emanuela
Cappucci, madre di alcune giovani figliole, un pò perplessa per il tratto
familiare di Gerardo: "Signora mia, sei ingiusta con me, pensando del mio
trattare colle tue figliole, io tratto secondo il cuore di Dio, però lodo la
tua prudenza".
Dal cielo Gerardo prosegue la sua attenzione per le vergini che si
consacrano a Dio con un'offerta totale e benedice le loro mani protese verso
i bimbi, i poveri e i vecchi. È significativa la fondazione di un pio
sacerdote Mons. Mosè Mascolo che, nei primi decenni del nostro secolo, volle
a S. Antonio Abate (NA) un Istituto che tramandasse lo spirito di Gerardo e
il suo messaggio di carità nel servizio amorevole verso gli infermi e i
vecchi e nella missione educativa dei giovani e dei bimbi: carisma specifico
della Congregazione di diritto pontificio "Le Suore Gerardine", presenza e
segno della carità in Italia e all'estero.
Ma la predilezione di Gerardo per le donne non si ferma qui, perché egli,
sulla terra, proteggeva le madri che gli ricordavano "Mamma Maria", come
egli chiamava affettuosamente la Madonna. Accettava anche l'ospitalità di
signore benestanti, come Donna Nunzia Graziola, la Signora Salvadore, la
Signora Cappucci e le altre, talvolta con l'intento di una "limosina" magari
per la dote di qualche ragazza da monacare.
Sono molteplici poi i prodigi da lui operati per le madri in gestazione o in
angustia per la salute dei propri bambini. Reliquie o libri della sua
biografia ottennero autentici miracoli. Nei "Processi" canonici viene
riferito che un ostetrico di Grassano (MT) esclamasse: "da molti anni io non
esercito più la professione di medico. L'esercita per me fratel Gerardo".
Sappiamo dalla tradizione che anche durante la sua vita terrena non
mancarono fatti prodigiosi: due fazzoletti donati a due giovani donne e poi
tramandati ad altre, salvarono più di una volta mamme e bambini.
Il p. Tannoia, dopo la morte di Gerardo, scriveva: "Questo fratello viene
invocato specialmente come il protettore delle parturienti in pericolo ...
Non vi è madre che, al momento di dare alla luce la propria creatura, non
tiene vicino la sua immagine e non invochi la sua assistenza".
Di qui la tradizione di benedire il 16 ottobre, la festa di S. Gerardo, i
fazzoletti con l'immagine del Santo, offerti poi alle giovani spose.
Sappiamo anche che il suo culto, come Protettore di mamme è bambini, si
diffuse bene presto ovunque.
In definitiva possiamo dire che Gerardo vede la donna nella sua semplicità,
intuisce la naturale disposizione sponsale della personalità femminile "che
trova la sua realizzazione nella verginità intesa non come rinuncia ma come
dono incondizionato a Dio per i fratelli; e nella maternità vissuta come
dono sincero di sè... nella consapevolezza di partecipare con il suo
sposo... della potenza creatrice di Dio". (Mulieris Dignitatem n. 18).
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