COMMENTO ALLE
CONSUETUDINI NAPOLETANE
DIVISO PER ARGOMENTI
AUTORE R.P.D. ANDREA
MOLFESE
Professore dei chierici
regolari, di entrambi i diritti e di sacra teologia.
Hai, lettore, in
questo volume una vastissima materia, spiegata con molta cura, sulle
successioni, tutte le rinunzie, alimenti, doti e donazioni per
nozze.
Sono stati
aggiunti pareri dello stesso autore che servono in modo
straordinario a delucidare i medesimi argomenti.
L’opera sarà
molto utile a tutti gli studiosi non solo in questa città e in
questo regno ma anche dovunque sono in vigore i decreti per i quali,
in
presenza di
maschi, le donne non godano di successione, come apparirà a chi la
esaminerà.
Con un duplice indice delle questioni e delle cose notevoli.
Con privilegio
del Re
Napoli Tip. Lazzaro Scorigio 1613.
Col permesso dei Superiori.
AL BENEVOLO LETTORE
Non mi sfugge, o amico lettore, che sono pochissimi quelli che vogliono
attendere lo scrittore all’ingresso della prefazione. Come
solitamente si fa, si preannuncia il succo, che sia di pubblico
dominio anziché in qualche modo sostanzioso. Io ho calcolato il
valore dell’opera, dopo gli studi di tanti uomini più dotti,
pubblicato per illustrare le Consuetudini napoletane; pur sapendo
che alcuni su questo argomento hanno fatto un ottimo lavoro,
tuttavia ho ritenuto di pubblicare un libro nuovo. Questo è stato il
motivo: mi è sembrato di vedere che su ciò molte cose sono state
trattate in modo assai oscuro e confuso. Sono del parere che gli
studiosi, per conseguire chiarezza, debbano trattare l’argomento
partendo dall’uso di casi simili e ridurre in sintesi parecchi
argomenti. Io quelle cose che con molta fatica e grandissima
difficoltà in altri libri sono state ricercate, le ho definite in
questo Commento in modo sintetico e facile. Non so né oso dire quale
risultato abbia conseguito; volentieri dico lo sforzo che ho fatto.
Quelli che l’hanno approvato, sono rimasti convinti e mi hanno
esortato a dare alla luce l’opera per l’utilità di tutti. Io ho
ritenuto di dover ottemperare ai loro voti, null’altro pretendendo
che la gloria di Dio e il bene del prossimo.
Pertanto, benevolo lettore, ti affidiamo la nuova edizione dell’opera;
come si dice, abbiamo dato luce alla vecchia immagine: una nuova
esposizione al volume in uso, una nuova chiarezza ai costumi e alle
leggi del vecchio Regno. E a ragione il volume è intitolato
Commentario, tendendo alla spiegazione e all’abbellimento di tutte
quelle cose che fino ad ora gli altri giuristi hanno scritto su
questa materia.
Dunque, solo perché quei mietitori mi hanno preceduto, io che faccio la
spigolatura sarei stato inutile. Molte cose essi hanno omesso che
noi posteri abbiamo annotato. Molte cose abbiamo reso migliori o più
chiare sia nell’ordine che nello stile. Né ciò deve meravigliare.
Molto l’età presente ha insegnato, che è rimasto nascosto ai non
addetti. Noi abbiamo aggiunto parecchie risposte dei giuristi, che
sono state ritenute necessarie ad illustrare questo procedimento.
Facilmente ognuno capirà se il vecchio volume si può accostare a questo
nostro. Dico ciò, perché nessuno mormori contro di me, come se
avessi compiuto un’azione inutile e, come si dice, avessi speso una
fatica vana. Ciò che per noi avrebbe potuto essere di lode molto
volentieri abbiamo eliminato, non ignaro che non c’è bisogno
dell’edera per bere il vino [nota mia: i Romani nelle orge si
cingevano il capo di edera in onore di Bacco].
Stammi bene, dunque, lettore; io che ritengo di dipendere dal tuo
giudizio, spero di aver scritto qualcosa come nella mia intenzione e
gioisco se ancora qualcosa scriverò. Smetterò se non ti sono
gradito; se ti sono accetto, non temerò di continuare.
DIVISIONE DELL’OPERA
Ho ritenuto di dividere lo scritto in modo agevole, sì da toccare
nella prima parte per sommi capi della resistenza delle consuetudini
e che cosa esse dispongano; nella seconda trattare delle persone e
dei beni che si collegano a queste consuetudini; nella terza quale
disposizione sia permessa, essendo esse in vigore; nella quarta
discutere su che cosa succede a loro senza testamento e la materia
delle rinunce, essendo una delle cause della non esistenza della
successione; nella quinta degli alimenti da fornire, nella sesta del
diritto delle doti, nella settima del diritto relativo all’argomento
della quarta parte.
Non ho ritenuto riportare un apparato troppo lungo degli argomenti
né un’ampia aggiunta di scrittori [bibliografia]. Mi è sembrato
opportuno infatti tralasciare l’uno e l’altra, innanzitutto perchè
gli scrittori e gli esperti non devono usare astruserie e argomenti
risolutori che sogliono adombrare la verità, ma devono procedere con
uno stile piano e facile, come prescrivono i testi sulla naturalezza
delle cose di Trebel e di Nuper, e, dopo gli altri, Melchiorre
Palaez nel trattato sui Maggiori, par. 6; in secondo luogo, perché
allegare tanti scrittori troppe volte suole generare nausea e
formare un grosso volume senza utilità. Perciò ho cercato di citare
prima il testo o la glossa o l’autore classico e poi riferire quello
che assomma tutti gli altri. In tal modo credo di aver soddisfatto
tutti, potendo disporre nel testo dell’insieme degli scrittori.
Di nuovo stammi bene.


SECONDO TOMO
DELLE AGGIUNTE ALLE QUESTIONI
OVVERO AL PRIMO VOLUME DEL COMMENTO
ALLE CONSUETUDINI NAPOLETANE
Di R.P.D ANDREA MOLFESE
Hai in questo volume, o lettore, non
solo delle aggiunte a tutto il primo volume con il testo delle
medesime Consuetudini, arricchito di argomenti, ma anche di varie
questioni, di diverse materie sia sulla spiegazione del proemio sia
anche sui contratti tra marito e moglie, sul consenso della moglie
quando il marito procede nelle vendite, sui curiali o notai e sui
loro strumenti, materia questa amplissima, spiegata molto
accuratamente con lo stesso metodo del primo volume.
Sono stati aggiunti all’apparato dei
medesimi volumi 37 altre deliberazioni su materie del tutto concrete
e discusse in entrambi i tribunali.
L’opera è utile anche agli
ecclesiastici, come sarà chiaro a chi l’esaminerà. Ha due indici:
delle questioni e delle cose notevoli.
Con il privilegio del Re
All’Illustrissimo ed eccellentissimo
signore don Francesco di Castro, conte di Castro e duca di Taurisano
(Lecce), un tempo in questo Regno ora in quello di Sicilia,
benemerito vicario del Re.
Napoli, Tip. Lazzaro Scorigio, 1616.
AL
LETTORE
Vedono la luce,
amico lettore, con l’illuminazione della Vergine Deipara, quegli
argomenti che al primo volume del mio Commento sulle Consuetudini
napoletane avevo aggiunto soprattutto per mia utilità.
Poiché avevo
promesso nella prefazione della medesima opera di seguire l’autorità
di uomini eccellenti e i loro ammonimenti, decisi di non affidare
alle stampe quest’opera prima che l’avessero esaminata e giudicata
con occhio severo famosi giurisperiti e ciò sarebbe necessario per
ogni cosa.
Stiano lontani,
ora, quelli che tendono insidie con lodi non originali e divorano
gloriosi parti appena pubblicati mormorano tra sé, strepitano,
eruttano e propalano infamie. Mi piace non essere seguace di tale
opera, forse per il fatto che mi sembra di essere sciolto dai numeri
e dai calcoli di tutti, sicché si nega che a Ripacandida c’è
qualcosa di buono. Ma costoro, nati da un cattivo genitore,
precipitano nella perfidia dei Farisei, essi che, come attesta Beda,
non potendo negare le opere di Cristo, tentano di pervertirle con
una sinistra interpretazione.
Confesso che
quanto posseggo è naturale, poiché mi è stato dato tutto
ottimamente; tutto è un dono reso perfetto dall’alto, giacché
discendo dal Padre della vita.
Nulla ho
aggiunto che non fosse secondo me confermato dal diritto comune e da
quello consuetudinario, comprovato con annotazioni da illustri
autori e da senatori di questo regno. Se guardi l’ordine, la
disposizione, la serie, la selezione delle materie, i pareri, le
sentenze, i decreti, la forza del ragionamento, tutto ciò ho
derivato non dalla mia immaginazione ma dal tesoro delle leggi e
l’ho ordinato con tale intento. Forse che quanto ho concepito con
tanto studio, fatto anche con salute malferma, non l’ho prodotto con
tanta fatica, alimentato a spese delle mie forze e con molti disagi,
espresso con l’aiuto di uomini famosi e condotto ad uno stato di
perfezione? O è privo di lode ciò che è scelto tra molti per formare
una cosa sola e appena si mostra in forma distinta nelle sue parti
appare a parecchi in modo sparso e confuso?
Tutti noi
lodiamo Francesco Vittoria, persona enciclopedica, perché non solo
ha rivolto la sua penna ad illustrare la dottrina di san Tommaso
d’Aquino, ma ha anche ben raccolto in un Epitome che tutto ciò che
gli autori hanno scritto della Sacra Teologia. Pertanto, poiché io (
sia lontana la iattanza e l’ostentazione, giacché la
criminalizzazione degli avversari, per non dire la spudoratezza
della calunnia, costringe ad indicare spesso ciò) ho illustrato con
le parole degli antichi e le sentenze dei maestri del diritto le
leggi dei Napoletani e le ho portate ad uno stato tanto perfetto da
dare insieme ricchezza di dottrina e solidità a quanto in passato
era poco sicuro, confutato, assai confuso e poco chiaro, chi è
che mi possa togliere e non darmi il debito di lode?
Ma, seguendo il
detto del Signore “Lasciateli, sono ciechi e vogliono essere guida
dei ciechi”, per stare alle promesse, ho posto di nuovo mano a
scrivere e non mi ha dato noia riprendere parecchi o eccellenti
autori di diritto o quelli famosissimi di teologia morale. Ho
constatato ch è verissimo il famoso detto di Publio “L’allievo vale
ancor di più il giorno dopo”. Perciò, disponendo di molti argomenti
che rendessero più ricco quel primo Tomo, mi è sembrato opportuno,
dopo aver riflettuto, aggiungere non poche cose, esporne parecchie,
ampliare quelle sintetizzate, spiegare quelle poco chiare, metter
per esteso le parole delle consuetudini (per venire incontro
soprattutto agli stranieri), adattarle nei luoghi appropriati e
illustrare altri tre titoli delle medesime consuetudini e il proemio
con questioni concrete w convenienti, perché le tredici risposte del
diritto inserite nel primo volume fossero riportate nel mistico
numero delle indulgenze, aggiungere altre trentasette di vario
argomento, assai utili e praticati di frequente in entrambi i
tribunali. Per tutto ciò sono diventate più chiare e illustrate le
Consuetudini e la stessa opera più utile e piacevole.
Accetta,
dunque, candido lettore, con fronte gioiosa tutto ciò che è un
piccolo dono. Aggiungi al primo ciò che da esso è diviso. Ho tenuto
lontani gli esempi di altri, i consigli dei librai (per i quali ciò
era desiderabile) per stampare di nuovo queste aggiunte con il primo
volume. Ho rifiutato, perché non giustificheresti il prezzo del
primo, di dare alimento per i miei lavori al fuoco o alle tarme.
Il secondo
Tomo, che già da tempo avevo ultimato, abbraccia gli argomenti di
tutte le altre Consuetudini discusse in entrambi i tribunali e
risolte non sconsideratamente, aspetta, come si dice, l’ultima mano.
Mi affretto alla sua conclusione perché, con l’aiuto di Dio, sia
affidato al torchio (alla stampa) al più presto.
Intanto,
esprimiti con favore su questa mia opera, considera le fatiche, godi
delle cose buone, scusa quelle cattive, se sei colpito da qualcosa
degno di biasimo, rendimelo noto, così completerai la cerchia degli
amici. Ti saluto
1 - Difesa
apologetica del primo volume dell’autore e spiegazione del Proemio
(Dal Tomo Secondo Additionun ad quaestiones usuales seu ad primum
volumen Commentariorum consuetudinum neapolitanarum, pp. 2-4, nn.
1-23)
1.Se dal dottissimo Andrea Tirac ed anche da Napodano non fosse
stato dedotto che nel nostro diritto nulla è senza controversia o
contraddizione, sarebbe la moltitudine del contenzioso che ha
generato la legge. Il predetto Andrea ritiene che il contrasto
deriva dall’oscurità della legge, perché l’ambiguità e il
perpetuarsi dell’oscurità sembrano essere cicatrici di antiche
ferite; dalla debolezza della natura umana; infatti la natura
generante rinnova molte cose e perciò offre l’occasione di fare una
legge, così come molte volte è una sola questione a offrire
l’occasione di fare una legge generale. Ciò appare dalla Prammatica
prima, detta La Filingeria, sui feudi; dalla inclinazione a
contraddire, che ci è stata data dalla natura, per non citare altre.
Suole nascere dall’ostentazione e dal desiderio di ottenere gloria,
soprattutto se la contraddizione riguarda grandi uomini; questo
desiderio è innato in non pochi, come notano i predetti studiosi.
Se mi sono opposto a qualcuno, Dio mi è testimone e non mi perdoni
ciò nel giudizio finale se non ho creduto nella verità senza
l’intenzione di contraddire e perciò sono sempre pronto a revocare
il parere se sono convinto da ragioni migliori. Suole derivare dalla
credulità della verità, perché così la verità si fa più chiara e
crede che è così come fa la contraddizione ….
7- Se dunque non avessi letto queste cose, avrei avuto un
turbamento. Mi è stato riferito che molti dicono molte cose contro
ciò che ho scritto nel primo volume; non mi si dica di non credere
ad ogni venticello. Soprattutto quando la credulità è affrettata,
questa è maestra dell’errore e matrigna del consiglio. Tuttavia, con
le mie orecchie ho sentito alcune cose, benché non mi conoscessero;
i giovani non devono guardare a [ciò che molti antichi saggi non
hanno osato toccare. Altri dicevano che, mentre componevo l’opera,
dovevo discutere e argomentare tutte le questioni e sommare tutti
gli autori che parlano di quella materia; altri dicevano così, altri
ancora così.
8- Il libro che avevano i cittadini era per così dire poco chiaro
per la varietà delle aggiunte, e mentre abbiamo dato nuova luce alla
vecchia immagine, nuova esposizione ad un volume rovinato e nuova
chiarezza agli antichi costumi di questa fedelissima città, non si
può negare che abbiamo restituito questo libro per così dire allo
stesso popolo e per questo beneficio avrei dovuto avere un premio
piuttosto che calunnie. La cosa è ancor più grave, perché venuta da
uomini che avrebbero dovuto farlo, benché sia proprio del principe
esercitare la generosità verso chi ben merita. Per questo motivo,
uso i versi dei Salmi che Napodano ha citato contro i suoi
detrattori e calunniatori nel suo Proemio, e cioè: “Quelli che
rendono male per bene mi accusavano perché io cercavo il bene”
(Salmo 37); rimproverandoli, potrei dire con lo stesso salmista “Si
vestano di pudore quelli che mi accusano e siano rinchiusi dalla
loro confusione con un mantello”. Tuttavia, seguendo il precetto
evangelico, pregherò per chi mi perseguita e mi calunnia.
11 - Come dimostro che gratuitamente mi assalgono, stiano attenti
gli uomini saggi e i sapienti che sogliono giudicare cose simili. Il
vero è che di regola i giovani non dovrebbero balbettare quando i
sapienti parlano, come altrove ho affermato. Con varie leggi e
l’autorità di maestri ho dimostrato che molte volte anche i vecchi
non disdegnano di apprendere dai giovani, e se i giovani parlassero
meglio, sarebbero piuttosto da lodare che da riprendere, soprattutto
se parlassero in modo modesto e con ogni doverosa circospezione,
soprattutto nella ricerca della verità, anche perché nessuna offesa
si arreca ad uno più grande, se il minore si sforza di ricercare la
verità. Di qui, gli uomini colti comunemente insegnano che si
trovano molti giovani anche scolari che sono più istruiti di quelli
nominati maestri, e meritatamente sono preferiti a loro; i maestri
non dotti non devono godere del titolo di dottori, come sostengono
anche altri autori.
Ho detto queste cose non per volermi anteporre agli altri (Dio sa
che io non ho questa presunzione), ma perché, se l’opera è buona,
porta lode al maestro anche se giovane.
14 - Si aggiunge anche che, se guardiamo all’età, io non sono tanto
giovane, come altri ritengono; ho compiuto infatti 42 anni il giorno
6 di questo mese di gennaio 1616, come ho visto annotato nel libro
dei Battezzati dell’arciprete della terra di Ripacandida, mia
patria. Ne ho fede, sono nato nel 1573 il 6 gennaio e il giorno 8
dello stesso mese e anno sono stato battezzato. Sono venuto a Napoli
per motivi di studio e per più di 12 anni ho frequentato i tribunali
sia con il dottissimo e degnissimo uomo Paolo Staibano, mio maestro,
sia anche con altri sapientissimi uomini. Dalla loro pratica e
dottrina e dalle occasioni dagli stessi datemi, perché scrivessi
nelle varie cause, e dal continuo faticoso studio ho imparato molte
cose; ho anche scritto molte risposte giuridiche. Ciò fui costretto
a continuare nell’ordine religioso non già per i nostri litigi,
perché per grazia di Dio ne siamo privi, ma per compiacere nostri
amici e devoti, che sogliono avere maggior fiducia con uomini
religiosi, perché parlano della verità, distaccati dalle cose
mondane. Per tale motivo ho letto vari autori, ho tradotto numerose
e varie materie per la diversità delle cause e, poiché non mi
dispiace la penna e l’animo sperimenta ciò, molte cose ho accumulato
e le ho di conseguenza disposte nel precedente e in questi altri
volumi. Pertanto non sono da incolpare quelli che celebrano varietà
di cause, se aprono alla verità.
16 - Non importa che io non sia un cittadino originario di questa
città; non era un peso per me ma per i cittadini. Come ho detto, ho
dimorato per 22 anni in questa città e sono più che un cittadino,
giacché sono sufficienti 10 anni con l’intenzione di permanervi,
come sanno tutti, e tanto più negli ordini religiosi che sono
cittadini del medesimo luogo in cui abitano e godono del titolo di
cittadini. Qualora ciò non si verificasse e non succedesse
realmente, non sono degno di rimprovero; diceva infatti Seneca: “Non
ti spinga l’autorità dei precetti, ma guarda a chi ti favorisce con
una migliore capacità razionale”. E questa capacità, secondo gli
autori, dopo la giustizia e la verità, è sempre da riguardare e da
preferire anche nell’opinione comune, da chiunque si dica. Si guarda
all’opera, anche se io avessi parlato contro l’opinione comune,
perché se qualcuno esamina le questioni e parla contro, le sue
ragioni sono buone e migliori di quelle con le quali si muovono
quelli che seguono l’opinione comune. Le ragioni vanno ponderate,
non il numero dei dotti, potendo la sentenza di uno solo, forse di
bassa condizione o di autorità, superare in qualche parte molti e
maggiori, come ha stabilito l’imperatore [Giustiniano] e poi altri
autori, i quali insegnano che uomini sapientissimi, messe da parte
alcune opinioni comuni, hanno affermato sentenze contrarie che poi
sono diventate comuni. Pertanto, se ho parlato bene, non so perché
sono calunniato.
18 - Infine, per quanto riguarda gli argomenti e il numero degli
autori, già nella prefazione del primo volume ho fatto sapere di
aver evitato di proposito entrambe le cose, benché si dica che chi
procede per argomenti e per contrapposizioni scopre di più la
verità. Batoli ha chiarito che l’ingegno procede per
contrapposizioni, sicché quando alcuni autori si mostrano con
l’opinione di alcuni e non discutono gli argomenti, si dice che
parlano in modo superficiale e non devono essere seguiti né per la
sentenza comune fanno numero. Se il maestro si contraddice, pur
togliendosi regolarmente dal numero dei dotti, nondimeno, se discute
in qualche luogo di un argomento e in un altro si mostra con la
sentenza di altri in modo superficiale, si crede a lui di più nel
luogo dove ha discusso l’argomento. E ciò con somma ragione, perché,
quando discute di un argomento, parla con fondatezza, mentre altrove
lo fa con altri in modo vago e superficiale. Tuttavia, molte volte
ho omesso gli argomenti, ma ho esaminato l’articolo, l’ho comprovato
giuridicamente e con solidissime autorità; il che non è parlare in
modo superficiale, ma con espressione grave e adatta all’uso comune,
perché molte volte gli argomenti sogliono oscurare la verità. Queste
cose nelle scuole sono più necessarie che non in teoria; come diceva
il dottissimo Chiaccio: “Si scrive per i dotti e si legge per gli
indotti”.
21 - Ho anche omesso di proposito il numero degli autori per non far
nauseare i lettori, come ho annotato nella stessa prefazione. Credo
di averne raccolto non così pochi da essere annotato con questa
critica. Eppure di proposito ne ho omessi parecchi, anche assai
recenti; la persona colta deve avere molti libri, anche se
consumasse nel loro acquisto la metà dei suoi beni. Seneca nel I
libro del De tranquillitate vitae sostiene il contrario per
scacciare la vanagloria, perché la numerosa quantità di libri si
allestisce non in uno studio ma negli spettacoli. Chi infatti ha una
grande biblioteca a stento può leggere gli indici dei libri e
appesantisce più che istruisce il lettore e così lo mette in
soggezione. È molto più utile che tu ti affidi a pochi studiosi
autorevoli che errare con molti. Talora noi omettiamo i testi e
citiamo i più moderni; ma, come ho detto, credo di aver citato
autori a sazietà e da loro si vede la mia difesa, se non m’inganno.
22 - Poiché neppure il Signore ha voluto chiudere la bocca di quelli
che lo calunniavano, non è necessario portare il discorso ad altro,
pur potendo dire di essere lottato e perseguitato gratuitamente.
Infatti, tollera la persecuzione chi gratuitamente è accusato senza
crimine, è contrastato e con maggior danno quando è lodevole per
tale confessione; è contrastato in modo per così dire più velenoso
chi si gloria nel nome del Signore, come dice Sant’Ambrogio nella
esposizione del Salmo 118.
Nessuno vive senza una colpa, neppure un bimbo di un solo giorno.
Credo che non ci sia alcun delitto se, per conseguire la chiarezza,
riassumendo parecchi argomenti in pochi, li ho portati ad un metodo
ordinato; in questo si potrà giustamente dir male di me, ma
piuttosto potrò essere lodato per la confessione. Infatti, quando ho
inserito nel detto primo volume i riferimenti di altri dottissimi
uomini, ho confessato e non negato che essi erano proprio di quelli
e ho detto la verità e dico che, pur non dicendo il nome
dell’autore, tutto è mio. Non sono velenoso, perché mi glorio nel
nome del Signore e mi glorierò quando ogni bene diventa ottimo,
derivando dal Padre della luce, come insegna l’apostolo Giacomo.
Come predisse Isaia, un Pargolo è nato per noi e ci è stato dato un
figlio, è Dio, il Signore delle scienze. Egli fa che le lingue dei
fanciulli siano chiare, dà l’acume intellettuale, la facilità di
apprendimento, la sottigliezza d’interpretazione, la capacità di
ritenere, quando si fa ricco in tutti quelli che Lo invocano. Chi
dice ciò, è sufficiente come esempio. San Tommaso d’Aquino a 25 anni
fu detto maestro e pubblicamente interpretò i filosofi e i teologi
con somma lode; benché sia morto cinquantenario, tuttavia i suoi
scritti sono così eccellenti per moltitudine, varietà e facilità di
spiegare argomenti difficili, che per tal motivo ottenne il nome di
dottore angelico, come la Chiesa narra nelle letture del suo ufficio
del 7 marzo, come anch’io annotai nel detto primo volume. Per lui
solo, dunque, sono l’onore e la gloria. Chi opera tali cose e anche
maggiori toglie il povero dallo sterco, perché odori con i principi
e tenga il soglio della gloria. Voglia Dio che siamo resi stabili
nella fede, efficaci nell’opera e piccoli nella vita e nei costumi,
affinché secondo il disposto del Signore meritiamo di entrare nel
regno dei cieli e godiamo della vita eterna.
Ma ritorniamo alla spiegazione del proemio. Ho spiegato nel primo
volume tanto il proemio delle consuetudini che quello di Napodano
con le questioni discusse negli stessi anche con aggiunte che
riguardano la materia di queste consuetudini. Il proemio di Napodano
tratta di che cosa è la consuetudine, di quante specie e da chi può
essere introdotta entro un tempo; di ciò e di altre cose ho parlato.
Tratta, poi, delle persone e dei beni che sono legate a queste
consuetudini; le ho ampiamente illustrate in due titoli, come lì si
può vedere. Pertanto non sono necessari nuovi commenti.
In verità, le dette aggiunte, anche per quanto discusso da Napodano,
trattano di molte questioni riguardanti l’ufficio del re, la materia
della legge ed altro, in modo da soddisfare più gli altri che mi
costrinsero con esortazioni che me stesso. Ho posto questioni molto
importanti circa la predetta materia, per esempio sull’origine del
re, la sua autorità e i doveri, perché ciò è accennato all’inizio
del detto proemio ed anche è giusto far sapere ai sudditi da che
cosa deriva l’autorità del re e dove arrivano i suoi doveri. Per
connessione è stato necessario spiegare il dominio della monarchia,
della democrazia e dell’aristocrazia, perché si sappia quale dominio
il re abbia in questo regno.
Inoltre, poiché diciamo che il re è amante della verità, si è dovuto
spiegare se sia tenuto a giudicare secondo i documenti e le prove o
secondo la propria coscienza. La trattazione riguarda anche che cosa
si deve fare se lo Stato cadesse in rovina, a chi spetta la sua
restaurazione e con quali mezzi. Il re Carlo in questa città ha
usato molti mezzi per eliminare vane e false consuetudini che erano
la rovina della città e del suo distretto.
Infine, essendo il re tenuto per legge a provvedere a quelle cose
che concernono l’utilità dei sudditi, qualche volta con una legge
ampia è tenuto a spendere; perciò ho posto alcune questioni relative
a questa materia. Nella compilazione di queste consuetudini il re si
servì del sovrintendente di questa città; era opportuno spiegare se
il re necessariamente sia tenuto a ricorrere al Consiglio degli
Ecclesiastici nella trattazione degli affari, e così anche se
servirsi del Consiglio dei cittadini del luogo dei cui affari si
tratta o piuttosto ricorrere a forestieri.
Circa la forma della trattazione, poiché questa riguarda la
spiegazione del testo: se la legge corretta o lo spirito della legge
corretta possa essere allegata alla decisione delle cause, tale
spiega-zione è fatta nel paragrafo dell’ultima questione sulla fede
mediante una scrittura scoperta nell’archivio pubblico, quando il re
Carlo volle che queste consuetudini fossero conservate nell’archivio
pubblico.
Nessuno, dunque, mi può accusare di incostanza, se ho spiegato le
predette questioni; nella prefazione del primo volume ho detto di
non voler trattare questioni diverse dalla materia delle
consuetudini. Ho omesso queste questioni nel primo volume, perché
non ho inserito il testo delle dette consuetudini, che ora riporto,
ponendo anche le dette questioni.
Per quanto concerne la divisione del proemio, non c’è bisogno di
soffermarmi, anche perché Nicodano lo divide ottimamente, secondo la
comune divisione. È infatti manifesto che in ogni volume si
ritrovano quattro cause, cioè la efficiente, la materiale, la
formale e la finale, come tutti sanno.
La causa efficiente indica due tipi di consuetudini, una remota e
una prossima. Esempio della prima è l’università di Napoli, che
chiese che le sue consuetudini fossero approvate dal predetto re, il
quale aveva l’autorità di togliere e abrogare quelle che a lui non
sembravano giuste. La causa prossima è stato il re Carlo, che
confermò tali consuetudini. Il presidente e i 12 consiglieri non
sono annoverati nella causa efficiente, ma piuttosto furono cause
strumentali, come dicono i filosofi, perché furono eletti e deputati
a scegliere le vere e più razionali consuetudini tanto su ordine del
detto re quando anche per l’elezione della medesima città. Essi non
fecero ciò di propria autorità ma come strumenti, come avviene nella
compilazione delle leggi; perciò non sono compresi nella causa
efficiente. Solo il principe è la causa efficiente della legge;
sotto il suo nome si fanno le leggi; benché si serva del Consiglio
dei Saggi, se ne serve non per necessità ma per convenienza e onestà
per fare una legge giusta. Lo stesso è per il Sommo Pontefice che è
il solo ad avere la potestà di fare le leggi, benché per convenienza
e onestà sia solito sottoporle al Consiglio dei Cardinali.
Anche la causa materiale è di due tipi: una da quale materia e
l0’altra circa quale materia. Per la prima sono tutte le
consuetudini antiche, dalle quali sono state desunte e scelte quelle
razionali e più giuste; a tal fine, anche il diritto municipale è
giusto e buono, come deve essere il diritto in sé. La materia circa
la quale sono gli affari di cui parlano le consuetudini, come
insegna Napodano, ed è chiaro, perché materia delle singole leggi
sono gli atti che da esse sono riguardati, come materia e oggetto.
La causa formale è lo scritto, perché per la forma è stato
introdotto che le consuetudini non avessero altro valore se non
quelle redatte negli scritti. Il re Carlo ha abrogato tutte le altre
che non si trovano scritte in questo volume. Quindi, lo scritto è
per la forma in queste consuetudini, benché per l’essenza della
legge non serve la scrittura; questa infatti fu inventata soltanto
per futura memoria di un evento e così per la prova dell’atto.
È
sufficiente la volontà del legislatore, che vuole fare la legge e
con essa obbligare i sudditi alla sua osservanza. Se da quella
volontà del principe si mostrasse un modo espresso con cui volesse
obbligare i sudditi con quella legge, allora anche quel modo deriva
dalla forma intrinseca di detta legge, come insegna Batoli, senza
citare altri. Così è in questo caso. Re Carlo non ha voluto in altro
modo obbligare i sudditi con tali consuetudini, se queste non
fossero state redatte negli scritti.
Ciò è così vero che procede anche nella legge evangelica. Cristo
Signore, autore di questa legge, non l’ha scritta ma l’ha solo
affidata alla parola: ha avuto vigore per molto tempo e ha obbligato
prima di essere scritta, come scrivono i Padri della <chiesa e i
teologi. Questa legge evangelica fu scritta per l’occasione di
scrivere la vita di Cristo o di insegnare ai fedeli la dottrina
consegnata dallo stesso Cristo o di esortarli con le lettere, come
sembrava necessario agli Apostoli. Perciò lo Spirito Santo per la
sua ineffabile provvidenza con cui governa la sua chiesa, volle che
si scrivesse la legge per dare alla sua Chiesa le armi opportune
contro gli eretici, che stavano per esserci, negando che Cristo fu
il vero legislatore e con Lui non ci fu alcun precetto nel vangelo,
tranne la fede; essi che sono condannati come eretici per la chiesa
cattolica, come si ha nel Concilio di Treno 6 sessione canone 19 ss.
È
ben vero che questa legge evangelica fu data da Cristo perché
durasse in perpetuo nella sua Chiesa; e perché poi non cadesse in
dimenticanza o fosse corrotta per imperizia, negligenza o malizia di
alcuni o fosse mutata dagli uomini, volle che per speciale grazia e
provvidenza dello Spirito Santo fosse scritta nelle menti e nei
nostri cuori, come insegna l’Apostolo nella lettera agli Ebrei, 8,
cioè affinché rimanesse in perpetuo nel nostro intelletto per
l’abbondanza della luce della fede e della dottrina soprannaturale e
fosse anche nella volontà per l’abbondanza dello Spirito e
dell’amore. Ciò il Signore fece da sé, lo fece per gli apostoli e
mediante loro lo fece e lo dà in tutta la Chiesa Cattolica, perché
rimanesse in perpetuo in essa con la speciale assistenza e
l’abbondante grazia dello Spirito Santo. Ciò non era sufficiente per
la perpetuità di questa legge, benché non fosse scritta in qualche
carta, ma, come ho detto, fu scritta per la confusione degli eretici
e l’approvazione della medesima legge, come affermato dai Padri
della Chiesa e dai teologi.
Infine, la causa finale di queste consuetudini fu perché avessimo
consuetudini vere e certe, che fossero esenti e immuni dall’iniquità
dei calunniatori e dei menzogneri e gli stessi affari sortissero il
dovuto fine secondo verità. Questa è la causa principale di questa
compilazione, come qui si dice. L’uomo, quando è un agente
razionale, nel fare una sua opera e in ogni sua azione è mosso da un
fine, come è molto noto in tutta la filosofia naturale e si vede
dall’esperienza. Magari ci fosse sempre un fine buono per Dio, amato
nella verità! La causa finale deve soprattutto essere considerata
ancor più nella legge che tende sempre a un fine. Il fine della
legge è rendere i sudditi buoni e per questa causa, come la legge è
giusta, deve tendere ad un fine buono, cioè al bene comune dei
sudditi e con mezzi onesti ed opportuni, come insegna San Tommaso,
seguito da tutti gli studiosi.
Da queste cose non solo appare manifesta la spiegazione del proemio
e che le questioni ora aggiunte sono state necessarie e perciò ho
riportato le parole del testo, ma appare anche in modo sensato la
difesa al mio primo volume, che, come ho detto, ho posto di
passaggio non per contendere verbalmente con i calunniatori, perché
l’opera loda il maestro, come insegna santo Agostino, e l’effetto
prova la virtù. La legge umana non riguarda la volontà ma l’opera.
Dio, però, che scruta i cuori e che nelle opere guarda più
all’intenzione buona che all’atto, sa che il mio proposito è stato
ed è di servire a tutti, e anche se avessi avuto una cattiva
intenzione (che Dio mi liberi!), ancora Dio dalle cattive azioni
degli uomini ci ha abituato a operare il bene, come sanno tutti.
Quinti, anche nella legge non si guarda la volontà del legislatore,
se l’abbia derivata da una cattiva intenzione, ma se quella legge da
sé e per le sue circostanze sia giusta e conveniente per il luogo e
per il tempo.
Ma ritorniamo al nostro argomento. Prima porrò le parole del testo,
poi esaminerò le questioni, e questo farò in tutta l’opera.
2 - a) Quando i giudici possono essere sospesi
dall’ufficio?
b) I nati in una città si possono
dire più nobili di quelli che nascono nei paesi? Sono nobili gli
uomini di scienza o che eccellono nelle arti.
(Dal Tomo secondo di
Iuris Responsa – parte II di Additionum ad quaestiones usuales seu
ad primum volumen Commentariorum consuetudinum neapolitanarum.
Additiones ad Cons. 9, pp. 165-166, nn. 32-45)
a) Circa la sospensione degli impiegati, in nessun modo essi
possono essere sospesi, se da loro non sono state fatte prime le
dovute difese né mai la sospensione deve avvenire se non si prova
qualcosa di sostanziale contro l’impiegato. Questa decisione fu
presa dai giudici della curia della regia maestà per giustificare la
sospensione di Testai presso la regia maestà di Filippo II, di
felicissima memoria. Essi cercano di provare la giustificazione
della sospensione, non escludono però le prove ma solo giustificano
che, in pendenza dell’accusa contro un impiegato sia a tempo
indeterminato che a quello determinato, non si fa la sospensione
dall’ufficio ma si interdice a lui l’amministrazione, affinché egli
non distragga dalla deposizione i testimoni che conoscono la verità
della cosa o non arrechi loro minacce. Ci deve però essere qualcosa
di sostanziale, perché la sola volontà o la calunnia di uno non
arrechi disdoro e vergogna agli impiegati, il che sarebbe una cosa
iniqua. Infatti uno non deve essere privato dell’impiego o del
beneficio per la sola volontà di un altro, a meno che una sua colpa
non lo allontani dal grado. Non è cosa conveniente spogliare i
sudditi di benefici ed uffici senza un motivo ragionevole.
Noi nel dubbio dobbiamo onorarli come ministri di Dio; essi infatti
da Dio sono stati costituiti giudici per giudicare il suo popolo,
sicché quando si radunano si dice “Dio si erge e giudica”, come si
ha nel salmo 81: “Dio si erge nell’assemblea divina”, cioè
nell’associazione dei giudici, “in mezzo Dio emette la sua sentenza”
, perché vede con chiarezza e vede le loro azioni e se esercitano
degnamente o indegnamente il principato e l’impero, anzi sono
chiamati dei, come si dice nello stesso salmo: “Io dissi: Siete dei,
tutti figli dell’Altissimo”, cioè, come spiegano i commentatori, i
giudici sono dei se giudicano giustamente, perché sono esecutori
dell’ufficio della giustizia divina. Non insuperbiscano per questa
autorità ma si ricordino di essere mortali, perché, se giudicano
male, saranno precipitati dall’alto nel fuoco della geenna. “Voi
poi, come uomini morrete e cadrete come ognuno dei potenti”, cioè,
questa vostra suprema potestà non può preservarvi dalla morte, ma
come uomini morrete e se avrete giudicato male, come ognuno dei
potenti che sono caduti dall’empireo, cadrete nel fuoco della
geenna. Inoltre, devono essere anche onorati per il loro sapere;
questo nobilita e fa che questa nobiltà prevalga sugli altri.
b) A questo punto del discorso, lascerò i giudici e parlerò
di me per difendermi. Molte cose contro i maldicenti ho riferito
nell’Apologia ed anche all’inizio dell’opera; ora alla fine della
stessa dirò altre cose, che mi sono giunte all’orecchio. Molti
sussurrano che chi è nato altrove non deve assumere l’arroganza di
interpretare le Consuetudini di questa famosa e fedelissima città,
dove i cittadini sono anteposti agli stranieri. In questo modo mi
sembra di aver usurpato la maniera di precedere, per mettersi avanti
agli altri nobili; devo ricordarmi di essere nato in un paesino, una
piccola terra, come è Ripacandida, che è la mia patria. I nati in
città sono più nobili e sono preferiti ad altri che nascono in paesi
e in villaggi, come sostengono molti studiosi che non cito, perché
mi esalterebbero più che deprimermi ed umiliarmi. Essi con le loro
opposizioni mi portano in alto, come dirò tra breve, ma mi hanno
costretto a non nominarli, perché non sono, per grazia di Dio,
desideroso di inutile gloria.
So, dunque, che la città nobilita, ma so anche (per tacere delle
lodi della mia patria) che le persone oneste, che eccellono nel
sapere o nelle arti, hanno nobilitato moltissimo le loro patrie,
benché infime, e sono stati preferiti ai cittadini della medesima
città. Come si legge nel Levitico (19 e 23), i nostri antenati,
seguendo l’ordine di Dio, lasciavano ai poveri e agli stranieri da
racimolare i grappoli e le spighe di grano; Dio spesso rivela ai
piccoli ciò che è stato nascosto ai grandi uomini.
So anche che il sapere mi nobilita se ho detto bene e ho condotto
questi Commentari con retto metodo, anche se sono figlio di un
libertino; per questo solo motivo devo essere preferito ad altri.
So, ancora, che, se la nobiltà viene in ragione della condizione,
cioè per gli antenati, quanto più antica è la nobiltà, tanto più è
maggiore per essere preferiti ad altri; sicché, se la nobiltà
discende da sangue reale, quelli che discendono da sangue reale sono
preferiti ad altri. Gli studiosi indicano l’ordine di precedere e di
sedere: al primo posto c’è l’imperatore, al secondo i re e poi gli
altri titolati secondo la loro dignità. I nobili sono detti così dal
verbo conoscere, sono detti anche insigni, alti. È chiaro che
i nati da sangue reale sono più noti, più insigni e più alti e per
tali prerogative devono essere anteposti ad altri che non sono
ornati con tali prerogative.
So però anche (per ritornare a quanto mi sono proposto) che le virtù
e il comportamento nobilitano più della nobiltà dei progenitori. La
nobiltà è la sola è onorata dal comportamento, come sostengono gli
studiosi e si ha nella Sacra Scrittura (Eccl. 10,7: “Il giudice più
grande, il potente più grande sono in onore ma non più grandi di chi
teme Dio”). Si cita la santissima vergine Agata, patrona dei
Siciliani, che disse all’empio pretore Quinziano: “Vale molto di più
l’umiltà cristiana che la superbia e la schiavitù alle ricchezze dei
re”. La dignità che deriva dalla nascita è piuttosto una dignità
accidentale e quindi in questi non c’è prestanza di virtù, hanno
nobiltà di comportamento, la fama della loro stirpe è più vergogna e
ignoranza che lode e gloria; sono la favola del popolo e sono
considerati come sterco.
Chi non sarà trovato fornito della nobiltà delle virtù, non avrà
parte nel regno di Cristo e di Dio e a lui si dirà come
nell’Apocalisse, 22: “Fuori i cani, i venefici, gli impudichi, gli
omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna”; come in
Matt. 25: “Andate, maledetti, nel fuoco eterno, che è stato
preparato per il diavolo e i suoi angeli”. Così si adempirà quanto
detto nel Salmo 149: “I loro re in catene e i loro nobili in ceppi
di ferro”.
Al contrario, quelli che si adornano delle virtù cristiane, che
rinunciano con cuore a tutto quanto posseggono, perché capiscono che
tutto è stato loro concesso per grazia divina, ed osservano i
precetti di Dio, seguono il Signore e le sue virtù, imitando la sua
vita immacolata, questi, anche se sono nati in modo umilissimo in
questo mondo, saliranno a tanta sublime dignità e trono e saranno
ornati di tale nobiltà, da essere annoverati tra i figli di Dio e la
loro sorte sarà tra i Santi. Questi sono re e più che re, perché
sono saggi: “è meglio essere un ragazzo povero ma sapiente che un re
vecchio ma stolto, che non sa usare la propria mente”, oppure: “è
meglio un uomo lento all’ira che un uomo forte; chi domina il suo
spirito vale più di chi conquista una città”. Questi non saranno
toccati dal tormento della morte, anzi di questa non si
preoccuperanno, saranno nel refrigerio, perché allora riceveranno
una corona regale e uno splendido diadema dalla mano dei Signore,
risplenderanno come il sole al cospetto di Dio, più candidi della
neve, più bianchi del latte, più rubicondi del vecchio avorio, più
belli dello zaffiro, come insegna la fede.
Se dunque, per ritornare là donde siamo partiti, la nobiltà viene
dal sangue, dalle virtù e dal buon comportamento ed anche
dall’ordine clericale, per una qualsiasi di queste cose si è
preferiti agli altri; soprattutto per la dignità sacerdotale,
sarebbe sufficiente se io fossi fornito di una sola di queste. Non
siamo sufficienti da noi, ma ogni nostra sufficienza è da Dio, che
ci fa ministri idonei in ogni buona opera. Egli viene a prendersi le
nostre infermità per darci le sue virtù: cercare l’umanità, prestare
le cose divine, accettare le offese, guarire le infermità, ecc.;
perciò, solo a lui è l’onore, la gloria, la potestà e il comando,
lui che ci ha concesso tali doni.
Io contro i miei detrattori posso dire con Geremia, 17: “Siano
confusi quelli che mi persegui-tano, io non sia confuso; siano essi
spaventati, ma io non sia spaventato; manda contro di loro il giorno
della sventura, con doppia distruzione distruggili, Signore Dio
nostro” e con il Salmo 118: “Siano confusi i superbi, perché
ingiustamente hanno commesso iniquità contro di me”. Pregherò per
chi mi calunnia e mi perseguita; prego il Re celeste che ci dia la
conoscenza della salvezza in remissione dei nostri peccati per
dirigere i nostri piedi sulla via della pace; ci dia tale nobiltà di
comportamento da camminare nella santità e nella giustizia davanti a
Lui tutti i giorni della nostra vita, affinché pieni dei giorni e
dei meriti siamo condotti a quella santa città di Gerusalemme in cui
il re dei re e il signore dei signori dà in premio ai suoi fedeli se
stesso e li nobilita al di sopra di tutti i potenti ed i re della
terra. A Lui sia benedizione, gloria, sapienza, azione di grazie,
onore, virtù e forza per tutti i secoli dei secoli. Amen.

PARTE PRIMA DEL PRONTUARIO DEI TRE
DIRITTI
DIVINI, CANONICO E CIVILE
OSSIA DI SOMMA TEOLOGIA MORALE E
CONOSCENZA
DEI CASI
AUTORE ANDREA MOLFESE
chierico regolare, dottore, teologo e
professore di entrambi i diritti.
Hai in questo volume le
materie discusse in modo diligente dei Principi della fede, dei
sacramenti della Chiesa, delle ore canoniche, dei benefici
ecclesiastici, delle azioni umane, del peccato, delle leggi, dei
precetti del decalogo e della Chiesa, secondo le disposizioni del
diritto divino, canonico e civile.
Con privilegio
Napoli, d. Scipione Bonino, 1619

AL LETTORE
Che io sia senz’altro cieco, lettore cristiano, se non vedo
apertamente, per la mia laboriosa opera a quante calunnie io mi
esponga. Infatti, che cosa diranno gli studiosi, anzi che cosa non
diranno quando vedranno che io abbia osato trattare una materia da
parecchi sia in passato che di recente trattata in modo diligente,
vario e garbato? Vuoi tu, - diranno – nuovo fondatore, che Penelope
ritessa la tela, così come tanti dotti e sapienti scrittori?
Potresti rispondere che è necessario, essendo l’argomento non
aggiornato o peggiorato, uno accessorio, un altro anche dannoso.
Io, in verità, benché abbia da poter rispondere con molte altre
argomentazioni, ti dico questo soltanto: di nessuno che abbia
scritto qualcosa di simile io ho seguito le orme e perciò non posso
essere né devo essere giudicato dai giusti estimatori del lavoro
altrui, altrimenti avrei fatto con quest’opera una esposizione
inutile.
Ti prego, sincero lettore, prima di leggere, non dare un giudizio
precipitoso su questa fatica letteraria che abbiamo fatto per essere
a te di giovamento. Ciò sarebbe proprio di una persona non saggia,
non di un uomo cauto e assennato, quale desidero e spero che tu sia.
Accetta dunque quanto scritto in questo Propileo, l’argomento
dell’opera come dipinto su una tavola, il metodo, lo stile e lo
scopo. Conosciute bene tutte queste cose, sono certo che non
incorrerò nel rimprovero di alcuno (sia lontana da me l’invidia).
Innanzitutto qui mi presento come consigliere di coscienza, discuto
dei suoi aspetti che dal volgo sono chiamati “casi”, pongo
all’attenzione da che cosa un cristiano debba guardarsi, che cosa
evitare e per contro che cosa possa seguire o abbracciare e sia
ammesso dalla legge cristiana in modo compiuto o inopportuno. In
ciò, poi, non ho cercato per brevità di omettere l’attenzione sia
nel ricercare e investigare la verità delle stesse fonti sia anche
nello scegliere le sentenze preferibilmente tra maestri di diversa
opinione.
Raccomando senza alcuna ambizione la mia opera, della quale voglio
che dai dotti ci sia un giudizio libero.
Intanto desidero che essi sappiano che in questi libri di Teologia
Morale, dei Sacri Canoni e di Giurisprudenza da me è stato trattato
più di quanto altri scrittori dicasi di coscienza abbiano nelle loro
opere sin qui esposto; sicché non immeritatamente ho potuto
intitolare l’opera Prontuario dei Tre Diritti. Benché qui il diritto
divino e quello civile possano sembrare esposti da me in modo
superficiale, è stato necessario determinare i casi di coscienza con
precise spiegazioni.
Gli studiosi leggeranno in questo o nell’altro Tomo molti
riferimenti a Trattati nei quali la materia teologica e civile viene
discussa con accurate argomentazioni sui precetti del Decalogo, i
Sacramenti, i raggiri, gli alimenti, i contratti, le ultime volontà,
le sentenze, ecc. Il motivo, o lettore è che io per quanto badassi
alla brevità, non ho potuto essere così breve da non dividere questo
mio lavoro in due Tomi. Ho sintetizzato il più possibile i singoli
argomenti degli stessi autori, alcuni dei quali per la citazione dei
nomi e dei brani dei loro libri hanno riempito intere pagine, ho
riportato una buona selezione, per non essere pedante. Dopo aver
esposto la sentenza di qualsiasi dottrina, che ho ritenuto più vera,
l’ho confermata con l’autorità di un testo, di una glossa, di un
dottore classico e ragguardevole. Infine, se cito qualcuno più
recente, questi potrà essere reperito in qualche catalogo di tutti
gli scrittori che hanno trattato lo stesso argomento, se si vogliono
conoscere per curiosità e consultarli.
Benché io abbia ultimato questi Trattati prima che quelli più
recenti fossero stampati e perciò molti volevano che non li citassi,
tuttavia per la ragione sopra riferita e per parecchie altre di buon
grado ho aggiunto i più recenti, per non essere accusato di plagio,
tacendo i loro nomi, da parecchi passi dai quali ho mutuato la
dottrina.
Il nostro stile, lo confesso, è originale, senz’alcun ornamento;
perciò potrò da te, lettore, essere scusato per questa mia
imperizia, soprattutto perché con questo metodo semplice e con
perspicace brevità ho voluto e dovuto rivolgermi al popolo e alla
massa di Sacerdoti inesperti. Adottiamo questo metodo perché c’è
l’intenzione di istruire i sacerdoti e gli assistenti innanzitutto
sui rudimenti della Fede, poi sul sacramento dell’Ordine, in terzo
luogo sull’Eucarestia e il sacrificio della Messa, nel quarto di
tutti i sacramenti, tranne della Penitenza. Inoltre, essendo il
chierico tenuto a recitare l’ufficio divino, abbiamo trattato di
conseguenza delle Ore canoniche; nel sesto dei benefici che sono
stati istituiti per gli stessi chierici, giacché chi serve
all’altare dell’altare deve vivere. Nel settimo abbiamo trattato per
connessione del sacramento delle Penitenze e nell’ottavo delle
azioni umane e del peccato come materia riprovevole di questo
sacramento; nel nono abbiamo discusso delle leggi: Nel decimo dei
precetti della Chiesa, per le ragioni citate all’inizio dei medesimi
Trattati e nell’undicesimo dei precetti del decalogo.
Con queste materia abbiamo terminato il primo volume perché non si
dilatasse all’infinito.
A
completamento di tutti gli argomenti è il secondo volume, nel quale
in primo luogo tratteremo dell’acquisizione delle proprietà e dei
contratti e nello stesso tempo spiegheremo la materia delle gabelle
e dell’usura; in secondo luogo diremo delle ultime volontà; poi
della restituzione, nel quarto delle censure, nel quinto delle
sentenze, nel sesto tratteremo del vescovo e della sua funzione e
così pure del consiglio provinciale, del sinodo diocesano,
dell’ufficio del vicario e di tutto ciò che concerne l’attività del
vescovo. Nel settimo tratteremo in modo particolare di vari
argomenti canonici, come la vendita dei beni della chiesa, la
libertà, l’unità ecclesiastica e quant’altro non spiegato nelle
precedenti trattazioni. Nell’ottavo diremo dei Regolari e dei Monaci
e infine, faremo una trattazione particolare della Sacra Teologia
scolastica.
Questi argomenti del secondo Tomo aspettano l’ultima mano, che, se
Dio me lo concede, sarà a breve, prima che questo Tomo sia stampato
e pubblicato.
Stammi bene, lettore cristiano, e sii benevolo verso i nostri studi
e le nostre fatiche.
SUMMAE MOLFESII
Tractatus Primus - De Rudimentis sive Principiis Fidei.
Materia huius tractatus latissime habetur in Cathechismo Romano,
praecipue fol. 19 cum seqq. De ea tractant Div. Thomas … Sanchez in
sua summa … In hoc tractatu de Principiis et articulis Fidei, de
Praeceptis Decalogi et Ecclesiae, de Consiliis Evangelicis, de
Sacramentis Ecclesiae, de Virtutibus Theologalibus et Cardinalibus,
et donis Spiritus Sancti, de Beatitudinibus Evangelicis, de operibus
Misericordiae, de Eleemosyna, de Correctione fraterna ac de Peccato
sic fere compendiose agitur, prout in Christiana doctrina
continentur.
[La
materia di questo trattato è contenuta ampiamente nel catechismo
romano, soprattutto foglio 19 e seguenti. Di essa trattano san
Tommaso … Sanchez nella sua Summa … In questo trattato si tratta in
modo sintetico, secondo il contenuto della dottrina cristiana, dei
principi e gli articoli della fede, dei precetti del decalogo e
della Chiesa, dei consigli evangelici, dei sacramenti della Chiesa,
delle virtù teologali e cardinali e dei doni dello Spirito Santo,
delle beatitudini evangeliche, delle opere di misericordia,
dell’elemosina, della correzione fraterna e del peccato].
Tractatus Secundus – De Sacramento Ordinis et Ordinandorum
Requisitis.
De
hac materia habetur passim in Jure Canonico … Sic etiam in
Decretalibus, in titulis de aetate et qualitate ordinandorum. De
temporibus ordinationum. De scrutinio in ordine faciendo. De
ordinatis ab Episcopo, qui renunciavit Episcopatui. De Clerico non
ordinato ministrante. De Clerico, per saltum promoto. De eo, qui
furtive ordinem suscepit. De Filiis Presbiterorum ordinandis, vel
non. De servis non ordinandis. De obligatis ad ratiocinia
ordinandis, vel non et saepe alia … Primo agemus de Ordine in
communi eiusque ministro. Secundo, in particulari et sic de singulis
ordinibus. Tertio, de ordinandorum requisitis et quarto de poenis ac
peccatis, quae circa praedicta committi possunt.
[Questa
materia è contenuta qua e là nel Diritto Canonico … ed anche nelle
Decretali, nei titoli sull’età e la qualità degli ordinandi, sui
tempi delle ordinazioni, sullo scrutinio da farsi, su quelli
ordinato da un vescovo che ha rinunciato all’episcopato, sul
chierico non ordinato che svolge il ministero, sul chierico che ha
fatto promessa saltando i gradi, su chi prese l’ordine di nascosto,
sull’ordinazione o meno dei figli dei presbiteri, degli schiavi da
non ordinarsi, sull’ordinazione o meno degli obbligati secondo
ragione, ed altro. … Per primo, tratteremo dell’Ordine in generale e
del suo ministro; per secondo, in particolare e dei singoli ordini;
per terzo, dei requisiti degli ordinandi e per quarto, delle pene e
dei peccati che si possono commettere circa le cose predette].
Tractatus Tertius – De Sacrificio Missae.
De
hoc altissimo Sacramento quattuor tractabimus. Primo, de ipsa
Eucharistia, ut est Sacramentum. Secundo, ut est Communio. Tertio,
ut est Sacrificium. Et quarto, de praecepto audiendi Missam; simul
enim haec omnia connexionem quandam habent. … Hinc fit, hanc
doctrinam necessariam esse Sacerdotibus, qui debent hoc Sacramentum
conficere; sic etiam Parochis, qui debent populos hanc doctrinam
docere, sic etiam promotis et promovendis ad ordines, quia ad hoc
altissimum Sacramentum respectum habet potissimum Sacramentum
Ordinis; sic postremo omnibus fidelibus, qui hoc uti debent
Sacramento et in illo Christum venerari: nam sine tali cognitione
nec Sacerdos potest digne suum munus exercere, nec fideles debitam
devotionem et reverentisam tam altissimo Sacramento praebere nec
debitam preparationem facere cum se communicant, ut docet
Catechismus.
[Tratteremo
in quattro parti questo altissimo sacramento. Per primo, della
stessa eucarestia come sacramento; per secondo, come comunione; per
terzo come sacrificio e per quarto, del precetto di ascoltare la
messa; infatti tutte queste cose insieme hanno una certa
connessione, … Di qui deriva che questa dottrina è necessaria ai
sacerdoti, che devono compiere questo sacrificio; così anche ai
parroci che devono insegnare questa dottrina alla gente, ed inoltre
a chi ha fatto o deve fare promessa per gli ordini, perché per
questo altissimo sacramento ha un profondo rispetto il sacramento
dell’Ordine; ed infine a tutti i fedeli che devono servirsi di
questo sacramento e venerare in esso Cristo; infatti, senza tale
cognizione né il sacerdote può degnamente esercitare il suo compito,
né i fedeli mostrare la dovuta devozione e riverenza ad tanto
altissimo sacramento né fare la dovuta preparazione quando si
comunicano, come insegna il catechismo].
Tractatus Quartus – De Sacramentis Ecclesiae.
Plura in superioribus tractavimus de Sacramentis Ecclesiae:
siquidem tract. 1 cap. 6 egimus in communi de Sacramentis Ecclesiae,
videlicet de ipsorum numero, institutione, sufficientia,
necessitate, effectibus, susceptione et administratione et sic de
aliis. … Et quia ordo propositus poscebat ut secundo
loco ageremus de Sacramento Ordinis ideo tract. 2 hoc Sacramentum
explicavimus et consequenter tract. 3 egimus de Sacramento
Eucharistiae. Nunc debebamus absolvere reliquorum Sacramentorum
materiam, quod faciemus, excepto solum Ponitentiae Sacramento, de
quo agemus tract. 7, quia pertinet ad Sacerdotem, ut Confessarius
est, successive agimus hic de quattuor Sacramentis, videlicet, de
Baptismo, Confirmatione, Matrimonio et Extrema unctione, ea tamen
brevitate, qua possibile fiat. Siquidem materia cuiusque Sacramenti,
et praecipue de Matrimonio, plura volumina exposcit, ut est omnibus
notum, et ex Auctoribus citandis singulis fiet cognitum.
[Nelle
pagine precedenti abbiamo trattato parecchio dei sacramenti della
Chiesa: nel I trattato, cap. 6 abbiamo trattato in generale dei
sacramenti della Chiesa, del loro numero, istituzione, sufficienza,
necessità, effetti, ricevimento, amministrazione, ed altro. … E
poiché l’ordine proposto richiedeva di trattare in un secondo
momento del sacramento dell’Ordine, così nel trattato 2 abbiamo
spiegato questo sacramento e di conseguenza nel trattato 3 abbiamo
trattato del sacramento dell’Eucarestia. Dovevamo sciogliere la
materia dei rimanenti sacramenti, il che faremo, eccettuato soltanto
il sacramento della Penitenza, di cui tratteremo nel trattato 7,
perché riguarda il sacerdote, come confessore, e successivamente
tratteremo di quattro sacramenti, e cioè del battesimo, della
cresima, del matrimonio e dell’estrema unzione, in modo il più breve
possibile. La materia di ciascun sacramento e principalmente del
matrimonio richiede parecchi volumi, come è noto a tutti, e perciò
sarà conosciuta dai singoli autori da citare].
Tractatus Quintus – De Horis Canonicis.
Resoluta Sacramentorum materia, sequitur tractatio de obligatione
Ecclesiasticorum, ratione Ordinum receptorum ac status
Ecclesiastici, ob quem diversa habent immunitates, et consequenter
tractandum est de Horis Canonicis … Primo, de Horis Canonicis in
communi, Secundo, de circunstantiis, in earum recitatione
observandis. Tertio, de personis, quae tenentur eas recitare.
Quarto, de causis, quibus excusantur ab illarum recitatione. Quinto,
de restitutione fructuum, ob non solutum pensum Divinum. Et Sexto,
de poenis non recitantium officium Divinum.
[Terminata
la materia dei sacramenti, segue la trattazione degli obblighi degli
ecclesiastici, a motivo degli Ordini ricevuti e dello stato
ecclesiastico, per il quale hanno diverse immunità e quindi si deve
trattare delle ore canoniche … Per primo, delle ore canoniche in
generale; per secondo, delle circostanze da osservarsi nella loro
recitazione; per terzo, delle persone, che sono tenute a recitarle;
per quarto, delle ragioni per le quali sono scusate dalla loro
recitazione; per quinto, della restituzione dei frutti per
l’incarico divino non assolto, e per sesto, delle pene per chi non
recita l’ufficio divino].
Tractatus Sextus – De Beneficiis Ecclesiasticis.
De
hac materia sunt varij et diversi tractatus et scholastici et
morales et novissime fere omnes reassumit Nicolaus Garzus, qui duo
volumina de hac materia composuit. … Agemus prius de beneficiis in
communi. Secundo, in particulari. Tertio, de pensione. Quarto de
decimis. Quinto, de iure patronatus. Sexto, de modis aquirendi
beneficia. Septimo, de personis quae possunt beneficia acquirere et
quaenam excluduntur ab illis. Octavo, de beneficiorum pluralitate.
Nono, de iure et onere beneficiarij. Decimo, de illorum vacatione,
permutatione et unione tractabitur. Postremo de Simonia. Et denique
de electione, non solum ad beneficia Ecclesiastica. Sed in omni alia
materia.
[Su
questa materia ci sono vari e diversi trattati sia scolastici che
morali e di recente quasi tutti ha riassunto Nicola Garzo, che ha
composto due volumi su questa materia. … Tratteremo dapprima dei
benefici in generale, per secondo, di quelli in particolare; per
terzo delle imposte; per quarto, delle decime; per quinto, del
diritto di padronato; per sesto, dei modi di ottenere i benefici;
per settimo, delle persone che possono ottenere i benefici e quelle
che ne sono escluse; per ottavo, della pluralità dei benefici; per
nono, del diritto e dell’onere del beneficiario; per decimo, si
tratterà della loro vacanza, permuta ed unione; per ultimo della
simonia ed infine della scelta non solo riguardo ai benefici
ecclesiastici, ma in ogni altra materia].
Tractatus Septimus – De Sanctiss. Sacramento Poenitentiae.
Non oportet multis materiam huius Sanctiss. Sacaramenti commendare;
nam se ipsam commendat. Hoc enim Sacramentum summam Dei
misericordiam includit et admirabilem potestatem Confessarij, qui
tanquam Dei minister remittit peccata poenitentibus eisque ianuam
Regni Coelorum aperit, ita ut, pronunciata sententia absolutionis,
sic in terris remanet poenitens absolutus, ut remissio illa etiam
rata et ferma habeatur in Coelis, iuxta illud Domini: Quodcumque
solveris super terram, erit solutum et in Coelis, misericordiam
Dei includit, ut habetur in Trid. Sess. 14 cap. 1 his verbis:
Quoniam autem Deus, dives in misericordia, cognovit sigmentum
nostrum, illis etiam vitae remedium contulit, qui se se postea in
peccati servitutem et Demonis potestatem tradidissent, Sacramentum,
videlicet, Poenitentiae, quo lapsis post Baptismum beneficium mortis
Christi applicatur. Quae omnia et alia plura in discursu
materiae discutientur, Et se de iudicibus 2 Paralip. 19: Videte,
iudices, quid facitis; non enim hominis exercetis iudicium, sed
Domini, et quodcumque iudicaveritis, in vos redundabit. Hoc eo
magis procedit in hoc iudicio fori Poenitentialis, ut caute
tractandum sit, multa prudentia et circumspectione, ne in quo quis
alium iudicat, se ipsum condemnet, iuxta illud Apost. Ad Roman. 2.
Idcirco magis copiose materiam illam pertractabimus.
De
Poenitentiae Sacramento scripserunt … et plures alii recentiores. A
quibus et praecipue ex Trident. et D. Thom. sumemus magis necessaria
pro nostro instituto. De hoc enim dici potest illa Sansonis
sententia, Iudic. cap. 14; Nisi arassetis in vitula mea, non
invenissetis propositionem meam. Tractatum istum in septem
praecipuas dividemus partes, sequendo doctrinam Catechismi Romani,
iussu Sacri Concilij Tridentini aediti. Primo, agemus de Poenitentia
in communi eiusque necessitate. Secundo, de Poenitentia, ut est
virtus. Tertio, de Poenitentia, ut est Sacramentum ac de eius
partibus. Quarto, de Confessione et eius praecepto, qualitate et
integritate. Quinto, de ministro et clavibus; sic etiam de
obligatione sigilli, quod minister servare tenetur, ac de poena,
illud violantis. Sexto, de satisfactione. Et Septimo, de
Indulgentijs, quia pertinet haec cognitio ad satisfactionem (quamvis
hoc ultimum non tractet Catechismus …).
[Non
c’è bisogno di affidare a molti argomenti la materia di questo
santissimo sacramento, perché si commenta da sé. Questo
sacramento include la misericordia di Dio e la meravigliosa potestà
del confessore, che rimette come ministro di Dio i peccati a chi si
pente e gli apre la porta del cielo; una volta pronunciata la
formula dell’assoluzione, il penitente rimane assolto sulla terra e
la remissione dei peccati è considerata anche in cielo valida e
ferma; propriamente il detto del Signore: Qualsiasi cosa scioglierai
sulla terra, sarà sciolta anche in cielo, comprende la misericordia
di Dio, come si ha nella 14 sess. Tridentina, cap. I, con queste
parole: Poiché Dio, ricco di misericordia, ha conosciuto la
nostra natura, ha recato il rimedio della vita anche a quelli che si
fossero concessi nella schiavitù del peccato e nella potestà del
demonio, ossia il sacramento della Penitenza, con cui si applica a
quanti cadono dopo il battesimo il beneficio della morte di Cristo.
Tutte queste cose ed altro ancora saranno discusse nel discorso
della materia. E riguardo ai giudici (2 Paralip. 19): Guardate,
giudici, a quello che fate, perché non giudicate per gli uomini ma
per il Signore, il quale sarà con voi quando pronuncerete la
sentenza. Ciò ancor più procede in questo giudizio del foro
penitenziale, sicché si deve trattare con cautela, molta prudenza e
circospezione, perché chi giudica un altro non condanni se stesso,
secondo il detto dell’Apostolo nella lettera Ad Romanos, 2. Perciò
tratteremo la materia in modo molto ampio.
Sul sacramento della Penitenza hanno scritto … e parecchi altri
più recenti. Da questi e soprattutto dal concilio tridentino e da
san Tommaso prenderemo gli argomenti più necessari per la nostra
trattazione. Di ciò infatti si può dire il famoso indovinello di
Sansone (Giudici, cap. 14): Se non aveste arato con la mia
giovenca, non avreste sciolto il mio indovinello. Divideremo
questo trattato in sette parti principali, secondo la dottrina del
Catechismo romano, pubblicato per disposizione del sacro concilio
tridentino. Per primo tratteremo della penitenza in generale e della
sua necessità; per secondo della penitenza con virtù; per terzo,
della penitenza come sacramento e delle sue parti; per quarto, della
confessione e del suo precetto, qualità e integrità; per quinto, del
ministro e delle chiavi, come pure dell’obbligo del sigillo, che il
ministro è tenuto a mantenere, e della pena per chi lo viola; per
sesto della soddisfazione e per settimo delle indulgenze, la cui
conoscenza riguarda la soddisfazione (benché il Catechismo non le
tratti e ha messo al quarto posto riguardo alla contrizione, che è
parte della penitenza, e così è inclusa nella terza parte].
Tractatus Octavus – De Actibus Humanis et del Peccato.
Post tractatum de Poenitentia, iure sequitur tractatio de Peccato,
cum peccata sunt materia remota poenitentiae. … Et quia non est
peccatum, ubi non est peccandi voluntas et peccatum descendit ex
malitia actus humani, ideo prius de actibus humanis tractabimus,
prout practice pertinet ad Theologum moralem. Nam ut attinet ad
Scholasticum, recurrendum est ad D. Thom. I, 2, ubi latissime
materiam istam pertractat et omnes eius expositores. … Nos vero
pauca prius recollegemus de Actibus humanis, et primo de actibus
Humanis in communi, Secundo, de voluntario et involuntario. Tretio
de ipsis actibus in particulari. Et quarto, de eorum bonitate et
malitia, quibus explicatis, agemus de peccato. Et tractatus iste
habebit aliquid admixtum Theologiae Scholasticae: nam talis cognitio
spectat etiam ad proxim.
[Dopo
il trattato sulla penitenza segue a buon fìdiritto la trattazione
sul peccato, giacché i peccati sono la materia remota della
penitenza. … E poiché non c’è il peccato quando non c’è la volontà
di peccare, e poiché il peccato discende dalla cattiveria
dell’azione umana, perciò tratteremo per primo degli atti umani,
come attiene praticamente alla morale dei teologi. Per quanto
riguarda la Scolastica, si deve ricorrere a san Tommaso, I, 2, dove
ampiamente tratta questa materia e tutti i suoi espositori. … Noi
raccoglieremo poche cose sugli atti umani e per primo tratteremo
degli atti umani in generale; per secondo, di quelli volontari ed
involontari; per terzo degli stessi atti in particolare; e per
quarto, della loro bontà e cattiveria; spiegati questi argomenti,
tratteremo del peccato. Questo trattato avrà qualcosa di misto alla
teologia scolastica, perché tale conoscenza riguarda anche il
prossimo trattato].
Tractatus Nonus – De Legibus.
Licet plures, prius tractent de Legibus, quam de Actibus Humanis et
de Paccato, cum peccatum sit transgressio Legis, nihilominus D.
Thomas prius agit de Actibus Humanis et de Peccato, postea … tractat
de Legibus, quatenus, scilicet, Deus est principium humanorum
actuum, instruens hominem legibus, ut actus humanos debite faciat,
et aiuvans gratia, ut meritorie operetur. … Sed nos pauca scurremus
et infrascripta explicabimus. Primo, De Lege in communi. Secundo, in
particulari, Tertio, del Lege aeterna ac naturali. Quarto, del Lege
Divina positiva. Quinto, de Lege Canonica. Sexto, de Lege Civili,
Septimo, de Lege poenali. Octavo, de resctiptis. Nono, de
Consuetudine. Decimo, de Privilegiis. Undecimo, de interpretatione
Legis. Duodecimo, de mutatione Legum.
[Benché
parecchi trattino prima le leggi e poi gli atti umani ed il peccato,
essendo il peccato una trasgressione della legge, nondimeno san
Tommaso tratta prima degli atti umani e del peccato e poi … tratta
delle leggi, perché Dio è il principio degli atti umani, che insegna
all’uomo le leggi perché compia nella maniera dovuta gli atti umani
e lo aiuta con la grazia perché operi in modo meritorio. … Noi
discorreremo di poche cose e spiegheremo quanto scritto di seguito:
per primo, della legge in generale; per secondo di quella in
particolare; per terzo, della legge eterna e di quella naturale; per
quarto, della legge divina positiva; per quinto, della legge
canonica; per sesto, della legge civile; per settimo della legge
penale; per ottavo, dei rescritti; per nono, della consuetudine; per
decimo, dei privilegi; per undecimo, dell’interpretazione della
legge; per dodicesimo, del cambiamento delle leggi].
Tractatus Decimus – De Praeceptis Ecclesiae.
Precepta Ecclesiae in precedentibus tractatibus declaravimus, hic
congruenter complementum ipsorum ponemus, et prius agemus de
praeceptis in communi, deinde explicabimus materiam deiunij et usum
carnium, et ad quid et quibus in hoc deserviat Bulla Cruciatae.
[Nei
precedenti trattati abbiamo illustrato i precetti della Chiesa. Qui
porremo in modo congruo un completamento degli stessi e per primo
tratteremo dei precetti in generale, poi spiegheremo la materia del
digiuno e dell’uso delle carni e che cosa al riguardo riserva la
Bulla Cruciatae].
Tractatus Undecimus – De Praeceptis Decalogi.
De
variis quaestionibus quae reducuntur ad materiam eorundem
praeceptorum egimus in precedentibus tractatibus, prout occasio se
praebuit; alia dicemus de materia eorumdem decem praeceptorum, de
qua fusissime disputat D. Thomas et saepe alii, … Et rerum et
Authorum multitudo non mediocrem confusionem generat; faxit Deus, ut
claritatem sectemur, quod si, favente Deo, evenerit, eidem a quo
bona cuncta procedunt, tribuandum erit; sin minus humanae
infirmitati adscribendum. Hanc ordinem sequemur: Quia primum
Praeceptum includit tria alia, nempe Fidei, Spei et Charitatis; ideo
simul de his agemus, et de vitiis contrariis eisdem virtutibus;
quatenus explicata non sunt in precedentibus tractatibus, et insimul
de Reliquiis et veneratione Sanctorum, explicando praeceptum
Religionis. In secundo Praecepto, Nec iures vana per ipsum,
explicabimus materiam iuramenti et voti et de peccatis quibus
violatur hoc Praeceptum. In tertio, Sabbatha santifices,
explicabimus materiam sanctificandi festa. In quarto Habeas in
honore Parentes, declarabimus etiam qualiter singuli obligati
sint subvenire Parentibus eisque coniunctis. In quinto, Non
occisor eris, explicabimus materiam omicidij et quando sit
licitum alium occidere. At quatenus respicit materiam restitutionis,
id explicabimus in tractatu de restitutione. In sexto, Non furtum
facies explicabimus materiam furti, rapinae ed sic de aliis. At
quatenus sit illicita omnis fraus in contractibus, hoc habet suam
sedem in tractatu de contractibus, et ibi etiam dicetur de usuris,
sive legitimo interesse de damno emergente ed lucro cessante, quae
omnia respiciunt materiam huius praecepti, et cum eo explicabimus
decim, Non concupisces rem proximi tui, In septimo de non
moechando, parum immorabitur. In octavo materiam detractionis et
sic de aliis, Sic etiam in nono, de non concupiscendo uxorem
proximi, quia materiam utriusque Praecepti satis prolixe
explicavimus tract. 8 cap. 8 a num 177 ad num, 231. Et sic patet
ordo tractationis. Nunc ad rem ipsam accedamus, omissa tractatione
de Praeceptis in communi et qualiter ista sunt solum decem, et ad
ipsa revocentur omnia alia, Nam haec omnia explicavimus locis initio
citatis.
[Delle
varie questioni che si riconducono alla materia dei medesimi
precetti abbiamo trattato nei precedenti trattati, come l’0ccasione
si presentava. Altro diremo della materia dei dieci precetti dei
quali in maniera assai ampia discorre san Tommaso con altri. … La
moltitudine degli argomenti e degli autori genera una non mediocre
confusione; ci aiuti Dio a fare chiarezza; se ciò con il favore di
Dio si avvererà, lo si deve attribuire a lui dal quale procedono
tutte le cose buone; altrimenti si deve ascrivere alla debolezza
umana. Seguiremo questo ordine: poiché il primo precetto include
altri tre, Fede, Speranza e Carità, di questi insieme tratteremo, ed
anche dei vizi contrari alle virtù, poiché non sono stati spiegati
nei precedenti trattati, ed insieme delle reliquie e della
venerazione dei Santi, spiegando il precetto della religione. Nel
secondo precetto Non giurare invano su di lui, spiegheremo la
materia del giuramento e del voto e dei peccati con i quali si viola
questo precetto. Nel terzo, Santifica il sabato, spiegheremo
la materia di santificare le feste. Nel quarto, Abbi in onore i
genitori, illustreremo anche come tutti sono obbligati a
sovvenire i genitori e i loro congiunti. Nel quinto, Non essere
omicida, spiegheremo la materia dell’omicidio e quando sia lecito
uccidere un altro. Per quanto riguarda la materia della
restituzione, ciò spiegheremo nel trattato sulla restituzione. Nel
sesto, Non fare furti, spiegheremo la materia del furto,
della rapina e di altro. Poiché non è lecita la frode nei contratti,
ciò avrà la sua sede nel trattato sui contratti e si dirà anche
delle usure, del legittimo interesse, del danno emergente e del
guadagno cessante, tutti argomenti che riguardano la materia di
questo precetto; con esso spiegheremo il decimo, Non desiderare
la roba del prossimo tuo. Nel settimo Non commettere
adulterio, ci si soffermerà poco. Nell’ottavo la materia della
detrazione e di altro, e nel nono, Non desiderare la moglie del
prossimo, abbiamo spiegato la materia di entrambi i precetti in
modo abbastanza prolisso nel trattato 8 dal numero 177 al numero
231. Così è chiaro l’ordine della trattazione. Ora entriamo in
argomento, dopo aver omesso la trattazione dei pregetti in generale,
perché sono soltanto dieci e a loro si riportano tutti gli altri.
Infatti tutte queste cose abbiamo spiegato nei luoghi citati
all’inizio].
De Consuetudine (cap. 11 del
nono trattato de Legibus, pp. 671 ss.)
1. Unde dicitur
consuetudo? Dicitur ex eo quod in communi est usu (n.14).
2. Quot modis
accipitur? Duobus modis, nempe, generice, pro toto corpore iuris, et
specifice, pro iure non scripto (n. 15).
3. Quando
sumpsit exordium? A tempore, quo coeperunt homines simul habitare
(n. 16).
4. Quid sit? Est
ius non scriptum, moribus utentium institutum, quod pro lege
suscipitur, cum lex deficit (nn. 17-18).
5. Qualiter
differat a more? Multoties confunduntur, quamvis mos latius pateat
et etiam brutis conveniat, licet improprie (nn. 19-20).
6. Qualiter
differat ab usu? In iure confunduntur, quamvis usus respiciat
frequentiam ipsorum actuum et sic exercitium, et ex his resultat
consuetudo (nn. 21-22).
7. Qualiter
differat a stylo? In hoc, quia stylus respicit ordinem iudiciarium
et modum scribendi et loquendi Notariorum. Consuetudo vero
universaliter respicit omnes actus singulorum hominum (n. 23).
8. Qualiter
differat a consueto? In tempore, quia consuetudo ad minus exposcit
decem annos; consuetum vero inducitur etiam per binos actus, quamvis
multoties confunduntur (nn. 24-25).
9. Quotuplex est
consuetudo? Duplex, universalis, quae respicit universos, et
particularis, quae viget in aliquo loco (nn. 26-27).
10. Particularis
quotuplex sit? Quadruplex: Primo, Scripta, quae scripta repertur.
Secundo, Praeterita, quae legitimo tempore introducta est. Tertio.
Titulata, quae titulum habet, ut privilegium, et Quarto. Iudicata,
quae multoties inducitur per binas iudicaturas (nn. 28-34).
11. Quae
requiruntur ad introducendam consuetudinem? Quattruor. Primo, ut sit
rationabilis. Secundo, Certa scientia populi. Tertio, Continuatio
eorundem actuum tempore determinato, Et Quattuor, ut maior pars
populi utatur illa consuetudine (nn. 34-51).
12. Quot sunt
effectus consuetudines? Plures. Primo, Quia servatur pro lege, ubi
lex decicit. Secundo, Quia interpretatur legem. Tertio, Quia tollit
legem. Quattuor, Quia in omni negotio attenditur consuetudo (nn.
51-56).
13. Quando
tollatur consuetudo? Per legem posteriorem contrariam, quando
legislator consuetudinem sciebat et utitur clausula revocatoria Non
obstante … Per contrariam consuetudinem: itaque semper particularis
vincit universalem (nn. 56 ss.).



La traduzione di questa
praemonitio ad lectorem (avvertimento al lettore) è riportata nel
cap. 3.1 – nota di don Francesco Bolvito.
TRATTATO INTORNO AD ENTRAMBE LE
MODALITA’ DI DISPOSIZIONE DEGLI
UOMINI
Per atti tra vivi e in morte
OSSIA COMPENDIOSA PROCEDURA
Dei contratti, dei testamenti (ultime
volontà)
E delle sepolture
AUTORE
REVERENDO PADRE
DON ANDREA MOLFESE
CHIERICO REGOLARE
Dottore in Teologia e Illustre
Professore
OPERA ACCURATA UTILE E SOPRATTUTTO
NECESSARIA
A QUANTI OPERANO IN ENTRAMBE LE
GIURISDIZIONI
(CIVILE E CANONICA)
NAPOLI – Stampa a cura della Tipografia di Lazzaro Scorigi - 1622

TOMO TERZO POSTUMO
DEL COMMENTO ALLE CONSUETUDINI
NAPOLETANE
DIVISO PER ARGOMENTI
AUTORE: ANDREA MOLFESE
chierico regolare, teologo e insigne
giureconsulto.
L’opera di Sacra Teologia
e delle leggi, molto necessaria soprattutto ai cultori non solo
dell’alma città di Napoli e del suo grande Regno, ma anche molto
proficua in tutti i luoghi abitati, contiene un’ampia ed ordinaria
materia di contratti e riporta in modo mirabile importanti e più
recenti sentenze dei massimi tribunali del mondo.
È aggiunto un doppio e
accurato elenco sia delle materie sia delle voci.
Con privilegio
Napoli, Tip. Ettore Ciccone,1654
Con licenza dei Superiori
Pubblicato a spese di Domenico
Montanaro, libraio napoletano
PETRI MASARII S. SEDIS APOST. PROTONOT. U.I.D. & S.
THEOL.
PROFESSI ORATINEN. & NEAP.
ENCOMIUM
ANDREAS MOLFESIUS, ex quo Orbi Terrarum se dicavit,
Sibi eipuit, et siderum modo,
Quae irrequieta cursus suos explicant,
Numquam illi licuit, nec subsistere,
nec
quidquam suum facere,
Solis aemulus irrequieto cursu scriptis illus-
trans Tribunalia, Aulicis favens, Iurisperiotos fovens
scriptorum opportuna luce ac benevolo influxu,
Ebibit pene ab uberibus leges, atramento, non lacte
nutritus, semel natus,
Diem gemino laturus Orbi forensi et Sacro.
Scriptor cupiebat volitare per ora virorum famosus,
Cruciabatur Famae cupiditate, Famae studium non reijciens
ne
obijceret doctas Lauros, quae perpetuo vivore
eruditas frontes inumbrant et cultoribus
immortalitatem elargiuntur.
Plausere iura ad eius nomen. ANDREAM Eruditi venerabantur,
Clientum turba comitabatur.
Nudus tamen aufugit, ut Christi familiam,
ac
Theatinam Religionem ingrederetur,
Quae reliquas religiones veris opibus praestat.
Ideo ditior nullam haereditatem exoptat, nisi Deum O.M.
fortunatior, quia sine fortunis, nec quarit hominum opes,
sed
Caelitum opem.
In
hac familia cooptatus, in angusta cella religiose
Vixit, docte scripsit,
Ut
haec testantur monumenta, quae
DOMINICUS
MONTANARUS iterum emittit in
lucem,
Hic
ANDREAE compositis scriptis
propagat memoriam,
Ut
ex vitali tumulo veluti ex animato Phaenicis
cinere favillae in violas, in virentia et viventia
Lilia Mors ipsa refloresceret.
Et
homines, lectis scriptis, repetant:
Num
non e tumulo fortunaque favilla
Nascuntur violae?
Mortuus ANDREAS videtur
resurgere per te, DOMINICE,
&
semel mortuus ter meret vivere in Olympo,
in
Theatinae Religionis Patribus, in ore virorum.
Ipse Pater, dum sibi devoto tantos assistere coetu
Patres aspiciet, dignas rependet gratias,
Efficietque ut tibi DOMINICO
Superi digna
referant praemia.
Encomio di
don Pietro Massario, protonotario apostolico della Santa Sede,
Dottore di entrambi i diritti, Professo di Oratino (Campobasso) e di
Napoli.
Andrea Molfese uscì
dal mondo terreno al quale si dedicò ed ora si dedica al mondo delle
stelle, che senza posa effettuano il loro corso. A lui mai piacque
né di far valere né di conseguire qualcosa per suo interesse, ad
imitazione del sole dal corso incessante, illustrando con gli
scritti i Tribunali, giovando alle Corti, sostenendo gli Avvocati
con l’opportuna illuminazione ed il benevolo influsso degli scritti.
Succhiò, per così dire, le leggi dalle mammelle, si nutrì, appena
nato, non del latte ma di inchiostro, destinato a portare il giorno
sia al mondo forense che a quello sacro.
Scrittore famoso,
voleva essere sulla bocca degli uomini, era tormentato dalla
cupidità della fama, non abbandonando la predilezione per la gloria,
per non buttar via i dotti allori, che col verde perenne adombrano
le fronti degli eruditi e donano l’immortalità agli uomini di
cultura. I giudici applaudirono il suo nome, i dotti veneravano
Andrea, la folla dei clienti lo seguiva.
Tuttavia, nudo fuggì
via per entrare nella famiglia di Cristo e nell’Ordine religioso dei
Teatini, che è superiore agli altri ordini per vera ricchezza;
perciò, assai ricco non desidera alcuna eredità, se non Dio, egli
che fu uno dei più fortunati dell’Ordine Minore perché senza
fortuna, né ricerca le ricchezze umane ma quella celeste. Aggregato
in questa famiglia, visse in una cella angusta da religioso, scrisse
da persona dotta, come attestano questi monumenti che Domenico
Montanari di nuovo mette in luce. Con la composizione dei suoi
scritti questi diffonde il ricordo di Andrea, affinché dalla tomba
piena di vita come da un cenere animato della favilla della Fenice
la stessa morte rifiorisca nelle viole e nei gigli verdeggianti e
vivaci. Gli uomini, dopo aver letto gli scritti, possano dire: forse
che le viole non nascono dal tumulo e dalla favilla della fortuna?
Andrea, benché morto, sembra risorgere grazie a te, Domenico, e già
morto merita ampiamente di vivere nell’Olimpo, tra i Padri
dell’Ordine Teatino, sulla bocca degli uomini. Lo stesso Padre,
mentre provvederà ad assistere tanti Padri con adunanza a lui
devota, elargirà degne grazie e farà in modo che a te, Domenico, gli
abitanti della terra diano degni premi.
Causa del 1610 a Ripacandida (Dal Tomo primo dei
Commentaria consuetudinum neapolitanarum, pars
IV - Della rinuncia -
QUESTIONE XVIII
Per diciottesimo esamino se una donna, esclusa a causa dei maschi
dalla successione dei beni, è esclusa anche dal diritto di reclamare
per la morte dei parenti. Questa questione suole presentarsi molto
di frequente non solo in questa città ma anche in tutto il regno, e
ha bisogno di un’accurata discussione, ma, poiché l’ha esaminata in
un suo trattato il dottissimo marchese de Ponte, io sottoporrò poche
cose, che ho scritto nel 1610, quando il caso si verificò nella mia
patria [Ripacandida], perché il trattato del celeberrimo marchese
non era stato ancora pubblicato. Io lo interrogai su questo caso e
per sua bontà mi raccomandò i suoi commentari, da cui estrassi
questo argomento, da lui discusso in modo assai dotto, e con quelle
cose che avevo scritto trasmisi agli inquisiti. Viste le allegazioni
dall’ufficiale del luogo, soprattutto a causa dell’autorevolezza
dell’esimio marchese, non si procedette di più in quella causa e le
donne furono prosciolte dall’accusa con grandissima gioia degli
inquisiti e gran dolore dell’ufficiale, che pensava di riempire il
suo marsupio, perché molti erano gli inquisiti e della migliore
condizione; ma si comportò bene e con la massima considerazione;
infatti egli credette agli allegati e non procedette nella causa.
Dizionario dei termini giuridici più
frequenti nelle opere di Molfese
Accettilazione – dichiarazione fatta dal creditore di
un’obbligazione, sorta per accordo verbale, di essere stato
soddisfatto, determinando così l’estinzione dell’obbligazione.
Adoa – Adohamentum:
era la surrogazione del debito del servizio militare imposta dai re
angioini e si pagava con una contribuzione pari al 26,5& dell’annua
entrata del feudo ai maestri giustizieri; fu abolita nel 1443 dal re
Alfonso d'Aragona e sostituita dal focatico.
Albarano – breve scrittura privata che fa l’elenco del
corredo.
Antifato – altra dote, costituita dal marito per la moglie
prima del testamento e della morte di lui.
Apaca – ricevuta di una banca che differenzia il concetto di
quietanza di pagamento da una semplice dichiarazione di estinzione
del debito.
Allodio –
bene immobile in piena proprietà, in antitesi al bene feudale,
trasmesso per eredità o alienabile senza la licenza regia.
Burgensatico (bene) –
bene allodiale, il cui possesso non era vincolato al feudo, di
proprietà della borghesia e degli operai, che per essere esonerati
dal servizio militare imposto ai possessori di feudi, erano
costretti a sostenere per intero l'imposta fondiaria (subventio
generalis), dalla quale erano anche esclusi gli ecclesiastici e
quanti erano al servizio dello Stato.
Capuana e Nilo – sono due dei sette Sedili di Napoli
(Capuana, Montagna, Forcella, Nilo, Porto, Portanova e Popolo). I
sedili erano istituzioni create da nobili famiglie, che scelsero di
vivere in determinate aree di Napoli con proprie regole e nel
rispetto di tradizioni e costumi propri della zona.
Casale –
tipica struttura insediativa medievale, costituita da
nuclei abitativi di piccole dimensioni, priva di elementi di
fortificazione, come mura o castelli, a ridosso delle città e da
queste facilmente controllabile. Gradualmente acquisisce una certa
consistenza (50-100 fuochi, ossia duecento, quattrocento abitanti),
caratterizzato da un’economia mista, agricolo-pastorale, artigianale
e commerciale con qualche minimo servizio collettivo, quasi sempre
una chiesa. Il casale spesso si articolava sulla presenza di «case»:
attorno ad una famiglia abbastanza grande si raggruppavano linee
parentali affini, contrassegnando con il cognome della «casa» il
luogo dove vivevano. Esso godeva di parità
di diritti, privilegi e immunità della città: “casalia sunt pars
corpore civitatis” e gli abitanti “veri cives ipsius civitatis”:
i casali «fanno un corpo con le città, godendo anch’essi
l’immunitadi, privileggi, e prerogative di lei, havendo anco luogo
in essi casali le consuetudini Napoletane compilate per ordine di
Carlo II. Hor di questi casali ve ne sono molti di grandezza e
numero di habitatori a guisa di compite cittadi».
La dinamica demografica di questo territorio era spesso più vivace
di quella urbana, e ciò si rifletteva sul piano politico, generando
spesso richieste di autonomia amministrativa e il costituirsi di
università autonome, come avvenne in molte aree del Mezzogiorno.
Città –
con questo nome si designava un grosso centro abitato, di norma di
antica tradizione, sede di vescovato con la presenza, oltre
che del vescovo, del suo seguito di ecclesiastici e laici,
caratterizzato dall’inurbamento continuo di contadini, che si
trasformano in artigiani e mercanti. Per
il suo reggimento c’erano gli statuti con altre
disposizioni che afferivano alle consuetudini, a privilegi, a
capitoli e a grazie, di volta in volta riconosciute dai sovrani o
dagli stessi feudatari. La consuetudine era “jus non
scriptum, quod voluntate omnium sine lege vetustas comprobavit”.
Essa aveva ad oggetto rapporti di diritto civile: la materia
matrimoniale, le doti, i rapporti di successione, i patti agrari. I
privilegi
erano atti sovrani relativi a diritti personali o reali. I
capitoli erano norme che regolamentavano il funzionamento di
uffici o di magistrature. Le grazie avevano un contenuto
assai vario e relativo a casi specifici che potevano anche derogare
dalle norme generali.
Dote –
ciò che si dava al futuro marito per gli obblighi di matrimonio,
essendo il solo a soffrire “i pesi della società coniugale. Essa
accompagnava la promessa di matrimonio e si rapportava alla
condizione civile e alla capacità economica della famiglia della
sposa. Nella società romana si distinsero tre tipi di doti: dos
profecticia, costituita dal padre o da un parente, dos adventicia,
costituita da un estraneo, dos recepticia, costituita pure da una
terza persona, con il patto, però, della restituzione in proprio
favore, in caso di scioglimento del matrimonio. Nel diritto classico
la dote dal giorno del matrimonio passava in proprietà del marito e
si confondeva con il patrimonio di questi. Nell’alto medioevo ebbero
il sopravvento le consuetudini longobarde su quelle romane, come la
Meta o Mephium, che, da prezzo versato originariamente dallo sposo
al padre della sposa per acquistarne il mundio, passò a significare
l’assegno, chiamato dovario o dotario, detto poi antifato, che il
marito costituiva alla moglie in caso di vedovanza; o come il dono
detto morgengabe fatto dallo sposo alla sposa nel mattino seguente
alla prima notte di matrimonio. Dopo il mille, sia per le condizioni
politiche sia per la nuova economia con crescita di capitali e di
tenore di vita, si ritornò al sistema dotale romano. L’assegnazione
della dote veniva fatta con l’atto denominato capitolo
matrimoniale, in cui veniva elencato il corredo nuziale e
specificati i patti e le convenzioni che si facevano capo per capo;
l’atto veniva sottoscritto dal notaio, dal giudice a contratto e dai
testimoni.
Enfiteusi –
rapporto giuridico in base al quale il
proprietario di un fondo rustico concede a una determinata persona
un diritto di natura reale di utilizzazione e godimento del fondo
stesso con l'obbligo di migliorarlo e di pagare al proprietario un
canone periodico, per lo più annuale, in denaro o in prodotti
naturali.
Giuspatronato o jus patronatus – il diritto di un signore su
una chiesa o un convento eretto sulla sua proprietà, con il dovere
dell’onere di erigere l’edificio religioso, mantenerne la
funzionalità e garantire uno stipendio al parroco. In epoche
successive, fu il diritto concesso su un altare di una chiesa ad una
famiglia, che si faceva carico di dotare l’altare stesso, donare
soldi e beni immobili dal quale l’altare e chi lo gestiva traeva
rendite, con la possibilità di godervi del diritto di sepoltura.
Laudemio: prestazione generalmente in denaro dovuta dal
vassallo al signore, quando saliva al trono un nuovo sovrano; tassa
dovuta dall’enfiteuta al padrone.
Legge Aquilia – fu fatta da Aquilio nel 270 a.C., per
il risarcimento di un danno; consentiva l’azione del danno ingiusto
e imponeva il ragguaglio del valore del risarcimento all’ultimo
prezzo più alto raggiunto dal bene nel mese precedente; tra il danno
e il fatto doveva esserci un nesso di causalità. Stipulazione
Aquiliana – contratto verbale in virtù del quale un soggetto si
impegna a compiere una prestazione in favore di un altro. Prende
nome da Aquilio Gallo (I sec. a. C.) e mira a facilitare il
regolamento definitivo dei conti. Chi è chiamato in giudizio
contro la fede della stipula ha la scelta o di domandare la pena o
di difendersi con la stipulazione aquiliana, che distrugge l’azione
proposta contro di lui.
Legge Falcidia – All’erede spetta un quarto del
patrimonio familiare. Dal nome del tribuno della plebe Publio
Falcidio, si ebbe nel 40 a. Cr. e disponeva che l’erede comunque
doveva avere entro il quarto grado dell’eredità (quarta Falcidia);
se i legati eccedevano i ¾ dovevano ridursi tutti proporzionalmente.
Riguardava i legati e l’erede gravato della restituzione dei beni
aveva diritto a trattenere ¼ dei legati.
Legge Trebelliana (Trebellionica) – dal console romana
Trebellio = all’erede spetta un quarto dell’eredità che il
fedecommissario generale poteva ritenere per sé. La legge stabiliva
che l’eredità spettava all’erede di primo grado. Riguardava i
fedecommessi e l’erede gravato della restituzione dei beni aveva
diritto a trattenere ¼ dei fedecommessi. .
Maffio
– prezzo versato originariamente dallo sposo al padre della sposa
per acquistarne il mundio; passò poi a significare l’assegno,
chiamato dovario o dotario o antifato, ovvero la dote che il marito
costituiva alla moglie in caso di vedovanza.
Maritaggio – permesso di sposarsi dato dal signore al
vassallo o al servitore mediante il pagamento di una tassa.
Mundio – patria potestas dei Germani, esercitata dal
mundualdo; tutela della donna.
Mundualdo. – persona che esercita la patria potestà sulla
figlia, prima il padre, poi il marito. Questi ne comprava la tutela
dal padre per mezzo di una donazione detta meta o mephium o methium.
Paraggio – quota di beni che il primogenito, erede
principale, doveva versare ai fratelli cadetti e alle sorelle; a
queste spettava anche la dote.
Protimesi – diritto di prelazione o di retratto
nell’alienazione di beni immobili spettante al proprietario che
vanta connessioni obiettive verso quei beni
Quarta (diritto di quarta) – diritto di godere della quarta
parte del patrimonio ereditario.
Quattro quarti di nome e d’arme – diritto di fregiarsi del
titolo di nobile se i quattro nonni sono discendenti di famiglia
nobile.
Relevio – imposta che il feudatario
all’atto della prima investitura o il suo erede doveva corrispondere
alla regia corte per relevare feudum, riscattare, ottenere il feudo.
Sacro Regio Consiglio: supremo tribunale di appello, cui
potevano rivolgersi tutti i sudditi, presieduto da un alto
dignitario ecclesiastico, generalmente un arcivescovo; ne facevano
parte alti funzionari, come il protonotario, il gran camerario e il
vice-cancelliere, oltre a giuristi di fama.
Silenziario è l’usciere incaricato dell’ordine e del silenzio
nella corte.
Terra:
tratto più o meno ampio di territorio, soggetto alla giurisdizione
di una autorità costituita o su cui si estende il dominio di un re,
un signore, ecc.; non aveva il rango né di città né di sede
vescovile, ma si caratterizzava per la presenza delle università
indipendentemente dal numero degli abitanti.
Oltre alla città e alla terra, altri modi di distribuzione
degli aggregati urbani più individuati sul territorio erano il
castello, la rocca, la torre, le abbazie, i monasteri e le fortezze
con funzioni esclusivamente militari, luoghi di difesa e di
protezione fisica e spirituale.
Terziaria – terza parte della dote, che secondo l’uso dei
Magnati, si dava alle vedove nella misura intera in premorienza
suocero, altrimenti la metà
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