AL CENTENARIO DELLA SUA MORTE
Non
deve meravigliare il fatto che, troppe volte, noi citiamo e trascriviamo
parole, frasi o intere pagine del Camodeca. Ciò noi lo facciamo
deliberatamente, perchè è questo l'unico modo per far conoscere scritti
che sono inediti e resteranno tali, trattandosi di appunti e non di
opere complete. Questa precisazione era necessaria, come pure
l'assicurazione che tutto il materiale ,di cui ci siamo serviti nella
composizione di questo nostro modesto lavoro, è gelosamente conservato nell'avita casa della natia Castroregio.
Questo
scriveva il Prof Laviola durante la stesura del volume. Fortunatamente
si sono salvati solo gli scritti riportati nel volume Mons. Pietro
Camodeca de' Coronei, Edizioni R. Fabozzi AVERSA (NA), perchè tutto il
resto è stato in parte rubato ed in parte distrutto da vandali. Per
compilare il presente volume ci siamo rifatti a quanto è stato raccolto
e pubblicato dal prof Laviola, alla cui memoria va il nostro più vivo
ringraziamento ed agli eredi la nostra riconoscenza. Senza queste
notizie non avremmo potuto ricordare la figura di Mons. Pietro Camodeca
de' Coronej nel centenario della sua morte.
Francesco Molfese Giuseppe Molfese Antonio Molfese
MONSIGNOR PIETRO CAMODECA De' CORONEJ ARCHIMANDRITA
D'ORIENTE
ALCUNE NOTE SULLA COMMEMORAZIONE DEL CENTENARIO DELLA SUA MORTE.
(19SETTEMBRE 1918)
Con la liberazione della penisola di Morea e della città di Coron,
intorno al 1533,con la di pace di Costantinopoli tra Carlo V ed il
Sultano Solimene II, alle nobili famiglie albanesi fu consentito
l'espatrio nel Regno di Napoli. Andrea Doria con duecento galeoni trasse
in salvo le famiglie nobili, tra cui i Camidi, da cui Camodeca,
menzionati come è ciertos caballeros que an venido de Coron è che furono
insigniti di speciali privilegi con il Regio Cavalierato.
I profughi solo con i loro oggetti preziosi, qualche mobile e cavalli si
insediarono lungo le coste della Basilicata, Calabria e Sicilia ed in
alcuni quartieri della città di Napoli.
Sui contrafforti del monte Pollino, tra le querce di Cerviola, , sorse
il primo agglomerato di capanne di paglia, che poi si trasferì su
un'altura dove sorse Castroregio, paese dove si insediò la famiglia Camodeca progenitrice di don Pietro Camodeca.
Le notizie desunte dagli atti di battesimo, che Salvatore Camodeca de
Coronej ha conservato gelosamente, poi fatti restaurare dal sindaco
prematuramente scomparso, hanno evidenziato che il paese fu feudalizzato
da uomini di cultura e che, alla caduta dei Borboni, Salvatore Camodeca,
affiliato alla Giovane Italia, fu il primo sindaco di Castroregio.
Pietro Camodeca, chiamato Don Pietro, nasce nel 1847, frequenta il
Collegio Italo greco di San Demetrio, completa gli studi presso il
Seminario di Tursi ed il 25 Marzo 1871, la Domenica delle Palme, il
Vescovo Acciardi lo ordina sacerdote nel rito latino. Insegna lingua
latina e greca presso l'istituto Cirino di Napoli e l'anno successivo
presso l'istituto Silvio Pellico di Viggiano, dove viene nominato Vice
Rettore e Direttore spirituale del Convitto Municipale. Viene nominato
Arciprete di Santa Maria ad Nives a Castroregio; a quel tempo le
comunità albanesi di rito greco erano in disagio in quanto avevano
dovuto abbandonare il loro rito tradizionale e cambiarlo con quello
latino. Al Giubileo Sacerdotale del Sommo Pontefice Leone XIII Camodeca
presenta una richiesta, unitamente a parecchie migliaia di firme di
italo-albanesi, reclamando l'Autonomia Ecclesiastica, la creazione di
una propria diocesi e di un vescovo di rito greco, che solo più
tardi, nel 1919, PAPA BENEDETTO XV istituì a Lungro.
Gli interessi culturali del Camodeca spaziarono dalla poesia greca alla
latina, dalla storia all'archeologia, dalla conservazione della lingua
originale agli usi e costumi; purtroppo la maggior parte del materiale
manoscritto prodotto è andato disperso e distrutto per opera di ladri
vandali.
Era ben conosciuto nella CONGREGAZIONE DI PROPAGANDA FIDE di Roma e noto
nella zona di TORRE ARGENTINA, dove era situata la sua pensione.
Innamorato della città e dei suoi monumenti, degli archivi e delle sue
biblioteche, allacciò rapporti con politici e letterati.
Nel PRIMO CONGRESSO LINGUISTICO ALBANESE a Corigliano Calabro del 1895,
fu nominato presidente della Società Nazionale Albanese, che aveva lo
scopo di incrementare gli studi linguistici e delle sacre memorie
patrie. Del dizionario pelasgo-albanese ed italiano, che egli aveva
sperato di pubblicare per intero, restano solo le lettere A e B; i
manoscritti, salvati e depositati dal prof. Gangale presso l'istituto
linguistico dell'Università di Copenaghen, da poco sono rientrati in
Italia.
All'anziano Leone XIII (1898) il Camodeca propose che all'obolo di San
Pietro seguisse anche l'obolo di San Paolo, che sarebbe stato offerto al
pontefice il giorno dell'Epifania come i doni dei re Magi.
Pietro Camodeca intensificò l'opera pastorale, riattò la chiesa cadente, ripristinò il catechismo in lingua albanese, diede lustro e decoro alle
funzioni religiose che negli ultimi tempi erano state poco curate. Nel
1898 venne nominato Vicario Generale degli Italo-Greci della Calabria e
della Basilicata e nel 1899 fu dal Re nominato Cavaliere della Corona
d'Italia. Da Cirillo VIII (1905), Patriarca di Antiochia, Alessandria e
Gerusalemme venne nominato ARCHIMANDRITA D'ORIENTE.
Alle iniziative culturali, alla filantropia, alle opere di carità
associò anche iniziative per arricchire il proprio paese. Fece costruire
un trappeto per molire le olive, con una macchina a vapore, valorizzava
prodotti agricoli, dal caciocavallo, all'olio, al vino, partecipando
alla ESPOSIZIONE AGRARIA ARTISTICA INDUSTRIALE DELLA PROVINCIA a
Salerno(1870) organizzata dalla Camera di Commercio ed Arti, dove
ottenne un diploma ed una medaglia, così come al Grande Concorso
Internazionale delle Science e delle Industrie a Bruxelles nel1888, dove
ottenne anche lì un riconoscimento.
Pensò di far sorgere un istituto enologico ed una cantina sperimentale
per migliorare le produzioni dei vini (erano già molto rinomati i vini
di Sibari Turio e Lagaria ricordati da Plinio e Strabone). Furono anche
gli ultimi anni di don Pietro che anelò la pace, quella che egli forse trovò tra gli ulivi del suo Frangile lambito già a valle dal fiume
Ferro. Lo lasciarono i fratelli Domenico e Crispino ed anche l'annosa
quercia si schiantò. Era il 19 Settembre del 1918.
Antonio Molfese
Medico Giornalista
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