PRESENTAZIONE
Quando un testo è monotematico, scrivere una prefazione è facile.
Si individuano le tre o quattro novità che contiene e se ne sottolinea
la preziosa opera di Antonio Molfese - ci sono più argomenti che
cadenzano la storia dell’arte sanitaria in un periodo storico tra l'800
e il 900 che ha coinvolto le condizioni, la formazione del medico, la
pratica e l’assistenza sul territorio. Non fatevi ingannare dal titolo.
Non si tratta solo della Basilicata, ma dei problemi che hanno investita
tutta l'allora neonata italica nazione.
L’opera prende le mosse dal prezioso epistolario intercorso con i
luminari della scienza medica investiti dai problemi che i medici
condotti loro proponevano. Una sorta di telemedicina, consulti via
postino che all’epoca viaggiava a dorso di mulo. Ricordi che - come dice
Molfese - hanno un senso e validità se non si tramutano in evasione dal
presente. Scopriamo così tutte le tappe della "lunga marcia" compiuta
dalla sanità pubblica, attraverso le traversie dei medici umiliati e
vessati da sindaci e podestà, ai quali competeva la nomina, la
regolamentazione e la remunerazione dei condotti.
L’igiene sul territorio e quindi sui luoghi di lavoro era un compito
elettivo del "condotto" per il quale troppo spesso entrava in contrasto
col potente di turno e se questi sedeva nel Consiglio Comunale od aveva
con esso stretta relazione erano guai. Disparità di trattamento era un
fatto comune.. Fu necessario attendere Crispi 1881, perché i condotti
ricevessero 100 lire al mese comprensivo del foraggio della mula,
cavalcatura indispensabile per le visite domiciliari ed il controllo del
territorio. Il condotto in caso di impedimento doveva pagare il
sostituto. Il volume contiene curiosità volte a non far dimenticare lo
stato di disagio che accomunava medici, scienziati e studenti. Questi
ultimi impediti nell’accogliente Napoli a alloggiare in determinate
zone, off-limits anche alle prostitute ed alla gente di malaffare.
I complessi e a volte tormentati iter legislativi di tutela della salute
avevano visto con la legge di Napoli, applicata per 'simpatia' anche nel
nord d'Italia (vedi la demolizione di un intero quartiere di Parma
focolaio di tubercolosi), gli inizi della bonifica dell'ambiente. I
medesimi iter sfociarono dopo la seconda guerra mondiale nella norma
costituzionale di tutela della salute che ha costituito un punto di
ripartenza per approdare nel 1958 al Ministero della Sanità, creato
mediante lo scorporo del Ministero dell'Interno della Direzione Generale
di Sanità e nel prosieguo (1978) alla Riforma Sanitaria.
Dall'800 molte patologie sono state eliminate (lebbra, peste, vaiolo,
sifilide) altre significativamente regredite - come la microcitemia,
sensibilizzando su scala nazionale i soggetti a rischio - o la malaria e
la tubercolosi, quest'ultima già prima dell'uso della streptomicina,
mediante cure e igiene di prevenzione ambientale, mediante la creazione
di innumerevoli sanatori, ed all'attuazione del "piano verde" che ha
eliminato la "convivenza" di stalle ed abitazioni malsane, fonte di
reciproca infezione. Il volume contiene anche il ricorso alla
statistiche mediche per puntualizzare il percorso dei successi via via
ottenuti dalla nostra medicina. Una parte rilevante del merito della
crescita della coscienza di igiene va ascritta all’opera continua,
capillare e silenziosa dei medici condotti. Un caso va narrato. Nel
1933, due luminari della scienza medica recatisi a Turi nella Casa
penale per minorati fisici e psichici, si avvalsero per loro indagine
dell’esperienza, delle notizie e dei suggerimenti del medico condotto
che svolgeva la sua opera anche all’interno della struttura. La
relazione, oltre 11 pagine, inviata al Direttore Generale per gli
Istituti di Prevenzione e Pena, determinò il trasferimento del recluso
nella clinica Cusumano di Formia e poi al Quisisana di Roma. I due
cattedratici erano Saporito, ispettore sanitario del Ministero e
D’Arcangeli, docente di clinica medica all’Università di Roma, il
recluso si chiamava Antonio Gramsci. Il nome del condotto è rimasto
ignoto.
Vincenzo Marigliano, MD
Professor and Chairman
Department of Cardiovascular, Respiratory, Nephrologic,
Anesthesiological and
Geriatric Sciences
Sapienza University of Rome
IL PERCHÈ DEL LIBRO
I medici
dell’antichità, a differenza di quanto si pratica ai nostri giorni, al
lorché erano chiamati a visitare i malati, vi andavano seguiti dai loro
discepoli, sia perché ciò rappresentava un metodo, sia perché gli
allievi potessero assistere ed aiutare il maestro, sia anche perché,
secondo la moda del tempo, la rinomanza e la fama di un illustre medico
era valutata in ragione del numeroso corteo che lo accompagnava.
Che gli allievi presiedessero anch’essi all’esame del malato è facile
rilevarlo da quell’epigramma di Marziale a riguardo del medico Simmaco:
”languivo nel mio letto; ma tu venisti, Simmaco, senza indugio, con
cento alunni tuoi. Cento mi furono addosso le mani di Borea gelata: Io
febbre, non avevo: l’ho ben, Simmaco, adesso”.
Fin dall’antichità, che fossero già in uso i consulti collegiali di più
medici, chiamati in casi gravi,a visitare un malato, lo rileviamo dalla
testimonianza di un medico ippocratico, il quale dichiarava di "non
esservi nulla di umiliante per un medico di fare appello ai lumi dei
colleghi nei casi più difficili".
Nei casi normali, sia che il medico accorresse al letto del malato, sia
che questi si recasse da lui, l’esame si faceva interrogando ed
esaminando il paziente di persona: però non mancano esempi, specialmente
trattandosi di medici celebri, che questi, avendo una clientela molto
estesa anche in lontani paesi, erano interrogati per lettera e davano i
loro consulti e i loro responsi con lo stesso mezzo, come appunto faceva
Galieno con i suoi clienti in Spagna, in Tracia, nell’Asia Minore e come
presso a poco si verifica ai nostri giorni con i quesiti epistolari
fatti da alcuni malati e ai quali vengono date risposte, più o meno
attendibili, sulle colonne di certi periodici.
La cura della persona, in caso di bisogno per malattia, è stata sempre
una prerogativa che ha interessato in particolar modo il ceto abbiente;
nella seconda metà dell’800 ed ai primi del’900, con gli evidenti
progressi della medicina sostenuti dalle nuove scoperte scientifiche e
dal rinnovamento del pensiero medico, il rapporto medico-paziente si è
fatto più stretto. Questo è il motivo per cui la classe borghese
medio-alta, non accontentandosi del medico di famiglia, chiedeva di
essere curata, anche mediante consulti epistolari, da luminari che solo
nelle sedi universitarie potevano essere consultati. Per il Meridione,
ed in particolare per la Basilicata, era Napoli la città dove
convergevano tutti i pazienti che avevano bisogno di ritrovare, in
seguito ad approfondite cure prescritte da valenti medici, i
“professori” del tempo, lo stato di salute perduto.
Tra la fine dell'800 e i primi del '900, il consulto medico epistolare
era praticato anche in Basilicata, dove medici, desiderosi di "guarire"
il paziente loro affidato, si rivolgevano a professori dell'Università
di Napoli affinché li aiutassero a risolvere il caso presentato. Il
materiale cartaceo rinvenuto in una scrivania di mio padre, medico
condotto di S. Arcangelo in provincia di Potenza, mi ha permesso di far
conoscere una realtà all’epoca vissuta anche da mio nonno, egli stesso
medico.
Questa usanza rappresentava una sorta di telemedicina dell’epoca però
affidata alla corrispondenza trasportata dal servizio postale che
viaggiava a dorso di quadrupede o in diligenza. Anche se i tempi erano
lunghi (la lettera, da e per Napoli, in media impiegava venti giorni/un
mese) si aveva spesso, a conclusione del consulto, la consapevolezza di
seguire un iter, che avrebbe portato il paziente a curare
appropriatamente la patologia presentata, con la propria soddisfazione e
quella del medico curante.
Le malattie trattate nei consulti erano per lo più di natura medica,
poche di natura chirurgica, per il motivo che, data l’improcrastinabilità
della patologia chirurgica, il paziente era inviato repentinamente al
professore ospedaliero o universitario di Napoli per la risoluzione del
caso.
Come si può osservare, un solo caso su ventuno presentati era
chirurgico, mentre gli altri erano di natura prevalentemente medica.
Secondo le conoscenze del tempo, i pazienti generalmente erano curati al
proprio domicilio e solo pochi casi, quelli che necessitavano di
indagini diagnostiche e terapeutiche complicate, erano ricoverati negli
ospedali di Napoli per il tempo necessario alla cura delle loro
malattie.
Si tratta di uno spaccato di storia della medicina, che mostra come il
paziente era sempre al centro dell’attenzione ed i medici del tempo,
interpellati per la cura dei mali, utilizzavano di volta in volta le
metodi che diagnostiche più innovative ed i farmaci di ultima
generazione, che avrebbero portato molto spesso alla guarigione il
malato. Come si può osservare la medicina praticata e descritta nei
consulti medici epistolari era una pratica permessa ad un limitato
numero di persone, in quanto il costo era elevato e solo pochi potevano
servirsi di questa “telemedicina ante litteram”.
ADDENDUM: chi scrive ha
avuto la fortuna di trovare questo materiale prezioso per la storia
della medicina e dell’assistenza medica sul territorio in una zona molto
depressa ed in un periodo difficile per la Nazione, S. Arcangelo (PZ)
dove la mia famiglia vive dal 1400 e forse anche prima. Il plauso va ai
miei antenati, che sebbene per avverse vicende, come accade in ogni
famiglia, hanno saputo conservare documenti che rappresentano pezzi di
storia della famiglia Molfese, del relativo territorio ed eventi che ho
avuto modo di riportare.
Non così è avvenuto per la famiglia Camodeca de’Coroney di Castro regio
(CS), famiglia di mia madre che, dal 1400/1500 ha rappresentato per la
parte nord della Calabria un faro per i paesi di lingua albanese, dopo
la loro fuga dalla Morea in Grecia dove erano fuggiti gli albanesi
inseguiti dai turchi. Circostanze negative concatenate hanno distrutto o
forse disperso documenti della famiglia che davano indicazioni sugli
avvenimenti che si sono succeduti sul territorio e che avrebbero potuto
contribuire a scrivere la storia dell'insediamento di una nobile
famiglia albanese in uno sperduto paese della Calabria.
Un ricordo per mio fratello Giuseppe, avvocato insigne giurista, mancato
medico, di recente prematuramente scomparso, che ha avuto modo di
leggere il presente volume e ne ha apprezzato il contenuto. Amava
immergersi nei volumi di medicina e forse la buona conoscenza della
materia gli ha procurato una certa diffidenza versoi medici e gli
ospedali, circostanza per la quale accettava malvolentieri le cure
mediche.
"Consulti medici epistolari"
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